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Читать книгу: «Un bel sogno», страница 8

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XIV

Il tempo non aveva rispettata la felicità di Ermanno, e già sei giorni di beatitudine erano caduti sotto la sua gelida falce, senza quasi che i due innamorati se ne fossero accorti. – Nello avvicendarsi di tutte quelle ore di dolcezze era scomparsa ogni traccia di passato e dʼavvenire; Laura ed Ermanno vivevano del presente; perchè pensare al domani se erano felici? – Sarebbe però savia cosa il tener conto del tempo nei momenti di benessere, sembrerebbe meno rapido il suo passaggio; mentre non curandosene affatto, si trova poi che il principio e la fine di un bene vanno confusi in un punto solo passato in un baleno.

Nè Ermanno nè Laura usarono di questa precauzione, e quando pensarono ai giorni che loro rimanevano ancora, si accorsero di essere alla vigilia dellʼultimo. Lʼultimo giorno di una felicità che si spegne, è come lʼestrema agonia dellʼesistenza.

– Ohimè, sclamò Laura sospirando, quanto brevi mi parvero questi giorni… come fugge rapido il tempo!

– Pur troppo Laura! La fase della mia felicità volge al suo termine, nondimeno, te ne prego, non lagnartene, ciò accresce il mio tormento… è tale il nostro destino, unʼora di felicità per unʼanno di dolore; ma che vuoi fanciulla mia! bisogna accettare quel lampo di bene, e rassegnarsi alle lunghe amarezze. – Io non mi lagnerò certo, perchè sarei unʼingrato; ormai sono avvezzo alle sofferenze, ed è per me gran ventura il soffio appena dʼuna speranza… Ora poi so che tu mi ami, non è vero Laura?

– Oh! tanto…

– Ebbene, non è forse questa una gran cosa? Tu non puoi comprendere ciò che è per me lʼamor tuo, tu non sai forse di quanto io ti vado debitore; ma è bene che tu ne abbia idea… Giovinetto ancora perdei il mio povero padre, e da quel momento mi parve negato il sorriso della vita. Non ti dirò le pene e gli affanni di quella santa donna che è mia madre; i sacrifizi che essa fece per me, non possono venir ricompensati che in cielo.

Ho studiato ardentemente lʼarte, compresi che per essa io doveva procacciare una tranquilla vecchiaia a mia madre; studiai, e mercè la ferma volontà, pervenni a migliorare la nostra condizione… Ma ohimè! alla mia età non si vive di solo pane, io aveva delle secrete aspirazioni che mal ardiva confessare a me stesso; lʼarte per svilupparsi abbisogna di qualche cosa più del matematico esercizio; lʼarte deve scaturire dal cuore. Passo sulle soavi e nuove emozioni che mi cagionò la prima tua comparsa, e solo ti dirò che per quanto possa accadere in avvenire, io non avrò altro che a ringraziarti e benedirti per il bene arrecatomi dallʼamor tuo.

Poichè la lotta è impossibile per me che ti amo tanto, lascio alle vicende della sorte lo svolgersi del nostro amore; ma non sono già acciecato al punto da non comprendere quale sia lʼavvenire che mi è riserbato, e lascia che io ritorni sulla dolorosa via di quei presentimenti che ti danno tanta pena…

– Perchè, interruppe mestamente la giovinetta, perchè vuoi tu preoccuparli di ciò che Dio solo potrebbe prevedere? Te ne prego Ermanno, abbandona sì tristi pensieri…

– No Laura, ho bisogno di farti palese lo stato dellʼanima mia. – Egli è per la tua pace che lo faccio, e un giorno ricordando ciò che sono per dirti, troverai che ho agito onestamente.

La giovinetta si tacque sospirando, ed Ermanno dopo una breve pausa proseguì: – È destino per certi esseri una sgradevole chiaroveggenza che distrugge colle nubi dellʼavvenire la felicità del presente; si direbbe che per essi è istintivo il bisogno di soffrire, e che si studiano con ogni mezzo di eccitarne la causa. – Se un fortunato avvenimento li rallegra cercano subito nellʼavvenire per trovarvi un dolore che freni lo slancio della loro gioia. – Io sono fra quelli; la tranquilla esistenza che ora passo al fianco di mia madre, è tutta una sequela di domestiche gioie; quella pace era il più bello deʼ miei desiderii… ho toccata la meta, ma non per questo cesso di preoccuparmi dellʼavvenire.

Lʼamore immenso di mia madre mʼincute lo spavento ed il terrore per il giorno in cui ella mi sarà rapita; e con questo pensiero trovo modo di amareggiare quel poʼ di bene che mi viene concesso.

Tu sei giovane, ricca, e bella!.. bella quanto può esserlo un angelo del cielo, lascia che te lo dica, ciò mi fa gran piacere. – Fissando gli occhi sul tuo volto così sereno, così puro, ammirando le belle pieghe delle tue chiome, abbracciando insomma collo sguardo tutta la tua bella persona, domando a me stesso se quel cuore che dà vita ed anima a tante grazie appartiene a me. – La realtà mi sembra sogno, e tu mi appari come dolce visione che io tento invano di realizzare… eppure sei qui accanto a me, eppure ho fra le mie la tua graziosa mano e posso carezzare queste bionde treccie! – Io non so se la fantasia la più accesa possa crearsi unʼimmagine più bella e più sublime di quanto tu la sei per me.

Io invece sono povero, oscuro e vecchio dʼesperienza; il sole per te nasce, per me tramonta, oggi tu sei allʼalba, io alla sera; domani avrai il giorno, io la notte. – Tu vivi dellʼavvenire, perchè la via delle illusioni è lunga ancora per te… a me resta il presente; fra poco non avrò più che un passato!

Vuoi tu conoscere il mio avvenire? ascolta. Tu sei giovane; in questo periodo della prima età, nessuno può arrestare il corso delle idee, e le aspirazioni del cuore ingigantiscono man mano che si realizzano… Sei ricca, e le ricchezze aumentano la foga dei desideri ajutandone il conseguimento. Sei bella epperciò desiderata ed amata. – Nel tuo primo slancio dʼaffetto, ami la natura nel suo modesto stato; ma fra poco e senzʼaccorgertene tu subirai una rivoluzione dʼidee che ti desterà sempre nuove aspirazioni.

La società ti schiude le braccia; nel suo seno tu troverai molte felicità; ma il tuo primo passo nel mondo sarà il segno della mia caduta. – Ovunque tu volga lo sguardo troverai sorrisi, sui tuoi passi si getteranno fiori, e tu rapita, inebbriata, ti dimenticherai del povero Ermanno che non ha mai sorriso… Troverai uno sposo!..

– Oh! basta Ermanno per pietà! Non hai nessuna compassione di te… Io non voglio maritarmi, non mi mariterò… Non andrò in società…

– Lo so, e ti credo; so che tu ora in uno slancio generoso di cuore rinunzi al mondo per me… Ma non sarà sempre così, nè te lʼauguro certamente, povera fanciulla! – Perchè mai nata appena dovresti ripiegare su te stessa, nasconderti, e consumarti miseramente nella solitudine? Ti giuro che accettando il tuo amore ho accettata questa conseguenza; mi rassegnerò a tutto, purchè sia certo che tu non serberai memoria ingrata di me. – Io formo ora lʼeducazione del tuo cuore perchè unʼaltro ne possa godere le dolcezze, e bramo solo una qualche ricordanza per lʼappassionato maestro

– È una crudeltà, sclamò Laura singhiozzando, tu non hai cuore se mi maltratti in tal guisa; era così felice, ed ora mi fai piangere! – Le tue tristi profezie sono false, perchè sento che non potrà mai accadere ciò che tu mi dici; perchè sento di soffrir troppo al solo pensarvi…

– Perdono! disse Ermanno stringendole la mano.

– Cattivo, crudele…

– Via madamigella… alzi lo sguardo, sorrida perchè ho finito…

– Ed ora comincio io…

– Avanti.

Laura si rasciugò gli occhi indi riprese con fuoco tra il serio ed il faceto, tra le lacrime ed il sorriso.

– Ella signor mio è un falso profeta, ella crede che io abbia il cuore duro, duro come macigno, come il suo che si compiace di torturarmi; ma io le dirò: prima, che non sono tanto bella quanto ella vorrebbe farmi credere, che ho tanto giudizio da non essere tenuta per una fanciulla che cambia affetti ad ogni voltar di vento. – Secondo che se sono ricca me ne importa niente, perchè quando si ama le ricchezze valgono a nulla; terzo che non andrò in società; quarto che se non posso maritarmi come la penso io starò zitella, capace anche di farmi monaca; infine che il mio Ermanno è un cattivaccio!..

– Come la mia Laura è la più cara di tutte le creature! interruppe egli abbracciandola.

Lʼalba del domani, non sembrò più così serena ad Ermanno come quella dei giorni precedenti. Egli doveva partire, separarsi da Laura che ormai formava parte di sua vita, e forse chissà quando gli sarebbe dato di vederla!

La giornata passò triste e malinconica; invano Paolo studiavasi con ogni modo di confortarlo. Questo bravo giovinotto aveva compreso che la ferita di Ermanno era profonda, e prestavasi con ogni cura per dissipare i suoi tristi pensieri. – Dopo pranzo si recarono insieme a salutare la famiglia Ramati, e Paolo dovette sopportare le rampogne del padre di Laura perchè non erano stati a pranzo da lui.

Il commiato fu molto lungo, durò dalle quattro fino alle sette, il signor Ramati erasi in questo frattempo assentato, e Paolo allora spiegò tutto lʼartifizio del suo spirito per far in modo che Laura ed Ermanno potessero dirsi qualche parola da soli; ei sapeva che entrambi si struggevano di questa voglia; ma pareva che madama non volesse più lasciare Ermanno, giacchè gli rivolgeva costantemente la parola.

Finalmente in grazia del ritratto di Laura che da una settimana era rimasto sospeso, riuscì a Paolo di staccare la madre per qualche minuto.

– Dunque domani!.. chiese Laura mestamente appena fu sola con Ermanno…

– Parto… rispose egli.

