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Читать книгу: «Un bel sogno», страница 3

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– È doloroso a dirsi, in questo mondo si nasce solamente per fare dei sacrifizii!

– Pur troppo, rispose Ermanno, dacchè il discernimento della ragione rischiarò la mia mente, io vidi essere lo scopo della vita non altro che una continua aspirazione ad una meta inconseguibile. È tanto vero che la felicità è una chimera impossibile, che io stesso abbandonai ogni speranza di ottenerla. Diffido della speranza perchè so che essa frutta il disinganno; eppure questa fata menzognera, mi ha sedotto anco una volta; eppure malgrado tutta la mia triste esperienza, ho sperato una follia! Sperai che un fiore non dovesse mai avvizzire, ed a quel fiore ho legati i miei affetti. – Che mi rimarrà infine?.. Nulla, un fuscellino dʼerba appassita!..

Laura questa volta aveva compreso; le parole del giovane suonarono amaramente nel di lei cuore.

– Feci male, mormorò Ermanno, feci male venendo qui questa sera, doveva aspettare domani, o dopo…

– Ma bravo! sclamò Laura con accento di rimprovero, il male lʼavrebbe fatto non venendo, perchè ieri sera lʼabbiamo desiderato vivamente, perchè con lei si passa unʼora senzʼaccorgersene; perchè infine se ella non venisse, arrecherebbe gran dispiacere allo zio, ai cugini… ed a me!

La giovinetta pronunziò queste parole con tale accento di dolore, che Ermanno ne ebbe rimorso, in quella voce egli ritrovò lʼespressione di una pena viva e profonda. Ne ebbe tanto rimorso che prendendo la mano di lei le disse:

– Mi perdoni madamigella. – Io stesso non so bene quello che mi dico… Creda pure che mi sarebbe stato impossibile resistere più oltre, giacchè se dipendeva solamente dalla mia volontà, a questʼora non sarei qui; ma da due giorni comanda in me unʼaltra potenza tanto forte, che mi abbandono rassegnato al mio destino. – Sia che vuolsi, se è vero che sarò poi infelice, è pur vero che ora sono felicissimo!

Laura strinse nelle sue la mano di lui, ed egli proseguì con voce sommessa fissandola negli occhi:

– Ma perchè ora piange… perchè quelle lacrime?

– Perchè sono felice, rispose Laura sorridendo cogli occhi lagrimosi. La dolcezza delle parole di Ermanno le aveva strappato il pianto; ma il pianto della gioia, quelle lacrime soavi che escono da un sorriso, e Laura piangeva sorridendo.

Si erano detto tutto?.. Chi lo sa; chi potrebbe dire sin dove si sarebbero arrestati? ma non era prudente lʼabusare dellʼoccasione, tanto più che poco dopo sopraggiunse Letizia.

– Ben venuto signor Ermanno, sclamò Letizia sorridendo, meno male che ella si sia ricordato dei torti che aveva da riparare – Laura era con lei indignata, ma a quanto vedo la mia buona cugina pecca per troppa indulgenza.

– Si fu perchè sua madre non istava bene, disse tosto Laura.

– Madamigella Letizia sa meglio di me che non mi faccio troppo pregare per venire in casa sua.

– Oh per me, rispose Letizia, non ci fo gran caso, sono sì bene abituata alle sue stranezze che non mi sarei stupita se anche questa sera non fosse venuto.

In quel momento entrò Alfredo, il quale fece pure ad Ermanno i suoi rimproveri aggiungendo:

– Però quello che non si fece ieri, si può fare oggi. Volete signorine che andiamo in carrozza?

– In carrozza! osservò Laura, non sarebbe meglio a piedi?

– E sia pure, disse Letizia, che glie ne pare signor Ermanno?

– Per me sono a loro disposizione, comandino…

– Allora è inteso, non faccio attaccare, chiese Alfredo.

– Letizia, disse Laura, vedi se mamma vuol venire, ed anche lo zio.

– Non darti pensiero per mio padre, tu lo sai a questʼora egli si dispone per recarsi al suo inevitabile caffè. Sì dicendo Letizia uscì di sala. Rimasero soli sul balcone Alfredo, Ermanno e Laura; il primo sempre distratto come al solito, si mise a canterellare unʼarietta, guardando sbadatamente nella via. Ermanno e Laura erano seduti di fronte, e si dicevano tante cose cogli occhi.

