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Читать книгу: «Fra Tommaso Campanella, Vol. 2», страница 5

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I particolari del supplizio del Pisano ci vengono forniti dallo stesso documento dell'Archivio de' Bianchi. Col lunghissimo giro altrove accennato, dalla Vicaria «s'andò per palazzo»; e si eseguì la «giustitia per ordine di S. E. ad appiccare et squartare vicino la guardiola del Castello». Anche nelle scritture di S.to Officio relative alle persone di questa causa, troviamo che Felice Gagliardo, menzionando Cesare Pisano, lo disse «giustitiato al largo del Castello»59. Così quest'infelice giovane, di 26 anni, servì di spettacolo non solo al popolo della fedelissima città, ma anche a' suoi compagni di sventura, che dalle carceri del Castello doveano vederlo. E meritano pure di essere notate ed interpetrate due circostanze che si trovano riferite dal Residente Veneto60. La prima, che il Vicerè fece affrettare l'esecuzione, poichè il Pisano nelle carceri avea disegnato di avvelenare Maurizio, il quale continuava a svelare il negozio della congiura; e fu questa verosimilmente una voce sparsa dal Governo medesimo, per giustificare un abuso giurisdizionale aggravato anche dal modo tenuto. La seconda, che il Pisano, essendo prete, fu impiccato in abito di prete; e questa circostanza dovè esser vera unicamente nel senso che si fece andare il Pisano al patibolo col ferraiolo nero di clerico; poichè non solo trovasi attestato dalla lettera del Residente il fatto dell'impiccato coll'abito di prete, ma anche trovasi riferito da tutti gli Avvisi del tempo essere stato impiccato un sacerdote, anzi lo stesso Campanella, ciò che significa esservi stata tale credenza, originata verosimilmente dal fatto dell'abito, che va interpetrato come uno sfregio inflitto al potere ecclesiastico. – Per certo il Nunzio ebbe a rimanere duramente deluso nella sua aspettativa intorno al Pisano, e non se ne potè neanche lagnare immediatamente in Corte, essendosene il Vicerè andato fuori Napoli: ne fece bensì risentimento con D. Giovanni Sances, e ne diè conto al Card.l S. Giorgio con la sua lettera del 21 gennaio, senza far motto della circostanza dell'abito di clerico fatto indossare al Pisano. Più tardi potè parlarne al Vicerè, il quale disse che di queste cose se ne rimetteva a' suoi ufficiali e che non avea saputo nulla di tale esecuzione; ed al Nunzio parve che le sue lagnanze avessero lasciato il Vicerè «confuso» e perciò si era espresso in quel modo «punto verisimile»! Per non intralciare la narrazione, aggiungiamo che ancora più tardi ne dovè dar conto egualmente al Card.l di S.ta Severina, il quale glie ne scrisse inculcando di risentirsene; ed egli fece del pari conoscere di averne già parlato al Vicerè, e di essergli stato da lui risposto «che non haveva saputa tal esecutione», come pure di averne parlato a' Ministri e di esserne costoro «rimasti confusi ad ogni modo»61. In verità bisogna dire che il Nunzio non rifuggiva dai concetti più arrischiati, quando si trattava di scusare la sua non rara indolenza in queste materie così delicate, che egli aveva per lo meno il torto di mettere allo stesso livello de' negozii ordinarii. Due volte la Compagnia de' Bianchi era andata in Vicaria pel Pisano, due volte il S.to Officio si era trattenuto col povero condannato, e il Nunzio non ne avea saputo nulla. Il vero è che egli soleva scansare ad ogni costo le imprese laboriose: così avea fatto pel Caccìa, così fece pel Pisano, così lo vedremo fare anche in qualche altra occasione.

