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Читать книгу: «Fra Tommaso Campanella, Vol. 2», страница 4

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Ripigliamo il racconto particolareggiato di quanto accadde, dopochè Maurizio manifestò la risoluzione di voler confessare ogni cosa. L'esecuzione fu sospesa ed egli venne ricondotto nelle carceri della Vicaria, come ci fa conoscere il documento esistente nell'Archivio de' Bianchi. Nè confessò sotto la forca, come risulterebbe dalla dicitura poco precisa della Narrazione del Campanella ed anche di qualcuno de' documenti per gli ecclesiastici conservati in Firenze, ma confessò per lo meno il giorno dopo nel tribunale. Questo si argomenta da una lettera del Vicerè, il quale trasmise subito a Madrid, il giorno 21, la risoluzione presa da Maurizio, ma solamente più tardi potè annunziare che avea confessato «e molto bene», senza per altro dire i particolari della confessione45. Si argomenta inoltre dall'ampiezza della confessione medesima, la quale, scritta, occupò per lo meno 32 fogli, come si rileva da' numeri notati pei brani di essa inserti ne' suddetti documenti conservati in Firenze. Aggiungiamo che da questi documenti si rileva pure essere stato tale atto tenuto sciolto, ma al sèguito del 3.o volume del processo; la qual cosa si spiega benissimo, considerando che erano stati già compìti tutti gli atti relativi a Maurizio ed anche quelli relativi al Pisano, allorchè si ebbe la lunga confessione del tutto inaspettata.

Ecco ora quanto sappiamo delle cose confessate da Maurizio, poichè ne sappiamo appena quella parte che si trova inserta a brani ne' documenti per gli ecclesiastici sopra citati, e quindi siamo ben lontani dal possedere tutta intera la confessione46. Maurizio andò una notte al monastero di S.ta Maria di Gesù a Stilo, dove trovò fra Tommaso ed altri; fra Tommaso parlò in lode delle armi e della campagna. E mentre così parlava nella sua camera, fra Pietro di Stilo entrava ed usciva. Di poi, egualmente a Stilo, in casa di D. Gio. Jacovo Sabinis, vennero a trovarlo fra Tommaso, fra Dionisio e Gio. Gregorio Prestinace, ma c'era gente e si parlò d'altro. Nella notte seguente o in quella dell'indomani tornarono (Maurizio non ricordava se ci fosse stato anche il Prestinace), e fra Tommaso cominciò a citare esempî di uomini che dal niente erano diventati grandi, allegando il Macchiavelli ed altri autori; animandolo alle armi disse che vi sarebbero mutazioni, che egli voleva fare repubblica, che bisognava trovare amici a questo effetto, e parlando contro la nuova numerazione disse che le anime di Dio erano contate come animali bruti, che si offendeva Dio, che quando David volle numerare il suo Regno, Dio non gastigò David ma i popoli che si erano lasciati numerare. Maurizio allora si offrì. C'era anche Giulio Contestabile, il quale stava sempre insieme con fra Tommaso e non si scovriva perchè inimico a Maurizio: ma durante la carcerazione nel Castello fra Tommaso avea detto a Maurizio che Giulio con tutta la casa sua era consapevole. E una volta, stando del pari in casa Sabinis, essendosi visti certi legni in mare, fra Tommaso e fra Dionisio (Maurizio non ricordava se ci fosse stato anche il Petrolo), dissero di volere scendere per trattare co' turchi di questo negozio, e fra Dionisio si avviò con scusa di voler andare a riscattare un suo fratello. Fra Tommaso intanto gli diceva di stare in ordine e trovar compagni, non dovendosi perder tempo, di avere già molti con lui, averne parlato a persone principali e tra gli altri a D. Lelio Orsini; Maurizio disse non voler cominciare nè portar gente, se prima non vedesse cominciata la guerra, e fra Tommaso gli dimandò se quando si cominciasse a ribellare Catanzaro non avrebbe accudito, ed allora egli acconsentì. Inoltre Maurizio gli obiettò che non si potevano mettere ad un'impresa così grande senza danari, e fra Tommaso gli disse che avea persone le quali li avrebbero dati e specialmente sarebbero venuti dal Castello di Arena, di dove Marcantonio Contestabile confidava poterli pigliare, la qual cosa fra Tommaso gli confermò anche dopo la carcerazione. Si concluse di mandare fra Dionisio là presente a Catanzaro, per cercare ed indurre gente a far parte dell'impresa; e fra Dionisio vi andò, e al ritorno disse a Maurizio in Davoli che avea trattato con alcuni gentiluomini, e gli nominò Fabio di Lauro, Gio. Battista Biblia e il Barone di Cropani. Risolverono poi di chiamare Gio. Paolo di Cordova