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Читать книгу: «La Calandria», страница 4

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SCENA IX

FESSENIO servo, CALANDRO.

FESSENIO. Non potria meglio esser ordinata la cosa. Lidio da donna si veste e in la sua camera terrena Calandro aspetta e da fanciulla galantissima se gli mosterrá. Poi, al far quella novella, chiuse le finestre, una scanfarda a canto se gli metterá: attento che di sí grossa pasta è il gocciolone che l'asino dal rosignolo non discerneria. Vedilo che ne viene tutto allegro. Contentiti el ciel, padrone.

CALANDRO. E te, Fessenio mio. È in ordine il forzieri?

FESSENIO. Tutto. E vi starai drento sanza snodarti pure un capello, pur che bene vi ti acconci drento.

CALANDRO. Meglio del mondo! Ma dimmi una cosa ch'io non so.

FESSENIO. Che?

CALANDRO. Arò io a stare nel forziero desto o adormentato?

FESSENIO. Oh salatissimo quesito! Come desto o adormentato? Ma non sai tu che in su' cavalli si sta desto, nelle strade si camina, alla tavola si mangia, nelle panche si siede, ne' letti si dorme e ne' forzieri si muore?

CALANDRO. Come si muore?

FESSENIO. Si muore, sí. Perché?

CALANDRO. Cagna! L'è mala cosa.

FESSENIO. Moristi tu mai?

CALANDRO. Non, ch'io sappia.

FESSENIO. Come sai, adonque, che l'è mala cosa, se tu mai non moristi?

CALANDRO. E tu se' mai morto?

FESSENIO. Oh! oh! oh! oh! Mille millanta, che tutta notte canta.

CALANDRO. È gran pena?

FESSENIO. Come el dormire.

CALANDRO. Ho a morir, io?

FESSENIO. Sí, andando nel forziero.

CALANDRO. E chi morirá me?

FESSENIO. Ti morirai da te stesso.

CALANDRO. E come si fa a morire?

FESSENIO. El morire è una favola. Poi che nol sai, son contento a dirti el modo.

CALANDRO. Deh sí! Di' sú.

FESSENIO. Si chiude gli occhi; si tiene le mani cortese; si torce le braccia; stassi fermo fermo, cheto cheto; non si vede, non si sente cosa che altri si faccia o ti dica.

CALANDRO. Intendo. Ma il fatto sta come si fa poi a rivivere.

FESSENIO. Questo è bene uno de' piú profondi secreti che abbi tutto il mondo e quasi nessuno il sa. E sia certo che ad altri nol direi giá mai; ma a te son contento dirlo. Ma vedi, per tua fé, Calandro mio, che ad altra persona del mondo tu non lo palesi mai.

CALANDRO. Io te giuro che io non lo dirò ad alcuno; ed anche, se tu vuoi, non lo dirò a me stesso.

FESSENIO. Ah! ah! A te stesso sono io ben contento che tu 'l dica; ma solo ad uno orecchio, a l'altro non giá.

CALANDRO. Or insegnamelo.

FESSENIO. Tu sai, Calandro, che altra differenzia non è dal vivo al morto se none in quanto che il morto non se move mai e il vivo sí. E però, quando tu faccia come io ti dirò, sempre risusciterai.

CALANDRO. Di' sú.

FESSENIO. Col viso tutto alzato al cielo si sputa in sú; poi con tutta la persona si dá una scossa, cosí; poi s'apre gli occhi, si parla e si muove i membri. Allor la Morte si va con Dio e l'omo ritorna vivo. E sta' sicuro, Calandro mio, che chi fa questo non è mai, mai morto. Or puoi tu ben dire d'avere cosí bel secreto quanto sia in tutto l'universo ed in Maremma.

CALANDRO. Certo, io l'ho ben caro. Ed or saprò morire e rivivere a mie' posta.

FESSENIO. Madesí, padron buaccio.

CALANDRO. E tutto farò benissimo.

FESSENIO. Credolo.

CALANDRO. Vuo' tu, per veder se io so ben far, ch'i' provi un poco?

FESSENIO. Ah! ah! Non sará male; ma guarda a farlo bene.

CALANDRO. Tu 'l vedrai. Or guarda. Eccomi.