– Ah! io sarò ben infelice domani!

– Non dirmelo Laura, io perderei quel poʼ di coraggio che mi resta. – Promettimi che ti ricorderai talvolta di me.

– Sempre… e tu scrivimi subito narrami tutto.

– Ma come?

– Indirizza pure la lettera a me, che mi verrà consegnata intatta; nessuno legge la mia corrispondenza, ho tante amiche che mi scrivono!

– Posso dunque?

– Ma certo… scrivi… scrivi più presto che puoi.

– Ora addio, sclamò Ermanno prendendole le mani, addio o giovinetta, e pensa che io vivrò della tua memoria!

– Non ci vedremo più?

– No, parto domani alle cinque.

– Alle cinque? sclamò Laura, potremo ancora salutarci prima della tua partenza… ma da lontano; io sarò sul balcone di questa sala; passando nella via, tu potrai vedermi e salutarmi collo sguardo.

– Alle cinque! ciò ti costerà sacrifizio.

– Ma che? sono capace di non dormire per aspettarti. – Ora viene la mamma… Addio Ermanno, e che il mio saluto ti accompagni durante il viaggio. Pensa a me che non ti dimenticherò mai; ricordati che ti aspetto in campagna. – Non potè proseguire, perchè già sentivasi la voce di madama Ramati che veniva a quella volta con Paolo.

Laura ed Ermanno si scambiarono un ultimo saluto, e si disgiunsero. – Quando gli amici decisero di andarsene, fu chiesto il signor Ramati, e qui cominciò la caterva dei saluti, che pareva non dovessero più terminare.

Suonavano le sette, ed Ermanno e Paolo uscivano allora sulla via. Il primo camminava macchinalmente senza profferir parola; lʼestremo addio di Laura lo aveva grandemente addolorato. Andarono a cena, indi al teatro, dʼonde uscirono di buonʼora dovendo Ermanno alzarsi presto allʼindomani.

Se è vero che quel povero giovane trovò qualche felicità nel suo soggiorno in Milano, è pur vero che in quellʼultima notte scontò con tante angoscie tutte le gioie provate. – Dormì pochissimo, e quando riusciva ad assopirsi, tosto venivalo a tormentare un sogno penoso; se desto ei pensava che tra breve dovrebbe dividersi dalla sua Laura, e lasciarla così bella e seducente senzʼalcuna vigilanza.

La facile famigliarità che si acquistava in casa Ramati, inquietavalo assai riflettendo che un giorno o lʼaltro qualche innamorato dei vezzi di Laura, potrebbe agevolmente introdursi nella famiglia, e rapirgli il cuore della giovinetta.

Vʼha di più, malgrado la certezza che egli aveva di essere amato, tuttavia lo tormentava il dubbio di dovere un giorno rinunziare alle sue speranze. – Abbiamo detto speranze, e rettifichiamo la parola. In questa così bella fase dʼamore non vi entrava nonchè un progetto, nemmeno il principio di unʼidea; era un romanzo costruito senza base, o diciamolo pure, senza scopo; e giova rammentare le lotte morali subite da Ermanno prima di lasciarsi sopraffare da questo amore.

Egli riconobbe che tale relazione stava lontanissima dal concepimento di qualsiasi speranza, e non cessò mai anche amando di rassegnarsi come vittima di un accecamento di cui presentiva per istinto le conseguenze. – Comprendiamo che questo abbandono di Ermanno ad una corrente così fatale, potrà sembrare insensata e condannabile a taluni; ma le sono di quelle cose che si ripetono tutti i giorni, e se la ragione potesse sempre prevalere sulle deliberazioni dellʼuomo, la società camminerebbe certamente senza gruccie. —

Parrà a molti che noi vogliamo giustificare il nostro artista, ma invece non facciamo che schermirlo contro chi, o per pregiudizii di casta e famiglia, o per aridità dʼanimo volesse riconoscere in quel povero giovane unʼinsensato amor proprio invece di unʼeccessiva suscettibilità di cuore.

In fatti consimili non sappiamo se più abbia ragione chi condanna od il condannato; è certo però che mentre questi trova tanto coraggio da concepire idee dʼuguaglianza malgrado la disparità di condizione, fonda il suo ragionamento sopra un principio incontestabile di natura; mentre il primo fabbrica le sue sentenze sui gradi di una gerarchia che sà più di stoltezza che di superbia.

XV

Il giorno si annunziava. Gli estremi lembi del cielo già sʼimbiancavano della luce mattutina, ed Ermanno non aveva ancor trovata mezzʼora di riposo. – Stanco per lʼeccessivo pensare durante la notte, e certo che ormai era inutile lʼabbandonarsi al sonno, si alzò ponendo mano a vestirsi.

Lʼaria fresca del mattino, invitava a respirarla, e riflettendo che molto tempo gli rimaneva ancora prima delle cinque, si assise sul balcone contemplando il cielo che pingevasi dei soavi colori dellʼaurora.

Oh! quanti saluti, quanti sospiri egli mandò alle leggiadre nuvolette dagli orli dorati che si spiegavano leggiere come velo nello spazio celeste! – Era quella lʼultima volta che egli godrebbe di quel ridente spettacolo; lʼalba di quel giorno segnava il tramonto della sua felicità, ed ei voleva impressionarsi di quellʼultimo sorriso di cielo per mai più dimenticare la dolce malinconia di quel placido mattino.

Oh! come dirlo lʼaddio chʼei diede al cielo, al sole, allʼaura?.. a lei! – Non avvi espressione che valga il silenzio di Ermanno e la mestizia del suo sguardo. – Egli solo, il poeta della musica, avrebbe potuto trarne unʼidea cogli accordi del pianoforte; egli che in quel momento aveva lʼanima commossa, il cuore oppresso, la fantasia accesa, avrebbe senza dubbio narrato in note lo straziante dolore che lo assaliva a quellʼestremo saluto!

Alle quattro svegliò lʼamico dicendogli; «Paolo, sono le quattro, ho ancora unʼora di tempo ed esco per poco; ritornerò a prenderti se verrai ad accompagnarmi.»

Discese nella via, le strade erano quasi deserte. Laura non abitava molto lungi, e quando la casa di lei gli apparve in vista, si accorse che tutti erano ancora al riposo; le finestre ed i balconi stavano chiusi. – Aspettò passeggiando lungo la via; era la mezza dopo le quattro, e nessuno ancora! Ella è restata presa dal sonno, pensava fra sè; e già rammaricava di non poterla più vedere, quando sentì un rumore come di finestre che vengano aperte; si volse e vide affacciarsi al balcone una bianca figura.

Era dessa! – Aveva i capelli spartiti in due lunghe treccie che cadevano giù per le spalle; una vesticciuola candida come neve, ed un fazzoletto di seta rossa, legato bizzarramente al collo.

Era pur bella! Sembrava la personificazione di quel ridente mattino, il fiore che sbuccia ai primi raggi di sole. – Appena i loro sguardi sʼincontrarono, ella sorrise come per dirgli: Vedi se son di parola… vedi se ti amo. – Ma tosto quel sorriso si dileguò, e la giovinetta riprese unʼaria mesta, espressione di unʼaffettuoso saluto che costa un palpito al cuore ed una lagrima agli occhi.

Ermanno passeggiò ancora per qualche minuto fintantochè vide apparire sullʼangolo della via una vettura di piazza che ad un suo cenno fu dirizzata alla sua volta. – Era tardi. Alzò unʼultimo sguardo, fece un leggiero saluto col capo, indi salì sulla vettura e partì di galoppo.

Finchè fu possibile, egli si rivolse per vederla, e non si potrebbe dire con quanto dolore si allontanasse da quel luogo. – Laura stette al balcone finchè la carrozza fu in vista, ed allorquando scomparve daglʼocchi suoi, ella rientrò in casa sfogandosi in lagrime… Povera Laura!

Ermanno ripassò in fretta da Paolo per prendervi la valigia, e trovò lʼamico ancora in letto. Non eravi tempo da perdere, lo salutò promettendogli di scrivere appena in Brescia, e risalì sulla vettura che lo attendeva in istrada.

Giunse alla stazione pochi minuti prima della partenza, e prese posto in un vagone. – Poche ore dopo Ermanno discendeva a Brescia.

Ermanno a Laura —
«Mia cara Laura

«Egli è vero pur troppo che le ore liete trasvolano rapide come lampo, mentre quelle del dolore passano lentamente trascinando a stento i loro eterni minuti – Quei pochi giorni di mia dimora a Milano mi sembrano un sogno di cui io serbo soavissime rimembranze, unʼonda di felicità che passò dʼun tratto, e che ora mi lascia in una angoscia senza fine!

«Da tre giorni sono in Brescia e nonpertanto non seppi ancora avvezzarmi alle mie solite abitudini; da tre giorni vivo qui preda dʼuna tristezza che mi desta lo scoraggiamento della vita. Io lʼaveva preveduta questa fase di dolore che mi assalirebbe nel separarmi da te adorata Laura, e chissà quando potrò trovare un poʼ di tregua a questa sconfortante mestizia che intristisce tutti gli oggetti che mi circondano.

«Quando ti rivedrò?.. Quando mi sarà dato di stringerti la mano, di sentire del tuo labbro quelle parole che mi scossero tanto dolcemente? – Ah! chissà quanti giorni vedrò nascere e morire colla stessa monotona regolarità prima che io possa rivederti, prima che il suono soave della tua voce risvegli lʼanima mia dal suo profondo letargo! Quei pochi giorni di felicità che pareva non dovessero mai più terminare, passarono quasi senza che io me ne accorgessi, e quando giunsi agli estremi istanti, allorchè ero sul punto di partire, trovai che aveva ancora mille e mille cose a dirti.

«Chi mi ritorna quelle ore soavi passate al tuo fianco o Laura?.. Io penso fra il gelo della mia solitudine alle dolcezze dei nostri cari colloquj in cui più che il labbro parlavano gli occhi ed il cuore; ed ora più nulla che un doloroso ricordo mi rimane di quella felicità che avrei appena ardito di sognare. Tutto mi sembra visione, e parmi di essere solo ed isolato nel mondo, condannato a vivere per sperare in unʼavvenire lontano ed incerto.

