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Gerolamo Rovetta
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VII

Rinvenuta un poco dallo sgomento di quella scoperta, la poveretta ebbe qualche conforto dal dubbio.

Dubitò delle parole di sua figlia, dubitò della colpa di suo marito. Quelle parole – for ever – non avrebbero potuto, alle volte, essere inspirate da una simpatia vaga?… E se proprio sotto c’era un affetto, non poteva essere un affetto meritevole di perdono, scusabile forse?… Ma in questo modo, per quanto Maria lo desiderasse, non riuscì lungamente a ingannarsi. Messa in sull’avviso, non ebbe che ad osservare, attentamente osservare, per accertarsi della verità.

Maria non era innamorata di Prospero; ma quella scoperta non doveva perciò riuscire meno dolorosa. Il suo affetto di madre, la sua dignità di donna e di moglie, avevano ricevuto un grave oltraggio. Non era innamorata di Prospero, ma gli voleva bene; lo stimava, e aveva bisogno di stimarlo, perchè era il padre della sua creatura, e perchè l’onore di quest’uomo era pure il suo onore. Non era innamorata di Prospero; ma Prospero era suo marito… Ricordava che ieri, ieri ancora, egli l’aveva avuta fra le sue braccia… e pensando adesso che non vi era stata desiderata dall’amore, ma dai sensi, vedeva l’occhio di lui fissarla curioso, disamorato: lo vedeva cercar confronti, invocare altre orme, e il suo pudore, il suo orgoglio ne soffrivano amaramente.

Che cosa fare?…

Il primo pensiero fu quello di fuggire da suo marito, perchè le faceva orrore.

Fuggire?… E Lalla? Lalla la sua figliuola? Lalla piccina ancora? Avrebbe potuto dividerla dal padre? Avrebbe potuto dividerla dalla mamma sua? Avrebbe potuto lei abbandonarla? No; Maria era madre; madre sempre e prima d’ogni altra cosa, e con questo affetto si sentiva rialzar pura, quasi redenta dall’oltraggio patito.

Ma… che fare?… Vederlo ancora?… Continuare a star con lui?

La sua mente si perdeva, l’animo suo ondeggiava in mille dubbi. Ella da sè sola non riusciva a connettere le idee, e non sapeva nemmeno a chi ricorrere per consiglio. Nessuno avrebbe potuto o voluto aiutarla; e poi di nessuno ella stessa si sarebbe fidata.

– Di nessuno?… No, Giorgio mi consiglierà: di lui posso fidarmi. – Con questo pensiero Maria ritrovò un po’ di calma; il suo volto turbato si ricompose ed ebbe un sorriso di speranza e di sollievo.

– Giorgio?… sì, Giorgio! Ecco spiegato adesso il suo contegno, la sua freddezza con Prospero, – andava pensando fra sè. – Egli certo sapeva ogni cosa; e il suo carattere franco() e onesto soffriva nel vedermi offesa così vilmente. Ed io… che invece dubitavo di Giorgio e della sua amicizia! Ah! Ma ora gli dirò tutto, mi confiderò con lui interamente, e farò… farò tutto quello che egli mi consiglierà di fare.

Dopo una tale risoluzione, Maria scrisse sul momento al conte Della Valle, senza riflettere al passo gravissimo che stava per fare, il seguente biglietto:

«Venite subito da me: ho scoperto tutto e ho tanto tanto bisogno di consigliarmi con voi. – Maria.»

Piegata, suggellata la lettera, fatto l’indirizzo, suonò: poco dopo entrò la cameriera.

– Chi c’è in anticamera? – le chiese Maria, ancora colla voce malferma.

– Giacomo e Lorenzo.

– Mandami Lorenzo.

La cameriera uscì e ritornò quasi subito introducendo un servitorello dai quattordici ai sedici anni.

Era costui un figliuolo della nutrice di Lalla, che aveva ottenuto di entrare al servizio della duchessa, e le era fedele come un cagnolino.

– Sapete, Lorenzo, dove sta di casa il conte Della Valle?

Il ragazzo strinse gli occhi e chinò la testa, pensando, poi, dopo un momento, rispose:

– Sì, signora duchessa. Ora me ne ricordo. Sta in via dei Fiesolani, in quel palazzone vecchio, di faccia alla chiesa di San Filippo.