e Gio. Tommaso di Franza che Maurizio preferiva come uomini di valore, e Maurizio, a consiglio di fra Tommaso, scrisse loro sotto colore di trattare della loro natività: questi vennero con Orazio Rania a Davoli, ove Maurizio si trovava in casa di D. Marco Antonio Pittella, e fra Tommaso vi era venuto la notte precedente col Petrolo e Fabrizio Campanella; l'indomani parlarono in S.ta Maria del Trono, nel castagneto, e fra Tommaso discorse delle prossime guerre e dell'utilità del trovarsi pronti in armi, e trattenutisi più di due ore con fra Tommaso, dissero di poi che fra Tommaso era un grande uomo ed avea parlato della loro natività. Ancora fra Tommaso disse a Maurizio che v'intervenivano Claudio Crispo e Gio. Francesco d'Alessandria, fra Gio. Battista Pizzoni, e forse anche Giulio Soldaniero, ma Maurizio non si ricordava bene se glie lo avesse detto prima o dopo la carcerazione; e voleva che Maurizio fosse andato a Pizzoni, ma Maurizio non volle andarvi ed andò invece il Petrolo. Fin da che si trattò del negozio con fra Tommaso, fra Dionisio, Gio. Gregorio Prestinace e Gio. Jacovo Sabinis, si stabilì che quando apparissero galere turche, o fra Tommaso, o fra Dionisio, o il Petrolo, andrebbero a trattare co' turchi perchè volessero dare aiuto e favore. E poi vi andò spontaneamente egli stesso, Maurizio, senza alcuna missione del Campanella, o trattò con Morat Rais detta ribellione, e al ritorno mostrò il salvacondotto a Gio. Gregorio Prestinace, fra Tommaso Campanella, D. Marco Antonio Pittella ed altri, a' quali disse ciò che avea trattato e conchiuso con Morat Rais, o ne giubilarono lodandolo e dicendogli che avea fatto assai di quello che desideravano; ben vero il Pittella non mostrò contento come gli altri, poichè non era così addentro al negozio come gli altri. E in somma conclusero tutt'insieme, Maurizio, fra Tommaso e fra Dionisio, che quando costui avesse finito di trattare ed avuto il consenso di quelli di Catanzaro, avviserebbe, e si sarebbe pigliato espediente di effettuare la ribellione ed entrare in Catanzaro, e fra Tommaso diceva doversi gridare libertà, scassinare le carceri e ammazzare gli ufficiali. – Fu questa la confessione di Maurizio, che abbiamo cercato di riordinare diligentemente secondo i numeri de' folii notati per ciascun brano di essa, e l'analogia delle circostanze espresse in ciascun brano. Facciamo subito avvertire, che se la confessione apparisce addirittura acre verso il Campanella, fra Dionisio, il Petrolo ecc., ciò avviene perchè i brani di essa a noi pervenuti son quelli soli che il Mastrodatti sceglieva pe' riassunti degl'indizii contro costoro: ma è facile comprendere che tutta intera avrebbe un altro aspetto, senza per altro rimanerne alterati i fatti sopra riferiti, mentre poi anche in questa parte a noi nota si vede che Maurizio non risparmia punto sè stesso. Nè i fatti vi riescono essenzialmente diversi da quelli esposti dal Campanella nella sua Dichiarazione, essendovi solo la differenza che nella confessione di Maurizio fra Tommaso risulta il motore fondamentale di ogni menomo passo. Ora intorno a ciò basta considerare che non si sarebbe proceduto nell'impresa, senza quelle tali profezie e previsioni di avvenimenti, dapprima più lontani, poi divenuti imminenti, siccome il Campanella li concepiva, e d'altronde si sconoscerebbe del tutto e il carattere, e la posizione, e il credito del Campanella, quando si volesse pensare che egli si fosse lasciato condurre invece di condurre; anche il contegno suo nel carcere ci apparisce nè più nè meno che quello di un capo, sia quando prosegue a discorrere di queste cose con Maurizio, sia quando lo giudica, lo esalta o lo vitupera, come fa del resto con tutti gli altri. Qualche lieve inesattezza nella successione de' fatti esposti da Maurizio, qualche vacillamento di memoria, si spiega agevolmente con lo stato della sua persona affranta e stritolata dalle torture. Ma non v'è luogo ad ammettere che il Fiscale abbia profittato di una simile condizione per fargli dire ciò che gli premeva che dicesse. Vedremo l'altra confessione di Maurizio innanzi a' Delegati del S.to Officio, fatta oltre un mese più tardi, in un momento supremo e lungi dall'influenza di Giudici d'ogni sorta, nella quale, benchè si espongano cose di altro genere, non si nota la menoma dissonanza ed invece si ha una sufficiente corrispondenza con le cose esposte nella presente confessione; e questo ci pare un argomento fortissimo per ritenerla del tutto vera.

