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Читать книгу: «Mater dolorosa», страница 27

Gerolamo Rovetta
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XXXI

La sera che precedette la partenza della Soleil da Borghignano, fu davvero una serataccia. La diva aveva molto lavorato coll’Assunta nel riporre la roba e nel prepararsi per la partenza, e tutt’e due erano stanche morte. Poi, si sa bene, l’ultimo giorno che si rimane in un luogo, anche quando non si lasciano nè persone, nè memorie care, non è mai un giorno allegro, e l’Andreina invece lasciava Borghignano, dove si era riconciliata con Giacomo, dove si era riunita con lui, dove aveva amato e dove avea godute di quelle ore così felici, che non si dimenticano più e che non tornano quasi mai. Era dunque naturale la sua malinconia, quantunque Giacomo partisse con lei; ma dalla malinconia all’affanno ci corre, e l’Andreina mostrava dagli occhi rossi di aver molto pianto, e di tratto in tratto si guardava intorno smarrita e trasaliva con brividi di ribrezzo e quasi di terrore.

Si sentiva afflitta in tal modo, perchè vedeva quel suo bel nido guasto e sciupato, come il nido della cingallegra caduto fra le mani di un ragazzaccio cattivo?… Oppure aveva qualche altra amarezza chiusa dentro nel cuore?… Sì, quelle povere stanzette presentavan davvero uno spettacolo uggioso: il suo lettuccio non era più addobbato colle cortine candide e civettuole dai lunghi fiocchi azzurri, ma la corona d’ottone, le stanghe e i ferri della camerella apparivano così spogliati, come uno scheletro gigantesco, dalle braccia lunghe e sottili. Sopra il canapè del salotto, che aveva udito le parole più care e i baci più dolci, era stato portato un cassone enorme, color verde scuro, foderato di ferro. Il giardiniere, finito il nolo, s’era già portati via i bei vasi di rose e i sempreverdi, dalle larghe foglie, che nascondevano la tappezzeria vecchia e stinta. Le stuoie, spogliate dei vari tappeti, logore, indicavano il posto dove le casse erano state ferme per tanti mesi con delle righe quadrate di polvere e di sudiciume; ma pure, se tutto ciò era uggioso, l’abbattimento di Andreina era troppo forte, perchè non dovesse nasconder qualche altro affanno. Ella andava innanzi e indietro dal salotto alla sua camera, con mucchi di biancherie e di spartiti che accatastava, sorridendo amorosamente, sulle ginocchia del Vharè, che rimaneva cupo e distratto, senza nemmeno guardarla.

– Via, non temere, – gli disse l’Andreina, sedendosi sulle sue ginocchia, quando ebbe terminato di vuotare i palchetti e di riempire i bauli. – Non temere; vedrai che domattina lo Schreiber mi risponderà favorevolmente. Ho telegrafato un’altra volta, a quel tedesco tartaruga!

Lo Schreiber era l’impresario per l’America, e Andreina, che aveva firmata una scrittura per due anni gli aveva scritto domandandogli un’anticipazione di quindicimila lire sul suo contratto. Ella continuava a dire a Giacomo di non aver ancora ricevuto riscontro alla sua lettera; ma ciò non era punto vero. Lo Schreiber le aveva risposto subito, e le aveva risposto un bel no. E il Vharè, quantunque non lo sapesse, lo prevedeva.

Per il Vharè, avere sì o no quindicimila lire entro le ventiquattr’ore, voleva dire poter restare al sole o doversi accontentare di vederlo a scacchi. L’elegante marchese di Vharè era giunto a questo punto!… I suoi creditori, dopo avergli messo il sequestro sui mobili di casa, glieli avevano lasciati in custodia con tutte le regolarità volute dalla legge; ma Giacomo, un brutto giorno che avea dovuto combattere colla fame, aveva cominciato a far sparire un quadro, poi un seggiolone antico, poi il pianoforte, e così a poco a poco aveva dato fondo a quasi tutta la roba.