– Va bene. Gli porterete questa lettera. Se non è in casa, aspettate che ritorni; ma non dovete consegnarla che nelle sue mani.

Rimasta sola nuovamente. Maria raccolse le carte, le buste, le penne sparse sullo scrittoio, e le richiuse in una piccola scatoletta intarsiata.

Ma, in questo punto, un pensiero che le giunse improvviso le fece prima corrugare la fronte; poi le sue guance, quasi sempre pallidissime, diventarono rosse, di bragia, e corse ella stessa in cerca di Giacomo, fin nell’anticamera.

– Lorenzo è già andato?… – domandò al servo affannata.

– Sì, signora duchessa.

– Correte presto! fermatelo! Ch’egli ritorni qui sul momento!

Non aveva terminato di parlare, che già il servitore, fatta a salti la scala, usciva di casa, e dopo pochi minuti, che a Maria, la quale stava ansiosa ad aspettare dietro i vetri della finestra, sembrarono eterni, ritornava indietro con Lorenzo, il quale teneva ancora tra le mani la lettera per il conte Della Valle. Maria, vedendola, respirò liberamente.

– Devo aspettare? – domandò Lorenzo, quando ebbe ebbe restituita la lettera alla duchessa.

– No, non occorre, andate pure.

Era assai forte il turbamento ch’ella provava allora, con quel bigliettino fra le mani; perchè era esso appunto la causa di tanta agitazione.

Sapeva di averlo scritto in un momento di febbre, senza pesarne le parole; e però Lorenzo non era ancor uscito dal palazzo, ch’ella già cominciando a riflettere, sentì subito il timore di aver commessa un’imprudenza. Quanto più ci pensava, tanto meno sapeva rendersi ragione di tutta quella fretta di scrivere al conte Della Valle di quel partito preso così sui due piedi. – Guai, guai, se Giacomo non fosse arrivato in tempo a fermar la lettera!… – A mano a mano la sua inquietudine diventava sgomento, e la imprudenza commessa diventava sempre più grande nella sua mente… – Guai, guai, se Giacomo non fosse arrivato in tempo!… – Pure, anche quando finalmente la lettera le fu restituita intatta, Maria non riebbe la calma.

Era angustiata dal timore e oppressa da una soggezione strana: guardava la lettera, che teneva sempre chiusa in mano, voleva aprirla e non sapeva risolversi, non osava. Finalmente, si fe’ coraggio, stracciò la busta:

– Venite subito da me: ho scoperto tutto e ho tanto tanto bisogno di consigliarmi con voi. – Ma s’egli non sapesse nulla, pensava, ho io il diritto di metterlo a parte di un segreto che è il segreto di mio marito? – Ho bisogno di consigliarmi con voi! – Consigliarmi con lui?… No. Io sola devo difendere il mio onore, e poi, non ho forse lo zio a cui rivolgermi, lo zio che mi fu padre e che ho dimenticato!… Il dolore dunque rende ingrati; perchè sono stata ingrata col mio unico parente, e mi sono rivolta per aiuto, per consiglio, a chi?… ad un estraneo!… Un estraneo?… Eppure… scrivendo a Giorgio, ho provato un grande conforto. Ho sentito nel mio cuore che potrei ancora perdonare, che potrei ancora essere felice… Felice?… per lui dunque?!… Ah! mio Dio! mio Dio! sarebbe possibile?!…

Maria, atterrita, interrogò il suo cuore, e il cuore, duramente, tanto era inesorabile quella risposta, tanto era angosciosa per la poveretta che ormai non poteva più dubitarne, il cuore duramente rispose che ella amava.

– Sono perduta! è più forte di me! sono perduta! – esclamò piangendo disperata; e allora sentì che nessuno al mondo, nemmeno le carezze di Lalla, avrebbero potuto farle dimenticare quel nuovo affetto che, scorto appena nella improvvisa vicenda dei suoi dolori, già cresciuto gigante, la padroneggiava.

– Ed io, io che non voleva perdonare…

In questo punto, ricordando la colpa di suo marito, le sembrò quasi che una mano vigorosa le stringesse il cuore, così da soffocarne ogni palpito. Quella colpa le sembrò odiosa, e la sua virtù, il suo orgoglio, la sua fierezza si ribellarono contro la sua propria passione.