«Lʼavvenire!.. E può mai questa parola suonare come una speranza per gli uomini se lʼultimo punto di esso è la morte? Come mai fra un presente infelice ed una morte inevitabile può la mente trovare nella via di mezzo qualche bricciolo di fede che lo attacchi ad una speranza; come si può sognare la felicità quando si è in preda del dolore? – Per me lo confesso, tutto è triste, monotono; dacchè io ti ho lasciata, non ebbi che noie e sconforti – Lʼanima mia troppo prostrata non sa trovare nelle memorie del passato un riflesso di calma; e sì che fui felicissimo.

«Ti ricordi Laura, di quel giorno in cui abbiamo passato per la prima volta la Romanza? Io non lo dimenticherò mai più, e solo nel ripensare a quei momenti, parmi di essere ancora nella tua cameretta – Oh! quanto è bella! mi ricordo ancora del leggiero e delicato profumo dei fiori, della mesta luce che penetrava per le cortine; tutto spirava il candore e la purità, e non vʼha oggetto benchè piccolo che non mi sia rimasto impresso – Mi ricordo ancora che noi eravamo soli, io seduto al piano, tu al mio fianco… Ti parlava deʼ miei dolori spingendo lʼingratitudine sino al punto di dubitare dellʼamor tuo; e tu povero angioletto piangevi, piangevi amaramente! – Oh! perdonami perchè allora io vaneggiava; se non avessi tutta la certezza di essere amato, se la speranza che tu potrai amarmi per lʼavvenire non venisse a consolarmi, io sarei ben infelice!

«Ma tu lo dicesti, e le tue lagrime protestarono altamente contro il mio scetticismo; lʼaureola di tutta luce che circonda la cara tua persona, disperse le nubi dellʼincertezza; ed ora credo e ti amo – Credo perchè ho bisogno di credere, amo perchè sento che la più grave delle sventure non vale il sacrifizio del tuo amore – Sia che vuolsi, io vivrò di esso finchè il tuo cuore risponderà al mio; sarò infelice perchè lontano da te, ma mi verrà di gran conforto il pensiero che in qualunque momento ti ricorderai di me compiangendo la mia sorte!

«Addio sogni di gioventù, chimere della fantasia io vi abbandono per vivere di una memoria: non è forse possibile il trovare delle dolcezze riandando sul passato?.. Mi proverò. Il tuo nome o Laura sarà la mia bandiera, e formerà collʼarte la mia fede.

«Prima di proseguire, lascia che io ti dica quanto bene mi abbia arrecato il tuo ultimo saluto nel mattino della mia partenza – Per tutta la notte che lo precedeva non potei chiuder occhio; allʼalba ero già vestito, e stava sul balcone di Paolo salutando quel nascente sole al cui tramonto io doveva assistere molto lungi da Milano; la bella e cara città che ospita nel suo seno la mia adorata Laura.

«A tutta prima avrei creduto che tu malgrado la più gran voglia fossi rimasta addormentata; ti accerto che ciò mi avrebbe afflitto, e sai perchè? Perchè così era provato che lʼidea della mia partenza non aveva turbato i tuoi sonni – Ma tu venisti – Oh! come eri bella Laura mia; lascia che lo ripeta, come eri sublime; tu mi apparisti più leggiadra dellʼaurora che aveva poco prima salutata! – Quella vesta bianca, quelle treccie bipartite che ornavano il tuo pallido volto, si sono impresse nella mia memoria, ed io non so ricordarmi la tua graziosa figura senza quel modesto abbigliamento.

«Con quale trasporto avrei baciato il lembo della tua veste, e prostrato aʼ tuoi piedi mormorarti parole dʼamore… ma ciò non era possibile, ed io dovetti appagarmi di vederti. – Quellʼestremo addio mandato in silenzio era ben straziante, e la pena che mi piombò nel cuore in quel momento, è indescrivibile.

«Fu quello un punto ben strano per me, giacchè mi trovava sotto la pressione di due grandi ed opposti sentimenti: non saprei dirti quandʼè che io sia stato più felice di quanto lo era in quellʼistante, come non so immaginarmi in qual ora di mia vita io abbia provato un dolore tanto atroce come quello di separarmi da te così bella, da te che mi salutavi mestamente, senza poterti dire: Addio, senza poter sfogare in parole lʼanima mia, e palesarti che al punto di partire io sentiva di amarti immensamente…

«In tanta tenzone di gioia e dolore, nello avvicendarsi ed urtarsi di sì varie emozioni, io non sapeva più a che decidermi; ma intanto io soffriva perchè il dolore preponderava, e ben annunziavalo questo povero cuore che gemeva oppresso. – Mi rimanevano ancora pochi minuti per recarmi alla stazione, e fu forza partire… abbandonarti. Mi diedi coraggio concentrando nellʼultimo sguardo tutta la mia tenerezza, e ti salutai con lagrime.

«Quella carrozza colla precipitosa sua corsa ti celò ben tosto a me, ed io non cessai di salutarti finchè lʼultimo punto della tua bianca figura disparve allo sguardo mio. Partii, lasciando teco tutto ciò che è dellʼanima, più non ti vidi ma tu sei rimasta qui in questo cuore.

«Arrivai a Brescia, e puoi figurarti come addolorato. Rividi mia madre; la buona donna non mi aspettava così presto, ed allorchè venne ad aprirmi, cadde nelle mie braccia. – Ingrato! Nel mio soggiorno a Milano lʼaveva quasi dimenticata; ma io sconterò con tante cure e sollecitudini questa piccola ingratitudine di cui sono a te debitore, mia bella Laura. – Eccomi a Brescia colla persona, ma pur troppo a Milano col cuore che tu mʼinvolasti collʼultimo tuo sguardo. Abbine cura fanciulla mia, e perdonami tutti i dolori che posso arrecarti con questo forsennato amore.

«E tu che fai! Come vivi, a che pensi?.. Io mi figuro colla massima compiacenza che tu debba essere sempre afflitta, e vedi quanta barbarie, questʼidea mi cagiona uno strano piacere. Oh! quanto sarei lieto che la stessa mia malinconia venisse ad assalirti; te ne faccio augurio di tutto cuore. – Perdonami questo slancio dʼegoismo; io sono tale che mal so adattarmi allʼallegria, giacchè essa rivela sempre alquanta spensieratezza; un labbro facile al riso non può esser sincero nel parlare dʼamore.

«Scrivimi presto per dirmi che la mia partenza ti ha addolorata, che il mio ultimo saluto ti strappò una lagrima di dolore, ed io ne sarò supremamente lieto. – In quei pochi giorni passati fra tante dolcezze sento che lʼanima mia ha subita una felice modificazione, ed ora se tu mi vedessi mentre ti scrivo, ho il sorriso sulle labbra; parmi di parlarti, o meglio che tu sii qui al mio fianco leggendo tutto ciò che mi cade dalla penna.

«Leggi fanciulla, leggi avidamente, e nel disordine di queste idee, in questo miscuglio di tormenti e di gioie, abbi la più certa prova della confusione che mi desta in cuore la sola memoria di te. – Per essere felice non ho che da chiudere la mente alle dubbiezze dellʼavvenire e vivere del presente, giorno per giorno, senza spingere lo sguardo al domani; ma pur troppo non sempre so frenare questa miserabile fantasia che è feconda solamente nei presagi di tristezza; – Io non mi ricordo che essa abbia mai saputo concepire unʼidea di speranza… mai!

«Compatisci, Laura mia, a questo difetto che è in me natura, e perdona se per timore di perderti già pavento di averti perduta. – Io farò ogni possibile per renderti meno penoso il gravame di questo cuore malato che tu pietosamente ti assumesti di consolare; il tuo amore è per me onnipossente, e non diffido di poter mercè tua salvarmi.

«Addio, fanciulla adorata, e questo ardente saluto che parte dallʼanima possa volando sullʼaure giungere a te, e confortarti nella tua mestizia – Scrivimi presto, affinchè se mi e negato di vederti, possa almeno conoscere il tuo pensiero. Non dimenticare giammai che il tuo Ermanno vive qui solo e desolato, che suo unico conforto è la certezza dellʼamor tuo, e la speranza di presto rivederti.

«Ermanno»

Questa lettera rivela chiaramente lo stato dʼanimo di Ermanno; il disordine e la confusione delle idee vi appariscono ad ogni tratto. In ogni parte di essa vi regna lo sfasciamento, lʼincoerenza, e mal si potrebbe definirne il carattere. Talvolta lo stile è tenero ed appassionato, talor freddo e monotono, e vi sono dei punti in cui vi si scorge una certa ilarità che per poco ancora cadrebbe nel giocoso.

Il senso predominante ma è lʼamore il più puro e casto, che sorride e sospira ad un tempo istesso.

Però Ermanno aveva detta parte della verità; ma non ebbe il coraggio di dirla tutta; per un sentimento di generosità che si può facilmente comprendere, egli tacque in quella lettera su certo proposito che maggiormente lo inquietava, volendo nascondere a Laura una profonda ferita riportata a Milano, e palliandola con alcuni lampi di allegria non al certo addicevoli allo stato dellʼanima sua.

Allorchè nasce un dubbio, non è sì facile dileguarlo, ed Ermanno che dal suo soggiorno a Milano aveva riportata la fede più sicura dellʼamore di Laura, trovò pur colà maggior alimento alle incertezze sullʼavvenire. La lettera che segue diretta a Paolo è lʼespressione fedele del suo stato; collʼamico ei si mostra più sincero che non collʼamante.