Si trattava di truffa, e c’era tanto d’andare diritto in prigione!… Andreina, appena il Vharè le aveva confessato il proprio fallo, pareva disperata: pianti, convulsioni, gemiti; ma poi, sembrò le balenasse un raggio di speranza, si consolò e consolò anche Giacomo. Era subito corsa col pensiero a… a Schreiber. Si sentiva tanto felice, povera Andreina, e le doveva capitare quel colpo terribile!… Aveva finito di essere gelosa e di temere la contessa Della Valle; lo portava via lei, il suo Giacomo; se lo portava in America, ed era più contenta sapendolo povero, perchè, povero, era meno facile che le scappasse di nuovo, e perchè povero si sarebbe persuaso che lei gli voleva bene senza nessuna mira interessata… povera Andreina!

Ma per quanto il sentimento dell’onore si fosse attutito nel cuore del Vharè, tuttavia la parte di procolo, di marito della prima donna, o press’a poco, offendeva troppo vivamente la delicatezza del gentiluomo. – Non c’era dubbio; la sua carriera finiva molto male! – Ma d’altra parte, che cosa poteva fare? Necessità non ha legge, e a conti fatti, ancora ancora, avrebbe potuto ringraziare la Provvidenza se quell’affare dei mobili non fosse capitato, sul più bello, a precipitare la catastrofe. – Scappare!… – Dove?… Lo tenevano d’occhio, e senza quattrini lo avrebbero ripreso subito… – che! scappare? ci vogliono quattrini per scappare!… – Intanto, all’indomani, egli doveva estinguere quindicimila lire di cambiali, oppure presentare il mobilio intatto, oppure… in galera. I suoi creditori, per non lasciarlo nell’incertezza, lo avevano avvertito che non gli verrebbe usato nessun riguardo. – in prigione?… Aveano messo in prigione, per debiti, anche il conte di Mirabeau!… – Ma questo riscontro era un magro conforto, e poi, lui, non lo avrebbero messo dentro per debiti soltanto, ma per truffa. – Dio santo! Bisognava finirla!…

Il povero marchese era tanto oppresso, quella sera dai più tristi pensieri, da non badare nemmeno all’Andreina, da non accorgersi che essa aveva trasalito quando erano sonate le undici all’orologio della piazza. E poi, gli si era avvicinata quasi subito, baciandolo con gran passione e dicendogli colla voce piena di lagrime: – Sono stanca assai, lasciami andar a dormire – Di solito, era sempre Andreina che lo tratteneva con mille carezze, con mille furberie, con tutti gli agguati della donna innamorata; ma il Vharè aveva ben altro da pensare che a fare confronti!… Si alzò, e colla testa bassa, senza dire una parola, prese il cappello e si avviò lentamente per uscire.

– Vai via?… Senza dirmi nulla? Te ne hai avuto a male? – gli chiese Andreina, fermandolo ancora con un altro bacio.

– Avermene a male?… Di che cosa? Va… Va a dormire. Hai ragione di sentirti stanca. Buona notte! – E la baciò distratto, senza sapere nemmeno lui dove baciava.

– Non temere, Giacomo, vedrai che domani le quindicimila lire di Schreiber arriveranno di sicuro. Mi par di sentirlo: – Nostro pell’astro fulgidissimo, non afere che da comantare, tuo piccolo Schreiber sempre pronto ai comanti, – e Andreina, sebbene avesse la morte nel cuore, si mise a ridere per far ridere l’amico suo; ma non ci riuscì.

– Sì… Sì… Schreiber!… – mormorò il Vharè con un’alzata di spalle. Andreina intese bene quella sorda disperazione e con un tremito lo abbracciò più forte.

– Giurami che non hai nessuna idea matta per la testa?

– Cioè?… Non ti capisco!…

– Giurami che aspetterai… che aspetterai fino a domani la risposta di Schreiber?…

– Non vuoi altro?… Giuro che aspetterò.

– No, così no!… Devi giurare per tua madre.

– Ebbene sia: te lo giuro per mia madre.

