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Читать книгу: «Un bel sogno»

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«O speranze, speranze; ameni inganni
«Della mia prima età! Sempre parlando
«Ritorno a voi; che per andar di tempo
«Per varïar dʼaffetti e di pensieri,
«Obliarvi non so!…
 
Leopardi

Alla Signora F…

È un romanzo, unʼinvenzione?.. Domanderanno taluni – Ma voi, o signora, a cui intitolo questo lavoro, voi sola potreste dire: È verità.

Io lo so, voi non la direte mai questa parola, e forse per la prima inarcherete le ciglia affettando di credere al romanzo – Non importa; per quanto facciate, la vostra coscienza non la penserà così; nelle recondite fibre del vostro cuore, ve ne saranno di quelle che gemeranno per dolore… e diciamolo pure, per rimorso.

Riandando colla mente sui fatti che espongo, ricordandovi di quei personaggi che assai meglio di me conosceste, voi sola potete farvi una chiara idea del mio intendimento nello accingermi allʼimpresa di narrare la storia di uno sventurato artista.

Voi sola potete sapere perchè io ve ne abbia fatto in secreto la dedica – Vi sono delle lezioni che si ripetono per tutta la vita, e questa che a voi tocca è una di esse. La pubblicazione di questo lavoro è una protesta contro la spensieratezza e lʼincostanza.

Non accuso alcuno, espongo semplicemente i fatti dai quali il lettore può a tuttʼagio trarne sentenza. Aggradite o signora la dedica che a voi faccio delle preziose reliquie di unʼanima grandemente generosa ed infelice; soddisfo così ad un debito sacrosanto che mʼimpone la coscienza – Io ho fatto il mio dovere, ed il mio cuore è libero… auguro altrettanto a voi.

Avete una figlia – Che lʼesempio di Laura vi tenga lontana dallʼeducarla alle frivolezze del mondo, ed allorchè sarà grandicella, e la ragione si farà strada nella sua intelligenza, mettetele fra le mani questo libro facendo segni su certe pagine che non sarà necessario indicarvi – Può darsi che quella bambina compiangendo alla sorte di Ermanno, impari a non rendersi causa di altrettali sventure.

Allontanate da vostra figlia tutto ciò che può essere vanità o capriccio, insegnatele a non assumersi la responsabilità di promesse inconsiderate che traggono spesso a fatali conseguenze – Lʼincostanza di Laura le sia di esempio, la sventura di Ermanno la conforti a fare se è dʼuopo sacrifizio delle tendenze arrischiate del suo cuore – Insegnatele o Signora, ad amare, non a fantasticare; ponete freno alle inquietudini della sua giovane fantasia, affinchè non tocchi a lei pure il rammarico di aver fatto unʼinfelice.

Colle attuali esigenze sociali, non è possibile conciliare certe tendenze del cuore cogli interessi di famiglia. Il mondo posa troppo ancora sui pregiudizi di casta, e la convenienza regna tuttavia sui destini umani perchè si possa toccare ad una libertà dʼamore – Lʼuguaglianza dei cuori e ancor troppo plasmata sulle uguaglianze sociali perchè le aspirazioni generose possano conseguire la loro meta.

Un giorno, forse non lontano, si verrà alla soluzione di questo problema che ha già una radice presso tutti i popoli inciviliti – Quel giorno segnerà lʼapogeo dello sviluppo umano, perchè allora soltanto avrà principio la gerarchia del cuore e dellʼintelligenza. – Credete Signora alla sincerità deʼ miei consigli sui quali non vi diedi mai motivo a dubbio – Checchè io faccia non sarà mai che possa pervi in non cale; sono trascinato mio malgrado ad interessarmi di tutto ciò che vi riguarda, e se ora mʼincombe di arrecarvi qualche dolore, e tastarvi qualche piaga, siate certa che non lo faccio senza rammarico.

La più benefica legge di natura è lʼoblio dei mali del passato, e la speranza nellʼavvenire: sperale. Voi più che ogni altra abbisognate di conforti nelle gioie domestiche, ed io ve ne faccio augurio di vero cuore.

La storia di Ermanno può contenere qualche ammaestramento; essa non appartiene più a noi – Associandovi a questʼopera intendo di farvi parte di quel poʼ di bene che taluno potrà trarre dalla lettura di queste pagine – non è unʼespiazione, ma dovere dʼumanità. – Compatitemi, e credetemi di voi affezionatissimo

A. G. Cagna.

Vercelli, Ottobre 1870.

