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Читать книгу: «Mater dolorosa», страница 28

Gerolamo Rovetta
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XXXII

Una lugubre notizia commosse ad un tratto tutta la città di Borghignano. Al gran Caffè arrivò, una mattina, come una saetta, in mezzo ad un crocchio di persone che non volevano saperne di malinconie; ma la violenza fu così viva, così inaspettata, che si guardarono in faccia l’un l’altro sbalorditi. Poi ci fu chi pianse, chi si tuffò in un cupo silenzio e chi, stringendosi la fronte, voleva come svegliarsi da un brutto sogno A poco a poco, il triste annunzio corse per ogni via, penetrò in ogni casa, commosse tutti i cuori.

Che colpo! Che disgrazia!… Che tragedia per quella povera famiglia!

Non tutti volevano credere a quanto si narrava: forse era uno sbaglio, una confusione, un equivoco di nomi di casati!… No. – C’era pur troppo chi assicurava con profonda amarezza, che la catastrofe non lasciava dubbio, speranze.

La Della Valle, la contessa Della Valle, Lalla, era morta!

Correvano in folla alla casa sventurata in cerca di notizie. Il portiere, prima di sera, era rimasto senza voce. Aveva cominciato col narrare ai primi arrivati tutti i particolari della gran disgrazia, inventando anche del suo; ma poi, visto che i curiosi si moltiplicavano all’infinito, tagliò corto, limitandosi a scrollare il capo, a sospirare ed a piagnucolare, davanti ad ogni nuovo arrivato.

Le commozioni del funebre annunzio sollevarono un entusiasmo postumo intorno alle virtù e alle doti del cuore e della mente della povera morta.

A Borghignano le debolezze della duchessina per il marchese di Vharè erano state dimenticate, ed ora si ricordava soltanto e si portava ad esempio il suo amore per Giorgio, per la mamma e per il babbo ch’essa idolatrava. Non era più una donnina simpatica, piacente: diventava addirittura una bellezza straordinaria. – Così intelligente! Così buona! Così giovane! – Non aveva ancora vent’anni, la poverina!

Il giorno dei funerali era atteso con molta ansietà: dovevano essere splendidi, e uno della Giunta assicurava che i pompieri, in quella circostanza, avrebbero sfoggiato l’uniforme nuova, che erano tutti curiosissimi di vedere.

La salma della contessa Della Valle sarebbe arrivata a Borghignano due giorni dopo che vi era giunta la notizia della sua morte: Lalla sarebbe stata un’ultima volta, e per poche ore, in casa Della Valle, e di là sarebbe stata condotta al cimitero.

L’Omnibus, aveva pubblicati i telegrammi di condoglianza spediti dal Re al senatore d’Eleda e al deputato Della Valle, e dalla Regina alla duchessa Maria; e questo fatto raddoppiò l’entusiastico dolore della Bertù, della Calandrà e della Prefettessa, che piangevano Lalla come fosse stata la loro amica più cara, e levavano al cielo le sue opere di beneficenza, la sua divozione, il suo spirito, la sua bellezza. Gli occhi rossi, i sospiri, i lamenti erano diventati di prescrizione, e si fecero vedere in teatro, tutte tre, vestite di nero, tenuta che la sera dopo fu imitata da molte signore della buona società di Borghignano. Era diventato di moda l’essere parente di quella morta che aveva fatto tanto colpo. O bene o male, trovavano tutti la maniera d’essere cugini, magari in terzo grado, dell’una o dell’altra famiglia e andavano, venivano, si cacciavano in ogni luogo, in chiesa o in teatro, sul corso o al caffè, per il gusto, per l’ambizione di farsi vedere in lutto. I due Lastafarda approfittarono subito di quella scusa per poter mettere il nastro nero sulla tuba cenere (in gran voga a Milano), e si vedeva sul corso il grave Adamastor, anch’esso con nappe di seta nera. Povero Adamastor! In quel rimpianto ufficiale di circostanza, era il solo che ci avesse sotto il bruno degli ornamenti, anche l’aria melanconica e afflitta.

L’Omnibus, in quella circostanza, assecondò la generale commozione.