III. Intanto, dietro l'arrivo del Breve Papale, il tribunale della congiura per gli ecclesiastici si costituiva, e sollecitamente cominciava a funzionare. L'11 gennaio il Breve era stato presentato al Nunzio da D. Pietro de Vera e letto da entrambi; il 16 la nomina del medesimo D. Giovanni Sances per fiscale e di Marcello Barrese per Mastrodatti fu trasmessa ufficialmente, da parte del Vicerè, a D. Pietro de Vera con l'incarico di comunicarla al Nunzio; il 18 si tenne la prima seduta. Queste date risultano dagli Atti che si conservano in Firenze, posti al sèguito del Breve, parzialmente anche dal Carteggio del Nunzio, e dal Carteggio del Vicerè, infine da un documento che abbiamo rinvenuto nell'Archivio di Stato62: ma prima d'inoltrarci nella narrazione di ciò che si fece nel tribunale, non sarà inutile dare un'occhiata al Breve. Esso vedesi diretto al Vescovo di Troia Nunzio Apostolico e a Pietro de Vera Consigliere, e reca la data dell'8 gennaio. Con quella dicitura contorta e stentata di Marcello Vestrio Barbiano Segretario de' Brevi, e con quel piglio altiero ed ingiurioso tanto comune ad incontrarsi ne' documenti della Curia, Clemente VIII comincia dal ricordare la partecipazione avuta «pocofà» dal Vicerè, che taluni frati e clerici «figli dell'iniquità» aveano cospirato nello Stato del carissimo figlio Filippo e trattato di dare la Calabria «nelle mani de' turchi nemici del nome cristiano», e la dimanda dello stesso Vicerè, che si fosse degnato di provvedere con la benignità Apostolica perchè i parecchi carcerati avessero il meritato gastigo; ond'egli stimando que' «ribaldi e sediziosi uomini indegni dell'immunità e libertà ecclesiastica», concede alla fraternità del Vescovo, e alla discrezione di Pietro, facoltà di esaminare carcerati e carcerandi, complici, testi etc. Finquì ognuno avrà notato quel «pocofà» da doversi riferire a tre mesi indietro, una definizione della congiura che la Curia sapeva da un pezzo non esser la vera con qualche sospetto che la congiura medesima fosse destituita di fondamento, inoltre una durezza estrema di linguaggio verso individui i quali tuttora non erano che semplici imputati: si faccia un confronto col linguaggio tenuto dal Vicerè nell'istituire il tribunale pe' laici (Doc. 209 p. 109) e si vegga la differenza. Ma cosa voleva dire quell'essere i ribaldi e sediziosi uomini indegni dell'ecclesiastica immunità? Era forse un tribunale laico quello che s'istituiva per essi? Senza dubbio si derogava ai Canoni e alla procedura ordinaria, massime coll'intervento del Fiscale Sances e del Mastrodatti Barrese, individui laici nominati dal Vicerè; ma coloro i quali doveano in ultima analisi giudicare e sentenziare erano sempre il Nunzio, giudice naturale segnatamente de' frati, e il de Vera clerico, proposto dal Vicerè ma nominato giudice dal Papa, e quindi funzionario Papale, precisamente come p. es. erano i Vescovi proposti dal Governo e nominati dal Papa senza potersi dire perciò funzionarii Governativi. Difatti «Commissarii Apostolici, Delegati Apostolici», si dissero poi sempre il Nunzio e il De Vera, e solo per le facoltà avute direttamente dal Papa essi furono in grado di esaminare gl'imputati, prescrivere i tormenti, emettere le sentenze; se il Campanella in sèguito pose sempre innanzi il Sances e le sue crudeltà, è chiaro che lo fece unicamente per mettere nell'ombra le persone e le crudeltà de' Commissarii Apostolici de' quali non gli conveniva sparlare. Si chiami dunque «tribunale misto» il tribunale creato col Breve, ma s'intenda bene la costituzione sua, e non se ne sconosca la natura al punto da attribuire al Governo Vicereale ciò che esso fece: sicuramente esso fu costituito in modo da dover servire in tutto e per tutto il Governo Vicereale, ma rimanendo pur sempre un tribunale i cui Giudici funzionavano in nome del Papa, coll'autorità avuta dal Papa. Non meno importante poi riesce il