I

Non sono ancor trascorsi molti anni che in Brescia nelle tarde ore della notte, in una via poco frequentata, udivasi di sovente il suono di un pianoforte eccitato da una mano maestra.

Erano melodie spontanee soavemente malinconiche, vibrazioni patetiche che scorrendo sullʼaria quali folate armoniche, andavano perdendosi lamentosamente a guisa di zeffiro che destandosi vigoroso ed ardito si smarrisce tra i fogliami delle siepi, e muore alitando un flebile sospiro.

Non era difficile lʼaccorgersi che quelle soavi modulazioni erano prodotte da unʼabile mano che rispondeva interprete ad un gentilissimo sentire – Per concepire ed esprimere quel misterioso linguaggio che si chiama musica, bisogna avere il cuore suscettibile alle soavi emozioni, ed i concenti sublimi di quel pianoforte erano lʼemanazione palpitante di una fantasia delicata, erano la voce, lʼespressione di un sentimento puro, ineffabile, celeste.

Per quanto possa essere lʼarte inerente allʼuomo, nullameno lʼartista vive si può dire di una doppia esistenza; lʼarte è unʼegoista, unʼinnamorata gelosa che si costituisce nella mente degli uomini un governo speciale, assoluto, determinato a certi momenti in cui tutte le altre facoltà dellʼintelletto devono inevitabilmente sottomettersele – Lʼartista, il vero artista della fantasia, cessa dʼesser uomo nel momento che crea, la sua mente sprigionandosi dalla cerchia troppo angusta in cui è costretta, erra libera negli spazi dellʼinfinito in cerca di emozioni da trasfondere ed imprimere nelle opere dʼarte.

Egli è appunto in uno di questi momenti che noi sorprenderemo il giovane pianista Ermanno Alvise, giacchè era desso il gentile disturbatore del silenzio notturno, era desso che colle soavi melodie arrestava il passeggiero per quella via costringendolo ad assaporare sino allʼestremo quei melodiosi sospiri.

Un salotto arredato con molto gusto, e di cui principale ornamento era un pianoforte verticale di elegante costruzione, un tavolino ripieno di scartafacci di musica, alcune sedie ed una poltrona che dallʼampia sua forma prometteva un comodo adagiarsi; ecco lo studio del nostro Ermanno il quale stava seduto al pianoforte colle mani erranti sulla tastiera nellʼabbandono di chi tenta modulare i concetti che gli attraversano la fantasia.

Ermanno avea 25 anni, la sua statura era un medio, nè troppo alta nè troppo bassa; ciò che più colpiva in lui erano due grandʼocchi bruni che spiccavano sopra il volto palliduccio e gramo; la sua figura non aveva nulla di straordinario, allʼinfuori di una leggiera mestizia che spiravagli dallo sguardo. —

Allorchè egli era rapito dalla corrente delle sue idee, le labbra si socchiudevano lasciando sfuggire un lieve sorriso di soddisfazione.

Dotato di un grandissimo amore per la musica, egli aveva di gran lunga superate le belle speranze concepite sul suo ingegno; al culto dellʼarte ei dedicò i suoi primi anni, e giovanissimo ancora era salito in bella fama. Nessuno meglio di lui traeva accordi più soavi dal pianoforte, la musica da lui eseguita aveva lʼimpronta di un linguaggio misterioso, ed il fascino che sapeva esercitare sullʼanimo degli uditori era sì grande, che bene spesso era giuocoforza abbandonarsi colla mente a tutte le oscillazioni di quelle corde, che sotto le dita del giovane pianista fremevano dʼun nuovo accento, ed accarezzavano lʼudito siccome le patetiche modulazioni dellʼarpa – Ma ciò che più di tutto distingueva Ermanno, era la sua abilità nellʼimprovvisare sul pianoforte. Allora la fantasia svincolandosi dalle strettoie di un concetto limitato in poche linee di stampa prendeva il largo negli spazi infiniti della sua feconda immaginativa; in questi slanci della mente appariva vergine ed intatto il genio dellʼartista, che secondando lʼimpulso dʼun cuore ardentissimo, ora strappava lacrime con un adagio flebile, delicato, quasi impercettibile che ricercava le fibre dellʼascoltatore, e carezzandole soavemente inspirava allʼanimo sensi di dolcissima mestizia – Ora come torrente che straripa, le note incalzavano le note, e tanto rapidamente, che pareva dʼassistere allo spettacolo dʼun temporale dʼinferno, allo urtarsi impetuoso di schiere dʼarmati spronati ad orribile massacro.