Al primo annunzio della triste novella il Frascolini era rimasto come fulminato; ma poi, a poco a poco rinvenne, si acquetò e ne sentì come un senso di sollievo, come un gran peso che gli fosse levato dal cuore. La duchessina non avrebbe più fatto all’amore col Vharè, egli non l’avrebbe più veduta al braccio di suo marito non sarebbe più stato tormentato da quello spasimo che lo spingeva a correrle dietro e a fuggirla, non avrebbe più sofferto quella gelosia e quella brama acuta, pungente, che lo straziava, che lo faceva delirare, che gli metteva il diavolo addosso. Le perdonò dunque il male che gli avea fatto, si lasciò commuovere per la sua fine immatura e cominciò a scrivere un articolo necrologico, forbito, conciso e commovente.

Buttò giù due, tre, quattro colonne di roba, le stracciò, ne scrisse molte altre; capovolse l’articolo, della coda ne fece il cappello e del cappello la coda; ma l’insieme non tornava; la sua testa aveva le vertigini e il suo cuore era in sussulto. Allora pensò che la necrologia gliela avrebbe portata uno dei soliti redattori onorari dell’Omnibus, e intanto pubblicò i telegrammi del Re e della Regina, promettendo, per l’indomani, di parlare più diffusamente delle virtù e dei pregi della Nobile Estinta, – perchè in quel giorno era costretto a deporre la penna per il troppo vivo cordoglio.

Povera Lalla!… in quei mesi aveva tutto dimenticato; era felice, non sognava che il paradiso per deporlo ai piedi del suo Giorgio, se ne sentiva ricompensata con altrettanto amore… e proprio allora che benediva la vita come il sorriso, la felicità e l’amore, era morta!

Il parto era stato difficile, l’avevano operata. Però tutti i consulenti di quel letto di puerpera, assicuravano che la contessa si sarebbe salvata; e infatti fu presto tranquilla e parve riaversi. Il bambino era un bambinone tondo e roseo, grasso e rabbioso, con un gran ciuffo di capelli biondi sulla fronte. Prospero Anatolio lo aveva preso subito fra le braccia, guardandolo ben bene, cercando in quel mostriciattolo il tipo dei d’Eleda, e ve lo trovò certamente, perchè si sentì preso all’improvviso dall’affetto di nonno, e per la prima volta, dopo le contrarietà che aveva subite a proposito del viaggio in Sicilia, cessò d’essere di malumore.

Ma in mezzo a tante speranze e a tanti sorrisi, quando più nessuno tremava per lei, Lalla moriva, colta quasi a tradimento da una febbre spietata. Tutto ciò che mente e cuore umano potevano ideare per trattenere una creatura sulla terra, tutto ciò fu fatto, fu tentato, ma inutilmente; e pochi giorni dopo che la duchessa Maria con Prospero erano arrivati a Nervi non c’era più da poter sperare che in un caso o nella provvidenza divina. – I medici parlarono chiaro, senza ambagi, senza pietà malintesa, e a Lalla, coi singhiozzi serrati in gola e con una disperazione tenuta nascosta a forza di schianti, si era dovuto consigliare un confessore.

Lalla, esterrefatta, fissò negli occhi suo padre che, per debito di coscienza, era stato il solo che aveva potuto trovar le parole in quel momento; poi, senza muover la testa guardò attorno per la stanza: vide Giorgio, ma lo fuggi collo sguardo; ella cercava sua madre e la riconobbe dall’altra parte del letto, ritta, immobile, come una santa di marmo. L’ammalata la guardò, la fissò lungamente, ostinatamente, cogli occhi colmi di parole, di sgomento e di disperazione. Maria comprese quello sguardo, sentì quella preghiera che le veniva rivolta, vide in quegli occhi lo spavento di morire dannata, e la consolò coprendola di baci, di lacrime, confortandola a sperare nel perdono di Dio, con singulti che assicuravano alla morente il perdono di chi ella avea tanto offeso sulla terra.

Lalla si confessò, ricevette l’Eucaristia… ma rimase inquieta, affannosa, e domandò che il prete non uscisse dalla camera. Lo voleva lì, sempre vicino, per poterlo chiamare ancora prima di morire. E ci fu un istante in cui forse ancora si poteva sperare. In quell’ultimo giorno di una giovane vita, il male si prese un’ora di tregua; il medico sorpreso, ma non illuso, si lasciò sfuggire che poteva esservi ancora un miracolo, e subito tutta la casa esultò di gioia… ma fu l’ironia crudele della morte.