La confessione di Maurizio, perchè acquistasse forza contro i complici, come allora si costumava, venne ratificata con una nuova tortura. Questa, secondo i procedimenti in vigore, dovè applicarsi non più tardi del giorno consecutivo, leggendo de verbo ad verbum tutte le cose deposte, e facendo dichiarare al paziente sospeso alla corda che egli le confermava in omnibus et de omnibus. Quindi, come fu poi scritto a Madrid, parve bene al Vicerè, «avendone tenuto consulta col Collaterale, di trattenere l'esecuzione di Maurizio sino a confrontarlo con fra Tommaso Campanella»47. Credevasi allora che non dovesse tardare di molto l'arrivo del Breve Papale, con cui veniva ad essere costituito il tribunale della congiura per gli ecclesiastici; ma invece esso tardò ancora, e frattanto il tribunale pei laici continuò nel còmpito suo.

Le notizie ulteriori intorno all'opera di questo tribunale pei laici sono tanto deficienti, che in verità non abbiamo troppe cose a dire. Possiamo affermare con sicurezza che furono esaminati tutti gl'inquisiti già carcerati, amministrando o ripetendo torture più o meno crudeli a parecchi fra loro; oltracciò furono presi i provvedimenti più gravi contro i contumaci, e il tribunale restò aperto per varii anni. Il Campanella, mettendo insieme gl'inquisiti ecclesiastici e i laici, nelle sue lettere del 1606-07, una volta scrisse che vi erano stati 80 tormentati ad pompam, un'altra volta scrisse che i tormentati erano stati quasi 100, ed aggiunse che niuno avea confessato48; nella Narrazione poi ridusse di molto queste cifre, e scrisse che «furo tormentati… da cinquanta e nullo confessò cosa alcuna», nominando de' laici appena un Geronimo Politi procuratore di fra Dionisio (nome nuovo) e taluni fra' rivelanti tardivi di Catanzaro, Gio. Tommaso di Franza, Mario Flaccavento, Tommaso Striveri. Or sapendo che furono tormentati non più di sei o sette ecclesiastici, è facile vedere il numero de' laici tormentati, per quanto le cifre suddette lo consentono; e ben s'intende che nessuno di costoro confessò cosa alcuna relativamente a sè stesso, non già relativamente al Campanella e a fra Dionisio. Massime que' tre di Catanzaro sopranominati non poterono certamente contraddire le prime loro deposizioni; e difatti anche nel processo di eresia ebbe a vedersi più tardi Mario Flaccavento, insieme con Felice Gagliardo e con Camillo Adimari, sollecitare Giuseppe Grillo perchè deponesse contro fra Dionisio49. Il Campanella scrisse pure che lo Xarava diede a due de' sopra nominati le cartelle «di quello haveano a dire»: evidentemente le cartelle, se ve ne furono, doverono contenere il ricordo di ciò che essi avevano deposto in Calabria. Da parte nostra possiamo aggiungere soltanto il nome di qualche altro de' laici, che figurò pure nel processo di eresia ed ebbe ivi occasione di far motto del tormento sofferto: tale fu Felice Gagliardo, che disse avere avuto «a morire» nella «seconda corda» che gli diedero in Napoli; ma ciò avveniva abbastanza più tardi, nientemeno che verso il marzo 1602, onde rimane dimostrato che tutto questo lavoro durò molto a lungo.