Fu una lotta accanita, crudele; ma ne uscì vittoriosa. Piangendo sempre, perchè quel sacrificio era enorme, era uno di quei sacrifici che uccidono: non consolata ma sicura; colla fede, che tante volte è l’unica difesa della donna, pregò Dio, invocò sua madre per sè, per la propria creatura…

Mentre Maria pregava e piangeva, senza ch’ella se ne accorgesse, si aprì lentamente l’uscio della sua camera, e Lalla, che da due ore non riusciva a spiegarsi quel mistero d’ordini e di contro ordini, cacciò fuori adagio adagio il suo scarno visetto, con gli occhi vivi, pieni di furberia e di malizia, fra le tende della portiera, trattenendo il respiro, tentando di capire, fra i singhiozzi della mamma, che cosa fosse accaduto di nuovo.

Ma quella poveretta non pregava con le labbra, pregava col cuore: e così fu delusa, allora e sempre, la curiosità della piccola imprudente.

VIII

Quantunque Maria rimanesse vincente dopo quella lotta, comprese tuttavia che il nemico, se si era ritirato, era per altro troppo forte, e non si poteva fare a fidanza con lui. Una risoluzione occorreva prenderla, e la risoluzione fu presa: quella di allontanarsi da Giorgio.

Riordinò le idee, ponderò bene i suoi disegni, e quando il duca d’Eleda ritornò dalla Camera, fu avvertito che la duchessa lo aspettava e che voleva parlargli.

A tale annuncio. Prospero Anatolio si fermò sui due piedi. La novità della cosa, sua moglie che lo faceva chiamare nelle sue stanze e la coscienza che gli rimordeva, non predicevano nulla di buono. Sentì invece che lo aspettava un quarto d’ora assai difficile. Dubitò della lealtà di Giorgio, delle maligne confidenze di una troppo tenera amica, della stessa perspicacia di sua moglie, e a buon conto preparò la sua difesa.

– Maria minaccerà una tragedia – pensava egli fra sè e sè. – Avrò una scena di lacrime, di gelosie… e, se devo dire la verità, me lo merito proprio. Sono adorato da una moglie che tutti m’invidiano; ed io invece… Già, sicuro, sono molto colpevole. Del resto, Maria non sa fin dove son arrivato; è troppo ingenua per sospettarlo, e così posso ancora difendermi, accusando la solita maldicenza… Povera donna tanto innamorata! – e Prospero Anatolio, mentre, preceduto da Lorenzo, entrava nella stanza della duchessa, si compiaceva ad ammirare la sua figura di Don Giovanni attempatuccio, riflessa dagli specchi delle portiere.

– Mi hai fatto chiamare? – chiese a Maria appena furono soli; e per anticipare le tenerezze, si chinò (ella era seduta) e un bacio le sfiorò i capelli.

Maria si alzò vivamente.

– Che c’è di nuovo? – esclamò il duca stizzito.

– Devo parlarti di cose serie.

– Serie proprio?

– Molto serie.

– Allora sentiamo.

– Io conto di partir subito per Santo Fiore. Vi resterò molto tempo. Almeno fino a che Lalla abbia compiuta la sua educazione.

– Scherzi?

– No: ti prego di dare gli ordini necessari.

– Ci siamo, sa tutto! – pensò Prospero Anatolio; e poi riprese subito, fingendo una gran maraviglia:

– Come? Vuoi andare a Santo Fiore?… ma io non posso lasciar la Camera!

– So bene. Partirò sola, con Lalla e con miss Dill.

– Mi vuoi separare da te, dalla figliuola?…

– È necessario…

– Non credo… ascoltami, cara – e Prospero Anatolio prese e strinse con tenerezza la mano di Maria, – ti supplico, interroga il tuo cuore, e dimmi se…

– No, no! – interruppe la duchessa – il cuore… non c’entra. Raccomandiamoci invece allo spirito di tutti e due, per non essere costretti a spiegazioni che è meglio lasciare sottintese.

– No, sei in errore, Maria; il tuo cuore e il tuo amor proprio avranno da guadagnare da una mia confessione intera e sincera.

