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Читать книгу: «La Calandria», страница 6

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SCENA XXII

FESSENIO servo, FULVIA.

FESSENIO. Or sei tu fuor di passion, madonna mia.

FULVIA. Come?

FESSENIO. Lidio è per te in maggior fiamma che tu per lui. Non prima gli dissi quanto me imponesti che in ordine si misse; e a te ne viene.

FULVIA. Fessenio mio, questa è nuova da altro che da calze; e certo ben ti ristorerò. Odi, di sopra, che Calandro domanda i panni per uscir fuori. Tira via, ché meco non te veda. Oh che commoditá! oh che piacere mi fa! Ogni cosa comincia andarmi prospera. Lassami spingere fuora questo uccellaccio acciò che io libera resti.

FESSENIO. Ti so dir che questi amanti ristoreranno il tempo perso. E, se Lidio fia savio, doverrá ben fermarla alla cosa di sua sorella, se mai si ritrovassi. Calandro non sará in casa. Hanno viso per grande spazio sollazzarsi insieme. Io posso andarmi a spasso. Ma oh! oh! oh! Vedi Calandro che vien fuora. Lassami discostar di qui perché, fermandosi a parlare qui meco, potria veder Lidio che omai deve arrivare.

SCENA XXIII

CALANDRO, LIDIO maschio, LIDIO femina.

CALANDRO. Oh felice giorno per me! che non ho prima el piè fuor de l'uscio che vedo apparire il mio galante sole e verso me venire. Ma, oimè! Che saluto gli darò io? Dirò «buon dí»? Non è da mattina. «Buona sera»? Non è tardi. «Dio t'aiuti»? Saluto da vetturali. Dirò «anima mia bella»? Non è saluto. «Cor del corpo mio»? Detto da barbieri. «Viso de angioletta»? Par da mercante. «Spirito divino»? Non è bevitrice. «Occhi ladri»? Mal vocabulo. Oimè! la m'è giá adosso. Anima… cor… vis… spi… och… Cancher ti venga! Oh castron che io sono! Avevo fallito. E ben ho fatto a bastemiar quella perché questa qua è Santilla mia, non quella. Buon dí… volsi dir, buona sera. In fede mia, la non è dessa: m'ingannavo. La è questa qui. Mai non è. Ella è pur quella: lassami ire da lei. Anzi, è pur questa. Parole! Ell'è quella. Or questa è la vita mia. Anzi, è pur quell'altra. Anderò da lei.

LIDIO maschio. Pillera! Questo matto mi stima donna; e è di me innamorato; e mi verrá dreto fino a casa sua. Torniamo pur a casa nostra. Spoglierommi e, piú al tardi, torneremo da Fulvia.

CALANDRO. Eimè! Lei non è dessa. Infin, l'è quella che è andata lá per la strada. Meglio è trovarla.

LIDIO femina. Or che questa bestia non può vederci, entriamo in casa presto. E vedi lá, drento all'uscio, Fulvia che ci accenna. Drento, sú!

ATTO IV

SCENA I

FULVIA, SAMIA serva.

FULVIA. Samia! o Samia!

SAMIA. Madoonna!

FULVIA. Vien giú presto.

SAMIA. Io veengo.

FULVIA. Muoviti, trista ti faccia Dio! Muoviti!

SAMIA. Eccomi: che vuoi?

FULVIA. Va' via or ora, truova Ruffo dello spirito e digli che venga a me subito subito.

SAMIA. Vo sú pel velo.

FULVIA. Che velo? Bestia! Tira via cosí; vola.

SAMIA. Che diavol vuol dir tanta rabbia? E' mi par che l'abbia il dimonio in corpo. E pur Lidio doverria avergliene cavato.

FULVIA. Oh fraudolenti spiriti! oh sciocche umane menti! oh ingannata e infelice Fulvia, che, non pur te sola offeso hai, ma ancora chi piú che te stessa ami! Misera a me, che ho quel che cercai e trovato quel che non volea! onde, se lo spirito remedio non ci pone, de uccidermi sono disposta; perché manco amara è una voluntaria morte che una angosciosa vita. Ma ecco Ruffo. Presto saperrò se sperar o disperar mi debbo. Nissuno appare. Meglio è parlarli qui perché, in casa, le panche, le sedie, le casse, le finestre stimo che abbino li orecchi.

SCENA II

RUFFO negromante, FULVIA.

RUFFO. Che c'è, madonna?

FULVIA. Le lacrime mie, assai piú che le parole, mostrar ti possono la passion ch'io sento.

RUFFO. Parla: che cosa è questa? Fulvia, non pianger. Madonna, che hai?