Circa i contumaci poi, dietro documenti da noi trovati nel Grande Archivio, possiamo dire che non si mancò di venire alla «forgiudica» per parecchi di loro, e non sempre in sèguito di indizii gravissimi. Come abbiamo accennato altrove, con questa parola «forgiudica», parola non giuridica ma di uso comune nel Regno, s'intendeva di costituire gl'inquisiti fuori ogni adito al giudizio, ovvero di giudicarli fuori giudizio, se a questo non si presentassero fra un certo termine; il quale termine le Costituzioni del Regno prescrivevano dover essere un anno, ma la licenza del Principe potea ridurre a pochi giorni e perfino ad ore! Si pubblicavano i bandi per citare gl'inquisiti a comparire personalmente «ad informare ed a' capitoli», e i bandi, intrinsecamente mortali, erano connessi all'annotazione de' beni: fatta poi e letta la sentenza, i rei si avevano per confessi, non potevano appellarsi nè supplicare, nè erano ascoltati nella causa principale; si ritenevano morti e i loro beni venivano confiscati, ognuno poteva ucciderli impunemente e i loro cadaveri non potevano esser seppeliti, potevano bensì, con certe regole, essere rilasciati per l'anatomia. Del resto, tanto prima che dopo la sentenza, si potevano opporre non poche eccezioni e capitoli, sia dagl'inquisiti medesimi, sia da' loro consanguinei. Una prima lettera Vicereale concesse a Marc'Antonio d'Aponte facoltà di dichiarare forgiudicati, con termine abbreviato, parecchi che a relazione di lui e di D. Giovanni Sances erano stati dichiarati contumaci ad informandum et ad capitula nella causa della «sedutione de congiura»: la lettera reca la data del 31 dicembre 1599. I contumaci erano: «Alexandro tranfo di tropea, Gio. francesco d'alexandria di Monte lione, Marco ant.o Contestabile di stilo, Matteo famareda di Catanzaro, Geronimo baldaya di Squillace, pietro paulo santa guida, Antonio verlino di S.ta Caterina, francesco antonio de lo Joyo di girifalco et Tolivio de lo doce de satriano»: il Vicerè accordava «di possere abreviare il termine dela forgiudicatione alli sopradetti contumaci, prefigendoli termine di giorni venti à comparere… non obstante la constitution del Regno, che vole il circolo dell'anno per possere declarare forgiudicati»50. Riesce certamente notevole il non vedere compreso in questo elenco l'amico intimo del Campanella e compare di Maurizio, Gio. Gregorio Prestinace: ma venne più tardi anche la volta sua; abbiamo difatti rinvenuta un'altra lettera nel senso medesimo, esclusivamente per lui, ma scritta circa dieci mesi dopo la sopradetta, nell'ottobre 1600, e ciò conferma che pure da questo lato il lavoro fu lungo51. Con ogni probabilità non mancarono altre deliberazioni contro altri contumaci di Calabria: le evidenti e sconfortanti lacune, che presentano le scritture rimasteci nel Grande Archivio, ci autorizzano a ritenerlo. D'altronde l'elenco soprariferito ci presenta non solo nomi d'individui de' quali abbiamo avuto notizie più o meno ampie dagli Atti processuali che ci sono rimasti, ma anche qualche nome d'individuo che ci riesce del tutto nuovo. Non parliamo di Marcantonio Contestabile e di Gio. Francesco d'Alessandria, citati ampiamente da moltissimi testimoni: ricordiamo soltanto che il Famareda fu citato da Fabio di Lauro come particolare amico ed ospite di Maurizio de Rinaldis, il Baldaia fu perquisito e trovato possessore di una lettera di Maurizio a Gio. Francesco Ferraima e di poi citato dal Vitale qual complice in colloquio con Maurizio e raccoglitore di fuorusciti per conto di lui, il Dell'Joy fu citato dal Biblia e poi dal Mileri come complice in colloquio col Campanella e fra Dionisio, il Dolce fu citato dal Pistacchio come compagno di Maurizio nell'andata a Davoli, il Santaguida fu citato da più testimoni come uno degl'individui di S.ta Caterina i quali salirono sulle galere turche e vi rimasero più di un'ora, ciò che verosimilmente fece del pari il Verlino (leg. Merlino) anch' egli di S.ta Caterina. Ma quell'Alessandro