notare l'estensione de' poteri accordati a questi Giudici verso gli inquisiti: concediamo, diceva il Breve, facoltà «di sottoporli alla tortura ed altri tormenti giusta le disposizioni del dritto… di procedere fino alla sentenza esclusivamente, e di consegnare e rilasciare alla Curia secolare, senza pericolo di censure… colpiti dalle condegne pene giusta le sanzioni canoniche coloro i quali a voi sia constato essere legittimamente convinti e confessi». Ecco un abbandono insolito di ciò che le Autorità, tanto ecclesiastiche quanto laiche, ordinariamente si riserbavano; ma si noti che i Delegati potevano agire fino alla sentenza di condanna «esclusivamente», sicchè quando una tale sentenza si fosse dovuta emettere, sarebbe occorsa l'approvazione del Papa. Con ciò risulta chiarita anche meglio la natura del tribunale; e s'intende che l'approvazione del Papa non sarebbe mancata, ma s'intende pure che per salvare l'apparenza della superiorità ecclesiastica, il Papa consentiva ad assumere di dritto la responsabilità di ciò che sarebbe avvenuto, mentre abbandonava di fatto gli ecclesiastici inquisiti all'influenza prepotente del Governo Vicereale; non si neghi dunque tale responsabilità, e si riconosca questo abbandono del Campanella e socii fin dal momento della istituzione del tribunale col detto Breve. – Poniamo qui che il Campanella, nella sua Narrazione e poi anche in una delle sue lettere pubblicate dal Baldacchini63, disse questo Breve «sorrettitio ch'esponea ribellione», ed affermò che «el S. Papa Clemente 8.o donò licenza che si facesse questa causa nelli carceri regi per confrontar li frati con li laici carcerati e mostrar che lui non era consapevole». In verità la concessione del Breve fu indipendente dal fatto della confronta, che venne in campo più tardi; quanto poi all'esporre ribellione, certamente il Breve non poteva esporre altro, e solamente avrebbe potuto esporla in migliori termini; sappiamo poi che già da un pezzo il Governo Vicereale si era mostrato o aveva finto di mostrarsi persuaso che il Papa non fosse consapevole della congiura. Assai meglio di questo avrebbe potuto il Campanella dire intorno al Breve; ma, come sempre, nelle parole di lui bisogna leggere lo sforzo costante di appoggiarsi a qualunque specie di argomento, e al tempo medesimo di non dare motivi di disgusto al Papa, dal quale soltanto potea sperare la sua liberazione.

Dicevamo che il 17 e 18 gennaio si tennero le prime sedute del tribunale. Probabilmente il 17 si tenne seduta preparatoria facendo la rassegna degli Atti raccolti a carico degl'inquisiti, ma il 18 si produsse il rescritto Vicereale che nominava il Sances e il Barrese, e si deliberò di conservarlo ed eseguirlo, quindi si dovè subito metter mano all'interrogatorio del Campanella: così venne iniziato il 4.o ed ultimo volume di tutto il processo, consacrato appunto alla causa della congiura per gli ecclesiastici. La «deposizione» del Campanella è solo menzionata negli Atti esistenti in Firenze, e ciò si spiega con la circostanza che essa risultò negativa: quegli Atti per altro mostrano che si estese dal fol. 3 a 9 del volume e quindi fu molto lunga64. Una lettera del Nunzio, in data del 21 gennaio, fa conoscere precisamente che il Campanella negava, e che forse l'indomani si sarebbe fatta la confronta: «sono stato, egli dice, già due volte con il Sig.r D. Pietro di Vera in Castello, et essaminato (sic) fra Thomaso Campanella il quale stà sù la negativa, ma hà tanti che gli testificano contro, de' quali forse domani si farà la confrontatione, che credo bisognerà si risolva à dir il fatto come stà circa la congiura, et ribellione». Ma la confronta si fece solamente il giorno 23 gennaio, come risulta da una lettera del medesimo Nunzio scritta l'indomani, e non vi furono altri Atti fra l'esame del Campanella e la confronta, vedendosi questa occupare nel volume il fol. 10 ed 11, come è notato