Era bello Ermanno in quei momenti di abbandono, il suo sguardo stava sempre rivolto alle mani, elio agilissime sorvolavano sui tasti con tanta grazia e delicatezza come si accarezzerebbe la chioma di una donna amata.

Da qualche tempo egli lavorava alla composizione di una fantasia nella quale stillava tutta la sua feconda inspirazione. Buona parte ne era fatta, ma la riuscita non corrispondeva mai alle esigenze dellʼartista.

Passava ore intiere alla ricerca di una frase, diremo di più, ogni nota era lʼoggetto di un paziente esame, ne provava tutte le vibrazioni, ne analizzava lʼaccento modulandola in mille guise finchè lʼaveva collocata al suo vero posto – Era un lavoro lunghissimo, un raffinamento squisito del genio, un ricamo della fantasia.

Sorprendiamo Ermanno in una delle sue veglie. La notte era già di molto avanzata, eppure non se ne accorgeva; da più di unʼora le sue mani cercavano sulla tastiera unʼidea inafferrabile che gli attraversava la fantasia senza poterla colpire. – Non solamente la parola si ribella ad esprimere tutto ciò che si concepisce; la musica siccome quella che presenta un campo pia vasto nella regione delle idee, riesce sempre più indecisa nellʼespressione del pensiero. Qual è lʼartista che possa vantarsi di tradurre fedelmente le idee che gli sorgono dalla mente? Tutto ciò che si esprime in arte non è che una pallida riproduzione di ciò che si concepisce. Se le parole potessero tener dietro e concretizzare tutti i voli dellʼimmaginazione, sarebbe gran ventura per gli uomini di genio.

Tali riflessioni le faceva pure Ermanno che da molto tempo affaticavasi invano nel cercare la traduzione di un concetto troppo ardito per poterlo esprimere coi mezzi incompleti dellʼarte. Già era passata la prima ora del mattino senza che lʼostinato artista pensasse che anche la natura esige i suoi tributi; ei non aveva sonno, la sua volontà era tanto fissa in quellʼidea che non sentì neanche il suono di una voce che lo chiamava per nome. – Alla seconda chiamata però si scosse, ed alzandosi immantinente corse ad aprire la porta che introduceva in una stanza attigua alla sua sclamando:

– Hai chiamato mamma?

– Sì, rispose la voce.

– Attendi, porto il lume, e levata una candela dal pianoforte, ritornò nella camera della madre accostandosi premurosamente al letto.

– Ti senti forse male?

– No, no, rispose sorridendo la buona donna, sto benissimo, ho domandato perchè voglio che tu vada al riposo, è molto tardi ed hai lavorato abbastanza.

– Ma no, non sono stanco, ti assicuro che mi sento bene.

– Non importa, tu non sei troppo robusto figlio mio, dà retta a me, va al riposo, da bravo.

– Va bene, mormorò Ermanno sorridendo, vado, ma, per farti piacere.

Nella stessa camera eravi una specie dʼalcova nascosta da unʼampia cortina; Ermanno aveva colà il suo lettuccio; vi entrò e poco dopo madre e figlio stavano immersi nel sonno. La madre era una donna sui cinquantʼanni ancora ben conservata; in essa consisteva tutta la famiglia del pianista a cui da molti anni era mancato il padre. Non si potrebbero dire i sacrifizi che fece quella buona donna onde assecondare le inclinazioni artistiche del figlio, ma ne riceveva in compenso il ricambio di unʼaffezione figliale senza pari.

Quelle due creature vivevano lʼuna dellʼaltra; Ermanno non usciva mai a meno che non vi fosse costretto dalle sue faccende. Di giorno dava lezioni di musica, verso sera faceva una breve passeggiata colla madre, indi entrambi rientravano; egli si assideva tosto al pianoforte suo fedele amico, come diceva, la madre gli si poneva accanto, e stava ad ascoltare la musica finchè il sonno non le gravava le ciglia, poi se ne andava al riposo – Ermanno fermavasi ancora lunghe ore a studiare senza che per ciò il sonno della madre venisse menomamente disturbato; anzi quella buona creatura si addormentava dolcemente come in braccio ad una visione, fra i flebili accordi del pianoforte, e lʼultimo suo moto era un sorriso di compiacienza che le restava impresso sulle labbra.