Giacomo avea lasciata Andreina da una mezz’ora, quando un brum da nolo si fermò sulla porta di quella casa e ne discese la sarta… la buona signora. Essa tirò la maniglia del campanello e subito, da una finestra del primo piano, spuntò una testa di donna e si udì una voce gridare dall’alto: – Viene subito! – Era la voce dell’Assunta. – S’accomodi! – rispose la sarta dalla strada.

Poco dopo la porta si aprì e Andreina, tutta imbacuccata, ne uscì lesta e saltò nel brum. La buona signora le tenne dietro, chiuse lo sportello e il brum ripartì com’era venuto.

Il Vharè, nel frattempo, era giunto a casa sua, si era levato l’abito, e così in maniche di camicia, camminava su e giù nella camera spoglia di quadri e quasi anche di mobili; e continuò a passeggiare per un pezzo, poi, di colpo, si buttò sul letto ancora mezzo vestito, spense il lume, ma non potè addormentarsi.

Si vedeva ammanettato fra due guardie di questura, con la tuba pesta, con le scarpe rotte, e con i monelli che gli correvano dietro urlando e fischiando… L’immagine era così viva, così spaventosa, che più a lungo non la potè sopportare. Si alzò di botto, riaccese il lume e caricò un revolver che teneva in una busta, appeso a capo del letto, deliberato di uccidersi e finirla. Ma il marchese di Vharè, che in dieci duelli aveva sfidata la morte baldo e insolente, in mezzo alla verzura d’un prato, o nel risonante frastuono d’una sala d’armi, lì solo, in quella camera muta e fredda, ebbe paura. La morte non avea più nulla di grande, di attraente; non gli appariva più come un fantasma luminoso che predilige gli eroi, ma gli stava dinanzi lercia ed esosa, colla faccia arcigna di un usuraio, che mette il sequestro sull’esistenza.

Sentiva ribrezzo di morire a quel modo. – E se il colpo falliva?… Se non riusciva ad ammazzarsi del tutto?… Eppure, bisognava farsi coraggio e finirla. – Allora ricordò che in un armadio aveva ancora una mezza bottiglia di cognac; la cercò, la trovò e l’ingollò in una sola tirata; ma nemmeno il cognac riusciva ad ubriacarlo, a stordirlo. Solamente si sentiva dentro, nello stomaco, un gran calore, un gran fuoco. Spalancò la finestra e si appoggiò sul davanzale per respirare un po’ meglio; gli pareva di soffocare!…

L’alba sorgeva appena: la luce che stenebrava il silenzio profondo della strada, tutta chiusa e deserta, gli metteva addosso uno sgomento indefinibile; e a mano a mano che i profili delle case si disegnavano più nettamente e le colonne della chiesa lontana uscivano alla luce, egli provava un grande affanno. Sentiva paura di quel giorno inesorabile e spietato che incominciava, e avrebbe voluto ancora un’ora di tenebre per avere un’altra ora di quiete.

Sentì un brivido acuto. Anche quella strada così vuota, con tutte le porte, con tutte le imposte chiuse, gli faceva risentire, come la sua camera, l’impressione della tomba, e stava già per richiudere la finestra, quando fu scosso da un rumore sordo, da un mormorio di voci, che si avvicinava… Erano i soldati che partivano per le manovre. Cominciava a vederli bene… Cantavano. – Che cosa cantavano?… – Aveva udita ancora quella canzone… Ah sì; adesso se ne ricordava! Era la canzone dei volontarii…

Addio, mia bella, addio,

L’armata se ne va.

Se non partissi anch’io

Sarebbe una viltà.

– Maledetti, come stonano! – brontolò il Vharè che aveva ancora l’orecchio assai delicato. Ma poi, quasi subito, non badò più alle stonature. I soldati sfilavano lieti e baldi, animando la contrada colle loro voci, coi loro canti, col tran tran misurato della marcia, con un fracasso pieno di vita.