Tranfo non si rinviene citato da alcuno negli Atti processuali in nostro potere finoggi, e ciò mostra che non conosciamo davvero quanto si fece pe' laici, e che ve ne furono altri, forse in numero ragguardevole, tuttora rimasti ignoti. Notiamo qui che documenti da noi trovati ci mostrano questo Alessandro Tranfo, figlio di Jacovo Giovanni Barone di Precacore (o Crepacore) e di S. Agata, qualificato Barone egli medesimo poco dopo il periodo di tempo di cui trattiamo, con ogni probabilità per «refutazione» fattagli dal padre, il quale morì più tardi, nel 161152. A tempo della congiura avrebbe avuto appena 19 anni, e dovè essere di quelli ricercati da Maurizio dopo il convegno di Davoli, allorchè Maurizio andò in giro per parlare a Gio. Battista Soldano (egualmente di Tropea) e ad altri. Insieme col Barone di Cropani, egli va compreso nel gruppo dei «Baroni Provinciali», che secondo il Giannone parteciparono alla congiura del Campanella «in numero ben grande», e non furono da lui nominati nella sua Istoria civile per rispetto alle loro famiglie: noi pertanto conosciamo solamente i due anzidetti, e dobbiamo dire che ve ne furono senza dubbio parecchi altri. Dietro laboriose ricerche siamo veramente pervenuti a sapere che varie famiglie dei carcerati di Calabria possedevano feudi rustici, e basterà citare i feudi di Guarna e Palermiti per gli Striveri, Pantano Pratovecchio e Tornafranza pe' Susanna, Caiazza pe' Salerno, Montalto pe' Dolce, S. Andrea con Turchisi e Caria pe' Vella imparentati mercè matrimonio a Gio. Gregorio Prestinace; ma non ci consta che a que' tempi i possessori di feudi rustici si fregiassero del titolo di Baroni, e ci sembra chiaro doversi dire che più individui siano rimasti ignoti, avendo la congiura, o almeno la repressione della congiura, avuto proporzioni assai più larghe di quelle che siamo in grado di ammettere finoggi, come per altro apparisce assai bene dall'estensione del territorio che diede inquisiti. Del resto, se non sappiamo i nomi de' molti Baroni propriamente detti, sappiamo che molti tra' carcerati appartenevano a famiglie nobili riconosciute: basterà fare avvertire che tra' soli carcerati di Catanzaro, oltre quelli sopra nominati, anche il Franza, i due Cordova, il Famareda, il Giovino, appartenevano a «famiglie nobili serrate», come rilevasi dal D'Amato, che ne fa distinta menzione e ne offre i rispettivi stemmi53. – Notiamo poi che il tribunale di Napoli, coll'anzidetto elenco di forgiudicati, ci si mostra più severo di quello di Calabria: poichè se pel Baldaia, lasciato dapprima in pace, emerse la testimonianza posteriore del Vitale che aggravò gl'indizii contro di lui, pel Merlino e pel Santaguida non s'intende quali nuovi indizii fossero venuti in campo, mentre un altro Santaguida ecclesiastico, come vedremo a suo tempo, fu incolpato dello stesso fatto e subito apparve catturato senza fondamento. Dobbiamo del resto aggiungere, che se fu spiegata tanta severità per alcuni, nessun provvedimento risulta preso per altri non meno gravemente indiziati, come in verità è accaduto sempre in tali faccende sino a' giorni nostri. Ognuno p. es. crederebbe che i fuorusciti nominati dal Campanella nella sua Dichiarazione scritta, i figli di Jacobo Grasso, il figlio di Nino Martino, Carlo Bravo, i Baroni di Reggio, fossero stati immancabilmente perseguitati; lo stesso si crederebbe p. es. per Geronimo Camarda, colto nientemeno che in corrispondenza con Claudio Crispo; invece documenti che abbiamo trovato intorno a tutti costoro mostrano persecuzioni e catture pe' loro delitti comuni, senza che sia mai citato il delitto di ribellione, onde si deve conchiudere che da questo lato siano stati veramente lasciati in pace. Ma di ciò più tardi, quando con la nostra narrazione giungeremo agli anni successivi, ne' quali vedremo da una parte assoluzioni e rilasci, da un'altra parte la cattura e l'invio in Napoli di taluno de' forgiudicati sopradetti e del rispettivo manutengolo.