negli Atti sopra menzionati. Si ricominciò coll'esame del Campanella rammentandogli la Dichiarazione da lui scritta, ed egli, secondo il Nunzio, la negò egualmente, ed allora si venne alla confronta; ma forse il Nunzio volle dire che negò la ribellione della quale aveva altra volta scritto, e non deve far meraviglia questa distrazione da parte del Nunzio, che sempre, così nella causa della congiura come in quella dell'eresia, lasciò fare a' suoi colleghi, intervenendo solo in qualche occasione nella quale gli pareva che potesse «far conoscere la superiorità ecclesiastica». Ecco come egli riferì il fatto nella sua lettera del 24 gennaio. «.. Hieri stando pur frà Thomaso Campanella sù la negativa, etiam d'una narratione del fatto scritta di sua mano sin nel principio che fu preso, se gli condusse à petto, et per riscontro cinque, et particolarmente un' Mauritio de Rinaldi che fù quello che condotto alle forche si risolvette à dire spontaneamente, et per scarico di conscienza, tutto quello che sempre havea negato nei tormenti, il quale disse sul viso à detto Campanella il trattato della Ribellione che havevano havuto insieme, e che per questo era stato sù le Galere Turchesche, e tutto quello ch'era seguito; et egli pure stette sù la negativa, onde il fiscale fece instanza che si venisse à tortura»65. Prima d'inoltrarci nell'incidente della tortura, dobbiamo dire che se nel giorno suddetto vi furono soltanto cinque confronte come il Nunzio asserì, ve ne furono di poi altre due, poichè sette ce ne mostrano fuori ogni dubbio, successivamente avvenute, gli Atti esistenti in Firenze; da' quali apparisce pure che queste confronte non durarono a lungo, occupando appena il fol. 10 ed 11 del volume66. Difatti, secondo la procedura che costantemente accade d'incontrare in qualunque processo del tempo, s'introduceva il teste, gli si deferiva il giuramento in presenza dell'inquisito, gli si dimandava se conoscesse costui, e verificatosi che lo conosceva, gli si dimandava in termini generali se le cose che avea deposte contro di lui fossero vere; ed allora, riuscendo negativa la confronta, mentre il teste diceva che tutto era vero, verissimo, l'inquisito diceva che non era vero, che tutto era bugia, che il teste ne mentiva per la gola; così la confronta finiva in pochi momenti. I sette confrontati furono, oltre Maurizio, Gio. Tommaso di Franza, Gio. Paolo di Cordova, Tommaso Tirotta, Felice Gagliardo, Geronimo Conia, fra Silvestro di Lauriana. Le parole del Nunzio sopra riportate ci mostrano che Maurizio, alla presenza del Campanella, non dovè limitarsi alla semplice rafferma della sua confessione in termini generali, ma trasportato dal suo zelo per l'anima dovè rammentare qualche cosa del progetto e de' preparativi di ribellione, e segnatamente dell'andata sulle galere turche deliberata d'accordo con lui. Quanto a Gio. Tommaso di Franza, Gio. Paolo di Cordova e Tommaso Tirotta, evidentemente la loro confronta dovè servire a raffermare il fatto del convegno di Davoli e de' discorsi ivi tenuti; quanto a Felice Gagliardo e Geronimo Conia, la loro confronta dovè raffermare segnatamente il fatto della visita del Campanella a Cesare Pisano nelle carceri di Castelvetere e le parole ivi scambiate, giacchè vedremo essere stato questo uno dei principali capi dell'accusa che il fiscale scrisse contro il Campanella. Infine quanto al Lauriana, la sua confronta dovè raffermare il fatto del convegno di Pizzoni e delle parole del Campanella ai congregati, ed è manifesto che al cospetto de' Giudici caddero tutti i proponimenti di ritrattazione che il Lauriana aveva esternati al Campanella. Vedremo altre confronte di altri inquisiti col Campanella nel tratto successivo: intanto già fin dalle prime confronte il fiscale dimandò a' Giudici che si ordinasse di amministrare la tortura, ma il Nunzio volle che prima se ne informasse S. S.tà per ottenerne la licenza.