Allora corse a ritroso, col pensiero, in tutti gli anni che aveva sciupati, e pensò che lui pure, se avesse voluto, avrebbe potuto diventare qualche cosa… Un prefetto, un diplomatico, almeno un deputato!… – Se fosse entrato nell’esercito, a quell’ora avrebbe potuto essere maggiore… colonnello e forse, chi sa, anche generale, e comandar lui tutta quella gente!…

Il primo battaglione era già passato sotto le sue finestre, adesso ne passava un altro. I soldati, vedendo il Vharè alla finestra, mezzo svestito, alzavano il capo guardandolo, mentre ripetevano il ritornello:

Se non partissi anch’io

Sarebbe una viltà!…

A Giacomo in quel punto, sembrò che il ritornello fosse diretto contro di lui e gli fosse buttato in faccia come un insulto.

– Perchè non sono partito anch’io, quando gli altri andavano a battersi?… – Pensò… pensò, cercando una scusa, ma non la trovò. Si sentiva la testa balorda che gli girava: il cognac incominciava a fare il suo effetto.

– Dov’ero io, nel 59?… A Monaco, sì a Monaco; a far saltare la roulette!… E nel 60?… Non mi ricordo… non mi ricordo… Ah, sì… Nel 60 ero a Nizza. – Nel 67, mentre i soldati del Papa ammazzavano i Garibaldini a Mentana ero… ero… ero… a Parigi, a rovinarmi colla Fanny Printemps. Ma dunque io sono un… – Ho saltato una data, il 66!… Ero a Torino, nel 66, e corteggiavo la baronessa Delafosse… sicuro, mentre suo marito, il capitano, si faceva ammazzare a Custoza per la patria. – La patria?… Che cos’è la patria?… Rettorica!

I soldati, frattanto erano passati, le loro voci si perdevano con un’ultima eco, nella strada che appariva adesso, dopo tutta quella gente e tutto quel rumore che l’avea attraversata, ancor più seria e silenziosa; ma il ritornello frullava sempre chiaro e vivo nella testa di Giacomo.

– Ebbene, sì… È stata una viltà!… E perciò? Tornare indietro non è più possibile, dunque?… – Avanti e marche per l’altro mondo! – Impugnò la rivoltella, l’appuntò sotto il mento… ma poi si fermò irresoluto e fissò l’arma cogli occhi inebetiti, borbottando:

– Ammazzarmi? E perchè mi dovrei ammazzare?… Avrei tutto da perdere… e niente da guadagnare… Il nome?… Non lo salvo. – L’onore?… Oh, l’onore!… Tanti che valgono meno di me, vivono allegramente, rispettati e temuti. Se invece potessi davvero andarmene in America coll’Andreina!… E Schreiber?… E Schreiber è un ladro. Si lascia impiccare piuttosto di tirar fuori un quattrino, prima del tempo!… – Ma forse, dovrei ammazzarmi io, perchè Schreiber è un cane?… Che!… Se non mi ammazzo, diranno che sono un vile; ma se mi ammazzo diranno che sono un vile lo stesso. Buffoni!… No! non mi ammazzo(). A tutto c’è rimedio, tranne all’osso del collo, Andreina, farà furori… Pago i debiti… Torno dall’America milionario… Chi sa! Chi sa! Sono a tempo forse di… di… ventare de…putato.

Così dicendo si avvicinò al letto, barcollando. Le pareti ballavano in giro e la stanza pareva piena d’insetti che ronzassero molesti… Si buttò, sbuffando, sul letto; ma allora ebbe un impeto di rabbia, di furore contro sè stesso, perchè era un vigliacco(), perchè non aveva il coraggio di uccidersi. Si voltò cercando il revolver a tastoni, e smaniando perchè non lo trovava più, stramazzò per terra lungo disteso… Borbottò ancora qualche parola, si strappò la camicia sul petto, poi si addormentò profondamente.