Sorgeva intanto il nuovo anno 1600, e il Breve Papale, per cominciare a procedere contro gli ecclesiastici, non arrivava ancora. Come dicevamo, durante l'aspettativa, il Vicerè aveva interceduto a Roma per l'assoluzione del Principe di Scilla dalla scomunica che il Vescovo di Mileto gli aveva già da un pezzo inflitta; in pari tempo aveva sempre continuato ad insistere presso il Nunzio per la venuta del Vescovo medesimo in Napoli. Da Roma fu presto data al Nunzio, fin dal 22 dicembre, la facoltà di assolvere il Principe, a patto che fossero state già adempite tutte le necessarie condizioni. E il Principe venne assoluto, e in tale occasione egli medesimo fece istanza che venissero assoluti egualmente il suo Vice-Principe dottor Fabrizio Poerio e D. Luise Xarava, i quali erano stati scomunicati insieme con lui. Questo fu pure più tardi concesso, e con lungo giro eseguito pel Poerio, mercè facoltà trasmessa all'Arcivescovo di Reggio, ma non risulta che sia stato eseguito del pari per lo Xarava, il quale sappiamo che assai più tardi, nel 1605, richiese al Gran Duca di Toscana che gli ottenesse da S. S.ta la dispensa da qualunque irregolarità commessa pel passato54: così non a torto il Campanella scrisse essere stato lo Xarava perseverante nella scomunica. Arrivava poi nella capitale, la prima settimana del nuovo anno, il Vescovo di Mileto, che aveva impiegato circa un mese per venirsene a tutto suo comodo da Calabria, onde il Vicerè pretendeva doversi ritenerlo contumace. Una lettera del Nunzio, in data 11 gennaio 1600, narra tutti i particolari dell'udienza datagli dal Vicerè, essendovi lui pure intervenuto, e ci fa conoscere gli appunti e le ammonizioni dal lato del Vicerè, e le discolpe e la richiesta di un passaporto dal lato del Vescovo, con la conclusione del rilascio del passaporto senza difficoltà. Uno degli appunti che riesce importante per la nostra narrazione fu questo, che il Vescovo «desse occasione di sospettar di lui, come haveva fatto adesso col difendere qualch'uno di quelli che si pretendevono complici della ribellione seguìta in Calabria; come era un Clerico Cesare Pisano, in favore del quale si trovava fatto ex officio un Processo per Giustificatione del suo Clericato per essimerlo dalla Corte Secolare quando si trattava d'un negotio così grave». Il Vescovo disse «che il Processo del Clericato di quel Cesare era stato fatto avanti si sapesse nulla della congiura, ò ribellione, ad altro fine come poteva vedersi»55. Ma finalmente, nella stessa data 11 gennaio, arrivò pure il Breve Papale, e D. Pietro de Vera lo portò di persona al Nunzio. E già costoro si disponevano a dare cominciamento al processo, quando il Vicerè, avuto il Breve, e trovandosi ancora in Napoli il Vescovo di Mileto, diede improvvisamente ordine che Cesare Pisano fosse giustiziato.

Il Pisano, secondo il solito, fu tradotto alle carceri della Vicaria, e un documento, che abbiamo allegato al processo di eresia, ce lo mostra il sabato 15 gennaio 1600 entro la cappella segreta di quelle carceri, in presenza de' Rev.di Orazio Venezia, Curzio Palumbo e Geronimo Perruccio, ufficiali della Curia Arcivescovile appartenenti alla Congregazione diocesana del S.to Officio, alla quale, mediante i Confrati bianchi, vicino ad essere giustiziato, egli avea fatto istanza di voler confessare per disgravio della sua coscienza. La lunga confessione che egli fece, e che secondo lo stile del S.to Officio è detta denunzia poichè in fondo con essa riusciva a denunziare sè medesimo e gli altri, lo rivela turbato, confuso, in qualche punto speciale contradittorio, ma nel complesso coerente in tutte le cose di eresia che altre volte avea deposte, con qualche rettificazione verso fra Dionisio, con qualche circostanza aggravante verso il Campanella ed anche verso sè medesimo, riconoscendo di aver creduto a quelle opinioni, la qual cosa aveva altra volta negata. I lettori troveranno questa confessione riportata nella sua integrità tra gli altri Documenti, e potranno scorgere le varianti in raffronto delle deposizioni anteriori56; qui basterà citarne i punti più importanti per la nostra narrazione. Intorno al Campanella, egli rivelò che fra Tommaso, nelle carceri di Squillace, gli avea raccomandato di non voler «ruinare li amici» col suo esame, quando non poteva salvare sè