Ecco in che modo il Nunzio riferì questo incidente. «.. Il fiscale fece instanza che si venisse à tortura, et mettendogli io in consideratione che se il detto Campanella domandava la copia delli inditii non vedevo come se li potessero negare, disse, e mostrò che secondo l'uso della Vicaria e di tutte l'udienze di Regno, ne casi così enormi si veniva à tortura per il processo informativo… et che anche questo si era fatto nell'ultimo caso di ribellione dove intervenne un deputato dalla sedia Apostolica et che me lo mostrerebbe; gli replicai che era più espediente saper sopra questo il comandamento di S. S.tà che ne può dispensare, et però mi son risoluto à scriverne per la staffetta, tanto più quanto intendo che questo medesimo è stato usato dalli Offitiali dell'Arcivescovato in casi d'importanza, et è stato ottenuto licenza di poter venire à tortura nel processo informativo senza farne altra copia, che certo conosco che in questo negotio sarebbe cosa di molta difficoltà, e lunghezza, ma non voglia (sic) consentire à nulla di straordinario secondo l'uso di quà senza particolare ordine il quale desidero quanto prima, acciò il negotio si possa tirar avanti conforme al desiderio del sig.r Vicerè». Abbiamo voluto riportare per intero questo brano di lettera, per potere ben valutare l'incidente. Da esso si dovrebbe inferire che fosse ben poca nel Nunzio la conoscenza del dritto e la pratica del tribunale, mentre pure ne presedeva uno e di non poco rilievo. Poichè se la Curia Arcivescovile ne' casi importanti doveva ottenere licenza da Roma per amministrare la tortura durante il processo informativo, senza dare all'inquisito la copia degl'indizii, ciò accadeva perchè ne' casi importanti la Curia Romana voleva essere intesa di tutto, e dirigere essa medesima il processo in ogni sua parte. D'altronde l'amministrare la tortura durante il processo informativo non era un uso particolare di Napoli, bensì un principio riconosciuto da tutti i Giuristi, ogni qual volta si trattasse di casi gravissimi e specialmente di lesa Maestà. Adunque la tortura dimandata dal fiscale, nel caso del Campanella, non usciva da' limiti del dritto e delle facoltà date dal Papa a' Giudici col suo Breve, essendovi tra le altre quella di poter sottoporre gl'inquisiti «alla tortura ed altri tormenti giusta le disposizioni del dritto». Non potendosi ammettere nel Nunzio tanta ignoranza del dritto, bisogna piuttosto conchiudere che egli abbia voluto dar prova di saper sostenere la superiorità ecclesiastica, mostrando che in tutto si doveva dipendere da Roma; e con ciò non giovava alla causa del Campanella e socii, ma la danneggiava senza dubbio, poichè rinfocolava la sorda diffidenza della Corte di Napoli verso quella di Roma nella faccenda de' frati. Bisogna tener presenti queste cose, poichè esse influirono certamente sulla condotta ulteriore del Governo Vicereale. – La richiesta della nuova facoltà per dare la tortura al Campanella fu subito fatta dal Nunzio, mediante una staffetta spedita dal Vicerè, e si ebbe cura di farla in modo da comprendervi anche gli altri, che il Nunzio in una sua lettera di sollecitazione, in data del 4 febbraio, qualificava «inditiati per non dir convinti». Naturalmente la richiesta venne accordata senza la menoma difficoltà, trattandosi di una quistione di forma, non di sostanza; ma la lettera che l'accordava si fece attendere alcuni giorni.

Intanto il tribunale non perdeva tempo. Dopo l'esame e le confronte suddette del Campanella, immediatamente dopo, si venne all'esame di fra Dionisio, come si rileva dal trovare la deposizione di costui, negli Atti conservati in Firenze, notata col fol. 12 del volume67: anche di essa per altro quegli Atti non dànno che la semplice menzione, e certamente perchè risultò del pari negativa. Se non c'è una lacuna, del resto poco notevole, nelle notizie dei folii del volume, dopo fra Dionisio fu esaminato fra Gio. Battista di Pizzoni. Dichiarazioni fatte più tardi nel processo di eresia massime da fra Dionisio68, quindi ripetute dal Campanella nelle sue Difese69 e poi ancora nella Narrazione, tenderebbero a far credere che le cose fossero passate nel modo seguente. Il Pizzoni dapprima si ritrattò, onde fu posto in una fossa, dove col carbone scrisse sul muro il suo nome aggiungendovi «positus ut dicat mendacium ad instantiam fiscalium»; ma il Lauriana dalle carceri del civile, dietro il consiglio di un dottore