Lalla ritornò a peggiorare, e verso sera aveva ancora poche ore, forse pochi minuti da vivere.

Per altro era in sè; le durava l’inquietudine, l’affanno la disperazione nel viso acceso e scarno, e pareva invocare ancora un filo di speranza, ancora un filo di vita; poi tornò cogli occhi impauriti a fissare il prete, e con un cenno del capo lo chiamò vicino e gli parlò a stento, a tratti, con ansia, come se le parole, uscendole dalla gola, le sollevassero il cuore. Ma ad un certo momento, il prete non la intese più; allora egli affrettò le sue preghiere, le fece il segno in fronte coll’olio santo e tornò a ritirarsi nel cantuccio in fondo alla camera. Poco dopo, Lalla riapriva gli occhi, e tornava a fissare lo sguardo in quella figura nera, che si moveva adagio, nell’ombra, barbottando preghiere. Maria, buttata, distesa attraverso il letto, sui piedi della figliuola, aveva spasimi convulsi… e il duca Prospero – povero duca – si era allontanato gemendo. Il suo cuore paterno non poteva resistere a tanto strazio, non poteva vedere la sua Lalla a morire.

Giorgio, invece, da molte ore, non aveva più una lacrima. Era disfatto. Con tremiti, con respiri strozzati a mezzo, inginocchiato accanto al letto, stringeva le mani della morente, fredde e umide, fra le sue che bruciavano, e ne baciava le dita coprendole, difendendole dalla morte, col tepore delle carezze. Lalla moveva appena il capo sui guanciali, ma non si lamentava più, quando verso le dieci ore di notte, ad un tratto, sembrò rinvenire: era l’ultimo urto della lotta disperata contro la morte. Spalancò gli occhi… e le parve che la figura nera del prete, staccandosi dal fondo buio, lentamente si avvicinasse al suo letto: non era vero, ma lo vide quel prete, lo sentì piegarsi su di lei e mormorare parole di minaccia, di maledizione, di comando… Allora, cadendo col capo verso Giorgio, con faticosa respiro e con voce fioca, mormorò piano le ultime parole… irrigidì, la bocca aperta… sembrò che il misero corpo assecchito si allungasse per l’ultimo spasimo… Lalla era spirata!

Giorgio si alzò di colpo: egli pure aveva l’aspetto di un cadavere. Ma la vita sinistramente balda, gli si riversò tutta in un grido che ebbe un eco spaventoso in quella stanza, in tutta quella casa, e fissò la morta con uno sguardo terribile, in cui non c’era più nè dolore, nè pietà, nè rimpianto!

Lalla era spirata a tempo per non conoscere l’odio di Giorgio: nel delirio dell’agonia, essa gli aveva tutto confessato; tutto. In quelle ultime parole c’era la sua colpa e il sacrificio di sua madre…

Al grido, all’urlo di Giorgio, Maria comprese che Lalla era morta, e all’uomo che aveva perduta la moglie volle recare, unico conforto, tutto ciò che gli rimaneva di lei: suo figlio. Ma Giorgio vedendo quella creaturina innocente, sentì sollevarsi nel cuore un impeto di odio e di ferocia. Lo prese, lo strappò, lo strinse e, per Dio, lo avrebbe strozzato!… Ma in quel punto i suoi occhi s’incontrarono negli occhi di Maria. Fu un lampo… barcollò… volle parlare… La voce gli uscì rotta… inarticolata… Senza guardarlo più, si lasciò togliere il bambino dalle mani, e lui che da tante ore non poteva più piangere, scoppiò in un pianto dirotto e fuggì da quella camera.

XXXIII

Giorgio, arrivato come un fuggitivo a Borghignano, poche ore prima che incominciassero i funerali di Lalla, si era chiuso solo in camera sua. Non voleva nessuno: nè amici, nè parenti.

Quella camera, in fondo della casa, dava sul giardino; Giorgio spalancò i vetri e le persiane, perchè si sentiva soffocare e gli pareva che una grossa pietra gli si aggravasse sul cervello.