Ermanno a Paolo —
«Mio buon amico,

«Più tento di attaccarmi allʼalbero della vita per raggiungerne la cima, più sento che i miei sforzi per quanto grandi, diventano inutili – Quindici giorni sono, io era tormentato da unʼardente desiderio che aveva prescritto come meta estrema di tutta la possibile felicità; conseguito quel desiderio, parevami che più nulla mi rimanesse a sperare, perchè tutto avrei ottenuto – Ho realizzato il mio sogno, soddisfeci alla mia brama, e nonpertanto eccomi maggiormente afflitto – A guisa dellʼerrante pellegrino che erpicandosi faticosamente sulla vetta della montagna, già si rallegra seco stesso pensando al momento in cui ne avrà toccata la punta, io credetti che recandomi a Milano, potrei dʼun tratto deporre il fardello delle mie pene… Ma ohimè! Non fu così; il pellegrino giungendo al culmine del monte, scopre altre catene di roccie più erte e malagevoli, ed io di ritorno da Milano, trovai dʼaver arricchito di un nuovo aggravio il peso deʼ miei dolori.

«Con te, mio buon Paolo, il mio cuore si dilata e lascia scorrere la larga vena delle sue amarezze, con te solo ho il coraggio di confessare lʼavvilimento del mio spirito.

«Lʼeleganza, il lusso e tutto ciò che proviene dalle ricchezze, mi destò sempre se non lo sprezzo almeno lʼindifferenza, giammai il fasto impose aʼ miei sensi perchè lʼanima mia aspirò sempre a qualche cosa di migliore che non sono i proventi di un lauto patrimonio. – Nellʼarte mia rinvenni i veri tesori di gioie che scuotono lʼanima esaltandola al culto di un bello soprannaturale, non concepibile che negli slanci della fantasia; ma non avrei mai creduto che dallʼalto dei miei sogni spingendo lo sguardo a terra, venissi abbagliato dalla luce di un poʼ dʼoro accumulato.

«Eppure è così, mio buon amico, e con labbro tremante per vergogna ti confesso che il mio spirito rimane soggiogato e riconosce tacitamente la superiorità esercitata dalle ricchezze. – Non ho mai osato di palesarti a voce questa strana reazione deʼ miei sentimenti, perchè mi avviliva il solo pensarvi; ma ora che sono solo, ora che la mia mente si studia sempre di viemmeglio affliggermi, non so più tacerti questa nuova sventura.

«Nel porre il piede per la prima volta nella casa di Laura, io era ben lungi dallʼattendermi un colpo di tal natura; ma quando entrai in quelle sale ricche di quanto si possa immaginare, fra quel miscuglio di tappeti, sete, velluti, mobili, dorature e mille altri fregi, perdetti quel sentimento innato di dignità che ci pareggia a chiunque, e pensai essere ben meschina cosa lʼelevatezza dellʼanima a fronte di tante ricchezze accumulate dalla fortuna.

«Condannami pure, ridi anche se lo potrai, ma io rimasi sorpreso alla vista di quel fasto, rimasi soggiogato; e mi fu forza riconoscere la distanza enorme che mi separa dalla famiglia Ramati.

«Oh mia povera cameretta delizia dei tempi passati, io posi due anni di continue cure per adornarti ed abbellirti, fra le tue mura era felice; ed ora disparve tutto il tuo prestigio! Più ti guardo e più mi sembri squallida. Ove sono le bellezze che io scorgeva altre volte in te? Le tue mura sono aride e disadorne, ed un lembo solo del tappeto che cuopre il pavimento di quelle sale, vale ben più di te e deʼ tuoi miseri arredi.

«E dire che qui, in sì meschino tugurio ho ardito di concepire le più strane follie; ho sperato lʼamore di una donzella che abita un palazzo, e respira in unʼatmosfera di sontuosità, avvezza alla luce dellʼoro come io a quella del lumicino che mi rischiara nelle notti di studio. – Oh il pazzo! Ora solamente comprendo tutta lʼassurdità delle mie speranze, ma troppo tardi perchè io possa approfittare di un ravvedimento che mi getta nella più profonda desolazione; troppo tardi perchè il cuore possa gridarmi: ritirati sciocco, e pensa a lavorare per guadagnare il pane a tua madre!.. Mia madre, povera e santa donna; se tu sapessi quante cure si prende di me vedendomi sempre sì malinconico. – Pretende che mi consigli col medico, perchè teme che io possa ricadere in quel malore che mi colpì qualche anno fa; ma conosco troppo bene il mio male, e so che la scienza non vi rimedia.

«Malgrado che la stagione sia poco addicevole, passo intiere giornate studiando i capi–lavori dellʼarte mia; nella ventura settimana, o tuttʼal più fra quindici giorni spero di potermi riposare alquanto evitando la fatica di dar lezioni. Buona parte delle mie allieve sono ite in campagna, le altre non tarderanno molto. – Ebbi incarico da un distinto prelato Bresciano di musicare una messa per funerali; è questo un genere di musica che mi piace sopratutti, e puoi figurartelo ho subito accettato; ma è un lavoro lungo e difficile, e converrà che mi accinga con tutto lʼimpegno.

«E tu che fai a Milano? Per te che sei di tuttʼaltro carattere che non del mio, non vi sono nè pene nè dolori, e col tuo formidabile buon umore, puoi distruggere unʼesercito di dispiaceri. – Oh quanto tʼinvidio, e come di buon grado mi farei potendolo seguace dei tuoi principii!

«Taluni tenderebbero a credere che la malinconia sia unʼaffettazione… no mio caro Paolo; sonvi proprio degli sciagurati, ed io fra quelli, che non sanno mai appagarsi di nulla nè vʼha cosa che ecciti la loro allegria. Te beato le mille volte che sei in Milano e puoi vedere la mia Laura ad ogni giorno!

«Ieri le scrissi una lunga lettera, tuttavia ti prego di salutarla tanto e poi tanto per me; non prenderti soggezioni giacchè ella non ignora che tu sei al fatto di tutto; sollecitala per quanto puoi a scrivermi che ho gran bisogno di una sua lettera in questi giorni di tristezza. Ricordati della copia del suo ritratto che mi promettesti. Lʼattendo ansiosamente; e quando mi sarà dato dʼaverla, non mi sembrerà più dʼesser solo, perchè fissando quella tela, potrò colla mente far rivivere le sembianze di lei, ed in esse consolarmi alquanto. – Se egli è destino che un giorno io debba rinunziare al suo amore, mi sarà caro di poter talvolta mirare lʼimmagine di colei che prima e sola fece battere questo cuore.

«Ti prego inoltre di renderti interprete per me presso i genitori di Laura, ringraziandoli per le tante premure e cortesie usatemi; e tu mio carissimo abbiti una stretta di mano dal tuo

Ermanno.»
Paolo ad Ermanno —

«Se la mia penna fosse abile quanto la tua, se io sapessi dirti in parole tutto ciò che mi destò nellʼanimo la tua lettera, ne avresti una di quelle epistole formidabili al cui confronto le prediche del reverendissimo Fra Paolo Segneri starebbero come Giotto a Raffaello; ma siccome, veh! come sei fortunato, per scrivere qualche pagina di roba, ho duopo di spremere e torturare il mio povero ingegno, evito un prolegomeno troppo fastidioso, e passo subito in materia.

«Da quanto ho potuto finora osservare nel poco tempo che mi trascino in questa Valle di lacrime che si chiama mondo, parmi di aver scoperto le tracce di un fenomeno psicologico molto curioso. Vi sono di quei cotali a cui un filo dʼerba sembra una trave, e scambiano un mucchio di terra per una montagna; fanatici, provani, che vedono nero in pieno sole, intolleranti ad ogni dolore, impazienti ad ogni fastidio, e debolissimi di spirito, si adombrano per nonnulla, si esaltano per unʼinezia; e creano nei voli lirici della loro fantasia tutta quella congerie di spettri che turbano i sonni, e scoprono precipizi fra i ciottoli delle vie.

«Si direbbe che costoro guatano il mondo traverso ad una lente che ingrandisce a dismisura le cose più piccole; e non mi stupirei per niente se scambiassero la marmitta che scalda al fuoco per Sodoma e Gomorra divorate dalle fiamme. Non vʼha pena per quanto lieve che essi non la caratterizzino fra le orribili, e per la puntura dʼuna zanzára, sarebbero capaci di rinnovare le lamentazioni del fatidico Geremia.

«Uno sprizzo di sangue è per essi un torrente senza fine, lʼincostanza di una pettegola, unʼinfamia, unʼabbominio; il sorriso di una donna un raggio di sole, e Dio sa se un giorno o lʼaltro non mi diranno che le lucciole sono aquile di Giove colle loro saette.

«Oh! anime disgraziate, toglietevi gli occhiali che vʼingannano la vista, se non volete che si dica di voi come del bue che si aggioga facilmente per ciò solo che vede grosso. Toglietevi gli occhiali, e guardate moʼ se il mondo è tanto brutto quanto ve lo pinge la vostra malata immaginazione. Risparmierete così la fatica di un compianto inutile sui destini dellʼuomo nato per tuttʼaltro che per crucciarsi di tutte le inezie che gli traversano la via!

«Tu mio buon Ermanno hai la disgrazia di appartenere a quella schiera di predestinati; tu pure negli slanci dʼun febbrile esaltamento studiando la vita traverso a quella malaugurata lente, trovi che tutte le sciagure, tutti glʼinfortuni sono a te solo riserbati, e spingi lʼerrore al punto da invidiare financo quei tapinelli a cui natura più benigna alquanto concesse un bricciolo di senno per distinguere il reale dallʼimmaginario.

«Se la ragione si potesse trangugiare come un farmaco dello speziale, te ne consiglierei lʼuso di buona dose; ma pur troppo non avviene dello spirito come del corpo che si può curare colle risorse della medicina! Però lascia che te lʼ dica questa tua smania di esagerare trasmoda in eccessiva. Mio Dio, io non so vedere tutto il male che tu scorgi in questo amore, e se tutti dovessero crucciarsi tanto per simili cose, il mondo risuonerebbe ovunque di lamenti, pianti ed alti lai; e perchè poi?.. In fondo a tutte queste peripezie, non vi si trova altro che la cenere di un poʼ di paglia bruciata rapidamente.