Domenico Monaco, che là si trovava e che aveva consigliato lui stesso a non ritrattarsi perchè sarebbe stato punito come falsario, potè con lo stesso argomento indurre il Pizzoni a revocare la ritrattazione; così uno o due giorni dopo costui dimandò di essere udito di nuovo e revocò quanto avea dapprima ritrattato. Di tutto questo non si ha veramente notizia negli Atti sopra citati; solo vi si trova l'esame del Pizzoni qualificato «deposizione ultima di fra Gio. Battista che accetta quella fatta innanzi al Vescovo di Gerace», e da ciò potrebbe desumersi che le suddette dichiarazioni esprimessero il vero. Ma dobbiamo notare che possediamo tale deposizione di fra Gio. Battista integralmente riportata nel processo di eresia, perocchè venne trasmessa in copia dall'uno all'altro tribunale, e non vi scorgiamo alcuno indizio di un esame anteriore che con essa il Pizzoni si facesse a revocare70. La deposizione porta la data del 29 gennaio. I Giudici dimandano dapprima, «come si ritrova esso deposante carcerato in questo Regio Castello», ed egli dichiara come e quando e da chi venne carcerato in Calabria «acciò deponesse… contra fra Thomase Campanella et fra Dionisio Ponsio de le cose, che esso deposante havea denuntiato tanto al'Avvocato fiscale di Calavria in scritto quanto per lettre al Generale»: poi, dietro altre dimande, dice di essere stato già esaminato dal Visitatore ed anche dal Vescovo di Gerace e si rimette a questi esami, spiega come non depose già per timore ed insiste ad atteggiarsi a denunziante, rettifica la parola «complici» che fu scritta nel suo esame a proposito degli altri frati da lui nominati, nega assolutamente di aver mai consentito alla ribellione, dicendo che piuttosto vorrebbe gli «fosse stata tagliata la lingua». Vedremo or ora che ben diversamente fu redatto il processo verbale dell'esame del Petrolo, il quale davvero prima si ritrattò e poi revocò la ritrattazione: ad ogni modo, la deposizione del Pizzoni che rimase e servì nello svolgimento ulteriore del processo fu quella sopradetta. – Non appena raccolta tale deposizione, fu immantinente chiamato il Campanella per fare la confronta, e come sempre era avvenuto, il Pizzoni disse che era vero quanto avea dichiarato nelle sue deposizioni contro di lui, e il Campanella disse che egli mentiva per la gola. Si passò allora alla confronta del Pizzoni con fra Dionisio; quindi si fece la confronta del Lauriana con lo stesso fra Dionisio, e il risultamento fu sempre identico, come si rileva dagli Atti che pubblichiamo tra i Documenti71.

Nel giorno medesimo 29 gennaio si venne anche all'esame di fra Domenico Petrolo, e costui positivamente si ritrattò, ma poi revocò la ritrattazione aggravando fuor di misura la condizione del Campanella. Possediamo egualmente questi Atti nella loro integrità, giacchè vennero inserti in copia nel processo di eresia72. I Giudici dimandarono, al solito, come e perchè egli si trovasse carcerato, e il Petrolo rispose che credeva essere stato carcerato per deporre contro il Campanella: poi, dietro altre dimande, rispose di aver deposto che il Campanella volea ribellare la provincia di Calabria coll'aiuto de' turchi e de' fuorusciti, di averlo deposto a suggerimento di fra Cornelio, che lo persuase di dirlo per non essere maltrattato in Calabria e venir rimesso a' proprii superiori; quindi espose tutte le circostanze della sua fuga insieme col Campanella temendo che Maurizio volesse ammazzarlo, tutte le circostanze della loro cattura e carcerazione. Ma i Giudici gli obiettarono che avea deposto spontaneamente e poi avea ratificato la deposizione innanzi al Vescovo di Gerace, ed egli rispose che non avea ratificato nulla e che quanto avea deposto non era vero; infine gli dimandarono se era vero che avesse concertato col Campanella di ribellare la Calabria e farla repubblica, ed egli rispose, «non è vero, Giesù»! Si può ritenere per certo che i Giudici fecero allora porre il Petrolo nella fossa, onde egli ben presto si raccomandò al carceriere, dicendo che volea manifestare la verità. – Così nella seduta del 31 gennaio il Petrolo fu sottoposto a un nuovo esame; e nel processo verbale trovasi consacrato che, essendo venuti i Giudici, il carceriere fece loro intendere il desiderio del Petrolo, e che costui tradotto nel luogo dell'Audienza ed interrogato se volesse manifestare la verità come avea dichiarato, disse di avere negato il primo esame