V

Letizia ritornò ad interrompere quella mutua contemplazione annunziando che anche la madre di Laura avrebbe preso parte alla passeggiata; e difatti dopo pochi istanti madama Ramati comparì in sala ove trovò tutti disposti alla partenza. La sera era fresca, ed eccitava al passeggio; presero la via per recarsi nel viale fuori di città.

La comitiva si dispose così: Laura diede il braccio al cugino Alfredo, Letizia restò indietro colla zia ed Ermanno.

La madre di Laura era una vera gentildonna per modi distinti, aveva una certa conoscenza con Ermanno, epperciò non vi mancava lʼelemento alla conversazione.

Naturalmente il discorso cadde su Laura, e lasciamo supporre quanto gradevole fosse questo tema ad Ermanno. Se si volesse poi sapere di che parlavano Alfredo e Laura che precedevano gli altri di qualche passo, è facile immaginarlo. – Le donne hanno un certo tatto istintivo per far cadere il discorso su ciò che loro piace senza che chi parla se ne accorga menomamente. – Appena Laura si era appoggiata al braccio di Alfredo trovò, modo di toccargli la corda debole parlandogli cioè di Ermanno; Alfredo cadde subito a quel primo attacco, e ne disse fino allʼentusiasmo in favore dellʼamico.

– Sarà debolezza, aggiungeva, ma Ermanno mi è tanto simpatico, che se io fossi una donna, me ne innamorerei perdutamente.

– Fortuna per lui che non avrà bisogno di te per avere delle innamorate.

– Tʼinganni, tʼinganni dʼassai; in fatto dʼamore il mio amico è del tutto profano.

– Odia forse le donne?

– Tuttʼaltro, nella carriera che percorre, si trova di sovente a contatto colle signore, ma nessuna che io sappia gli inspirò qualche cosa più di un poʼ di cortesia. – È troppo concentrato nellʼarte sua della quale egli se nʼè formata una amante; non vive che per la musica.

– Ma, ribatteva Laura, non mi sembra vero che un giovinotto, unʼartista non celi in seno qualche fiammetta…

– Eppure credimi la è proprio così; diamine io che gli sono sempre ai fianchi, dovrei saperlo. Di giorno non esce che per le sue lezioni, del resto se ne sta sempre al pianoforte. Se talvolta a forza di preghiere si lascia trascinare in qualche concerto o serata musicale, fa propriamente un sacrifizio. Egli non ama la società; è nemico dei clamori; per chi non lo conosce sembra un selvaggio, ma chi lo frequenta riconosce in lui un giovane pieno di talento e di modestia.

– Lo credo perchè me lo dici, sclamò Laura, ma pare davvero impossibile che un giovane così amabile e distinto non cerchi qualche conforto in unʼaffetto – Si è tanto felici quando si ama.

– Ma mia cara, per uno della tempra di Ermanno lʼamore si trova ma non si cerca.

– Chissà che un giorno…

– Sarà difficile, e sinceramente non gliene farei augurio…

– Perchè mai?

– Mio Dio, la fedeltà è tanto rara al giorno dʼoggi, ed Ermanno è una di quelle nature che amando si legano corpo ed anima…

– In questo caso, che male ci sarebbe?

– Che male? il ciel lo guardi! Se per disgrazia sʼinnamorasse, e venisse poi deluso, credo che si darebbe alla disperazione.

– Ma cugino mio, non tutte le donne sono leggiere, ve nʼha di quelle che possono dedicare lʼintera loro vita al culto di un solo ed unico affetto.

– Sì ve ne sono tali donne, ma nei Romanzi…

– Oh! senti, non dubitare così, ciò mi fa dispiacere; secondo voi altri noi saressimo lʼincostanza personificata.

– Via via, cuginetta, non adirarti meco; se vuoi che ci creda, crederò; ma solamente per farti piacere.

Di questo passo si giunse al pubblico passeggio, ivi lʼordine della comitiva si sciolse; Letizia si unì a Laura, Alfredo prese il posto di Letizia accanto alla zia a cui chiese:

– Ebbene è ella stanca della passeggiata?

– Tuttʼaltro, non mi sono neanche accorta dʼaver fatto tanta strada, mi trovo in sì buona compagnia!..

Il complimento era diretto ad Ermanno, che glie lo restituì nel modo il più lusinghiero.

– Nipote, disse madama Ramati ad Alfredo, quando ti verrà occasione di recarti a Milano, tʼimpegno a condur teco il signor Ermanno; ha promesso di venire.