FULVIA. Io non so, Ruffo, se o della ignoranzia mia o de l'inganno vostro doler mi devo.

RUFFO. Ah madonna! Che è quel che tu di'?

FULVIA. O il cielo o il peccato mio o la malignitá dello spirito che stato si sia, non so; ma, una volta, voi avete, oimè! di maschio in femina converso Lidio mio. Tutto l'ho maneggiato e tócco; né altro del solito ritrovo che la presenzia in lui. Ed io non tanto la privazion del mio diletto piango quanto el danno suo: ché, per me, privo si trova di quel che piú si brama. Or hai la cagion di queste lacrime e per te comprender puoi quel che io da te vorrei.

RUFFO. Se, Fulvia, il pianto, che mal finger si può, testimonio di ciò non mi facessi, a gran pena ti crederrei. Ma, stimando che vero sia, penso che di te sola doler ti puoi perché io mi ricordo che tu domandasti Lidio in forma di donna. Penso ora che lo spirito, per piú compiutamente servirti, e nel sesso e ne l'abito di donna ha mandato a te lo amante tuo. Ma poni fine al dolor tuo perché chi femina l'ha fatto ancor maschio può rifarlo.

FULVIA. Tutta consolar mi sento, parendomi che il fatto passato sia come tu di'. Ma, se tu Lidio mio intero mi rendi, li denari, la robba e ciò che io ho fia tuo.

RUFFO. Or che so lo spirito esser ben volto verso te, ti dico chiaramente che lo amante tuo tornerá maschio subito. Ma, per piú non equivocare, di' chiaro quel che vuoi.

FULVIA. La prima cosa, che se li renda il coltel della guaina mia, intendi?

RUFFO. Benissimo.

FULVIA. E che in abito, non in sesso da donna torni a me.

RUFFO. Se cosí staman parlavi, non seguiva questo errore: del quale ho però piacere perché tu cognosca quanta sia la potenzia del mio spirto.

FULVIA. Tra' mi presto di questa angoscia; ché, s'io nol vedo, non posso rallegrarmi.

RUFFO. Non solo il vedrai, ma con mano il toccherai.

FULVIA. E tornerá oggi da me?

RUFFO. Sono omai venti ore e poco teco star potria.

FULVIA. Non mi curo dello stare, pur ch'io veda che maschio sia.

RUFFO. E come può non bere chi assetato si trova al fonte?

FULVIA. Verrá, dunque, oggi?

RUFFO. Lo spirto tel fará venire subito, se vuole. Statti, dunque, avvertente in su l'uscio.

FULVIA. Non bisogna questo, perché, venendo da donna, in presenzia d'ognuno può mostrarsi; perché non è chi per maschio il conosca.

RUFFO. Basta.

FULVIA. Ruffo mio, vivi lieto, ché mai piú povero sarai.

RUFFO. E tu non piú scontenta.

FULVIA. E quanto posso aspettarlo?

RUFFO. Subito che sarò in casa.

FULVIA. Ti manderò drieto Samia perché tu me avvisi quel che te ne dice lo spirito.

RUFFO. Fa' tu. E ricordati che anche lo amante si presenti spesso.

FULVIA. Oh! oh! Non curare, ché ará denari e gioie a iosa.

RUFFO. Resta in pace. Con gran ragione Amor si dipinge cieco perché chi ama mai il ver non vede. Costei è per amor accecata sí ch'ella s'avvisa che uno spirito possa fare una persona femina e maschio a posta sua: come se altro fare non bisognasse che tagliare la radice de l'uomo e farvi un fesso, e cosí formare una donna; e ricucire la bocca da basso e appiccare un bischero, e cosí fare un maschio. Oh! oh! oh! amatoria credulitá! Oh! oh! Ecco Lidio e Fannio giá spogliati.

SCENA III

RUFFO negromante, LIDIO femina, FANNIO servo.

RUFFO. Vorrei che voi fusse ancor vestiti da donne.

LIDIO femina. Perché?

RUFFO. Per tornare da lei. Ah! ah!

FANNIO. Di che cosí sconciamente ridi?

RUFFO. Ah! ah! ah! ah!

LIDIO femina. Di' sú: che hai?

RUFFO. Ah! ah! ah! Fulvia, credendo che lo spirito abbi converso Lidio in femina, supplica che or maschio ti rifaccia e che te rimandi da lei.

LIDIO femina. Be', che gli hai promisso?

RUFFO. Che tutto subito si fará.

FANNIO. Bene hai fatto.

RUFFO. Quando vi tornerai?

LIDIO femina. Non so.