La mattina dopo, il servitore del Vharè, spinse adagio l’uscio della camera, ma non l’aveva aperto del tutto che già si udì un grido disperato, e una donna, Andreina, buttando da parte il vecchio che era rimasto sulla soglia impietrito, si precipitò sul Vharè ch’era sempre addormentato per terra, col revolver vicino. Quel grido e i baci, e le strette angosciose dell’Andreina risvegliarono Giacomo dal suo sonno; egli si guardò intorno smarrito: non capiva… – Era ancora vestito?… Era caduto dal letto?!… Perchè lo fissavano in quel modo?…

– Sei ferito?!… – gli domandò Andreina tutta tremante…

Il Vharè, a tale domanda, cominciò a ricordare quanto era successo, e trovandosi ancora vivo e sano in mezzo a quello sgomento e a quel dolore, si sentì impacciato e vergognoso; tuttavia superò presto il suo turbamento. Si risvegliava alla vita in una condizione molto comica; e però… bisognava riderne per il primo!

– No, no. Avevo pensato d’ammazzarmi, è vero; ma la risoluzione è seria; ho creduto bene dormirci su… e ora… ho cambiato idea.

Giacomo disse tutto ciò con un ghigno, con una smorfia dolorosa.

– E tu?… che vieni a fare così presto? – domandò all’amica appena il servitore se ne fu andato.

– Sai, – rispose Andreina, arrossendo, – sono arrivati i danari di Schreiber.

– Possibile?… – e il Vharè, non pensando ad altro che a quella fortuna che lo salvava, strinse l’amante fra le braccia. Ella chinò il capo per islacciarsi il busto; e ne tolse un grosso pacco di biglietti di banca.

– Ecco, – balbettò sulle prime confusa, impacciata, ma poi animandosi e parlandone con grande precipitazione: – Ecco le… le quindicimila lire… per levare il sequestro, – Colla vendita della tua roba, avremo tanto da fare il viaggio e da vivere finchè arriveremo sulla piazza: in America, vedrai, se l’impresario vorrà sentir cantare la Soleil, dovrà tirarne fuori degli altri. Ma adesso intanto, si può partire col cuore tranquillo e ritornare, poi, con la testa alta. Vedrai… in pochi mesi pagheremo tutti i debiti. Tu mi sarai di grande aiuto cogli impresari, cogli agenti teatrali; sarai la mia fortuna. In arte, ne abbiamo tanto bisogno di un uomo per difenderci dai pirati!…

Il Vharè fece un’altra smorfia. Si vedeva seduto dietro il bigoncio, all’ingresso d’un teatro, fra due portieri, e gli sembrò di udire dietro le spalle il riso schernitore di Lalla.

Allora, per svagarsi, cominciò a numerare sbadatamente i biglietti di banca: erano tutti nuovi fiammanti. – Come mai? – Questa combinazione lo meravigliò; alzò colla mano il piccolo orologio che Andreina portava appeso alla cintura e vide che non erano ancora le nove e mezzo. Guardò Andreina fissamente: era pallida, spettinata, col volto affaticato, cogli occhi lividi le labbra arse…

– A che ora hai ricevuto la lettera?…

– Colla prima dispensa, rispose Andreina tornando ad arrossire ed a turbarsi.

– Con un assegno, non è vero? Perchè una somma così forte non si manda mai in una lettera assicurata.

– Sì… un assegno… sulla Banca Nazionale.

– Sulla Banca Nazionale? E ti venne scontato a quest’ora… Sono le nove e mezzo appena e la cassa non si apre prima delle dieci!

Andreina abbassò il capo, confondendosi sempre di più; quelle domande la imbarazzavano assai; non le aveva prevedute!… Giacomo indovinò, comprese tutto in un attimo, e stringendo Andreina per le braccia, la scosse violentemente. Di’, rispondi, rispondi, – balbettò con voce rauca, – rispondi senza mentire. Voglio saper tutto!… Da chi hai avuto questo danaro?… Da chi?

Andreina, non rispose; ma scoppiò in un singhiozzo quando l’altro le sussurrò un nome all’orecchio. Non era più possibile mentire. Giacomo si fe’ bianco in faccia; Avrebbe voluto percuotere quella donna, stracciare tutto quel danaro infame! Ma dopo l’impeto della prima commozione, calmandosi un poco, pensò che quella donna si era sacrificata per lui, che quel danaro, per quanto fosse infame, rappresentava pure la sua onorabilità e che lo salvava dall’essere accusato di truffa… – Non c’era altra via di scampo. Se voleva salvare il suo onore, o almeno salvarsi dalla prigione, bisognava accettare il prezzo di quel lurido mercato!… Giacomo lottò a lungo col cuore, coll’orgoglio, che gli si rivoltavano… poi, infine, sospirò profondamente, strinse Andreina sul petto e le sfiorò appena i capelli; ma con grande sforzo: senza guardarla.