Ermanno sorrideva con aria di rifiutarsi, e madama soggiunse:

– Sicuramente, badi che io conto con scrupolo sulle promesse, o che verrà colle buone, o le faremo venire per forza.

– Si accerti, o signora, rispose Ermanno, non vi sarà questa necessità. – Mi procurerò un giorno questo piacere.

Le due giovinette intanto si erano di molto allontanate; pareva che parlassero di qualche cosa ben importante, perchè si portarono alla distanza da non essere udite. – Laura volgevasi spesse volte indietro; indi si rimetteva a parlare gesticolando in modo che tradiva la sua contentezza. Che mai diceva essa alla cugina per discorrere con tanta enfasi? e perchè Letizia ascoltava col labbro atteggiato ad un sorriso malizioso? – Le donne, e le ragazze specialmente, abusano spesso di confidenza verso le loro amiche; un primo amore, il primo palpito del cuore, è un peso troppo grave per una fanciulla, perchè possa celarne il segreto. È vano pretendere che ella debba tenersi per sè le impressioni che la agitano, e nel seno di unʼamica versa tutto il suo mistero.

Le confidenze divengono una necessità nella donna che ama per la prima volta. Lʼuomo è egoista della sua felicità, la donna ne è ambiziosa; lʼuomo la nasconde con tutta cura, la cela agli sguardi di tutti; la donna invece prova una grande compiacenza nel rivelarla, e tradisce il secreto in tutti i suoi atti.

Laura col solo suo modo di camminare, appoggiata, anzi abbracciata a Letizia, palesava il suo amore. – Le due ragazze dopo di aver passeggiato sole per qualche tempo, si rivolsero agli altri, e Letizia chiamò:

– Signor Ermanno, ascolti una parola.

– Ai loro ordini, rispose il giovane avvicinandosi; non aveva ancora parlato, che già esse si erano attaccate alle sue braccia.

– Siamo stanche, disse Laura appoggiandosi a lui, abbiamo bisogno di un cavaliere…

– E dove trovarlo migliore? sclamò Letizia.

– Signorine, rispose Ermanno sorridendo, non vorrei che mi canzonassero…

– Ce ne guardi il cielo!

– Era per parlare un poco anche con lei, che lʼabbiamo chiamato, mormorò Laura.

– Comʼè bella questa sera illuminata dalla luna, veramente poetica.

– Passerei la notte passeggiando, disse Laura.

– Sola?

– Oh no, avrei paura.

– Come sono soavi queste notti illuminate mestamente, disse Letizia con accento declamatorio; e dire che vi son taluni che negano il romanticismo; con che cuore, io nol so. – Come non accendersi di poesia allo spettacolo malinconico e soave di una bella sera dʼestate? Parmi di essere trasportata a quei beati tempi in cui i trovatori erravano le notti solinghi e addolorati sotto le finestre di un castello di gotica architettura; parmi di sentirne i patetici canti, gli appassionati versi dʼamore.

Tutto ciò fu detto da Letizia con un tuono ironico, con unʼespressione così maliziosa, che Ermanno non ebbe più dubbio alcuno sulle confidenze che Laura poteva averle fatte. In quanto a Laura, essa non aveva neanche compresa sillaba della chiaccherata di sua cugina, perchè la sua mente viaggiava in quellʼistante a più alte regioni.

Piegata mollemente sul braccio di Ermanno, lasciava libero sfogo al pensiero abbandonandosi al languore della fantasia come alle illusioni di un sogno.

A poco a poco quella graziosa testolina si piegò sulla spalla del giovane, ed i biondi capelli agitati dalla brezza della sera, sfioravano dolcemente la guancia di lui. – Più volte ella gli aveva stretto il braccio nel suo, ed egli rispondeva collo stesso linguaggio.

La conversazione si ripigliò un poʼ più calma, Letizia moderò alquanto il suo spirito permettendosi solo di quando in quando di scherzare sulla distrazione della cugina.

Si parlò di molte cose, di poesia, di musica, di amore, di stelle, di fiori, ed anzi a proposito di fiori, dobbiamo dire che sebbene Laura fosse molto distratta non lasciò sfuggire inosservato un fiorellino che usciva da una siepe elevandosi sugli altri come per farsi cogliere. – Appena ella lo vide, allungò la mano, lo colse senza incomodarsi perchè presentavasi sul suo passaggio; quel fiore passò naturalmente dalle mani della giovinetta a quelle di Ermanno, e tutto ciò senza che la maliziosa Letizia se ne avvedesse.