Dallʼepoca in cui Ermanno si accinse a dar lezioni, le sorti della piccola famiglia erano dʼassai migliorate, e mercè unʼassiduo lavorare, il figlio poteva procurare tutti i comodi alla madre – Ogni giorno si arricchiva dʼun mobile quel modesto alloggio, e dopo molti risparmi erasi avverata una cara speranza; potendo finalmente il giovane artista far acquisto di un buon pianoforte, e rinunziare al suo vecchio tavolaccio.

Niuno più felice di quei due esseri che vivevano unicamente per consolarsi a vicenda. Accadeva talvolta che Ermanno dovesse passar la sera in qualche concerto, e la madre allora non si metteva a letto finchè egli non fosse di ritorno, lo aspettava se dʼestate alla finestra, se dʼinverno accanto al fuoco, tendendo lʼorecchio a tutti i passi che risuonavano sulla via.

Nel seno di unʼesistenza sì tranquilla Ermanno trovava le inspirazioni per lʼarte sua, e nel silenzio della sua cameretta vegliava le notti studiando, confortato dal pensiero che mercè sua la buona madre riposava tranquilla e felice. Entrambi insomma godevano di una pace domestica rara ed invidiabile.

Allʼindomani di quella notte in cui Ermanno aveva protratto lo studio sino a tarda ora, mentre stavasene seduto al piano discorrendo colla madre, fu bussato alla porta.

– Avanti, rispose il giovane, volgendosi per scorgere chi vʼentrava, oh sei tu Alfredo?.. Che nuove?..

Un giovinotto vestito con molta eleganza e ricercatezza, entrava liberamente come uno che fosse di casa, e dopo di aver stretta la mano a mamma Alvise, si avvicinò ad Ermanno dicendo:

– Proprio io, ti disturbo forse?

– Eh! scherzi, tu sai che di te non mi prendo soggezione. La mia sorpresa attribuiscila allʼessere qualche giorno che non ti vedo. – La tua famiglia come sta?

– Benissimo. Fui a Milano, non lo sapevi?

– Ma no, risposa Ermanno additando una sedia allʼamico.

– Propriamente, sono stato a Milano per dodici giorni, in casa di mio zio a cui ho portata via la famiglia per farla passar qualche tempo con noi.

– Come, è in Brescia la signora Ramati?

– Sì; ho incarico di farti i suoi saluti. Per parte di mia sorella poi, debbo tirarti unʼorecchio; a quanto ella mi disse, tu hai disertata la nostra casa.

– Chiedi scusa per me a madamigella Letizia, figurati che non ho ancora potuto arrivare a metà della mia Fantasia per piano solo, e sì che ci lavoro attorno di santa ragione.

– E che perciò, ne abbiamo forse noi colpa alcuna per abbandonarci così? – Ora poi, aggiunse Alfredo, spero che vorrai favorirci, tanto più che mia cugina muore per la voglia di sentirti; le parlai tanto bene di te.

– Come hai una cugina?

– Ma si, la figlia dello zio, una giovinetta di diciassette anni, uscita che è poco dal collegio, bionda, bella e viva come una farfalla. Tu la vedrai con piacere; anzi venni apposta per dirti che stassera sei atteso. Mia sorella te ne prega, mia cugina te ne scongiura.

– Bada, disse Ermanno sorridendo, tu parli con troppo ardore di questa cugina.

– Che vuoi mio caro! è una fanciulla così viva ed amabile, che mi butterei sul fuoco per piacerle. – È convenuto, stassera ti aspetto.

– Senti Alfredo, non potresti dilazionare? Per questa sera avevo unʼaltro progetto.

– Impossibile, se tu non mi prometti di venire, non avrò più il coraggio di presentarmi a casa; mia cugina…

– E dalli.

– Oh senti, tu verrai ad ogni costo, perchè ho già impegnata la mia parola; anzi siccome conosco i tuoi gusti per la tranquillità, diedi ordine che per questa sera non si riceva alcuno; così saremo noi soli a bearci delle tue melodie. Ripassa se lo hai dimenticato quel tuo bellissimo notturno – Al chiaro di luna – Mia cugina è ansiosa di sentirlo. – Siamo dunque intesi, stassera alle sei ti aspetto, pranzeremo insieme.