per le minacce fattegli dal Campanella a nome suo ed anche a nome di fra Dionisio in più circostanze. E cominciò dal riferire i motti latini scambiati tra il Campanella e lui durante il tragitto da Squillace a Gerace, la cartolina mandatagli dal Campanella appunto in Gerace, l'ambasciata fattagli a Monteleone per mezzo del Pisano, le parole direttegli in Napoli dalla finestra del carcere; inoltre riferì le sollecitazioni avute perchè deponesse falsamente contro Mesuraca, il Principe della Roccella e Giulio Contestabile, e concluse che dubitando di poterne aver danno si era ritrattato. Lettogli quindi il primo esame, lo confermò, rettificando ed aggiungendo qualche cosa pur sempre a carico del Campanella ed a scusa propria. Così disse che solo il Campanella gli avea manifestato più liberamente doversi far ribellare Catanzaro, ma «lo dì prima della cattura»; che poi «alla Roccella» gli avea manifestato aver lui, il Campanella, questi pensieri nello stomaco da tredici anni e fin d'allora averli comunicati a fra Dionisio, avere inoltre mandato fra Dionisio alla Piana per mettere in ordine la gente e i fuorusciti, infine venire per lui trenta vascelli turchi dietro le trattative fatte da Maurizio, con altre circostanze relative a' fatti e detti di que' giorni. Interrogato aggiunse pure che il Campanella avea detto bastargli essere amico di Maurizio perchè i turchi non lo facessero schiavo; ed aggiunse inoltre spontaneamente, che una volta in Stilo essendosi il Campanella vantato di aver fatto nominare dodici Vescovi, ed avendogli lui detto «piacesse a Dio che tu fossi fatto Cardinale per fare bene a noi altri», il Campanella avea risposto, «io Cardinale? io voglio fare altri Cardinali, et non aspettare che me faccino à me». Fu questa la deposizione ultima del Petrolo, la quale, come ben si vede, riassumeva in brevissimi tratti perfino la storia de' disegni del Campanella, senza tralasciare nemmeno di far capire l'altissimo grado che egli si riserbava nel nuovo Stato da doversi fondare: e comparando i fatti accennati dal Petrolo con quanto sappiamo da tutti gli altri fonti, tenendo presente l'indole stessa del Petrolo, si può conchiudere che egli non abbia mentito, eccettochè nell'asserire di aver ben conosciuti i disegni della congiura solamente negli ultimi giorni e alla Roccella. Pertanto i Giudici fecero subito una confronta del Petrolo col Campanella, come si rileva da' soliti Atti, ne' quali la «deposizione» o «seconda deposizione» del Petrolo trovasi notata co' fol. 18 a 20, e la confronta col fol. 2173. Si ebbe così la nona ed ultima confronta in persona del Campanella, e non sarà strano l'ammettere che il risultamento di essa sia stato pur sempre identico a quello delle altre.

Molto probabilmente allora appunto, il 31 gennaio, essendosi mostrato negativo con tanta ostinazione, il Campanella venne rinchiuso a sua volta nella fossa, donde non fu tratto che per essere sottoposto alla tortura: e veramente, nella sua Narrazione, il Campanella ne parla come di un fatto avvenuto dopo le confronte di Maurizio non solo con lui ma anche con fra Dionisio, ciò che sappiamo essere avvenuto immediatamente dopo la confronta sua col Petrolo. Ecco in che modo egli racconta il fatto. «Per questo il Sances credendosi haver trionfato di tutta la causa, pose il Campanella dentro la fossa del niglio in Castelnovo, che và quasi sotto mare, oscurissima humidissima dicendoli e facendoli dire che senza altro havea a morire e li davan de mangiar malamente solo una volta il giorno, stava con li ferri alle gambe, dormia in terra; e li vennero flussi di sangue. E così infermo poi lo posero nel tormento». Non stentiamo a credere che la fossa in cui venne posto il Campanella sia stata la più terribile, detta del coccodrillo, ovvero anche del miglio, non niglio come si legge nella Narrazione74. La menzione di questa fossa risale al tempo degli Aragonesi e vedesi continuata fino a' giorni nostri, senza per altro poter dire dove essa sia veramente stata, giacchè parrebbe essersi successivamente così chiamata ogni fossa molto profonda e quasi del tutto oscura; notiamo solamente esser probabile che il livello sottomarino di detta fossa sia stato asserito dietro la nozione della profondità dell'intero fossato, dove ne' primi tempi, come abbiamo accennato in altro luogo, potevasi immettere l'acqua del mare. Vedremo che il Campanella vi rimase solo per una settimana.