«Bada che ti parlo da vero amico, perchè mʼinteresso vivamente delle cose tue: sii più ragionevole, e non pensar troppo profondamente su ciò che potrà accadere; sii filosofo, e prendi il bene ove lo trovi, senza curarti dʼaltro. – Hai per le mani un romanzetto patetico, interessante, e tu sciagurato già ne predici una spaventevole catastrofe. – A tuo modo mio caro distruggi tutto il prestigio di questo dolce idillio del tuo cuore; già si sa, tutto finisce al mondo, ma se lʼuomo dovesse affliggersi pensando che dopo pranzato perderà lʼappetito, che dopo dormito non avrà più sonno, la sarebbe ben grossa: tal succede di te, non hai ancora colta la rosa, e già pensi che domani sarà appassita; ma allora mio caro rifletti che tu pure un giorno o lʼaltro morrai, e così sarà finita.

«In quanto poi alle tue idee sulla mia felicità, lascia che io ti disinganni alquanto, ed a quel che sembra tu guardi colla stessa lente tanto il bene quanto il male; non mi stupisco dunque se tu trovi in me alcunchè da muoverti invidia; accade di noi che ci crucciamo poco dei nostri affari come degli infermieri i quali a motivo della loro salute sono costretti al penoso incarico di vigilare sugli ammalati.

«Conti tu per nulla il servizio di moccolino che vado facendo da qualche giorno a questa parte? Se tu mi vedessi in certe occasioni non sono più riconoscibile. – Laura sempre desolata per la tua partenza mi mette a parte di tutte le sue pene, mi confida tutti i suoi dolori, ed io la consolo per quanto posso offrendomi per avallo e garanzia sul conto tuo. – Il da fare che ebbi nei giorni passati mi merita un diploma di Confratello della benemerita Compagnia di Misericordia, e per quanto tu faccia, non potrai restituirmi tutta quella riconoscenza che ho diritto di pretendere per servigi prestati.

«Oltre a ciò aggiungi le piaghe tue che io debbo medicare con cataplasmi e cerotti, e Dio sa con qual frutto! rispondere alle tue lettere che mettono i brividi al solo leggerle, e curare certe malattie di cuore, che non entrano per nulla nel mio comprendonio. – Dà retta a me, e sii più assennato nel giudicar le cose; tutti, qual più, qual meno abbiamo i nostri piccoli fastidii, e bisogna saper tollerare alquanto.

«Io spero che attorno a questa buona lavata di testa, non avrò sciupato ranno e sapone, e che saprai compatire se la mia amicizia, trasmoda forse in rigore; ma voi altri poeti siete come i cavalli capricciosi; più si rallenta loro il morso, e più essi si danno a precipitosa corsa, mentre basterebbe una buona stretta ai fianchi per calmarli. – Se io ti lasciassi sempre dire a tuo modo, proseguendo in questa via esaltata, finiresti poi per crederti davvero un gran martire, ed allora daresti nelle smanie prorompendo in parolone contro la vita, le sue lusinghe, ed i suoi disinganni; come quei tali che si vedono tuttodì passeggiare per le vie con tanto dʼocchialetto e di cravatta, allegri, vivaci che è un piacere il vederli, che hanno poi il coraggio scrivendo ad una qualche signora del bon ton di parlar di torture, di morte; e taluni anzi spingono la cosa al punto da paragonar la loro vita alla passione del Nazareno, e la via dal caffè al teatro allo scosceso calle del Golgota.

«Di tali esaltazioni sono pieni i romanzi, ma pur troppo nella vita reale il tedio dei bisogni materiali scema per gran parte il volo della fantasia, e ne rallenta il corso; ed io compiango di tutto cuore quegli sventurati che colpiti da una specie di mania si abbandonano preda delle idee formando di esse la parte essenziale dellʼesistenza. – Accusami pure, se il credi, di materialismo e pessimismo; ma che vuoi? la Teoria delle Anime, non entra nelle mie competenze.

«Nel mondo fisico vi sono troppe realtà, nel morale troppe illusioni, perchè io debba esitare nella scelta; ed è perciò che una donna, non sarà mai altro per me che una donna, e non mi viene certamente il ticchio di concentrarvi in essa tutte le mie aspirazioni.

«È però ben strana la potenza di questo vostro cuore, o visionarii, che sʼimmischia in tutte le cose vostre; per me ti assicuro che il mio anche funzionando regolarmente, se ne sta ozioso e polveroso in un angolo dello stomaco, e davvero non ho nessun lagno da fare sul suo conto. Il tuo invece mio caro Ermanno, è un repubblicano sfegatato, non quieta mai, e ad ogni momento ti scivola sulle labbra. Il cuore e la ragione formano in te due partiti ribelli come i Guelfi e Ghibellini, e finchè non verranno fra loro dʼaccordo, prevedo che il regno del tuo spirito, non avrà mai pace. – Impegnati per quanto puoi in queste trattative di riconciliazione, del resto a te toccherà la peggio. Lʼodio delle fazioni, è la rovina di un paese; procura dunque di porre sulla buona via il cuore e la ragione, ed allora soltanto sarai tranquillo.

«In altri tempi, forse, erano dʼuso certe abitudini poco lodevoli. Nella dubbiezza delle intelligenze non del tutto incivilite, accadeva talvolta che fra le moltitudini, qualcuno emergesse per una stranezza sua particolare; la storia ci tramanda i nomi di una quantità di donne, che dedite al culto dʼamore, fecero ad esso i più grandi sacrifizii. – Era consuetudine nei paladini del Medio Evo, il farsi ammazzare per gli occhi della loro bella; ma per buona sorte ai tempi che corrono, si ha ben altro a pensare. Il progresso colle sue emanazioni invade la mente degli uomini preoccupandoli di mille e mille cose, per cui ben poco tempo si avanza da sciupare dietro al carro di Cupido; e tu potresti percorrere in lungo e in largo tutta la superficie del globo, senza trovarvi più nè una Penelope, nè una Lucrezia, nè una Didone, nè una Saffo. – Il salto di Leucade, ora lo fanno i banchieri falliti, e gli inglesi affetti di spléen acutissimo. – Persuaditi infine, che Werter e Jacopo Ortis altro non sono che caricature sbagliate di unʼalienazione mentale.

«Se tu fossi con me qui a Milano in questa graziosa città emancipata da ogni pregiudizio, vorrei in breve convertirti e rimetterti a dovere quella parte di cervello che ti scappò fuor deʼ gangheri.

«Ma tu sei lungi, ed altro non mi è dato che sovvenirti di buoni consigli, i quali se a nulla ti giovano, tolgono per altro a me ogni rimorso inquantochè in questi momenti, ebbi il coraggio di dirti la verità schietta e netta.

«Ho finito quasi il ritratto di Laura, e presto te ne manderò copia. – Sentii con vera soddisfazione lʼincarico che avesti per un lavoro di tutto impegno; spero che nelle ore di tue occupazioni tu potrai ritornar padrone assoluto della tua mente. Lʼarte è una grande egoista, e confido che essa potrà, se non guarire, almeno modificare la tua infiammazione di sentimentalismo.

«Te ne faccio augurio di tutto cuore.

Paolo.»
Laura ad Ermanno

«Amico mio. – Mio caro Ermanno! e non sarà mai che io veda distolta dallʼanima tua quella tristezza crudele che avvizzisce le gioie del nostro amore? Il cielo sì prodigo a me di conforti, ti è tanto avaro da non concederti mai unʼistante di calma… non è dunque vero che unʼaffetto profondo abbellisce lʼesistenza anche allora che si è lungi da chi si ama, se tu soffri cotanto lontano da me?.. La tua lettera fu uno strazio per il mio cuore, e su quelle pagine improntate dʼamarezza, ho versate molte lagrime. – Oh! quante volte lʼho letta e riletta; fermandomi sopra ogni frase, studiandone ogni accento, cercava di trasfondere nellʼanima mia un riflesso delle tue pene; con ciò mi pareva di alleviare il tuo travaglio.

«Perchè mai, mio buon Ermanno, non puoi tu essere felice quanto io la sono. La certezza, del tuo amore paralizza in me ogni altro pensiero, e non vivo, non respiro che della tua memoria. Guardo ed accarezzo con estrema compiacenza tutto ciò che hai tocco colle tue mani, nella mia stanza serbo gelosamente il tuo bastoncino di giunco che nascosi a tua insaputa; tutto mi parla di te, e sembrami talora di vederti là sulla poltrona ove eri solito a sedere mentre io in piedi a te dʼaccanto, ti contemplava collo sguardo, ed ammirava col cuore…

«Là tu mi sorridevi stendendomi la mano che io premeva fra le mie senza trovare una parola che ti dicesse tutta la mia gioia, tutto lʼamor mio. – Oh! pensa Ermanno, pensa come me a quegli istanti passati così rapidamente, e dimmi se non ti senti nellʼanima un sussulto di felicità pari alla mia.

«Non dubitare di me, mio caro, non reputarmi tanto leggera da credere che al primo volger di vento io possa menomamente obliarti. Chi ti conosce come io ti conosco, non potrà a meno di amarti, e per sempre. – Feci più volte lʼesame della mia coscienza, ed alla notte quando lʼimmagine di te viene a carezzarmi la mente, penso aʼ tuoi dubbi sulla mia costanza, e ponendomi la mano sul cuore come per interrogarlo sulla durata del mio affetto, egli mi risponde palpitando: Sempre. Sì mio amato, sempre, nè accadrà mai che per un solo istante io possa dimenticare che tu sei per me la persona più cara di questo mondo.

«Ed è vero che vi siano donne capaci di mutar sentimenti ad ogni tratto?.. Non lo credere, è una calunnia: le donne che tradiscono la fede non possono amare. – Io guardo il cielo, il sole, le stelle, e dovunque incontro il tuo mesto sorriso; ogni alitar del vento, ogni folata dellʼaria, mi porta allʼorecchio il tuo nome.