– Non ti comprendo.

– Non vuoi comprendermi, piuttosto. Mi hanno accusato, mi hanno calunniato, lo capisco benissimo: mi hanno accusato, e tu mi condanni subito, alla cieca, senza volermi ascoltare, senza concedermi nessuna difesa!

– Non ci furono nè accuse, ne calunnie… Io non ti condanno, e non so davvero che cosa tu mi debba confessare.

Prospero Anatolio capì di essere andato troppo oltre; ma il ritirarsi era ormai impossibile.

– Perchè dunque vuoi partire così subito e così improvvisamente?

– Ciò riguarda me sola.

– No, riguarda me pure. È un puntiglio, un capriccio, e voglio sapere il perchè!

Maria alzò il capo e guardò fissamente il marito. La bonacciona timida e paurosa di Borghignano era sparita; col viso pallido, con un sorriso freddo, un po’ anche sarcastico, pareva un’altra donna. Il duca sentì un così gran cambiamento, senza poterlo spiegare; lo subì, senza volerlo riconoscere.

– Dunque? Aspetto una risposta; – e Prospero Anatolio si sforzò per rimanere impassibile.

– Amo Giorgio Della Valle – rispose lentamente Maria, senza tremiti nella voce, senza muover ciglio, senza arrossire. Dinanzi alla colpa, infame e ipocrita, del duca, ella si sentiva forte, si sentiva fiera del suo amore così alto, così puro. – Amo Giorgio Della Valle; e non voglio che questo affetto, il quale ha saputo vincere il mio cuore, vinca un giorno anche la mia coscienza, e voglio fuggire.

Prospero Anatolio impallidì, ma si contenne; poi, cessato il primo sbalordimento, si persuase non esser altro che una finzione colla quale Maria voleva ottenere la propria rivincita e vendicarsi. Tuttavia, era una commedia che gli spiaceva molto.

– Volendo risparmiarti l’incomodo di cambiar domicilio – rispose a Maria dopo un momento, – ci sarebbe un altro modo per difenderti, e… per salvarti, come dici.

– Quale?

– Mettere alla porta il Conte Della Valle.

– Faresti capire a Giorgio ciò che è e dev’essere sempre un mistero per lui e per tutti.

– Chi sa? Più fortunato degli altri, nostro cugino avrebbe potuto indovinare l’arcano.

– No, non credo almeno – rispose con calma. Maria, senza voler notare l’insinuazione contenuta nelle parole del marito.

Questi, arrabbiatissimo, cominciò a gridare per difendersi; ma, poichè non sapeva bene che cosa dire, se n’andò brontolando e sbattendo l’uscio con gran dispetto.

Ritornato nel suo studio, e dopo essersi sfogato un poco, egli si mise a passeggiare su e giù, pensando al modo di levarsi d’impaccio col minor danno. Temeva poi anche, – le chiacchiere già, correvano sul fatto suo – che la partenza di Maria facesse troppo rumore e ne seguisse uno scandalo.

– Bisogna impedire questa partenza: bisogna impedirla assolutamente.

Ma come fare?

Il duca aveva fatto il giro dello studio, in lungo e in largo un centinaio di volte, senza aver trovato un buon ripiego. Di tanto in tanto, a ogni nuovo pensiero che gli si affacciava alla mente, si fermava su due piedi, fissando il soffitto, e meditando; poi scrollava il capo e ricominciava a passeggiare, sempre più annuvolandosi. Così passò un’ora, un’ora e mezzo, due, quando a un tratto il suo volto si rischiarò:

– Ah! ah! – borbottò fra sè, sorridendo: – mia moglie vuol confondermi? Per lo meno le insegnerò che sono sempre un uomo di spirito!… – Vano e leggero, il duca d’Eleda teneva di più a parere un uomo di spirito, che non ad essere un uomo onesto.

In fretta, senza chiamare il servo, indossò il soprabito e uscì di casa.

– Via de’ Fiesolani! palazzo Castiglione! – gridò al cocchiere montando nella prima carrozza vuota che incontrò per la strada.