Intanto si fece ancora qualche confronta e segnatamente quella di Maurizio con fra Dionisio: subito dopo si esaminò pure il Bitonto, e non può esser dubbio che risultò parimente negativo; quindi si passò a fra Paolo della Grotteria, intorno al quale sappiamo di certo che negò ogni cosa75. Non apparisce poi che siano stati esaminati nè fra Pietro di Stilo nè fra Pietro Ponzio: ne' Riassunti degl'indizii compilati contro di essi, come contro diversi altri, non è ricordata una loro deposizione in qualunque senso, a differenza di quanto si vede per quelli sopra nominati e per qualche altro ancora. Apparisce invece essere stato esaminato fra Scipione Politi, il quale disse che avea conosciuto il Campanella, e che nel gennaio 99 lo andò a visitare per averne una lettera in favore di un suo parente, e poi, essendo l'ora molto tarda, rimase a dormire con lui; che più volte andò a visitarlo di nuovo per parlargli di cose letterarie, ma non gli riuscì possibile per le molte persone che si trattenevano con lui, «et precise quando stava con Gio. Gregorio Prestinaci, et Gio. Jacovo Sabinis, si ponea à ragionare con quelli et lasciava tutti». Aggiunse che dopo la venuta di Carlo Spinelli si era detto «che lo fra Tomase, fra Dionisio, Mauritio et altri forasciti trattavano di dare, primo si disse, in poter del Papa questo Regno, et poi si disse che lo volevano dare in mano deli Turchi, et l'hà inteso generalmente, ma dopò che fu carcerato frà Tomase, l'intese dire questo dal Capitan Francesco Plotino, et si dicea, che Mauritio havea trattato con li Turchi et fra Dionisio ancora, et frà Tomase con altre persune et forasciti seu delinquenti»76. Così questo fra Scipione, già intimo del Campanella, se la cavò felicemente, e non può dirsi che il tribunale sia stato severo con lui.

59.Ved. la nostra Copia ms. de' processi eccles. tom. 2.o fol. 236.
60.Ved. il Doc. anzid.to
61.Ved. Doc. 85 pag. 62, e Doc. 88 pag. 63.
62.Ved. il Breve e gli altri Atti suddetti ne' Doc. 242 e 243 pag. 129; le Lett. del Nunzio degli 11 e 21 gennaio, Doc. 81 e 83, pag, 60 e 61; la Let. Vicereale de' 18 gennaio, Doc. 40 pag. 44; e l'altra Let. scritta d'ordine del Vicerè egualmente il 18 gennaio, Doc. 216 pag. 115.
63.Ved. in Baldacchini la Lett. a Cassiano del Pozzo del 25 giugno 1624.
64.Ved. Doc. 244, pag. 143.
65.Ved. Doc. 84, pag. 61.
66.Loc. cit. Doc. 244, pag. 143.
67.Ved. Doc. 247, pag. 160.
68.Ved. Doc. 376, pag. 387.
69.Ved. Doc. 401, pag. 485.
70.Ved. Doc. 378, pag. 389.
71.Ved. Doc. 379, pag. 390.
72.Ved. Doc. 380, pag. 391.
73.Ved. Doc. 252, pag. 167.
74.È questo uno de' punti della Narrazione che gioverebbe rivedere. Il Capialbi lesse niglio, ed aggiunse in nota «niglio, coccodrillo», citando l'Afflitto (Scrittori del Regno di Napoli, pag. 46, art. Acquaviva) che avrebbe forse alluso alla medesima fossa. Ma non ci è noto che la parola plebea niglio corrisponda a coccodrillo, bensì sappiamo che corrisponde a nibbio, sparviero; e l'Afflitto dice fossa del miglio, ed egualmente dice il Confratello de' Bianchi di giustizia che ci lasciò il ricordo degli ultimi momenti di fra Tommaso Pignatelli.
75.Ved. Doc. 254, pag. 170.
76.Ved. Doc. 256, pag. 172.
Возрастное ограничение:
12+
Дата выхода на Литрес:
28 сентября 2017
Объем:
850 стр. 1 иллюстрация
Правообладатель:
Public Domain

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