«Talora passeggiando in giardino, vedo un fiore che si dondola leggermente agitato dallo zeffiro; lo guardo, lo fisso, e sembra chʼei mʼinviti a coglierlo dicendomi: vieni Laura, vieni a recidermi per lui, ed allora corro, schianto il fiore, e lo bacio. – Tuttociò che faccio e dico, parmi che sia a te diretto; alla sera prima di mettermi al riposo, mi aggiusto i capelli senza saperne il perchè, mi alzo alla mattina ed indosso quella veste bianca che ti piace tanto.

«Non sai tu che facesti di me una gran vanerella? Figurati che tormento di continuo lo specchio per vedere se sono tale da poter realmente piacerti; non sempre rimango contenta dellʼesame, e vorrei persuadermi dʼesser proprio tale da farmi amare sempre più dal mio adorato Ermanno.

«Come ci trasforma lʼamore! Non mi riconosco più, e parmi di mutar carattere ogni giorno. Se tu sapessi quanto buona sono diventata da che ti amo! Le cose più piccole mʼinteressano vivamente, e talora sono trascinata a certe idee, che sembrano follie. – Ieri per esempio, mentre metteva il solito zuccaro nella gabbiuola del mio cardellino, mi venne un triste pensiero che quasi quasi mi forzava al pianto.

«Ho pensato fra me che quella povera bestiolina tenuta prigioniera poteva avere la sua famiglia altrove, e che in cuor suo dovesse dolersi amaramente di me che lo privai della libertà per mio diletto. Pensai che quella povera creaturina dovesse soffrire e piangere perchè separato e lontano daʼ suoi piccini, e mi pareva che fissando in me i suoi occhietti mi dicesse: Madamigella, mi lasci in libertà, mi lasci volare al mio nido; ho dei piccini da nutrire, una compagna fedele che mi aspetta, che mi ama e piange la mia perdita…

«Mi venne voglia di fare la sua felicità, parevami che tu fossi dietro di me a mormorarmi: lascialo fuggire, lascia che scorrendo le libere aure del cielo ei possa raggiungere colei che lo attende tanto ansiosamente… lascialo per amor nostro! – Aprii la gabbia e mi staccai dʼun passo per osservare.

«Il cardellino sulle prime non si accorse di aver la prigione aperta; quando se ne avvide, discese con tanta precauzione, lento lento come se fosse colto dallo stupore… salì sullo sportellino, guardò parecchie volte allʼintorno come se cercasse di persuadersi della realtà; volgendo la sua graziosa testolina verso di me stette a fissarmi alquanto, mandò un leggiero gorgheggio, battè le ali, e via di volo nel libero cielo.

«In un baleno egli scomparve dagli occhi miei, ma io stetti lungamente rivolta a quella parte donde era sparito, e quando rinvenni in me, mi accorsi di avere gli occhi umidi di pianto. – Or non è più quella cara bestiolina che mi rallegrava coʼ suoi melodiosi gorgheggi, non sarà più necessario che io sciolga fra le erbe del mio giardino quei fuscellini a lui sì graditi; il piccolo prigioniero non è più, partì salutandomi e dimenticando persino lo zuccaro di cui era sì ghiotto.

«Non ho agito bene, mio Ermanno? Perchè fare lʼinfelicità di cotesti esseri per soddisfare un semplice capriccio? io vorrei poter beneficare tutto il mondo, e ciò perchè ti amo tanto, e penso che tutto quello che faccio possa meritarmi sempre più il tuo affetto.

«Ho tanti saluti da porgerti per la signora Salviani. Ieri fummo a trovarla, ed in confidenza, se io non fossi più che certa dellʼamor tuo diverrei gelosa per gli elogi che essa ti fece. – Ricordati che ti aspettiamo in campagna, verrai bene a passare qualche giorno alla mia villa? La mamma incaricò il signor Paolo di rinnovartene invito, e conta su te. Partiremo alla fine del mese, vale a dire fra qualche giorno.

«Non vedo lʼora di abbandonare questa nojosa Milano per recarmi in campagna. Sono certa che colà passerò vita felice, perchè fra quella solitudine beata, mi sarà dato di pensare sempre a te, mio caro Ermanno.

«Scrivimi subito per dirmi quando verrai a trovarmi; noi ci fermeremo sin verso la fine di ottobre. Anche il signor Paolo sarà dei nostri; che bravo giovinotto! io lo amo come un fratello, è tanto compiacente, tanto caro! Figurati che viene quasi tutti i giorni a trovarci. Il mio ritratto è finito, per quello di papà abbiamo deciso di aspettare. – Io so che il signor Paolo, farà due copie del mio; una per te. Egli me lo ha detto, egli che con una delicatezza veramente squisita, mi parla sempre di cose che mi danno gran piacere.

«Quando mi ricordo del giorno della tua partenza, mi viene ancora un sospiro. – Figurati che in tutta la notte precedente non mi fu dato di dormire unʼora. Parevami ad ogni tratto che spuntasse lʼalba, e per accertarmene scendeva dal letto onde scrutare il cielo, ma desso era ancora coperto di stelle. – Lʼultima volta che mi destai, la mia camera era tutta inondata della luce del mattino; temetti che fosse tardi, e mi vestii in fretta per venirti a dare lʼultimo saluto.

«Credo al tuo dolore nellʼabbandonarmi, perchè il mio era pur grande; e non vʼha parola che possa dirti tutto quello che mi veniva alla mente. – Oh quanto ho desiderato di stringerti la mano! Potendolo avrei avuto il coraggio di scendere nella via, giacchè non sapeva più reggere allʼaffanno; in quel momento dolce e terribile sentii quanto grande fosse lʼamor mio, e se tu mi avessi letto in cuore, mai più ti verrebbe il minimo dubbio sulla mia costanza. – Nellʼatto che tu salisti in carrozza, poco mancò che non mi sfogassi in dirotto pianto, ma mi feci forza, e cercai un sorriso per rivolgere a te mio povero amico; un falso sorriso che ti consolasse alquanto. Partisti, la carrozza si allontanò rapidamente, ed il fragore delle ruote mi piombò amaro nellʼanima. Un minuto dopo tu non eri più in vista, ed angosciata, oppressa, mi ritirai nella mia camera per lasciar libero sfogo al pianto che mi soffocava.

«Oh! Ermanno, cattivo amico; dopo tutto ciò, potrai ancora dubitare di me, potrai tu credere che io debba dimenticare quel dolore che nella stessa sua intensità serbava alcunchè di soave al punto, che desidero talvolta di piangere come allora? Non ci voleva meno di una tua lettera per calmarmi, e Dio sa quanto ansiosamente lʼattendeva; ti seguii col pensiero durante il viaggio, ti accompagnai a casa tua ove credetti che appena giunto tu mi avresti subito scritto. Ma non fu così, perchè il domani tanto desiderato mi portò nessuna novella. Nelle ore che per solito mi giungono le lettere, io era tutta sconvolta, ed appena sentiva suonare alla porta, correva io stessa ad aprire… ma nulla, nulla affatto! – Quando mi pervenne finalmente la tua carissima lettera, poco mancò che non venissi meno per la gioia.

«Perchè non sei tu qui, mio Ermanno per comprendere ciò che non so dirti con parole!.. Perchè non sei qui vicino a me a vedere le mie lagrime che sono emanazioni di pensieri che non posso esprimere, ma che sento nascere dal cuore ed attraversarmi la mente come lampi di fuoco. – Ah! è vero pur troppo che io sono una bambina, se non so tradurre su questa carta una sola di quelle emozioni che si agitano nellʼanima mia per farti credere che per tutta la vita io non potrò mai altro che amarti, e sempre amarti.

«Che io non le senta più quelle tue parole di desolazione che mi straziano; se tu sapessi quanto male esse mi fanno, ne saresti assai più avaro. – Deh! fa che non sia troppo lontano il giorno in cui noi ci rivedremo: ricordati che la tua Laura ti aspetta ansiosamente per piangere sul tuo seno e dirti con quelle lagrime tutto lʼamore che ti porta.

«Vieni, vieni presto

Laura».
Ermanno a paolo
26 Luglio

«Mio caro, io debbo prima di tutto ringraziarti per i tuoi buoni consigli che vorrei poter accettare se entrassero nel mio modo di vedere. – I tuoi sforzi però, ottimo amico, sono come quelli del medico che cerca di combattere un male sconosciuto. Ciò nonpertanto non deve scemare a me la riconoscenza; ora però sono in condizione da abbisognare più dellʼopera tua che deʼ tuoi consigli. Ti prego di ringraziare Laura per la sua carissima lettera, e dille che le sue parole mi fecero un gran bene.

«Il conte S… uno deʼ miei più affezionati protettori, vuole ad ogni costo che mi ritiri per qualche tempo nella sua villa onde lavorare attorno alla Messa Funebre. – Ciò mi torna molto giovevole, perchè come sai in campagna si è assai più concentrati; mia madre verrà con me, e ci fermeremo colà finchè avrò terminato il mio lavoro.

«Esitai molto prima di accettare, ma il conte mi sollecitò con tanta premura, che infine dovetti accondiscendere. – Tu conosci quel bravʼuomo, e sai quanto mi ami, lʼinteresse e le cure che ei si prende a mio riguardo sono tali che per quanto io faccia, non potrò mai sdebitarmene. – Partirò dopo domani, e ti prego di notificarlo a Laura. Dimmi pure quandʼè che la famiglia Ramati lascierà Milano per recarsi in villa, e mandamene lʼindirizzo affinchè io possa sapere ove dirigere le mie lettere.

«Attendo sempre quel ritratto. – Ti scriverò poi più a lungo; per ora una stretta di mano, e credimi tuo

Ermanno».
Ermanno a Laura
12 Agosto

«Sono le quattro del mattino. – Il cielo è serenissimo, azzurro e limpido come immenso oceano, e dalla finestra ove ti scrivo abbraccio collo sguardo il grandioso panorama di uno dei più ridevoli paesaggi. – Dallʼalto di questo colle sulla cui vetta sorge la villa che mi ospita, vedo sotto di me un lago tranquillo che giace fra i colli verdeggianti, terso e trasparente come puro cristallo, increspato appena dalla brezza mattutina. – Spingendo più oltre lo sguardo, veggo spiegarsi una bella corona di graziose colline fresche e ridenti, popolate di case e paeselli che spiccano come rose sopra un tappeto verde e cupo. Più in là chiudono lʼorizzonte le cime delle Alpi illuminate con tinte dʼoro dal nascente sole, e fra quei dirupi io discerno ancora qualche striscia di neve che perdura ostinata malgrado i calori della stagione. Al di là del lago sorpassando i colli ed i monti ritrovo gli estremi lembi del cielo sfumati a mille colori che si perdono nella nebbia dellʼinfinito.