– Impossibile, interruppe Ermanno, fino alle otto non sono in libertà.

– Perchè?

– Perchè alle sette ho un altro impegno.

– Allora alle otto, già di te mi fido…

– Sta sicuro.

– Addio.

– A rivederci.

Alfredo Ramati era un simpatico giovinotto di distinto casato; la sua famiglia era molto ricca, ma questa volta, come non avviene troppo spesso, le ricchezze andavano congiunte ad una bontà e compitezza veramente rara. – Il padre di Alfredo era stato avvocato di molta fama in gioventù, ed ora allʼombra della pace domestica si godeva i frutti del suo lavoro. Sua moglie era morta da parecchi anni lasciandolo con due figli, Alfredo e madamigella Letizia. Questʼultima disimpegnava le funzioni di padrona di casa, e tutto veniva regolato secondo il di lei gusto.

Alfredo aveva una passione pronunciata per la musica, ed era legato ad Ermanno per vincolo di vera amicizia; il suo affetto e la sua ammirazione pel giovane artista andavano fino allʼesagerazione, e non poteva parlare dellʼamico senza dare in elogi infiniti.

Ermanno era si può dire di famiglia in casa Ramati, aveva libero accesso in qualunque ora del giorno, e talvolta per compiacere madamigella Letizia, si fermava sino a tarda sera.

Da qualche tempo però egli aveva sospese le sue visite unicamente per le soverchie occupazioni.

Alfredo per puro diporto era partito alla volta di Milano, ove si fermò qualche giorno presso suo zio, fratello dellʼavvocato Ramati, lo zio Pietro, come lo si chiamava. Dopo viva istanze ottenne da lui di condurre la zia e la cugina Laura in Brescia per passarvi un poʼ di tempo. – Come al solito Alfredo in causa del suo debole parlò sovente alla cuginetta dellʼabilità e del talento di Ermanno, e tanto si esaltò nel magnificarlo, che nacque nella ragazza un desiderio ardentissimo di udire questo portento.

Ecco come stavano le cose, e perchè Alfredo si recò da Ermanno appena arrivato.

Ermanno dal canto suo aveva accettato volentieri giacchè riguardo a madamigella Laura, non eravi a prendersi soggezione. Partito Alfredo da casa sua, egli si rimise al pianoforte, e studiò lungamente. Nella giornata ripassò il suo notturno, ed alla sera verso le sei uscì a passeggiare colla madre. – Ecco qual era lʼimpegno di Ermanno, il dovere di amico non gli faceva scordare quello di figlio. – Alle otto Ermanno era sulla via che guidava al palazzo Ramati.

II

Aveva appena scossa la corda del campanello, che risuonarono dallʼinterno della casa esclamazioni di gioja. Venne tosto aperto, ed apparve sulla soglia madamigella Letizia seguita da una bella ragazza che appena vide Ermanno si mise a gridare:

– Eccolo, eccolo, è desso!

Il giovane fu introdotto nella sala della signorina Letizia, che nellʼaddurlo per mano gli disse:

– Questa volta non ci scappa più.

Non furono neccessarie tante cerimonie di presentazione, giacchè la madre di Laura già conosceva Ermanno; in quanto a madamigella Laura nel suo eccesso di espansione aveva già tolto il cappello e la canna di mano al giovane con tale confidenza come se da molto tempo lo conoscesse.

– Tu ne sarai sorpreso, disse Alfredo, ma mia cugina ti conosce già intimamente; ella sa tutta la tua storia; epperciò non è il caso di stare in complimenti.

– Oh! si davvero, sclamò Laura vivamente, il signore era già una mia conoscenza prima ancora che lo vedessi; domandi alla mamma quante volte abbiamo parlato di lei. Alfredo mi fece siffattamente lʼelogio del suo talento per la musica, che non avrei avuto più pace se non mi veniva dato di udirlo.

– Il caro Alfredo ha troppo zelo a mio riguardo, rispose Ermanno sorridendo, e sarò a lui debitore se la mia poca abilità non corrisponderà affatto alle troppo grandi aspettative di madamigella.

– Via signorino, ella vuole rimpicciolirsi per apparire poi più grande, interruppe Letizia. Intanto Laura aveva già preso Ermanno per il braccio, e tirandolo dolcemente lo fece sedere al pianoforte dicendo:

– Animo, favorisca di suonare quel notturno– al chiaro di luna – ne conosco già una parte.