A quellʼidea così gentile, a quellʼatto così eloquente nel suo silenzio, Ermanno fu tocco di gioja; non era più una creatura umana che egli si sentiva al fianco, era qualche cosa di soprannaturale, un angelo da cui si elevava un profumo tale di poesia, che lo commoveva in ogni fibra.

Alfredo chiamava al ritorno; si rifece la strada allo stesso modo, questa volta però erano tutti riuniti.

– Signori miei, diceva Alfredo, non possiamo negare dʼaver fatto una bella passeggiata.

– Oh! sì davvero verso il Campo Santo, rispose ironicamente Letizia.

– E il passeggio più ameno che abbiamo; questa bella strada fiancheggiata da cipressi, quellʼedificio in fondo che chiude la vista, queste statue, tutto costituisce un insieme armonioso.

– Insomma il Cimitero è ciò che vʼha di più bello in Brescia, osservò madama Ramati sorridendo.

– Non dica così zia; già si sa che Brescia non è Milano, ma è senza dubbio una bella città.

– Per conto mio non lo nascondo, disse Laura, la situazione dal paese mi piace assai; ai piedi delle colline; eppoi qui si gode di tutta la pace. Anche papà è bresciano, non è vero? chiese ella a sua madre.

– Sì, e mi ci volle non poca fatica per trascinarlo a Milano. Infine pregato da me, pressato daʼ miei parenti si lasciò indurre; ora vi sta da diciassette anni ed è tanto bene abituato che non abbandonerebbe mai la casa sua.

– Ed ella signor Ermanno, non ha conoscenti in Milano? chiese Laura.

– Molti, ed uno specialmente è il più caro deʼ miei amici al quale sono legato fia dallʼinfanzia; professa la pittura.

– Ah! tu parli di Paolo, disse Alfredo.

– Appunto.

– Anchʼegli è bresciano, un bravo giovinotto che farà fortuna col suo talento…

– Ed abita in Milano? domandò Laura.

– Da varii anni, mi sorprende anzi che non lo conosciate.

– Non cʼè da stupirsi, disse madama Ramati, noi frequentiamo sì poco la società… Ma giacchè parliamo di quel pittore, è da molto che desidero di avere i ritratti della nostra famiglia eseguiti da un abile artista, e se questo signor Paolo fosse veramente di vaglia…

– Glie lo garantisco zia; è unʼeccellente artista, e molto stimato.

– Allora mi darai il suo indirizzo.

– Io non lo so, Ermanno potrà favorirla.

– Certamente, sarà mia premura, rispose Ermanno, anzi senza che ella si disturbi, gli scriverò io, invitandolo a passare da Lei.

– Meglio così.

Laura non parlava, ma nellʼudire che un amico intimo di Ermanno le avrebbe fatto il ritratto, ne ebbe molto piacere. – Di questo passo la comitiva giunse davanti al palazzo Ramati; ivi tutti si fermarono; era tardi, e fu giocoforza salutarsi. – Ermanno strinse per lʼultima volta il braccio a Laura, prima di separarsene; madama Ramati lo ringraziò della buona compagnia che le aveva fatto, gli strinse la mano, indi egli se ne andò.

VI

Non era più per Ermanno il caso di resistere, ma di amare. Anco se egli avesse potuto opporsi alla corrente che lo trascinava, non lʼavrebbe voluto. La lotta che tende a debellare la felicità, è lotta da stolto.

Ermanno accettava il suo bene senza esaminarlo, nè calcolarne la durata; egli era felice, e per quanto gravi potessero essere le conseguenze del suo disinganno, non valeva certo la pena che loro si sacrificasse la gioja del presente. – Tutto ha fine in questo povero mondo! e lʼuomo viene istintivamente predisposto a non curarsi di questa legge fatale che pesa sui destini del creato.