RUFFO. Tu rispondi freddo. Non vuoi tornarvi?

FANNIO. Si fará, sí.

RUFFO. Cosí si faccia, perché io gli ho detto, per parte dello spirito, ch'ella spesso ti presenti; e promisso m'ha di farlo.

FANNIO. Vi torneremo. Non temere.

RUFFO. E quando?

FANNIO. Intesa certa nostra faccenda, ci rivestiremo e vi anderemo subito.

RUFFO. Non mancar, Lidio. Sin di qua mi par vedere la sua serva su l'uscio. Non voglio che con voi mi veda. Addio. Ma oh! oh! oh! Fannio, odi all'orecchio. Fa' che il barbafiorito usi or con Fulvia il pestello, non il mortaro, intendi?

FANNIO. Cosí fará. Va' via.

SCENA IV

FANNIO servo, LIDIO femina, SAMIA serva.

FANNIO. Samia esce di casa. Tirati in qua sin che passi.

LIDIO femina. Da sé parla.

FANNIO. Taci e ascolta.

SAMIA. Or va' impácciati con spirti, va'! che t'hanno ben concio Lidio tuo.

FANNIO. Di te parla.

SAMIA. L'han fatto femina e ora lo vogliono far maschio. Oggi è il dí delle tribulazioni sue e delle fatiche mie. E pur, se lo faranno, anderá bene tutto. E presto il saperrò, perché la mi manda ad intenderlo dal negromante; e all'amante prepara di dare di buon denari, come la intende che abbia rifatta quella novella.

FANNIO. Hai tu udito de' denari?

LIDIO femina. Ho.

FANNIO. Or prepariamoci a tornarvi.

LIDIO femina. Certo, Fannio, tu se' fuor di te. Tu promesso hai a Ruffo che noi ci torneremo; e non so come vuoi che vada questo fatto.

FANNIO. Perché?

LIDIO femina. Me ne domandi? Scempio! come se tu non sapessi ch'io son femina!

FANNIO. E poi?

LIDIO femina. E poi, dice! Mò non sai tu, sciocco, che, s'io fo prova di me, paleso quel ch'io sono, me stessa offendo, Ruffo perde il credito ed essa scornata resta? Come vuoi che si faccia?

FANNIO. Come, ah?

LIDIO femina. Come, sí.

FANNIO. Ove omini sono modi sono.

LIDIO femina. Ma dove non sono se non donne, come saremo ella ed io, non vi sará giá il modo.

FANNIO. Tu sei sul burlare, sí?

LIDIO femina. Su le berte sei tu. Io parlo da maladetto senno.

FANNIO. Quando promissi che tu vi torneresti, a tutto avevo io ben pensato.

LIDIO femina. Or di': che?

FANNIO. Non me hai tu detto che in camera scura stesti con lei?

LIDIO femina. Sí.

FANNIO. E sol con le mani teco parlava?

LIDIO femina. Vero.

FANNIO. Be', io verrò teco, come dianzi.

LIDIO femina. Oh! oh! oh! a far che?

FANNIO. Ascolta. Per serva.

LIDIO femina. Mel so.

FANNIO. Vestita come tu.

LIDIO femina. E poi?

FANNIO. Quando seco in camera sarai, fingi avermi a dire qualche cosa e fuor di camera vieni. Tu resterai di fuori in loco mio, nota, ed io in tuo scambio entrerò in camera: ove essa, sanza barba trovandomi, al buio non discernerá chi si sia, o tu o io. E cosí crederrá che tu maschio ritornato sia; allo spirito si giungerá credito; i denari verranno a iosa; ed io con lei arò quel piacere.

LIDIO femina. Ti do la fede mia, Fannio, ch'io non udii mai cosa con maggior astuzia pensata.

FANNIO. Adunque, io non errai a dire a Ruffo che noi vi torneremo.

LIDIO femina. Non certo. Ma, intanto, saria pur bene intendere quel che a casa nostra si fa di questo mio parentado.

FANNIO. Questo è uno procacciar doglia e 'l proposito nostro è fuggire la conclusione.

LIDIO femina. Lo allungare non leva via la cosa. A quel saremo domane che oggi semo.

FANNIO. Chi sa? Chi scappa d'un punto ne schifa cento. L'andar da Fulvia può giovare; nuocer no.

LIDIO femina. Io son contenta. Ma va' prima presto a casa, per amor mio, e da Tiresia intendi quello che vi si fa. Torna presto; e subito anderemo da Fulvia.

FANNIO. Ben di'. Cosí farò.

SCENA V

LIDIO femina sola.