IX

Il d’Eleda pensava di adoperare Giorgio Della Valle come intermediario ufficioso presso Maria. Giorgio sapeva già ogni cosa; dunque, confidandosi con lui, fosse amico o nemico, non arrischiava molto. Di più Maria per vendicarsi aveva finto con lui di essere innamorata ed egli con quella mossa da scaltro diplomatico rompeva la trama dell’innocente commediola.

– Ma… e se Maria non avesse mentito? – Era questa un’ipotesi sulla quale egli non avrebbe voluto fermarsi nemmeno: un’ipotesi stupida, assurda… che per altro intorbidiva, di tanto in tanto, tutto il sereno del suo ragionare.

– Che! che!… non è possibile; Maria non avrebbe confessato, se fosse proprio stato vero!… – Ad ogni modo, pensò che egli avrebbe capito la verità dal contegno di Giorgio, ed anche per questo lato il passo che stava per fare era molto abile. Intimamente sicuro, tuttavia un certo dubbio istintivo lo inquietava sempre; e quando poi si trovò alla presenza di Giorgio, cominciò a temere di poter scoprire un qualche indizio compromettente.

Oh, allora guai! la sua vendetta sarebbe stata terribile!

Al primo incontro, tanto il duca quanto il Della Valle si sentivano un po’ impacciati: Giorgio non riusciva a capire che cosa ci fosse sotto a quella visita, e Prospero Anatolio, come succede sempre a chi si trova impegnato in una risoluzione stata presa senza punto riflettere, dubitava di essersi spinto troppo oltre e, potendolo fare, sarebbe tornato indietro volentieri.

– Sono qui – disse infine al conte Della Valle – sono qui a trovarti, perchè ho… ho gran bisogno di te.

– Di me? – E Giorgio, notando l’aria stravolta, gli domandò se, per caso, era corsa una sfida.

– Appunto – rispose il duca, sorridendo – ho un duello!… Accetti di essere il mio primo?

– Volentieri, ma il tuo avversario chi è?…

– È mia moglie. – Così dicendo il duca fissò di traverso i suoi occhietti grigiastri nel volto del giovanotto.

– La duchessa Maria?

– Pur troppo. – E Prospero Anatolio, vedendo che l’altro era soltanto maravigliato, cominciò a respirare più liberamente.

– Allora accetto – rispose Giorgio, il quale aveva capito adesso che cosa doveva esserci di nuovo. – Accetto; ma confessandoti che mi riuscirebbe più facile una requisitoria contro di te, che una difesa.

– Ti ringrazio della franchezza.

– Che posso fare?

– Maria mi accusa, e non vuoi saperne di ascoltare giustificazioni.

– Ma come ha scoperto?

– Chi sa? non s’è voluta spiegare.

– Che cosa ti ha detto?

– Ha cominciato e ha finito, dichiarandomi soltanto che oggi o domani al più tardi vuol ritirarsi a Santo Fiore.

– Bisognerebbe cercare di persuaderla che si è ingannata o che è stata ingannata. La cosa per altro mi sembra difficile.

– Per ciò appunto sono qui a seccarti. Tu dovresti dire a Maria che io non sono… che lei non è… quantunque alcune apparenze abbiano forse potuto far supporre che fra me e quella signora… insomma, mi capisci?…

– Già, già; ho capito.

– E poi…

– E poi? Che cosa?

– Tu dovresti farle notare che il suo disegno è sconveniente sotto ogni rispetto. Per un dubbio soltanto, ella non ha diritto di allontanarmi dalla mia famiglia.

– È vero. La duchessa non può sapere fin dove arriva la tua… cioè la sua… – Giorgio adesso si trovava impacciato, anche lui, a spiegarsi chiaro.

– In secondo luogo – ripigliò il duca – con un tale procedere ella darebbe aiuto ai pettegolezzi e ne potrebbe venire uno scandalo.

– Tenterò di convincerla, e davvero sarebbe il minor male per tutti; ma non avresti qualche altra persona più influente di me?

– No; perchè lo zio, il conte di Santo Fiore, capirai, non mi conviene di metterlo a parte… di adoperarlo in codesto affare. -

– Certo non sarebbe opportuno; tenterò io.

Il conte Della Valle era buono: Prospero Anatolio aveva bisogno di lui, e ciò bastava perchè questi ottenesse l’indulgenza del giovanotto.