– Davvero? chiese Ermanno.

– Ma sì, il cugino Alfredo aveva la compiacenza di cantarlo.

Ermanno era confuso, giammai egli aveva incontrato un carattere così vivace, ed ingenuo. Sedendo al piano, alzò gli occhi sulla giovinetta che si era posta a lui di fianco, e stette a contemplarla, anzi ad ammirarla.

Alfredo non aveva punto esagerato; Laura era di una bellezza sorprendente. Nulla di più soave del suo occhio ceruleo improntato di una vivacità straordinaria; in quello sguardo brillava un misto dʼingenuità e civetteria che formava uno strano contrasto. Una bella fronte di neve contornata da ricchissima capigliatura, bionda come quella di un cherubino.

Il complesso della persona gareggiava in vezzi colla soavità del volto, e lʼinsieme di quella figurina era di una eleganza statuaria.

Ermanno rimase colpito; giammai egli aveva vista fanciulla più bella, giammai nelle ricerche della sua fantasia dʼartista, erasi immaginata una realtà così seducente. Abbassò lo sguardo dal volto di lei, e sfiorando colle mani la tastiera del pianoforte, improvvisò uno Scherzo, una specie di Capriccio delicato come le idee che gli si erano destate nellʼanima contemplando quella gentil creatura.

Laura stette ad ascoltare senza batter palpebra, e quando egli ebbe terminato, ella corse ad abbracciare la cugina Letizia mormorando: Oh come suona bene!

– Improvvisato, improvvisato! non è vero? chiese Alfredo premuroso.

Ermanno rispose affermando col capo.

Laura e Letizia si erano frattanto avvicinate al piano.

Noi non sapremmo dire come e perchè, ma è certo che il volto di Laura si era acceso dʼun colore insolito, e se un mano indiscreta si fosse posata sul di lei cuore, ne avrebbe sentito i moti più agitati.

È possibile che ella abbia potuto penetrare nel sentimento di quel Capriccio suonato da Ermanno?..

… Forse sì; havvi una corda nel nostro cuore che se viene scossa rivela confusamente il perchè del suo eccitamento; dʼaltronde lo sguardo di Ermanno esprimeva qualche cosa in quellʼistante; era unʼespressione quasi impercettibile che però fece palpitare la giovinetta, la quale per istinto ne aveva forse compreso il significato prima ancora che Ermanno potesse spiegarselo – quel pensiero melodico non poteva essere inspirato che dallʼesame fatto sul volto della fanciulla, e lʼemanazione di quel concetto fu tanto rapida ed improvvisa che la stessa mente che lo aveva concepito, non potè prima tradurne il senso allʼintelligenza.

Ermanno aveva creata una melodia senza accorgersene sotto lʼimpressione della bellezza. Laura aveva indovinato col cuore.

Quel Capriccio voluttuoso, carezzevole, quei tocchi graziosi delle note spiranti la mollezza, suonarono come soave linguaggio nel cuore della fanciulla, che senza comprenderne il vero significato, pure dallʼaccento, dalle vibrazioni, aveva scoperto in quel concetto un saluto dʼammirazione.

Ermanno dal canto suo aveva rimarcato il leggiero rossore di quelle guancie; incontrando una seconda volta lo sguardo di Laura, vi trovò lʼespressione di un turbamento interno.

– Al notturno, interruppe Letizia.

– Sì, sì al notturno, ripetè Laura, saltellando per la sala, onde nascondere lʼemozione cagionatale dallo sguardo di Ermanno.

Tutti si raccolsero attorno al pianista; Laura si collocò dietro a lui e guardava sul piano passandogli lo sguardo giù per le spalle, – Letizia a destra Alfredo a sinistra.

Fin dalle prime note dʼintroduzione, quegli entusiasti dʼuditori cominciarono a trattenere quasi il respiro, ed era bello il vederli immedesimati nel carattere della musica di cui ne seguivano tutte le gradazioni. Dopo lʼintroduzione seguiva unʼadagio sulle corde basse, e la mollezza di quel canto era tanto dolce, tanto insinuante, che negli occhi di Laura vi brillò una lagrima di tenerezza. La povera giovinetta non era più sulla terra, pareva che cercasse in quelle note unʼespressione, unʼaccento che le facesse più chiaro ciò che le passava per la mente, giacchè in quei suoni ella vi trovava un significato, e sembravale di sentirsi parlare in cuore da una voce affettuosa e cara già conosciuta, già udita altra volta.