Egli credeva, sperava di essere vittima di un sogno terribile; il contrasto de’ suoi sentimenti era così forte, da farlo diventar matto! Andava, veniva, tirava calci alle seggiole, le alzava afferrandole con violenza e poi le lasciava cadere di tutto peso sul pavimento, e richiamato alla realtà della vita, pensava, raccapricciando, ch’egli non aveva diritto di piangere, di lamentarsi; egli non doveva altro che imprecare e maledire. Il dolore, il suo dolore, era vile! Ma per maggior derisione chi lo aveva offeso era fuggito lontano, non si sapeva dove, e Lalla, che lo aveva tradito, era morta.

Dove, su chi poteva egli sfogare quell’impeto d’ira, tutto quell’odio che si sentiva nell’anima?… Egli non poteva lamentarsi, non poteva soffrire e nemmeno poteva vendicarsi!… Per Dio! che inferno!… che inferno!…

Così stordito dall’angoscia, ci fu un momento in cui pensò di correre fuori, di correre in mezzo alla gente e di confessare a tutti la sua vergogna, per sollevare la giustizia umana e divina contro quei due colpevoli!… Ma l’idea non era ancora balenata intera alla sua mente che già si stringeva la fronte per trattenerla, pauroso che l’aria sola l’avesse potuto indovinare. Affranto da quello spasimo e da quelle angoscie, restava lì per ore ed ore come trasognato; gli pareva impossibile di non rivedere in quella camera, riflessa da uno specchio o sorridente fra le cortine dell’alcova, la gentile figuretta di Lalla, e non poteva comprendere come mai quella morta che lo aveva tradito e che lo faceva misero, infelice, potesse essere la stessa donna ch’egli aveva amata con tanta passione e che gli era sempre apparsa nella vita come un sorriso! – No, no, non era la stessa! La sua Lalla era bella, era buona, era pia; invece l’altra la morta (la ricordava bene), aveva gli occhi torvi e sbarrati, le occhiaie livide; era deforme, era cattiva, era dannata!… No, no!… Non era quella sua moglie; Lalla non era quella! Ma dov’era andata dunque la buona, la soave; la sua Lalla dov’era andata?… E mentre si guardava attorno ritrovava quella camera piena di lei… Pareva che Lalla ne fosse uscita allor allora, e vi dovesse ritornare all’istante!

C’era il suo specchio che aveva avuto il suo ultimo sguardo: c’erano libri, che non aveva finito di leggere!… Appesa, al capezzale, c’era l’immagine della Madonna, ch’ella baciava sempre tutte le sere; e Giorgio sentì ancora quel sussulto, quel fremito di bambina freddolosa col quale ella si cacciava sotto le coperte. Allora, lusingato da tante memorie, alzò il capo… ed ebbe un sorriso che pareva quello che irradia, alle volte, la faccia d’un pazzo, che sia ammattito per una sventura d’amore.

Si avvicinò alla toeletta: c’erano le spazzole, le forbici ed anche i pettini d’avorio e di tartaruga. In uno, il pettine lungo, quello che Lalla aveva adoperato, ravviandosi i riccioli della fronte prima di uscire l’ultima volta per andare alla stazione, vide attortigliato alla dentatura un filo biondo, che pareva di seta. Giorgio lo staccò dal pettine tremando… poi se lo cacciò in fretta nel portabiglietti che aveva addosso, guardandosi attorno, come pauroso di commettere quella strana viltà.

Sullo scrittoio, in un elegante vasetto di porcellana, che rappresentava un amorino stanco sotto il grave peso d’una rosa, c’erano alcuni fiori disseccati. Guardandoli, fissandoli, l’occhio di Giorgio tornò a sfavillare. Ma per Dio!… non gli cadrebbe nelle mani quell’uomo maledetto?… – Voleva cercarlo in capo al mondo. Gli avrebbe piantata la spada nel cuore; voleva vederlo spasimare prima di vederlo morire, e quando fosse agonizzante, allora gli avrebbe detto che Lalla era viva, era sua che si amavano pazzamente… così l’infame sarebbe morto disperato!… Ma poi, ritornato più calmo, pensò che quei fiori non potevano essere di colui: Lalla non li avrebbe dimenticati!… Li prese, li cacciò in tasca, finchè pentito della sua debolezza, distrusse i fiori e strappò, stracciò anche il portabiglietti con tutto ciò che vi era dentro!… Ma fu un impeto d’ira… molti agguati lo attendevano ancora. Tutto all’intorno, sulla poltrona, vicino al letto, sul divano, c’erano i lavori di Lalla, i trapunti, i ricami… Erano i suoi regali; e ognuno ricordava un giorno di festa, una sorpresa cara, uno scambio dolcissimo di carezze e di baci. Come erano mutati quei giorni!… Non poteva nemmeno rimpiangerli; non gli doveva restare nemmeno il dolore di averli perduti!