– Quando credi che io vada dalla duchessa?

– Anche subito, non c’è tempo da perdere.

Si concluse che il d’Eleda si sarebbe fermato là ad aspettar le novelle.

Come quell’altro aveva fatto prima, adesso anche Giorgio, durante la corsa, studiava tranquillamente il suo piano, non immaginandosi certo di quante commozioni doveva essere feconda, per la povera donna che gli voleva bene, quella visita così inaspettata.

Appena Lorenzo annunziò il conte Della Valle a Maria, ella si fe’ pallida in volto e tutto il sangue le corse al cuore. Pensò di non riceverlo, ma poi riflettendo che in tal caso egli sarebbe tornato, disse a Lorenzo di farlo entrare.

Uscito il servo, sedette per meglio nascondere il tremito convulso da cui era presa; le bastò un minuto per padroneggiarsi, per ricomporsi, e quando Giorgio fu innanzi a lei, la sua voce era tranquilla, la sua mano era ferma. Il giovanotto trovò Maria mutata, – diversa dal solito – la trovò più sostenuta, e, quando egli disse la causa di quella sua visita, fu costretto a notare in lei un vivo malcontento.

– Se io vi parlo di ciò, lo faccio perchè ne fui pregato da Prospero e perchè sentirei di essere per lo meno sconoscente se mi tenessi estraneo a quanto succede nella vostra famiglia. – Giorgio, a mano a mano, sempre più accalorandosi, fece la sua brava difesa, tentando tutti gli argomenti. Parlava col cuore ed era eloquente, perchè in lui la sicurezza di fare un’opera buona suppliva il difetto di convinzione. Maria non parea persuasa, e neanche commossa; ma dentro di lei() c’era un cozzo di affetti, una battaglia angosciosa, indescrivibile. Giorgio le inondava il cuore di una gioia suprema, rivelandosi come lo aveva sognato, onesto, nobile, generoso; ma, nel confronto ch’era costretta a dedurne fra lui e suo marito, confronto che terminava coll’essere troppo favorevole al cugino, la coscienza, giudice severissimo, le faceva scontare quella gioia, rimproverandola, quasi fosse una colpa.

Perchè mai lo aveva fatto Iddio così buono, così diverso da tutti gli altri?… Se invece di difendere con tanto calore suo marito, egli lo avesse accusato tentando di volgere in suo pro la collera della moglie tradita: se invece di confortarla al bene, avesse tentato di sedurla al male, allora… oh, allora, infranto l’ideale, il suo cuore avrebbe riavuta la pace.

Senza menomare i meriti del conte Giorgio, non era Domeneddio che lo faceva sublime; era la donna innamorata, che lo pensava tale in cuor suo. Maria non rifletteva nè punto nè poco, che tutto quel nobile disinteresse nasceva anche dall’indifferenza medesima di Giorgio per lei.

Intanto, mentre la duchessa d’Eleda imparava a sue proprie spese quanto la passione fosse potente, sarebbe stata più proclive di certo all’indulgenza verso il marito s’egli non l’avesse offesa di nuovo andando a scegliere appunto il conte per suo intercessore. Essa gli aveva pur confessato di amarlo e di volerlo fuggire; perchè dunque lo adoperava in quel modo?… Era una derisione o una sfida?

– Scusate, conte – disse interrompendolo a un tratto – scusate, ma non c’intendiamo, mi sembra. Voi, come mio marito poco fa, alludete a cose estranee del tutto, che non influirono punto sulla risoluzione che ho dovuto prendere.

– Nulla di meno…

– Vi prego, dite a Prospero che vi faccia conoscere, s’egli crede di poterlo fare, la cagione, la vera cagione per cui gli ho detto che volevo ritirarmi a Santo Fiore; altrimenti, credetelo, nemmeno noi due non potremo intenderci.

– Riporterò al duca le vostre parole; ma vi assicuro, credevo di godere più influenza presso il vostro cuore. – E un po’ indispettito e mortificato, Giorgio era lì per uscire, quando sulla porta, voltatosi per salutarla, vide gli occhi di Maria pieni di lacrime. Prestamente le ritornò vicino e prendendole tutte e due le mani, con leggera violenza, gliele strinse, baciandole:

– Vi supplico… siate buona… non vi ostinate nel mentire con me; non mi volete forse più bene?… – Lei?… Non volergli più bene?… Poveretta, se lo avesse potuto, si sarebbe attaccata stretta al suo collo, coprendo di baci quegli occhi che sapevano guardarla con tanta soavità.