FESSENIO. Torci la bocca. Piú ancora; torci bene; per l'altro verso; piú basso. Oh! oh! Or muori a posta tua. Oh! Bene. Che cosa è a far con savi! Chi aría mai imparato a morir sí bene come ha fatto questo valente omo? El quale more di fuora eccellentemente. Se cosí bene di drento more, non sentirá cosa che io gli faccia; e cognoscerollo a questo. Zas! Bene. Zas! Benissimo. Zas! Optime. Calandro! o Calandro! Calandro!

CALANDRO. Io son morto, i' son morto.

FESSENIO. Diventa vivo, diventa vivo. Sú! sú! ché, alla fé, tu muori galantemente. Sputa in sú.

CALANDRO. Oh! oh! uh! oh! oh! uh! uh! Certo, gran male hai fatto a rinvivermi.

FESSENIO. Perché?

CALANDRO. Cominciavo a vedere l'altro mondo di lá.

FESSENIO. Tu lo vedrai bene a tuo agio nel forziero.

CALANDRO. Mi par mill'anni.

FESSENIO. Orsú! Poi che tu sai sí ben morire e risuscitare, non è da perder tempo.

CALANDRO. Or via! sú!

FESSENIO. Nooo! Con ordine vuol farsi tutto, a fin che Fulvia non se ne accorga. Con lei fingendo andare in villa, a casa di Menicuccio te ne vieni; ove troverrai me con tutte le cose che fanno di mestiero.

CALANDRO. Ben di'. Cosí farò or ora, ché la bestia sta parata.

FESSENIO. Mostra. Che l'hai in ordine?

CALANDRO. Ah! ah! Dico che 'l mulo, drento a l'uscio, è sellato.

FESSENIO. Ah! ah! ah! Intendeva quella novella.

CALANDRO. Mi par mille anni esser a cavallo; ma in su quella angioletta di paradiso.

FESSENIO. Angioletta, ah? Va' pur lá. Se io non mi inganno, la castroneria si congiungerá oggi con la lordezza. E debbe or montare a cavallo. Voglio avviarmi inanzi e dire a quella vezzosa porca che in ordine sia e me aspetti. Oh! oh! oh! Vedi Calandro giá montato. Miraculosa gagliardia di quel muletto che porta cosí sconcio elefantaccio!

SCENA X

CALANDRO, FULVIA.

CALANDRO. Fulvia! o Fulvia!

FULVIA. Messer, che vuoi?

CALANDRO. Fatti alla finestra.

FULVIA. Che c'è?

CALANDRO. Vuoi altro? Io vo insino in villa, ché Flaminio nostro non si consumi drieto alle cacce.

FULVIA. Ben fai. Quando tornerai?

CALANDRO. Forse stasera. Fatti con Dio.

FULVIA. Va' in pace, col mal anno. Guarda che vezzoso marito mi detteno li frategli miei! che mi fa venire in angoscia pure a vedello.

ATTO III

SCENA I

FESSENIO servo solo.

Ecco, o spettatori, le spoglie amorose. Chi cerca che se gli apicchi gentilezza, acume, accorgimento queste veste compri ed alquanto indosso le porti: perché di quel vago Calandro sono, tanto astuto che, d'un giovane innamorato, si crede che fanciulla sia; di quel che ha tanto della divinitá che muore e risuscita a posta sua. Chi comprar le vuole dinari porga; ché io, come cose d'omo giá passato di questa vita, vendere le posso. Prima si messe da morto nel forziero che arrivato fusse. Ah! ah! ah! Cosí Lidio galantemente da donna vestito aspetta con allegrezza questo vezzoso amante che, a dire il vero, è piú schifo che Bramante. Io son corso inanzi perché qua mi trovi la scanfarda che io ho ordinato per questo conto. Ed eccola che a me ne viene. E vedi anco lá, col forzieri, el facchino; el quale si pensa portare preziosa mercanzia e non sa che ella è la piú vile che in questa terra sia. Nessuno vuol le veste? no? Addio, dunque, spettatori. Andrò a congiungere il castron con la troia. Restate in pace.

SCENA II

MERETRICE, FESSENIO, FACCHINO, SBIRRI di dogana, CALANDRO.

MERETRICE. Eccomi, Fessenio. Andianne.

FESSENIO. Lassa andare innanzi questo forziero nostro. Non di lá, no, facchino. Va' pur dritto.

MERETRICE. Che vi è drento?