Fra quei ricordi c’erano ricami a fiori sul fondo tenue, color di cielo, ed egli adesso, vedeva uscire tra le foglie, sotto i bottoni delle rose e i calici delle campanelle selvatiche, sottili serpentelli dalla bava velenosa. Trine antiche, preziose, coprivano il letto; ma guardando fisso quel bianco, quei distacchi, quei disegni, ne usciva al suo occhio un ondeggiare di linee che si sbattevano le une contro le altre, così che la tinta pallida del filo intrecciato a poco a poco diventava cupa e nera come il ricamo di uno strato mortuario.

– Maledetta!… Un’ora, un’ora sola fosse stata ancor viva quella donna!… avrebbe voluto insultarla… farla soffrire!… Lo aveva tanto offeso, e soffriva tanto, lui!… Ma pure, doveva essere stata vinta, ingannata, chi sa con quali artifici diabolici… Egli la aveva amata, adorata… non aveva rimorsi!… Il suo cuore, la sua mente, la sua anima, tutto era stato in balìa di quella donna!… Perfida, infame!… Non era bastato tutto il paradiso ch’egli le avrebbe dato!… Era corrotta nell’anima!… Aveva il vizio nel sangue!… Ma… E se quelle parole fossero state il delirio dell’agonia?… No, no, no! Era la verità!… Era la verità!

Intanto, a poco a poco, di lontano, giungeva al suo orecchio un confuso mormorio, un borbottare di preci. – Ah, venivano a prenderla. La portavano via!… Lalla!… – Giorgio si precipitò sull’uscio; poi si arrestò come fulminato. – Ebbene? – Che doveva importarne a lui? – Come era morta, alla vita, non doveva esser morta anche al suo cuore?… Sì, sì; via, fuori, lontana, lontana dalla sua casa! Dovevano seppellirla profondamente sotto terra! Così profondamente, che il suo cuore non dovesse sentirla più!… Piangevano? Pregavano per lei?… Ingannava la gente anche dopo morta!… E avrebbe voluto correre in mezzo a quelle donne genuflesse, avrebbe voluto rovesciare quei ceri, riempiere de’ suoi gridi quella desolazione, ridere in faccia a quegli addolorati e impedire che la croce le fosse stesa sulla bara!

Ma là, vicino alla morta, fra la gente che piangeva, avrebbe veduta una donna pallida, muta, senza lacrime, con un bambino fra le braccia… Era l’immagine di quell’angelo di madre, di quella martire sublime, che gli appariva circonfusa di un divino splendore! Se pensava a ciò che di grande, di temerario aveva fatto quella donna per salvare sua figlia, una figlia così perfida, da permettere che la propria colpa ricadesse sulla madre, sentiva, per Maria, più che ammirazione, sentiva una devozione viva, profonda.

Egli la vedeva scendere per un dirupo irto di sterpi e di spine, coi piedi che le sanguinavano, colle vesti lacere e lorde di fango. Pure, procedeva coraggiosa, con un sorriso di speranza e di fede, cogli occhi e col cuore in alto, nel sereno, ne’ cieli, come una santa che aspetta la sua palma di martirio. E dinanzi a quella immagine, Giorgio si sentiva più calmo e più tranquillo. Il tumulto si acquetava, e quel sentimento nuovo, indefinito, dolcissimo di pace e di amore ch’egli sentiva per Maria si diffondeva anche là dove imperversava l’odio contro chi lo aveva ingannato.

Fu così, colla tempesta nell’anima, chiuso al buio, come un condannato o come un pazzo, senza dormire, senza prender cibo, senza svestirsi, colla febbre nelle ossa, il pianto in gola e la disperazione nel cuore, ch’egli passò due giorni interi. Non voleva veder nessuno. La gente gli faceva tedio e paura: non voleva essere compianto e temeva di essere deriso!