Mentre Ermanno suonava, sentivasi lʼalito di lei sfiorargli la guancia, ed eragli tanto soave quella carezza, che per prolungarne la durata fece ritornello sullʼultima parte del notturno, aggiungendovi una lunga cadenza così ben trovata, così morbida, che Laura rapita dallʼeffetto, lasciò cadere le mani sulla spalla di Ermanno appoggiandovisi sopra leggermente.

Il giovane fu scosso a quel tocco, lʼemozione rese tanto delicato il senso del tatto in quel punto ove le mani si posarono, che gli parve di accarezzarne le graziose dita.

Letizia alzò lo sguardo su Laura, e sorrise nel vederla in tale abbandono; la giovinetta arrossì, e ritirò lestamente le mani. – Si suonò dellʼaltra musica, indi fu concessa un poʼ di tregua al povero pianista che era tutto in un sudore, ed allora si appiccò una conversazione animatissima. Parlarono di musica, di teatri e di mille cose che sarebbe follia ripetere; basti notare che la chiacchierata durò due ore. In tanto tempo si possono dire molte cose, due ore sono lunghe con una nojosa compagnia, ma parvero due istanti specialmente a Laura, e diciamolo pure ad Ermanno.

Durante quel lungo discorrere i loro sguardi sʼincontrarono parecchie volte, e lasciamo immaginare al lettore cosa poterono dirsi quegli occhi. Non staremo certo a svelarne i dolci misteri, ci manca il coraggio di accingerci a tanto, giacchè gli occhi parlano spesso assai più della lingua, ed il loro silenzio è tanto eloquente da rendere inetta la parola ad esprimere tutto ciò che possono racchiudere.

Lʼallegrezza di Laura in quella sera fu portata al colmo; ora saltava, ora rideva; talvolta abbassavasi allʼorecchio della cugina mormorandole sommesse parole, mentre di sottecchi sorrideva ad Alfredo ed Ermanno, come se essi potessero indovinare ciò che ella diceva.

A taluni parrà alquanto esagerata questa subita espansività, ma noi possiamo affermare che quel brio, quella spontanea allegria sono naturali nelle ragazze che da poco lasciarono le mura di un collegio, ove imparano a desiderare il mondo colle sue illusioni e le sue libertà. Ai primi soffii dʼaria libera che le sfiorano il viso, esse si esaltano, si commovono, e vorrebbero nel loro entusiasmo abbracciare lʼuniverso intiero; il mondo traveduto nei vergini sogni si presenta ad esse come un mazzo di fiori freschi e profumati ma, non sanno ahimè che quel profumo stordisce, che quellʼaria balsamica spesse volte uccide!

Ermanno si sentiva commosso nel mirare quella fanciulla così bella e felice; lʼocchio del giovane errava spesso a fare, unʼesame troppo scrutatore di quelle bellezze, talchè Laura accorgendosene ne arrossiva sorridendo, mentre con infantile civetteria si guardava negli specchi.

Il tempo, quel giudice crudelmente imparziale segnò le undici ore sullʼinesorabile Clepsidra, ed una torre lontana rispose a quel segno a colpi di squilla.

– Undici ore? chiese Letizia.

– Propriamente, rispose Alfredo guardando il pendolo.

– Diggià! mormorò Laura un poʼ uggiosa.

– Allora, disse Ermanno alzandosi, me ne vado.

– Oh non ancora, sclamò Laura, bisogna suonare anco una volta il notturno.

Ermanno si rimise al piano, e Laura riprese la stessa positura. Il notturno era piuttosto lungo, e la stagione non troppo favorevole per una lunga fatica al piano, per cui alla fine del pezzo Ermanno aveva la fronte madida di sudore; Laura se ne accorse, titubò alquanto, guardò prima Letizia, poi Alfredo; indi per un moto quasi involontario trasse il fazzoletto e lo passò leggermente sulla fronte del giovane pianista, il quale la ringraziò con un dolce sorriso.

Ermanno non si potè partire da casa Ramati senza prima aver promesso di tornarvi alla dimane, ed ancora mentre stava per scendere le scale, Laura trattenendolo per mano sclamò: Si ricordi che lʼaspettiamo!

Возрастное ограничение:
12+
Дата выхода на Литрес:
28 сентября 2017
Объем:
220 стр. 1 иллюстрация
Правообладатель:
Public Domain

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