FESSENIO. Vi è, anima mia bella, robba da te.

MERETRICE. Che?

FESSENIO. Sete e panni.

MERETRICE. Di chi sono?

FESSENIO. Di colui con chi sguazzar dèi, viso bello.

MERETRICE. Oh! e me ne dará qualche cosa?

FESSENIO. Sí, se farai ben quel che t'ho detto.

MERETRICE. Lassa pur governallo a me.

FESSENIO. Fa' che, sopra tutto, tu ti ricordi, nota, di chiamarti

Santilla e di tutte l'altre cose che io t'ho detto.

MERETRICE. Non mancherò d'un pelo.

FESSENIO. Altrimenti non aresti un baghero.

MERETRICE. Tutto farò benissimo. Ma oh! oh! oh! Che voglian questi sbirri dal facchino?

FESSENIO. Oimè! Salda, cheta! Ascolta.

SBIRRI. Di' sú: che è qui drento?

FACCHINO. Mò che soie mi?

SBIRRI. Sei stato in doana?

FACCHINO. Non mi.

SBIRRI. Che c'è drento? Di' sú.

FACCHINO. Non l'ho visto o verto mi.

SBIRRI. Dillo, poltron!

FACCHINO. El me fu deccio che 'l ghera seda e pagni.

SBIRRI. Sede?

FACCHINO. Madesine.

SBIRRI. È chiavato?

FACCHINO. E' crezo de no mi.

SBIRRI. Le son perdute. Posa giú.

FACCHINO. Eh! no, misser.

SBIRRI. Posa, poltron! Tu vorrai che io ti soni, sí

FESSENIO. Oimè! oimè! La va male. Spacciato è il fatto nostro; ogni cosa è guasta; tutto è scoperto; ruinati siamo.

MERETRICE. Che cosa è?

FESSENIO. Rotto è il disegno.

MERETRICE. Parla, Fessenio: che c'è?

FESSENIO. Aiutami, Sofilla.

MERETRICE. Che vuoi?

FESSENIO. Piangi, lamentati, grida, scapigliati. Cosí! sú!

MERETRICE. Perché?

FESSENIO. Presto lo saperrai.

MERETRICE. Ecco. Oh! oh! oh! uha!

SBIRRI. Oh! oh! oh! Questo è un morto.

FESSENIO. Che fate? Olá! che cercate?

SBIRRI. Il facchino ci disse esserci cosa da gabella e troviamo che c'è un morto.

FESSENIO. Un morto è.

SBIRRI. Chi è?

FESSENIO. Il marito di questa poveretta. Non vedete come si dispera?

SBIRRI. Perché cosí il portate nel forziero?

FESSENIO. A dirvi il vero, per ingannare la brigata.

SBIRRI. O perché?

FESSENIO. Saremmo da ognuno scacciati.

SBIRRI. La cagione?

FESSENIO. È morto di peste.

SBIRRI. Di peste? Oimè! Io che l'ho tócco!

FESSENIO. Tuo danno.

SBIRRI. E dove il portate?

FESSENIO. A sotterrarlo in qualche fossa; o, cosí, il forziero e lui butteremo in un fiume.

CALANDRO. Ohu! ehu! ohu! Ad annegarmi, eh? Io non son morto, no, ribaldi!

FESSENIO. Oh! Ognun si fugge per paura. O Sofilla! facchino! O Sofilla! facchino! Sí! Va', giungeli tu! El diavol non gli faria voltare in qua. Va', poi, impacciati con pazzi, tu! Va'!

SCENA III

CALANDRO, FESSENIO.

CALANDRO. Ah poltron Fessenio! Mi volevi annegare, eh?

FESSENIO. Eimè! Eh! padron, perché mi vuo' battere?

CALANDRO. Domandi perché, tristo, ah?

FESSENIO. Sí. Perché?

CALANDRO. Il meriti, sciagurato ribaldo!

FESSENIO.

Miser chi del ben far sempre ha mal merto.

Adunque tu me offendi perché t'ho salvato?

CALANDRO. E che salvamento è questo?

FESSENIO. Che, ah? Dissi a quel modo perché tu non fussi portato in doana.

CALANDRO. E che era, quando ben m'avessin portato lá?

FESSENIO. Che era, eh? Tu meritavi che io vi t'avessi lassato portare; e arestilo veduto.