«Rivolgendo lo sguardo ad occidente, vedo un caos interminato di pianure e colli che si alternano bizzarramente, confondendosi in lontananza collʼorizzonte; il sole che sʼinnalza lentamente, spande i suoi raggi luminosi su quella striscia di terra, che irrorata dalle rugiade della notte, si presenta come unʼimmenso piano lucente di mille colori a guisa di un vasto campo di perle.

«Le gemme della natura, sono ben più modeste e più belle di quelle che sortono lavorate dalle officine; bastano un raggio di sole ed una goccia dʼacqua per formare i più brillanti rubini.

«Oltre al limite che lʼimperfezione dello sguardo non può varcare, oltre alle sfumature dellʼorizzonte, havvi una terra benedetta come questa dal sorriso della natura; dessa è la Brianza, ed io senza poterla scorgere mi figuro di vederla segnata nei confini del cielo come un punto quasi impercettibile, mi figuro che appena al di là di quel velo sottile ed impenetrabile che mi sbarra la via dello sguardo, debba trovarsi quellʼEden delizioso che non ha nulla da invidiare a tutto quanto mi sta innanzi. – A quel punto immaginario, sono costantemente rivolti i miei sguardi, se potessi raggiungerlo lo farei con tutta lʼanima; ma pur troppo malgrado i miei ardenti desiderii, quel punto vagheggiato, serba la sua desolante distanza.

«Io non so se tu mia Laura mi abbia già compreso. Non è la Brianza per sè stessa che mi attiri tanto ardentemente, ma sei tu fanciulla mia, tu mia Laura che soggiorni in cotesti luoghi; tu che io cerco col pensiero fra i ridenti colli e le balsamiche aurette. – Ti cerco in quel punto lontano che brilla come un faro luminoso… La tratta non è lunga, io penso che una rondinella, un passero, una mosca potrebbero in brevʼora trasvolare su quel tratto di spazio che mi allontana da te, e raggiungerti; ed io che agisco sotto lʼimpulso di unʼintelligenza, io che ho il coraggio di concepire i più strani desideri, non ho la forza di conseguirne un solo.

«Egli è ben meschina creatura lʼuomo! Fu detto che volere è potere, ma se ciò fosse, a questʼora non sarei qui ma in Brianza nel tuo colle, nel tuo giardino, aʼ tuoi piedi per dirti che ti amo tanto!.. Ma ohimè pur troppo quellʼardito aforisma chiude nel suo concetto unʼidea inconseguibile, ed altro non posso che mandarti un saluto da lungi.

«Da quindici giorni, mi trovo qui fra queste allegre collinette con un cielo calmo e delizioso, unʼaura soave come carezza di piuma; e sento che il mio spirito abbattuto si rialza, che lʼanima mia penetrata dallo sconforto, riprende la via di una fede sublime.

«Tutto qui è placido, affettuoso, tutto ha lʼimpronta di un ingenuo sorriso, tutto sembra armonico, ed il sibilo dellʼaria che striscia fra i fogliami dei vigneti, racchiude in sè le modulazioni di un canto pastorale che mi commuove le più recondite fibre del cuore. In questi pochi giorni ho tanto bene dimenticato il mondo, che mi ricordo solamente di quelli che amo.

«Io non so dirti, mia Laura, quale soave mestizia trasfonda in me questo patetico soggiorno, ma egli è certo che qui mi trovo cambiato, e solo fra il riposo di una sì placida esistenza posso concepire una felicità possibile allʼuomo che sa contentarsi delle scarse gioie che presenta la vita.

«Oh quante belle speranze mi si ridestano in seno fra le mollezze di questa dolce solitudine, quanti bei sogni!.. Ma non senza dolore mi accorgo che anchʼessi sono baleni di luce artificiale che spariranno colla mia partenza da questi luoghi. – Ho lavorato molto, ma più di tutto ho pensato a te mia bella Laura, alle gioie del nostro amore, e stamane non seppi resistere al desiderio di mandarti un saluto dallʼalto di questi colli.

«Addio dunque, fanciulla mia, in queste parole si comprendono unʼinfinità di dolcezze che io stesso non so dirti. Addio, possa questo mio saluto trascorrendo il tratto di cielo che mi separa da te, giungerti nellʼistante del tuo risveglio, sicchè il primo pensiero ed il primo sospiro che ti partono dal cuore siano per il tuo

Ermanno».
Ermanno a Laura
18 Agosto

«Grazie, mille volte grazie, la tua cara lettera fece completa la mia felicità; io non so dirti quante volte lʼabbia letta e riletta, ed ancora mentre ti scrivo, tengo spiegato innanzi a me quel piccolo foglio di carta, che mi fece tanto bene. – Le rugiade della sera, il sole del mattino non sono sì benefichi al fiore come lo furono per lʼanima mia le tue dolci espressioni che mi rimasero impresse nella mente a caratteri indelebili. – Dunque mia cara Laura, tu pensi sempre al tuo povero Ermanno? tu mi ami sempre come prima, e lascia che prostrato a te dinnanzi, angelo mio, io te ne renda grazie, lasciami dire che le tue care parole operarono in me la più santa delle rigenerazioni.

«Oh! io non so descrivere la mia felicità, ma tu devi comprenderla; fra i nostri cuori esiste una tal relazione, per cui si svela ogni mistero dei nostri affetti, direi quasi che tutto ciò che mi hai scritto, io lʼho già ascoltato altre volte dal tuo labbro. Dove… quando? Non lo so. – Forse i nostri pensieri sprigionandosi dallʼangusta cerchia in cui sono costretti, per librarsi ai voli dellʼinfinito, si incontrano talora per via, si confondono scambiandosi il loro secreto. Le tue idee sono allora le mie, ed unificati mercè di questa corrente misteriosa, ci parliamo spesso quel linguaggio che va diritto al cuore, agitandolo dolcemente.

«Tutto ciò è follia mʼavveggo, le mie parole sanno di eccessivo romanticismo, ma io non ho nessuna colpa, o mia Laura, se tutte le volte che penso a te, mʼinebbria un profumo tale di poesia, che mi trae fuori della realtà. – Io non ho nessuna colpa, se ovunque nel cielo, nel lago, nei colli, nei fiori, ed in tutta natura veggo la mia Laura.

«Spesso mʼassale una vaga inquietudine, una stanchezza morale che mi opprime e sconforta; anche la natura nel suo grandioso assieme, inspira talora la malinconia più desolante. – Nel contemplare questʼimmenso tratto di colli, valli, e pianure che si spiegano agli occhi miei, penso fra me stesso che questo soggiorno può essere un cielo di delizie per coloro ai quali arride la felicità; alla vista di tanta maravigliosa creazione assorta nel riposo, vergine da ogni corruttela del mondo, il cuore si dilata, e pregusta le gioie di una fortunata calma.

«Io pure cerco dʼinebbriarmi nellʼabbracciare avidamente questo immenso giardino che perdesi lontanamente in un roseo orizzonte, mi trasporto col pensiero su pei ciglioni delle Alpi, ed allorchè il giorno sta sul cadere, allorchè la natura, tutta sʼimbruna dei morenti colori del tramonto, e la brezza vespertina mi aleggia in viso, fissando lo sguardo sul tranquillo specchio del lago solcato in lontananza da una barca che si discerne appena per un punto nero ed una lunga striscia sullʼonda, mi figuro che quella navicella sia lʼimagine della speranza. – Costringo lʼocchio a seguirla finchè il punto nero rimpicciolendosi sempre più perdesi in una vaga sfumatura, e quando tutto è scomparso, me ne resto immobile, fisso a quella volta. – Le tenebre della notte, celano il punto delle mie illusioni, e sospirando ritraggo lo sguardo.

«Tal è la vita mia buona Laura. – Una memoria, una speranza e un punto. – Jeri nel silenzio della notte allorchè tutto era tranquillamente sepolto nelle tenebre, mi affacciai alla finestra; il cielo era bruno e tempestato di stelle, la luna era nel suo primo quarto, e già tendeva a celarsi, dietro le Alpi. Ecco unʼaltra immagine della fugacità della vita, pensai fra me, e fissando lo sguardo su quellʼarco lucente e sottile come lama di pugnale, stetti contemplandolo finchè lo vidi scomparire, e quando lʼestrema punta fece capolino dalla vetta del monte, la salutai sospirando! – Non vi rimase che unʼaureola di luce biancastra, che lentamente andava dileguandosi; indi a poco, più nulla, oscurità completa…

«La notte regnava tranquilla, il lugubre silenzio, era rotto solamente dai monotoni strilli delle cicale; queste allegre colline verdi e fiorite apparivano come unʼammasso di ombre cupe, ed il lago riflettendo i pochi raggi luminosi sparsi nellʼaria, sembrava simile a vasta palude, ornata dʼuna corona di tenebre. – Oh quante volte cercai nello straziante spettacolo della notte per trovarvi il secreto dellʼesistenza! La natura muore tutti i giorni, lʼestremo saluto del sole che si spegne, non precede di molto il sorriso del sole che rinasce, ma lʼuomo non gode di questʼalternativa regolare di luce e tenebre; pur troppo nella vita, al dolore sussegue spesso lo sconforto, allo sconforto la desolazione, senza che mai lʼalba di una speranza, apparisca anco da lontano!.. Ma io vaneggio, e tu mia Laura, puoi con tutte le ragioni, tacciarmi di oscuro ed ipocondriaco. Tu sei appena sullʼaurora della vita, ed io crudele cerco di sconfortarti colla pittura del tramonto.