stesso; che inoltre, a tempo della gita da Monasterace a Stilo (cosa da lui precedentemente negata) fra Tommaso gli avea parlato dell'analogia de' nostri corpi con quelli dei cavalli e giumente, e della conversione delle anime nostre «in non essere» non trovandosi inferno, purgatorio e paradiso, ma circa l'esistenza di Dio avea detto dovergli bastare quanto gli aveano comunicato que' frati, essendo cose troppo alte per poterle capire; infine accennò all'essere stato visitato da fra Tommaso nelle carceri di Castelvetere a' primi tempi della sua carcerazione. Intorno a fra Dionisio, revocò di aver saputo da lui le cattive relazioni tra S. Giovanni e Gesù, ma non altro che questo, e intorno a fra Bitonto e fra Jatrinoli non revocò nulla; che anzi ripetè ancora una volta tutti i discorsi di eresie fatti da' frati da lui accompagnati nelle gite a Bagnara e a Messina, e poi a Stignano in casa Grillo etc., come pure i discorsi consimili da lui stesso tenuti nelle carceri di Castelvetere col Gagliardo, che vi partecipava, e col Santacroce, col Marrapodi e coll'Adimari, che egli voleva indurre in quelle opinioni, delle quali infine si pentiva e voleva far penitenza, vedendo «di havere da morire fra breve termino». Tutto ciò dovè sembrare di troppa gravità agli ufficiali della Curia, i quali non presero alcuna risoluzione; sicchè l'indomani, 16 gennaio, intervenne il Vicario Arcivescovile in persona, Ercole Vaccari, che poi troveremo come Giudice nella causa dell'eresia, e costui, fatta qualche altra interrogazione, decretò che per rendere valida la deposizione anche

contro i complici «et ad omnem alium bonum finem et effectum» fosse al Pisano amministrata la tortura con la corda per un ottavo di ora. Ed immediatamente la tortura venne amministrata, ed i lettori troveranno fra' Documenti il primo processo verbale di questo genere. Spogliato, legato ed attaccato alla corda, di poi tratto in alto, il Pisano dovè più volte dichiarare che le cose dette erano vere, verissime; e soggiunse «lhò ditto per scaricarmi in tutto è per tutto la conscientia, è per salvarmi l'anima, et se non l'havesse ditto, lo tornaria a dire». Poi soggiunse ancora: «Monsignor mio, misericordia, che hò ditto la verità, et sono quattro giorni che non hò mangiato, è mi trovo debole»; ed allora, con la solita formola, il Vicario ordinò che fosse deposto, che gli fossero accomodate le braccia e venisse rivestito, quindi lo condannò come eretico formale, imponendogli l'abiura ed alcune penitenze «in questo poco spacio di tempo di vita» che gli rimaneva. La sentenza fu subito letta dal Mastrodatti della Curia Gio. Camillo Prezioso, l'abiura fatta e sottoscritta dal Pisano e l'assoluzione data dal Vaccari, nell'Audienza criminale della Vicaria. – Ma in pari tempo anche i Confrati bianchi ricevevano dal Pisano talune «esculpationi» intorno alla congiura, come ci mostra il documento relativo alla sua esecuzione, e queste meritano bene di essere ricordate57. In fondo il Pisano si ritrattava sul conto di talune persone che avea nominate ne' tormenti sofferti in Squillace, e negli «ultimi tormenti» sofferti in Gerace. In Squillace egli avea dichiarato che il fratello di Orazio Santacroce avrebbe dato aiuto «al trattato della rebellione», ed inoltre che avea parlato pure con Geronimo Conia di detto trattato, e questo non era vero. In Gerace avea dichiarato che i fratelli Moretti consentivano al trattato e che fra Dionisio glie l'avea detto, come pure che Gio. Angelo Marrapodi avea promesso di portar gente in aiuto, e tutto questo nemmeno era vero. – Tali furono gli atti estremi del Pisano, che nel medesimo giorno, malgrado fosse di Domenica, venne condotto al supplizio; ci corre pertanto il debito di giudicarli. A rigore, la confessione delle eresie potrebbe dirsi fatta con la speranza di suscitare direttamente nel S.to Officio la premura di avocare la causa al suo tribunale, e quindi intercedere perchè l'esecuzione fosse sospesa; tuttavia il tenore di essa è tale da poterla credere sincera, mostrando un uomo per quanto turbato altrettanto scevro d'illusioni, mentre d'altra parte tutta la vita anteriore di lui ce lo rivela di costumi tristi, ma leggiero più che malizioso. Le discolpe poi intorno alla congiura, le quali attenuano la responsabilità di parecchi ed anche esonerano