Il duca Prospero era partito col bambino e con Maria per Santo Fiore: il duca gli aveva già scritto che lo aspettava, ma Giorgio non voleva muoversi.

Quando entrò nello studio, la prima volta, si fermò un’ora, cogli occhi fissi sul suo fermacarte antico. Gli pareva ancora di vederci sotto quella lettera fatale…

– Perchè non aveva creduto a quella lettera? Perchè non aveva sentito subito che gli diceva la verità?… Perchè mai non era corso in quella casa maledetta, perchè non era penetrato in quella camera infame?… Ah, per Dio, li avrebbe uccisi sul colpo!… Come il suo disonore era stato diffuso pubblicamente! Ed egli aveva creduto che non fosse altro che una calunnia del Frascolini!… No:, no; era stato qualche suo amico… qualche suo amico che voleva salvarlo dal ridicolo, forse qualche suo parente… Pier Luigi forse… Pier Luigi?… no!… – Perchè no?… Che cosa era successo fra lui e Pier Luigi?… Che cosa?… – E Giorgio rimaneva fisso, immobile, cogli occhi istupiditi per ore ed ore, ma non era più capace di ricordarsi perchè era andato in collera con Pier Luigi.

Una cosa sola egli aveva sempre dinanzi alla mente: Lalla. Di notte non poteva dormire; dormiva di giorno, e se voleva avere un po’ di calma, un po’ di riposo, doveva pensare a Maria e riandare il grande sacrificio compiuto da lei, dal suo cuore. Sì… sì. C’era pure chi lo amava sulla terra.

E il bambino?… suo figlio? – Lo aveva veduto in un momento in cui la sua ragione e il suo cuore erano troppo sconvolti; ma poi, anche quel bambino cominciò a farsi vivo e a tormentarlo come la memoria della madre… – -Della madre?… sì… della madre sola… perchè non era suo quel bambino!

Ogni volta che a Giorgio balenava questo orribile pensiero, gli salivano le fiamme al viso, e gli battevano i denti con uno spasimo strano. In quel momento non faceva più pietà; faceva paura.

Ma un giorno gli si fisse in mente di volerlo vedere. Sì. – Voleva vederlo per cercare su quel visino appena abbozzato un indizio, una verità, una accusa. Titubò molto tempo prima di risolversi: – avrebbero creduto ch’egli s’illudesse, e gli volesse bene; che lo credesse suo!… No… no! Lo odiava; ma lo voleva vedere. Chissà che non avesse rassomigliato a Lalla!…

Capitò a Santo Fiore una mattina(), prestissimo. Tutte le finestre del palazzo erano ancora chiuse. Attraversò il giardino, il portico, aprì la porta del tinello, entrò e fece chiamare la Luigia. Si guardarono senza dir motto; ma la Luigia indovinò subito perchè il signor conte capitava lì a quell’ora, e lo condusse nella camera dove dormiva il figliuolino.

La culla, ricchissima, era in un canto, vicina ad una grande finestra che lasciava entrar il sole allegramente.

Il bambino dormiva, rivolto, colla bocca piegata all’ingiù e colla cuffietta riversata all’indietro: egli lo prese e lo alzò colle due mani; il bambino aprì gli occhi e cominciò subito a strillare. Giorgio lo guardò fisso fisso, corrugando la fronte… gli pareva che quella testolina s’ingrandisse a poco a poco… – Aveva i capelli lunghi… biondi… era Lalla!

Lo ricacciò nella culla fuggì via dalla camera.

– Riparte così subito, signor conte? – gli gridò dietro la Luigia.

– Sì.

– Non vuol vedere la signora duchessa?… Sta molto male, signor conte!… Da due giorni non si alza più dal letto.

Giorgio fissò la Luigia, che abbassò il capo e si mise a piangere; ma tuttavia egli non si fermò a Santo Fiore.

Ritornando a Borghignano era affranto, avea il cuore spezzato; eppure si sentiva più calmo. Maria stava male! Questo nuovo dolore, al quale poteva abbandonarsi senza rimorso, senza vergogna e senza collera, penetrava come un’aura di pace nella sua anima sconvolta.

Возрастное ограничение:
12+
Дата выхода на Литрес:
30 августа 2016
Объем:
500 стр. 1 иллюстрация
Правообладатель:
Public Domain

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