CALANDRO. Che domin era?

FESSENIO. E' par che ci nascessi pure oggi. Eri còlto in frodo; eri preso; e te ariano poi venduto come l'altre cose che son còlte in frodo.

CALANDRO. Maaa… Tu facesti molto bene, adonque. Perdonami, Fessenio.

FESSENIO. Un'altra volta, aspetta il fine prima che ti corrucci. Mio danno, se io non te ne pago.

CALANDRO. Cosí farò. Ma dimmi: chi era quella, cosí brutta, che fuggiva via?

FESSENIO. Chi era, ah? non la cognosci?

CALANDRO. No.

FESSENIO. È la Morte che teco era nel forziero.

CALANDRO. Meco?

FESSENIO. Teco, sí.

CALANDRO. Oh! oh! lo non la vidi mai lá drento meco.

FESSENIO. Oh buono! Tu non vedi anco il sonno, quando dormi; né la sete, quando bevi; né la fame, quando mangi. Ed anco, se tu vuoi dirmi il vero, or che tu vivi, tu non vedi la vita; e pure è teco.

CALANDRO. Certo, no, ch'io non la veggo.

FESSENIO. Cosí non si vede la morte, quando si muore.

CALANDRO. Perché si è fuggito il facchino?

FESSENIO. Per paura della morte: sí che temo che a Santilla oggi andar non potrai.

CALANDRO. Morto son se oggi con lei non sono.

FESSENIO. Io non saprei in ciò che farmi: se giá tu non pigliasse un poco di fatica.

CALANDRO. Fessenio, per essere con lei farò ogni cosa, sino andare scalzo a letto.

FESSENIO. Ah! ah! Scalzo a letto, ah? Questo è troppo. Non piaccia a

Dio.

CALANDRO. Di' pur sú.

FESSENIO. Ti bisogna, in fine, esser facchino. Tu sei sí travisato di abito e, per essere stato morto un pezzo, nel viso se' sí cambiato che non fia chi ti conosca. Io mi presenterò lá come legnaiuolo che fatto abbi il forziero. Santilla comprenderá subito come il fatto sta, perché ella è piú savia che una sibilla. E insieme farete il bisogno.

CALANDRO. Oh! Tu hai ben pensato. Per amar suo porterei e' cestoni.

FESSENIO. Oh! oh! Grande ardire costui ha. Orsú! Piglia. Alto! O diavol!

Tu caschi. Sta' forte. Ha' lo bene?

CALANDRO. Benissimo.

FESSENIO. Orsú! Va' inanzi; fermati all'uscio: e io, cosí, di drieto a te ne vengo. Quanto sta bene questa bestia sotto la soma! Sciocco animalaccio! Intanto che io menerò, per l'uscio di drieto, quella scanfarda, bisognerá pure che Lidio si lassi baciar da costui. Ma, se gli baci sui li fiano fastidiosi, li parranno poi piú suavi quelli di Fulvia. Ma ecco Samia. Non ha visto Calandro. Dirolli due parole. E la bestia stará tanto piú carica.

SCENA IV

FESSENIO servo, SAMIA serva.

FESSENIO. Onde vieni?

SAMIA. Da quel negromante a chi, per la strada di lá, ella poco fa mi mandò.

FESSENIO. Che dic'egli?

SAMIA. Che presto verrá da lei.

FESSENIO. Eh! eh! eh! Che son bubole? Io vo a trovar Lidio per obedire a quanto madonna mi commise dianzi.

SAMIA. È egli in casa?

FESSENIO. Sí.

SAMIA. Che credi di lui?

FESSENIO. A dirlo a te, non bene. Pure non so.

SAMIA. Basta. Noi stiamo fresche!

FESSENIO. Addio.

SCENA V

SAMIA serva, FULVIA.

SAMIA. Ti so dire che la va bene! ché né da Lidio né dallo spirito porto cosa che buona sia. Questa è la volta che Fulvia si dispera. Vedila che appare su l'uscio.

FULVIA. Tu sei stata tanto a tornare!

SAMIA. Non ho, prima che or ora, trovato Ruffo.

FULVIA. Che dice?

SAMIA. Niente, pare a me.

FULVIA. Pure?

SAMIA. Che lo spirito gli ha risposto… Oh! come diss'egli? Non me ne ricordo.