perfino fra Dionisio circa un punto speciale, non fanno motto nè del Gagliardo, nè del Bitonto, nè del Jatrinoli, e però implicano evidentemente una conferma dell'esistenza del concerto per la ribellione: se non era vero che il tale e il tal altro vi avessero avuta parte o che ve l'avessero avuta nella misura prima deposta, era vero che vi avessero avuta parte in una misura più circoscritta e che ve l'avessero avuta tutti i rimanenti. Di certo non gli era mancata l'opportunità di disdirsi in tutto e per tutto, e gli sarebbe riuscito tanto più facile il farlo in poche parole qualora la coscienza glie l'avesse consentito. Dopo ciò bisogna dire che fu assai male informato il Campanella, quando nella sua Narrazione scrisse che «il Pisano si ritrattò più volte, e poi dicendo che l'heresia lo havea salvato, lo fecero morir di domenica, avanti che si presentasse la bolla del clericato per lunedì, e nella sua morte si scommosse il cielo el mare, e s'annegaro 8 navi e galere in porto di Napoli». Che propriamente nella notte del 16 gennaio, ed anzi sull'alba del 17, vi sia stato un uragano, pel quale perirono in Napoli 7 navi e diverse altre egualmente nelle spiagge vicine, è ricordato da' nostri Storici, e meglio anche dagli Agenti di Toscana e di Venezia ne' loro Carteggi, e su ciò non v'è nulla da dire58. Che l'esecuzione sia stata fatta di Domenica per ragione non del Vicerè ma del S.to Officio, si rileva da quanto abbiamo narrato con la scorta de' documenti autentici ed anche dal documento de' Bianchi che dice: «a questa giustitia andò la compagnia il sabato prima 15 del mese et aspettò sino a 2 hore di notte, et poi fu licenziata per non possere l'afflitto essere assoluto del s.to officio». Che non la bolla ma l'informazione del clericato abbia dovuto già essere stata esibita al tribunale innanzi questa data, si è visto dall'averne il Vicerè fatto perfino un appunto al Vescovo di Mileto. Che infine il Pisano non siasi ritrattato mai, ed invece con una desolante persistenza abbia ripetuto, più o meno, le cose dell'eresia e della congiura innanzi qualsiasi tribunale, è accertato da tutti gli esami e rivelazioni che di lui possediamo, e precisamente nella persona di lui la raccolta che possediamo è completa.

45.Ved. Doc. 40, pag. 44.
46.Ved. Doc. 244 pag. 141-142-143; D. 247 pag. 159; D. 248 p. 160-161; D. 250 p. 163; D. 252 p. 166; D. 263 p. 175; D. 265 p. 182; D. 266 p. 184.
47.Ved. Doc. 40, pag. 44.
48.Ved. la Lett. al Card.l Farnese e quella latina al Papa e Cardinali, Arch. Storico Italiano 1866 p. 59 e 82.
49.Ved. Copia ms. de' processi eccles. tom. 1.o fol. 132.
50.Ved. Doc. 217, pag. 115.
51.Ved. Doc. 218, pag. 115.
52.Nella Numerazione de' fuochi di Tropea per l'anno 1595, vol. 1398 della collezione, si legge: «n.o 60. M. Jacovo Giovanne Tranfo a. 65; M. Ipolita Barone moglie a. 56; (*) M. Alessandro f.o a. 15; Isabella f.a a. 18; Cassandra f.a a. 11; Caterina schiava a. 30; Pietro schiavo an. 35; Giovanne schiavo a. 10; Fabritio schiavo a. 5. [ Barone de la terra de crepacore (sic) et del Casale de sant'Agata» etc. – Per la successione di Alessandro Tranfo al padre ved. i Rog. delle Significatorie de' Relevii. – Un altro documento intorno a lui troverà posto nel sèguito della narrazione.]
53.Ved. D'Amato, Memorie historiche dell'illustr.ma famos.ma e fedel.ma città di Catanzaro, Nap. 1670.
54.Ved. i nostri Doc. 83, 86, 89, pag. 61, 63, 64; e le notizie date nella nota a pag. 127 del vol. 1o di questa narrazione.
55.Ved. Doc. 81, pag. 59.
56.Ved. Doc. 306, pag. 248.
57.Ved. Doc. 238, pag. 124.
58.Ved. nell'Arch. Mediceo, filz. 4087, Let.ra del Battaglino del 18 gennaio 1600: «Horrendo spettacolo hebbi hieri nella mia loggia col veder perire inesorabilmente sette navi con quantità di marinari, fra esse è il galeone di Giorgio d'ulista carico di grani di Puglia come le altre cinque navi; il settimo fu un vascello Brettone chiamato da' nostri Vecchietti c'havea cominciato a caricar alberi et remi per andar in Spagna» etc. Un'altra del Turamini, ibid. stessa data, lo ripete. Inoltre ved. la Lett. dello Scaramelli, stessa data; Doc. 188, pag. 96.
Возрастное ограничение:
12+
Дата выхода на Литрес:
28 сентября 2017
Объем:
850 стр. 1 иллюстрация
Правообладатель:
Public Domain

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