Oh infelice sesso feminile, che, non pur alle opere, ma ancora ai pensieri sottoposto sei! Dovendo femina mostrarmi, non sol far ma pensar cosa non so che riuscir mi possa. Deh misera me! Che debb'io fare? Dovunche io mi volto, dalle angosce tanto circundata mi trovo che loco non vedo onde salvar mi possa. Ma ecco di qua la serva di Fulvia che con uno parla. Discosterommi fin che passa.

SCENA VI

FESSENIO servo, SAMIA serva.

FESSENIO. In fine, che guai son questi? Di' sú.

SAMIA. Naffe! Il demonio c'è intrato.

FESSENIO. Come?

SAMIA. Il negromante ha Lidio converso in donna.

FESSENIO. Ah! ah! ah! ah!

SAMIA. Tu te ne ridi?

FESSENIO. Sí, io.

SAMIA. Egli è 'l vangelo.

FESSENIO. Eh! eh! eh! che sète matte!

SAMIA. Tu mi pari una bestia. Cosí è, se tu vuoi o se tu non vuoi. Fulvia l'ha tócco tutto e trovatolo femina; e del solito non gli è rimasto se non la presenzia.

FESSENIO. Ah! ah! E come fará, adunque?

SAMIA. Tu nol credi e però non tel vo' dire.

FESSENIO. Sí, fo, per questa croce. Di' pur: come si fará ora?

SAMIA. Lo spirito lo rifará maschio. Vengo dal negromante che m'ha data questa polizza ch'io la porti a Fulvia.

FESSENIO. Lassamela leggere.

SAMIA. Oimè! non fare, ché forse te ne avverria qualche male.

FESSENIO. S'io dovesse cascar morto, vedere la voglio.

SAMIA. Guarda, Fessenio, quel che fai. Le son cose da demoni.

FESSENIO. Non mi dá noia. Mostra pur qua.

SAMIA. Non far, dico. Ségnati prima, Fessenio.

FESSENIO. Deh! dá' qua.

SAMIA. Sí; ma vedi che in ciò sia tu piú muto che un pesce perché, se mai si risapesse, trist'a noi!

FESSENIO. Nol pensare. Dá' qua.

SAMIA. Leggi forte, che intenda anch'io.

FESSENIO. «Ruffo a Fulvia salute. Lo spirito sapeva che di maschio era fatto femina Lidio tuo. Meco ne ha riso assai. Tu medesima cagion fusti del suo danno e del tuo dispiacere; ma sta' sicura che allo amante tuo rimetterá presto il ramo…».

SAMIA. Che dice di ramo?

FESSENIO. Che riará la coda, ha' lo inteso? «… e a te subito ne verrá. E piú dice che egli arde di te tanto piú che prima, che altri che te piú non ama, piú non stima, piú non conosce, piú non ha in memoria. Di ciò non parlare perché gran scandolo ne seguiria. Mandali denari spesso; e cosí allo spirito, per farlo a te grato e a me felice. Vivi lieta e di me te ricorda che fidelmente ti servo».

SAMIA. Or vedi s'egli è 'l vero che gli spiriti possino e sappin tutto?

FESSENIO. Io resto il piú stupefatto omo del mondo.

SAMIA. Voglio portar presto questa buona nuova a Fulvia.

FESSENIO. Vatti con Dio. Oh potenzia del cielo! Debbo io però credere che Lidio, per forza de incanti, sia converso in femina e che non amerá né conoscerá se non Fulvia? Altro che 'l cielo nol potria fare. E pur costei dice che Fulvia lo ha tócco con mano. Intendo vedere questo miraculo prima che maschio ridiventi; e poi adorare questo negromante, se cosí trovo. Per questa strada di qua a Lidio me ne vo; ché in casa forse sará.

ATTO V

SCENA I

SAMIA serva, LIDIO femina, LIDIO maschio.

SAMIA. Bene è vero che la donna è sopra la pecunia come il sole sopra il ghiaccio; che, del continuo, lo strugge e consuma. Non prima lesse Fulvia la polizza del negromante che la mi dette questa borsa de ducati perché io a Lidio suo li porti. E vedilo a punto lá. Guarda se l'amica tua, o Lidio, fa il dovere. Non odi, Lidio? Che aspetti? Piglia, o Lidio.

LIDIO femina. Eccomi.

LIDIO maschio. Da' qua.

SAMIA. Uh! uh! trista me! Aveva preso un granchio. Perdonami, messer.

Volevo costui, non te. Addio tu. Tu ascolta.

LIDIO femina. El granchio pigli tu ora. Parla a me. Licenzia lui.