– Che?… Mi baci? – esclamò la poveretta allontanandosi e fissandolo con uno sguardo in cui, oltre alla meraviglia, c’era dell’amarezza, e quasi della paura. – Mi baci?

– Povera donna!… hai voluto salvarmi!

Ella continuava a fissarlo con un’espressione indicibile di stupore e d’angoscia.

– Ma perchè mi guardi così?… Che hai?…

– Ho… non ho nulla; ma, adesso che sai tutto… se mi amassi davvero avresti dovuto uccidermi colle tue mani… con un colpo solo… strozzarmi.

Giacomo tacque, confuso. Non sapeva che cosa rispondere: quella donna aveva ragione e valeva assai più di lui.

Pagate le cambiali, venduto in blocco tutto ciò che gli era rimasto, il Vharè, già quasi abituato alla nuova condizione, se ne andava per sempre da Borghignano. dopo aver chiuso l’ultima volta il suo quartierino, che non era più suo. Ma in fondo alla scala, vide il vecchio servitore che lo aspettava muto, con una gran tristezza impressa sul viso; aveva le scarpe rotte e il berretto, che teneva in mano, perdeva la fodera. Il pover’uomo, fissava il marchese coll’occhio di un cane che sia stato maltrattato ingiustamente dal padrone.

Giacomo si fermò di botto, battendogli sulla spalla. – Hai fame, non è vero? – gli chiese frugandosi coll’altra mano nei taschini del panciotto.

– Nossignore…

Giacomo contò il danaro di cui poteva disporre: era pochino assai. Ma, in quel momento, mentre pensava di ricorrere all’Andreina, perchè il vecchio avesse tanto da poter campare un paio di mesi, gli cadde sott’occhio l’anello che gli aveva regalato Lalla; la turchina colle rose d’Olanda. Egli non lo aveva mai venduto quell’anello, nemmeno nei momenti più difficili, per una di quelle ripugnanze che erano fra le anomalie del suo carattere di gentiluomo pervertito. Rimase un istante sopra pensiero, guardandolo, lisciandolo e poi borbottò: – Infine, posso ben dire che mi ha portato sfortuna! – Se lo levò dal dito risolutamente, lo unì al danaro e diede tutto al servitore. – Prendi, con queste poche lire e con questo anello avrai da vivere, non allegramente, ma insomma tanto da poterla tirare innanzi per un po’ di tempo. Appena saremo… sulla piazza, – e il Vharè sorrise, come aveva fatto prima con Andreina, in un modo che pareva una smorfia; – appena saremo arrivati sulla piazza, ti manderemo il resto. Mia madre, forse, ebbe torto di mettermi al mondo, ma tu, che l’hai servita fedelmente, non devi crepar di fame. Piangi?… Non credi alla mia parola?

– No, no, signor marchese; non è per ciò; ma… sono tanto vecchio… Chi sa se potrò vederlo ancora?…

A queste parole, cessò d’un tratto il riso forzato, schernitore del marchese Giacomo: egli battè un’altra volta sulla spalla del buon vecchio: – Sì, sì. Ci rivedremo ancora, ci rivedremo! – gli disse. E se ne andò in fretta, perchè si sentiva commosso.

Con tutti gli amici e con tutte le donne che lo avevano amato, con tutti i sorrisi, gli amori e le fortune della sua vita, l’unico che lo avrebbe ricordato e rimpianto sarebbe stato quel povero vecchio… il suo servitore.

Возрастное ограничение:
12+
Дата выхода на Литрес:
30 августа 2016
Объем:
500 стр. 1 иллюстрация
Правообладатель:
Public Domain

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