Eppoi, havvi forse da farne meraviglia se in quel periodo di tutta luce che si chiama giovinezza, lʼuomo ragiona più col cuore che colla mente? Egli è solo allora che si spera ciò che si desidera; in quellʼetà di aspirazioni ardenti, non si bada gran fatto agli ostacoli che frappongonsi ad una meta prefissa. – Il senno e la ragione lasciano libero passo ai voli della fantasia che nel suo giovanile entusiasmo spiega arditamente le ali ad eccelse mire. – A ventʼanni lʼumile artista che abita la soffitta, e mangia pan nero, vagheggia il sorriso della dama che scorre i passeggi sdrajata in cocchio sontuoso; ronza con ingenuità veramente rara sotto le finestre di un ricco palazzo per incontrare lo sguardo di una giovinetta che sciupa tanto in guanti quanto egli potrebbe guadagnarsi col lavoro assiduo di unʼanno.

Dal buco della sua soffitta egli ha il coraggio di palpitare per qualsiasi nobile donzella, avrà anche il coraggio di amarla, e la follia di sperare – Mormorate un poʼ allʼorecchio di quel povero paria: – ma disgraziato, non vedi che ti colse la più strana delle pazzie? Non pensi che fra te e quella giovinetta vi sta unʼabisso senza fine? non pensi tu che sei povero, che dormi sulla paglia fra due cenci di lenzuola, mentre ella riposa fra i morbidi velluti? – Nella tua casa regna lo squallore, questa tua stamberga scarseggia financo di luce, ed ella abita invece un palazzo immenso, ove i tappeti, la seta e lʼoro sono profusi con tutto lo splendore – Non vedi che tu ora sei vittima di un sogno, e che domani ridestandoti troverai amaro il tuo pane, insipida la tua acqua, orrida la tua soffitta?»

Ebbene, egli maravigliato vi risponderà che ben poco gli cale di tutto ciò, e ripigliando la sua miserabile esistenza proseguirà collo stesso ardore a sperare.

Ecco come il più delle volte si ragiona in gioventù. Non è che col frutto di una crudele esperienza imparata col volgersi degli anni che ai cerca col dolce lʼutile; egli è solo nella prima giovinezza che lʼuomo lascia libero sfogo agli slanci del suo cuore senza calcolo dʼinteresse. Saranno follie, ma le sono dolci follie preferibili mille volte alla rigida diffidenza delle anime volgari che passano sotto i raggi ardenti del sole di gioventù facendosi scudo col freddo raziocinio inspirato da un cuore senza vita – La soverchia ragione nei primi anni di esistenza, non può essere che il frutto di ottusità di mente, e dʼaridità di cuore – Meglio è ardere nel Vesuvio di unʼillusione, che trascinare la vita fra fuochi fatui.

Malgrado che la notte fosse già di molto avanzata, tuttavia Ermanno non seppe decidersi dʼandarsene a casa; egli aveva bisogno di abbandonarsi alla foga deʼ suoi pensieri. Giammai la notte gli era parsa tanto bella, giammai il freddo raggio della luna gli era sembrato così malinconico – Errò per le vie della città senza darsi ragione della strada che percorreva: Si pensa forse ove si vada allorchè la mente è confusa ed eccitata da memorie soavi?

La mezzanotte era già trascorsa quando Ermanno giunse verso la sua abitazione. – Alzando a caso gli sguardi alla finestra debolmente rischiarata, vi scorse sua madre.

Ingrato, egli lʼaveva dimenticata! – La buona donna infatti era tutta sconvolta per lʼinsolita assenza del figlio, ed invano aveva cercato riposo; il timore che fosse avvenuto qualche malore a lui, la tenne in una veglia angosciosa. Da due ore quella povera madre stava alla finestra spiando sulla via, e palpitando ad ogni risuonar di passo.

Ermanno entrò in casa, e subito ella gli corse premurosa incontro per sapere se fosse stato trattenuto da qualche incidente.

– Rassicurati madre mia, nulla mi è successo, rispose Ermanno stringendole la mano, sono stato da Ramati…

– Così tardi?

– Che vuoi, non mi lasciavano mai; se avessi saputo che tu mi aspettavi…

– Oh! non monta; temeva solamente… non si sa mai di notte le strade non sono troppo sicure.

– Or via calmati buona mamma, sclamò il giovane accarezzandola, va a letto, va a riposarti che nʼhai di bisogno.

– Che hai Ermanno, chiese ella sorridendo, mi sembri di buon umore stassera?

– Sì, non so perchè, ma sono tanto contento.

– Che Dio ti conservi sempre tale figlio mio?