– Voi, sempre buona – insisteva Giorgio Della Valle – vorreste essere oggi implacabile?

– Vi ho già detto, conte, ciò che dovete ripetere a mio marito.

La duchessa d’Eleda si era fatta di ghiaccio: la commozione, le lacrime erano cessate ad un tratto; ma non mai, come allora, aveva capita la necessità di fuggire.

– Chi spiega le donne? – pensava Giorgio Della Valle, ritornandosene a casa. – Ieri pareva una sorella per me, ed oggi non mi può soffrire. Se veramente fosse stata un’amica, non avrebbe fatti tanti misteri, nè avrebbe mantenuto tutto quel sussiego. Per dire la verità, ella pareva molto offesa, ma poco addolorata. Ci sarebbe dubbio che avesse anche lei più orgoglio che cuore?

– Dunque… fiasco?… – domandò Prospero Anatolio, quando lo vide entrare con una faccia che non lasciava sperare nulla di buono. Prospero, adesso, sapeva fingere con Giorgio abbastanza bene; ma era rimasto là ad aspettarlo con mille sospetti e mille inquietudini nel cuore. Egli vedeva a mano a mano farsi sempre più grave la propria imprudenza e il rischio sempre maggiore. Cominciava a dubitare della lealtà dell’amico, della fedeltà di sua moglie, e si sentiva meno sicuro: ci fu un momento nel quale aveva pensato d’interrompere quel colloquio troppo pericoloso e forse lo avrebbe anche fatto se Giorgio avesse tardato ancor a ritornare.

– Fiasco… irreparabile.

– Come ti ha ricevuto?

– Mi ha ricevuto trattandomi in un certo modo, con una sostenutezza quasi diffidente, che accresceva la scabrosità dell’argomento.

– Almeno le hai potuto parlare?

– Cioè, ho cominciato; ma lei non mi ha lasciato finire, concludendo in poche parole, che non potevamo intenderci se tu prima non mi dicevi il vero motivo per cui essa vuol partire, e vuol partire subito; e che del resto… non ha nulla da perdonarti!

– Ah! Ah! Va bene; va bene. – E suo malgrado, Prospero Anatolio arrossì fino al bianco degli occhi.

– Dimmi la verità, c’è sotto forse qualche altra cosa che non mi hai raccontato?

– Che!… scuse, pretesti, e niente altro! – Ti ringrazio, intanto, dal profondo del cuore – continuò il duca – per la seccatura che ti sei presa; Sei buon testimonio che io volevo usare la persuasione, l’amorevolezza; ma, vedendo, che con ciò non si riesce, cambierò metodo. A conti fatti, il padrone sono io.

– Non dimenticare peraltro che tu, con tua moglie… sarai sempre dalla parte del torto.

– Chi lo dice?

– Tutti.

– Chi mi ha veduto?

– Nessuno.

– Dunque, calunnie.

Ma nonostante tutte le proteste, le minacce, la collera di Prospero Anatolio, la duchessa Maria, rimasta inflessibile, partì il giorno dopo per Santo Fiore, sola con Lalla e con miss Dill; ed egli, benchè contro genio, questa volta dovette pur riprendere la vita di scapolo.