SAMIA. El vero di' tu. La smemorata! Erravo io. Va' sano. Tu vieni a me.

LIDIO maschio. Che «va' sano»? Voltati a me.

SAMIA. Oh! oh! oh! A te, sí. Costui voglio, non te. Tu odi. Tu addio.

LIDIO femina. Che «addio»? Non di' tu a me? Non son Lidio, io?

SAMIA. Madesí. Desso sei tu; tu no. Te cerco io; tu va' al camin tuo.

LIDIO maschio. Sei fuor di te. Guardami ben. Non son quello, io?

SAMIA. Oh! oh! oh! Pur ti conobbi. Tu Lidio sei. Te voglio; te no. Tu sta' discosto; tu piglia.

LIDIO femina. Che «piglia»? Balorda! Son io; non lui.

SAMIA. Cosí è. Erravo io. Tu hai ragione; tu il torto. Tu va' in pace; tu togli.

LIDIO maschio. Che fai tu, bestia? Par che vogli dargli a lui; e sai che son nostri.

LIDIO femina. Che «nostri»? Lassali a me.

LIDIO maschio. Anzi, a me.

LIDIO femina. Che a te? Lidio son io; non tu.

LIDIO maschio. Dágli qua.

LIDIO femina. Che «qua»? Dágli pur a me.

SAMIA. Oh! oh! Per forza non voglio giá me li toglia alcuno di voi per ciò che io griderrei ad alta voce. Ma state saldi. Lassatemi ben vedere chi di voi è Lidio. Oh Dio! oh miraculosa maraviglia! Non è alcuno sí simile a se stesso né la neve alla neve né l'uovo a l'uovo come è l'uno all'altro di costoro: tal che non so discernere chi di voi Lidio si sia; perché tu Lidio mi pari e tu Lidio pari, tu Lidio sei e tu Lidio sei. Ma io or ben la ritroverrò. Ditemi: è alcuno di voi innamorato?

LIDIO maschio. Sí.

LIDIO femina. Sí.

SAMIA. Chi?

LIDIO maschio. Io.

LIDIO femina. Io.

SAMIA. Onde vengon questi denari?

LIDIO maschio. Da lei.

LIDIO femina. Da l'amorosa.

SAMIA. Oh fortuna! Ancor non son chiara. Ditemi: chi è l'amorosa?

LIDIO maschio. Fulvia.

LIDIO femina. Fulvia.

SAMIA. Chi è il suo caro amante?

LIDIO maschio. Io.

LIDIO femina. Io.

LIDIO maschio. Chi? tu?

LIDIO femina. Io, sí.

LIDIO maschio. Anzi, io.

SAMIA. Uh! uh! uh! In malora! Mò che cosa è questa? Saldi! Qual Fulvia dite voi?

LIDIO maschio. La moglie di Calandro.

LIDIO femina. La padrona tua.

SAMIA. Tutt'una! Certo, o io sono impazzata o costoro hanno il demonio adosso. Ma aspettate. Or la rinvengo. Ditemi: con che abito andaste da lei?

LIDIO maschio. Da donna.

LIDIO femina. Da fanciulla.

SAMIA. Oh cosa ridicula e dispettosa! Ma oh! oh! a questo la ritruovo.

In che tempo ha ella voluto lo amante suo?

LIDIO maschio. Di dí.

LIDIO femina. Di mezzo giorno.

SAMIA. El fistolo de l'inferno non la rinverrebbe. Certo, questa è una trama diabolica cosí condotta da quello spirito maladetto. Meglio è che io, con li denari, a Fulvia me ne ritorni; e díegli poi essa a chi piú gli piace. Sapete voi com'ell'è? Io non so a chi di voi darmegli. Fulvia ben conoscerá il vero suo amante. Però chi di voi quello è a lei se ne venga e da lei li ará. Restate in pace.

LIDIO maschio. Non mi vedo nello specchio sí simile a me stesso com'è colui simile al volto mio. A bell'agio saprò chi egli è. E perché queste venture non vengono ogni dí e Fulvia intanto potria pentirsi, in fede mia, meglio è che io, come soglio, spacciatamente da lei ritorni; ché quelli denari non sono pochi. Sí: farò, a fé.

LIDIO femina. Or questo è lo amante per cui io son tolta in scambio. Che domin indugia tanto a tornar Fannio? Se qui or fussi, come esso disegnò, torneremmo a Fulvia e forse ci beccheremmo sú quei denari: benché al fatto mio pensar bisogna.

Возрастное ограничение:
12+
Дата выхода на Литрес:
31 июля 2017
Объем:
90 стр. 1 иллюстрация
Правообладатель:
Public Domain

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