Ermanno restò alzato ancora per qualche tempo sempre pensando alla graziosa fanciulla che tante prove dʼamore gli aveva date in quella sera felice; baciò più volte il fiore che ella gli aveva posto fra le mani, indi lo collocò accanto ad un mazzolino di altri fiori appassiti – La freschezza dellʼuno, ed il languore degli altri formavano uno strano contrasto che non sfuggì allʼocchio di Ermanno – Poveri fiori! Ieri ancora erano belli e rigogliosi, oggi il soffio della materia passò sovrʼessi, ed eccoli collo stelo curvato; di quei brillanti colori, di quel soave profumo appena rimangono pallide vestigia.

Ecco il passato! Pensò Ermanno sospirando; ma il suo sguardo si fermò allora sul fiore deposto ancor bello, ancor pieno di vita e di freschezza. Fu un raggio di speranza che sperdè la malinconia che già assaliva il povero giovane: Ecco il presente! gli mormorò una voce interna, ed egli baciò anco una volta lo stelo profumato del fiore che ridonavagli la speranza.

Andò a letto, si addormentò ed i suoi sogni furono una catena di rose che si rivoltava in giri senza fine. Si addormentò felice, e si svegliò felicissimo. Laura fu lʼultima parola della sera, e la prima del mattino.

Durante la giornata però, fu spesse volte preda di mesti pensieri; nel colmo dellʼebbrezza egli erasi dimenticato della prossima partenza di Laura; ed appena se ne rammentò, il suo cuore gemette amaramente.

– E sarà vero chʼella debba allontanarsi, che non potrò più vederla? pensava fra sè.

Ciò che mitigava alquanto il dolore della separazione era senza dubbio la certezza di possedere lʼamore di lei; ma finora ella non glie lo aveva detto; ed è tanto dolce il sentirsi dire che si è amato. Dʼaltronde come trovare il tempo per strappare a Laura quella dolce confessione? I cugini le erano sempre dietro – Due giorni ancora, e poi ella partirebbe senza poter pronunziare la parola che doveva essere il sostegno del povero Ermanno nei giorni di amarezza.

Andò alla sera da Ramati, ma senza frutto, vale a dire senza poterle parlare da sola; non vi rimaneva che un giorno, lʼultimo. Alla vigilia della partenza il povero giovane pensò con tutte le forze del suo ingegno onde trovare un mezzo per parlarle; ma tutto fu vano, ed al mattino di quel giorno disgraziato, egli aveva ancor nulla risolto. Verso mezzogiorno gli nacque unʼidea che gli parve buona; prese il cappello ed uscì frettoloso – Pochi minuti dopo egli entrava nel portone di casa Ramati.

Salì le scale collʼanimo agitato dal timore e dalla speranza, e fu introdotto da un servo che lo lasciò in anticamera dicendogli: Le damigelle sono nel gabinetto da lavoro, il signor Alfredo è uscito col padrone.

– Bene, rispose Ermanno, annunziami alle signorine.

Il servo eseguì, e poco dopo ritornò per dirgli che poteva passare.

Il salotto da lavoro era assai ben riparato dalla luce giacchè entrandovi stentavasi a discernere gli oggetti; tanto è vero, che Ermanno si arrestò sulla soglia mormorando confuso:

– Mille perdoni madamigella Letizia se…

Per tutta risposta sentì una mano che aveva stretta convulsivamente la sua, ed una voce delicata e commossa che gli disse:

– Venga avanti signor Ermanno, la cugina Letizia è in giardino con mia madre, non tarderà molto a venire. In così dire Laura, giacchè era ben dessa, lasciò la mano di Ermanno per aprire un tantino le imposte onde lasciarvi penetrare un poʼ di luce.

Ermanno sedette macchinalmente sulla seggiola ove ella lo aveva guidato, ma allorchè si vide solo con lei, sentì che gli mancava il coraggio di parlare; tutti i suoi proponimenti erano iti in fumo alla sola vista della giovinetta, e stette per qualche tempo a contemplarla senza far motto.

Laura rispose con un lungo sorriso al lungo esame elle ei fece sul di lei volto; quel sorriso pareva unʼeccitamento a farlo parlare; nella dolce espressione di quello sguardo che si fissava in lui, eravi unʼaria sicura del perdono che poteva trovare per qualche parola troppo azzardata.

Ermanno tentò una seconda volta di parlare, ma inutilmente; la parola si ribellava sulle labbra. Eppure egli leggeva chiaramente nel placido sguardo di lei che i suoi detti erano aspettati; in quel sorriso languido eravi unʼespressione voluttuosa ed affascinante che altro non poteva essere se non amore. Ma appunto lʼincontro di quelle pupille mettevagli lʼanimo a soqquadro.