FULVIA. Sia col malanno, cervel d'oca.

SAMIA. Oh! oh! oh! Io me ne ricordo. Dice che gli ha risposto anghibuo.

FULVIA. Ambiguo, vuoi dir tu.

SAMIA. A quel modo, sí.

FULVIA. Non dice altro?

SAMIA. Che di nuovo lo pregherrá.

FULVIA. Altro?

SAMIA. Che, volendo servirti, verrá a dirtelo subito.

FULVIA. Misera a me! che non ne sará nulla. Ma Lidio?

SAMIA. Fa quel conto di te che delle scarpe vecchie.

FULVIA. Ha' lo trovato?

SAMIA. E parlatoli.

FULVIA. Dimmi, dimmi: che c'è?

SAMIA. L'arai per male?

FULVIA. Oimè! che c'è? Di' sú.

SAMIA. In fin, e' par che non te cognoscessi mai.

FULVIA. Che mi di' tu?

SAMIA. Cosí sta mò.

FULVIA. A che il comprendesti?

SAMIA. Mi rispose in modo che mi fe' paura.

FULVIA. Forse finse burlare teco.

SAMIA. Non m'aría svillaneggiata.

FULVIA. Non sapesti forse dire.

SAMIA. Meglio non m'imponesti.

FULVIA. Era forse accompagnato.

SAMIA. Lo tirai da parte.

FULVIA. Forse parlasti troppo forte.

SAMIA. Quasi all'orecchio.

FULVIA. In fin, che ti disse?

SAMIA. Mi scacciò da sé.

FULVIA. Dunque, piú non mi ama?

SAMIA. Né te ama né ti stima.

FULVIA. Cosí credi?

SAMIA. Ne son certa.

FULVIA. Lassa me! che odo io?

SAMIA. Tu intendi.

FULVIA. E di me non ti domandò?

SAMIA. Anzi, disse non saper chi tu fussi.

FULVIA. Dunque, m'ha dismenticata?

SAMIA. Se non te odia pur, bene ne vai.

FULVIA. Ahi cieli avversi! Certo, or cognosco lui spietato e me misera. Ahi quanto è trista la fortuna della donna! e come è male appagato lo amore di molte nelli amanti! Ahi trista me! che troppo amai. Lassa! che ad altri tanto mi diedi che non sono piú mia. Deh, cieli! perché non fate che Lidio me ami come io lui amo? o che io fugga lui come esso me fugge? Ahi crudel! che chiedo io? Disamar e fuggir Lidio mio? Ah! certo, questo né far posso né voglio; anzi, penso io stessa trovarlo. E perché non mi è lecito da omo vestirmi una sol volta e trovar lui, come esso, da donna vestito, spesso è venuto a trovar me? Ragionevol è. Ed egli è ben tale che merita che questa e maggior cosa si faccia per lui. Perché far nol devo? perché non vo? perché perdo io la mia giovinezza? Non è dolor pari a quello de una donna che si trova aver perso la sua giovinezza in vano. Fresca sta chi crede, in vecchiezza, ristorarla. Quando troverrò io uno amante cosí fatto? quando arò io tempo andarlo a trovare, come al presente, che egli è in casa e che il mio marito è di fuora? chi mel vieta? chi mi tiene? Certo, sí farò, ché ben mi accorsi che Ruffo interamente non si confidava disporre lo spirito per me. Li ministri non operano mai bene come colui a cui tocca; non eleggono il tempo commodo; non mostrano lo effetto de l'amante. Se io da lui vo, vedrá le mie lacrime, sentirá e' mie' lamenti, udirá e' mie' preghi.. Or butteromegli ai piedi, or fingerò morire, or al collo le braccia li circunderò: e come sará mai sí crudele che a pietá di me non si mova? Le parole amorose, per li orecchi dal core ricevute, hanno piú forza che stimar non si può e alli amanti quasi ogni cosa è possibile. Cosí spero; cosí far voglio. Or da omo a vestir mi vo. Tu, Samia, su l'uscio resta: né lassar fermarsici alcuno, acciò che io, a l'uscire di casa, cognosciuta non fusse. Tutto farò subito.

Возрастное ограничение:
12+
Дата выхода на Литрес:
31 июля 2017
Объем:
90 стр. 1 иллюстрация
Правообладатель:
Public Domain

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