– No, quella donna non mi ha mai amato, come non ama quell’altro, come non amerà mai nessuno, nemmeno un Santo che volesse dannarsi per lei! Non ha sangue nelle vene, non ha che orgoglio – pensava il duca d’Eleda la prima notte che si trovò solo nell’ampio letto matrimoniale, mentre non era capace di pigliar sonno. Inquieto, perduto in quell’imbroglio di trine e coperte, fu preso da un senso di malinconia; in quel silenzio uggioso la cabaletta di un Ernani ubriaco gli riusciva gradita dapprima, come voce amica che lo confortasse nel suo isolamento, e poi finiva, indispettito, col diventare invidioso di quella volgare e spensierata allegrezza. Allora, rannicchiandosi, si tirava le coltri fin sopra la faccia e là, solo solo sentiva di aver freddo. Ma, così raggomitolato nel talamo deserto, mentre il suo corpo a poco a poco si riscaldava, si riscaldava anche la sua fantasia e volgeva a più miti pensieri verso la moglie; egli stesso era pur costretto a riconoscerlo: in quella donna si era rivelato un carattere singolare. – Quanto orgoglio, quanta dignità, quanta fermezza! – Come tutti lo avrebbero invidiato se una tal donna lo avesse potuto amare… una donna così rara e così piacente!… In quegli ultimi giorni, Il dolore, che ella voleva nascondere, l’aveva fatta ancor più pallida e ancora più bella. I suoi occhi profondi erano circondati da una tinta azzurra, cupa, che tradiva veglie angosciose e lacrime invano celate… Rosse le labbra, i bei capelli in disordine e… e il povero marito che la vedeva, in tutto quello scompiglio della vaga persona, disegnarsi viva nel suo pensiero, sentiva i nervi che martellavano, tormentato da tentazioni affannose.

E dire che quella donna era stata sua, là, in quel medesimo letto, accanto a lui; ma allora insensibile a tanta bellezza, sedotto da allettamenti volgari, egli aveva trascurata tutta quella dovizia di voluttà, di passione, ed oggi, oggi che ne capiva il valore, oggi l’aveva perduta per sempre. Per sempre?!… A questa idea credette di soffocare. Gittò con ansia le coperte dal letto e, puntellandosi coi gomiti, si alzò quasi a sedere: guardò intorno, balbettò senza volerlo il nome di lei, e poi con un movimento repentino del capo, fissò trasognato il letto vicino. Ma lì, dove altra volta egli vedeva le coltri fremer di vita, disegnandosi in leggiadre curve, ora quelle, disanimate, tese con una regolarità desolante, annunciavano il vuoto. La nicchia non aveva più la sua statua.

Gli pareva ancora di vederla: com’era cara in quel disordine, del quale egli pure aveva la sua parte di colpa! Egli che si svegliava sempre colla prima luce del mattino, si godeva a spiare la vaga dormente… I capelli biondi, disciolti coprivano quasi tutto il guanciale, disegnandosi in capricciosi errori attorno al collo e sulle spalle seminude. La bocca umida, le guance fatte rosee da una mite traspirazione… Ricordava ancora quel seno turgido e candidissimo che si rialzava ad ogni respiro. Vinto dalla seduzione di quelle memorie, Prospero Anatolio chiuse gli occhi e, piegandosi dove lo trascinava l’immaginazione sua riscaldata, fece l’atto col quale gli piaceva meglio di risvegliare la giovine sposa: Egli con un soffio leggerissimo usava smuovere prima i capelli dalla fronte di lei, poi i riccioli ribelli che le si torcevano sulla nuca moltiplicandosi: accarezzava col fiato quella bocca socchiusa, fresca, ridente, quel seno pulsante di giovinezza; e, in preda sempre alla irritante visione, egli la vide ancora una volta scuotersi con un fremito, aprire gli occhi, guardarlo trasognata; la vide arrossire, sorridere, gettare un grido di bambina, e poi, vergognosa, stringerlo colle bellissime braccia, nascondergli la testa sul petto, coprendogli il volto con una grossa onda di capelli. Ma tutto ciò gli appariva come in un sogno. Maria era sparita… sparita per sempre.

In preda a tanta follia di desideri, Anatolio si rivoltò smaniando nel letto e finì, senza volerlo, col buttarsi là, rannicchiandosi, dove avrebbe voluto la donna; la donna non c’era più, ma le coltri, le lenzuola, tutta insomma quella parte del letto esalava ancora il profumo della sua carne… un profumo caldo, acuto, inebbriante, che lo aveva involto, con fascini occulti, in quella frenesia convulsa e voluttuosa. Ansando, febbricitante, strinse allora, contro il petto villoso, il guanciale di sua moglie; lo baciò, lo morse e: – Mio Dio – balbettò – co… come so… sono infelice!

Возрастное ограничение:
12+
Дата выхода на Литрес:
30 августа 2016
Объем:
500 стр. 1 иллюстрация
Правообладатель:
Public Domain

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