Laura ruppe per la prima il silenzio.

– Come mai, dissʼella, come mai caro signor Ermanno abbiamo la fortuna di vederlo qui a questʼora? E sì dicendo si sedette a lui dappresso.

– Egli è madamigella, rispose Ermanno quasi balbettando, egli è che… ella parte questa sera, non è vero?

– Ah pur troppo!

– E siccome non so se mi sarà possibile di venirla a salutare per lʼultima volta…

– Come? chiese Laura con accento di collera, ella avrebbe cuore di non venire alla stazione!.. La sarebbe bella, e sì dicendo fece un gesto così espressivo di dispetto, che Ermanno fu a poco per stringersela al seno.

Vi fu un breve silenzio; la conversazione da bel principio erasi troppo inoltrata perchè quei due cuori non palpitassero violentemente – Infine Ermanno fattosi animo riprese con voce mesta.

– Dunque è proprio deciso?

– Oh! non me lo dica più, sclamò Laura, mi viene da piangere al solo pensarci. Anzi ho già pianto stamane, e per tutta la notte non potei chiudere occhio. Io prevedo che in quella brutta Milano morrò di malinconia; si sta tanto bene qui in Brescia!.. e dopo tutto per darmi lʼestremo colpo, ella ha tanto cuore di dirmi che forse stassera non potrà neanche venire a salutarmi!– Non potè proseguire, le lagrime le bagnavano gli occhi, e si portò singhiozzando il fazzoletto sul viso.

– Mi perdoni, madamigella, rispose Ermanno tutto commosso a quelle lagrime; mi perdoni. Io stesso non so più quel che mi dica, nè quel che mi faccia; da due giorni ho una spina in cuore che mi fa molto male; io non so ciò che succedette in me, ma è un fatto che oggi sento di soffrire! – Ella partirà dunque, ed io me ne resto qui solo!.. Oh Laura, è inutile che io più oltre combatta per serbare il silenzio, non posso più tacere – Mi perdoni se le dico che colla sua partenza ella mi rapisce la pace, ma il mio dolore per il suo abbandono è troppo grande e non saprei celarlo – che più? non seppi reggere allʼincertezza, e venni qui a questʼora per sentirmi dire che ella serberà qualche memoria di questi giorni, e penserà talvolta a questo infelice che sente di perdere ogni bene in lei?

– Oh! sempre, sclamò Laura stringendogli la mano.

– Mi dica, proseguì egli, mi dica che nel suo cuore ella sente qualche cosa per me, che nel lasciarmi prova alcun dolore. Ciò mi sarebbe di gran conforto.

– Ermanno, signor Ermanno! E non sono per sè sole eloquenti queste lagrime? – Oh! io sono ben infelice; se la certezza del mio dolore le può arrecare qualche bene, lo sappia: Sì io soffro nellʼabbandonare questa città, e tutto ciò perchè mi separo da lei che in sì poco tempo ho imparato a conoscere; ma ora non voglio più piangere, ora sono felice perchè ella pure si addolora per la mia partenza – Egli è ben doloroso questo destino che ci condanna a vivere separati; perchè non si può essere sempre là dove il cuore inclina? Perchè non si può sempre stare con chi… si ama!

– Grazie Laura, sclamò Ermanno stringendole ambe le mani, grazie per queste parole che mi ridonano la vita – Mi prometta che ella penserà qualche volta a me, ed io le giuro che non avrò memoria se non per lei, che non avrò un palpito che non sia suo.

– Come potrei dimenticarlo! mormorò Laura.

Ermanno si strappò una medaglietta che teneva al collo, e presentandola a Laura le disse:

– Eccole una mia memoria. Questa medaglia è ciò che io abbia di più sacro; è di mia madre…

Laura la prese, la baciò, indi posela in seno; Ermanno proseguì:

– Mi permetta altresì che questa sera le consegni una mia lettera.

– Oh qual piacere!

– Con preghiera di non leggerla che al suo arrivo in Milano.

– Lo giuro.

– Ed ora a rivederci questa sera, ci saluteremo per lʼultima volta collo sguardo, e col cuore!

Возрастное ограничение:
12+
Дата выхода на Литрес:
28 сентября 2017
Объем:
220 стр. 1 иллюстрация
Правообладатель:
Public Domain

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