«Perdonami sai fanciulla mia, perdona a questo povero pazzo che si trascina per un mare di deliri. È tanto strano ciò che succede in me da rendermi incerto sulla realtà del mio stato. Parmi di esser felice, e di non esserlo, nè so spiegare come ciò avvenga; ma già la colpa è tutta tua se questo cervello si esalta.

«Le ombre della sera che si avanzano, mʼimpediscono di più oltre estendermi; ho promesso meco stesso di dirti tuttociò che mi passerebbe per la mente prima che sopraggiungesse la notte, ed ecco adempita la mia promessa; ci vedo appena, e non mi rimane che il tempo di farti un saluto.

«Addio, mia Laura, scrivimi presto, dimmi tante cose, ma sopratutto ripetimi che mi ami. Il pianoforte è a pochi passi da me… vado a mandarti un saluto melodico suonando quel Notturno che ti piace tanto «Al chiaro di luna».

«Addio, adorata

Ermanno».
Laura ad Ermanno
29 Agosto.

«Mancando da alcuni giorni di tue novelle, io era assai inquieta, tanto più che non ebbi ancora risposta allʼultima lettera che ti scrissi. Questo ritardo straordinario mi sorprese non poco, giacchè se è vero che tu ricevi con gioia le mie lettere, le tue io le attendo ansiosamente, e non so darmi pace allorchè vengono deluse le mie aspettazioni.

«Jeri il signor Paolo mi scrisse da Milano, dicendomi che tu sei ammalato. Ed è vero mio Ermanno? Pur troppo così devʼessere, perchè diversamente come potresti lasciar correre tanto tempo senza mandare una lettera alla tua Laura che aspetta sempre. – Povero amico, povero Ermanno!.. e dire che io fui tanto ingiusta da dubitare unʼistante che tu mi avessi dimenticata. – Oh! perdonami sai, non era la tua Laura che pensava così, no, il mio cuore era troppo sicuro; fu una stranezza crudele della mente.

«Pensai molto sulle cause che potevano trattenerti dallo scrivermi, ma infine non ne trovai una plausibile sembrandomi che non vi possa essere giustificazione alcuna per tale dimenticanza. Sapeva che hai molto lavoro, cercai di persuadermi che le occupazioni ti togliessero il tempo di scrivermi, ma che vuoi? Sono tanto egoista da non voler cedere davanti a qualunque ostacolo.

«Vedi come si corre nel pensar male! Mentre io mʼinsospettiva, tu mio povero Ermanno eri malato e sofferente. – Mio Dio questʼidea mi dà rimorso; lʼhai detto tante volte che sono una bambina, e finisco col persuadermene.

«Frattanto tu mio buon amico, sei oppresso dal male; il signor Paolo, mi disse non esser cosa tanto seria, ed aggiunse che tu stavi meglio, ma io non ci credo, potrebbe essere una pietosa bugia, e non presterò fede al tuo miglioramento, finchè tu stesso non ne darai prova scrivendomi appena ti sarà possibile.

«Jeri lʼaltro la signora Salviani venne a farci visita accompagnata da un giovinotto milanese suo cugino; le prime parole di quella buona signora, furono per te; ella ti aspetta sempre. – Domani andremo con papà alla sua villa che dista pochi passi dalla nostra; mi fermerò fino a sera, e ciò mi fa lieta perchè almeno potrò parlare di te con qualcuno che ti conosce. – Quanto sarei felice, se al mio ritorno trovassi una tua lettera! oso appena sperarla, e tu mio Ermanno fa di non tardarmi troppo questa gioia.

«Povero amico, è ben crudele il nostro destino! Nel dolore della lontananza eraci non lieve conforto lo scambio di lettere, ed ecco che subito la fatalità ci perseguita, e ti fa cadere ammalato. È una barbarie. – Intanto, finchè tu non sia guarito, ti scriverò tutti i giorni; sono certa che ciò ti farà piacere, perchè ogni mattina, svegliandoti, tu troverai una mia lettera al tuo capezzale che ti porterà il primo saluto.

«Così potessi venir io a surrogare la tua povera mamma! Con quanto amore ti assisterei vegliando le notti, e prestandoti tutte quelle cure che io sola saprei immaginare. Stamane iʼ era in giardino con questʼidea per la mente, e parevami di vederti nella tua camera più pallido dellʼusato; io era al tuo fianco, ti parlava del nostro amore e di tutte quelle cose che tu solo sai comprendere; tu mi guardavi sorridendo, stendendomi spesso la mano come per ringraziarmi… Oh! sono certa che tu a questo modo, guariresti presto, perchè tanto farei, tanto pregherei la Santa Vergine, che infine tu saresti salvo. – Ma ohimè, ciò non è possibile, ed io debbo starmene lontana da te che amo tanto, e che soffri forse per causa mia; questo pensiero mi eccita al pianto; perchè mio buon Ermanno, io sento che per quanto faccia, non riuscirò mai a renderti felice!

«Sopportiamo, o caro, lʼamarezza del nostro destino; non può essere che il nostro amore debba recarci per unico frutto una lunga serie di dolori… Chissà, un presentimento secreto, mi dice che un giorno forse, saremo felici. – Spera, mio buon Ermanno, spera con me nellʼavvenire; esso è incerto, ma non potrà essere ingiusto.

«Il signor Paolo, mi scrisse che fra pochi giorni verrebbe a trovarci; se tu fossi allora guarito, sono certa che non mancheresti di venire; la sarebbe pure una grande fortuna!

«Jeri ho detto per te una grossa bugia, della quale spero non ne terrà calcolo il cielo. La mamma mi vide al collo la tua medaglietta: chi te lʼha data, mi chiese – io era davanti allo specchio, e mi vidi venir rossa per la confusione, perchè fui colta troppo di sorpresa. Non mi passava in mente neanche il nome di una qualche amica; infine mormorai: Letizia, ma colla timidezza di chi è persuaso di non essere creduto.

«Il cuore mi batteva tanto forte da togliermi financo il respiro; e perchè poi? Se anche avessi detto alla mamma che quella medaglia era una tua memoria, sono certa che non le avrei fatto dispiacere, ed in confidenza, credo che ella sospetti alcunchè del nostro amore. – Non me ne tenne mai parola, ma io indovino tanto bene dal suo volto ciò che le passa nellʼanimo, che giurerei di non errare.

«Ti assicuro, mio Ermanno, che non mi preoccuperei per niente, se il nostro secreto venisse scoperto; il tuo amore mʼinfonde tanto coraggio, che mi sento orgogliosa di possederlo, e colla massima compiacenza volgendo uno sguardo alla turba dei giovinotti eleganti, non ne trovo uno che sʼuguagli menomamente a te…

«Ma io parlo, parlo e forse troppo, perchè tu avrai bisogno di calma… Oh la cattiva ciarliera che io sono! Per dirti tutte queste fanciullaggini, scordava quasi il tuo male, e comincio a credere che se fossi al tuo capezzale ti sarei poco giovevole. Compatiscimi mio caro, e procura di guarir presto. – Ricordati che io conterò i giorni, lʼore, i minuti sempre anelando ad una tua parola apportatrice di buone nuove, e che non avrò più pace finchè non mi verrà una tua lettera.

«Addio, a domani.

Laura».
Paolo ad Ermanno
10 Settembre.

«Da due giorni mi trovo qui alla villa Ramati, ove appena giunto mi colmò di gioia la notizia che mi diede Laura della tua guarigione. Ti assicuro che ero assai inquieto per la mancanza di tue lettere, e se Laura non avesse saputo qualche cosa del tuo stato, non avrei indugiato a venirti a trovare. Fortunatamente ciò non è necessario, e ne sia lode al cielo; ora sapendomi qui non ti costerà gran fatica lʼindovinare lo scopo di questa mia lettera, della quale prima di tutto, dichiaro che intendo essere assolto.

«Se ti scrivo, non è tutto per mio volere, giacchè in questi giorni passai sotto gli ordini di madamigella Laura che mi comanda di rivolgerti la parola, mettendomi a forza la penna fra le dita.

«Laura adunque mi ordina di dirti, che noi siamo felicissimi per la tua guarigione, e ne rendiamo grazie al Signore; ma siccome tu hai la smania di occuparti di soverchio e facilitare così una ripresa al male, noi ti preghiamo, e se fa duopo ti comandiamo di dar passo per ora agli impegni, e goderti la convalescenza. Per ciò, al solo scopo di prevenire i funesti effetti di una ricaduta, ti dichiariamo che sei atteso qui senza fallo entro domani, od al più tardi per il giorno dopo.

«Questʼordine è scritto sotto gli occhi di Laura che in questo punto mi dice averti già ella tenuto parola in proposito, perciò credo che non ti farai di troppo desiderare, e… volerai ad appagare le nostre brame. – È inutile che io ti aggiunga preghiere dopo quanto ti avrà scritto questo angioletto che mi sta alle spalle sorridendo ad ogni parola che mi sfugge dalla penna. – Ho meco la copia di quel certo ritratto, e ti giuro che se non vieni tu stesso a prenderla, perderai sovrʼessa ogni diritto.

«A me parrebbe di averti detto tutto, ma il consigliere che mi sta ai fianchi, non la pensa così, e mi ordina di scrivere sotto il suo dettato.

«Ecco: la mamma ed il papà Ramati ti pregano per mezzo mio di ricordarti della tua promessa. La signora Salviani ti desidera, io ti aspetto, ma Laura ti vuole. Ella ha sognato la notte scorsa che tu le dicesti di venir domani, epperciò ti previene che allʼora dellʼarrivo della vettura ella sarà sul terrazzo a spiare sulla strada, e che se tu non verrai sfogherà il suo rancore collo scrivente, il quale perciò ti supplica di salvarlo da tanto periglio…

«Qui tace la delicata vocina della mia direttrice, e qui faccio punto anchʼio perchè dopo tanto, non mi resta più nulla a dirti. – Addio.

Paolo».
Возрастное ограничение:
12+
Дата выхода на Литрес:
28 сентября 2017
Объем:
220 стр. 1 иллюстрация
Правообладатель:
Public Domain

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