In campagna. – È il pomeriggio di una bella giornata settembrina. Una camera spaziosa nitida, gaia, piena di aria e di luce. L'ambiente è quasi rusticano, ma raggentilito da una signorilità semplice e modesta. – Una porta a destra, una porta a sinistra. Un'altra porta, molto ampia, a due battenti, si apre nel mezzo della parete in fondo e scopre il verde scintillante di un pergolato. A poca distanza dalla porta, tra il fogliame della vigna, spicca la tinta biancastra del parapetto d'un pozzo e mettono un luccichìo più vivo la secchia tersa e la carrucola che pende dal ferro arcuato. – Un finestrone è accanto all'uscio di fondo e s'apre anch'esso sulla vigna. La camera è mobiliata per le bisogne domestiche. Una credenza carica di stoviglie, di biancheria, di posate. Qualche stipo, qualche pianta di rosa in un vaso grezzo. Una piccola tavola per il desco. Una tavola grande coperta da un panno bianco, e sopra di essa alcune scatole in cui sono ammonticchiati bavaglini, camicine, cuffiette. Accanto a questa tavola, un cestino da lavoro.
(in piedi presso la tavola coperta dal panno bianco, vi stende su nastrini, tulle, mussola. È sola. Chiama:) Teresina!
(di dentro) Signora!
Che non sia freddo addirittura cotesto ferro.
(entra portando un ferro da stirare. Lo accosta un po' alla faccia) Per stirare robetta leggera, basta com'è.
Dammi.
Faccio io. So fare. Voi vi affaticate troppo.
Ma di che t'impicci, tu? Non sono mica ammalata, per tua norma. (Prende il ferro, lo strofina sopra una pietra che è sulla tavola e stira accuratamente.)
Un poco ammalata, siete. Ieri, per esempio…
Che ne sai di ieri?
Si vedeva.
(stirando) Non c'era niente da vedere, hai capito?
Avevate la faccia come la carta che era una pietà a guardarvi!
Ma che me ne importa di ieri se oggi sto benissimo? Sto meglio di te, sai.
E no! Tutte le donne sono un po' malate quando fanno i figliuoli.
Vorrei sapere chi te le insegna queste sciocchezze!
Il curato.
Mi meraviglio di lui che parla di certe cose alle ragazze.
Ce ne parla a fin di bene. Egli ci dice sempre che il fare figliuoli è una malattia. (Imitando la voce del curato) «State attente, ragazze, state attente a non cadere in peccato. Fatelo almeno per la salute.»
(sorridendo) Se dice così, dice giusto. Ma resta a capire quand'è che si cade in peccato.
Da noi, non si cade in peccato solamente quando ci si marita. Ho da riscaldarlo un altro ferro?
No, grazie, non mi serve. Apparecchia piuttosto e pensa a darmi da pranzo.
Ho già messo a cuocere i ceci.
Mi dai la buona minestra paesana?
Quella vi do. (Apparecchiando la tavola per il pranzo, indugia ogni tanto a parlare.) Vi piace?
Molto. E mi ti raccomando per la carne, Teresina. Ricòrdati che devo mangiarne spesso; e tenera ha da essere.
Don Fabiuccio Nasti, che nella macelleria del padre comanda lui, me n'ha portato un tocco da fare alla cacciatora, tenero come il burro.
Un quarto di chilo?
Pago sempre per tanto; ma siccome lui amoreggia con me, io ne profitto e me ne prendo di più.
Ciò non va bene.
Io me lo sposo.
E che vuol dire che te lo sposi?
Vuol dire… che gli darò più di quello che ho preso.
E della malattia, non ne hai paura?
Eh! Presto o tardi ci si ha da passare, penso io. Siamo donne per questo.
Hai ragione. (Ha finito di stirare. Raccoglie e piega i nastrini, il tulle, la mussola.) È vero che la Madonna di Roccaromita protegge le mamme?..
Sì che le protegge. Avete fatto bene a venirvene a Roccaromita.
Ma io (dissimulando)… non ne sapevo nulla. Ci sono venuta perchè qui ho trovato da acquistare questa casetta per pochi soldi.
La Provvidenza vi aiuta.
(animandosi) Certo che mi aiuta! (Il suo viso si contrae un poco. Ella si sorregge a una sedia.)
Lo vedete?!..
No, no, t'inganni.
(si affretta a soccorrerla.)
Ma no… Inezie! (Un silenzio.) (Siede.) (Le passa sulla fronte come un'ombra. Indi scuote la testa. Si rianima.) Ecco. Più niente. (Si dispone ad agucchiare.)
(terminando di apparecchiar la tavola) Frutta ne ho da comperare?
E guarda! Abbiamo lì quel po' po' di uva moscadella.
Se la nuova massaia non se ne dispiace…
Non può dispiacersene. L'uso di questa piccola vigna me lo sono riserbato per me.
Allora ve li colgo due grappoletti maturi?
(festosamente) Io! Io! (Si alza e corre al pergolato.)
(curiosando, tocca e guarda i nastri, i merletti, le cuffiette, le camicine, i bavaglini già cuciti.) Gli fate un corredo coi fiocchi al piccino!
(dal pergolato, mentre sceglie i grappoli da cogliere) Non guastare, Teresa.
Non guasto, no. (Continuando a guardare) Ma, perchè poi tanto tempo prima?
Com'è bionda! Sembra tutta sparsa di polvere d'oro. (Tornando con i grappoli in mano e assaggiando qualche chicco d'uva) E com'è dolce! Prendi, Teresa.
(stacca anche lei qualche chicco e gusta.) Dolce assai.
(mette l'uva sulla tavola da pranzo e si asciuga le dita alla tovaglia.)
(con riflessione)… A voi che ve ne pare? Sarà un maschio o sarà una femmina?
(stringendosi nelle spalle, tutta sorrisi in volto) Mah! (Siede presso il cestino.)
Non ce l'avete messa l'intenzione?
(infilando l'ago) No.
Quando sarà il momento, io ce la metterò, perchè il primo figlio lo voglio maschio.
(cominciando a ornare una cuffietta) E se lo sposo ce ne metterà un'altra?
L'intenzione dell'uomo non conta!
Ah no? (Si volta e la guarda.) E questo chi te l'ha insegnato?
Nessuno. Lo so da me.
Picchiano, Teresa. Sono tre colpi. Sarà il signor Maurizio.
Vado. (Esce a sinistra.)
(senza comparire, dalla stanza attigua) È lui: il signor Maurizio.
(celiando) La marchesa non riceve.
(porta gli occhiali verdi. Indossa un costume dalle tinte gaiette e un paltoncino col bavero alzato. Entrando:) Riceviate o no, io sono qua.
Ancora?!
Come ancora? È un pezzo che non mi vedete.
Da ieri l'altro.
Ma non da ieri. Ce n'era abbastanza per credere che voi aveste il più vivo desiderio di vedermi.
Venite qua. Sedete. (Gli porge la mano, che Maurizio stringe con tutt'e due le sue.)
(piglia una sedia e sta per sedere accanto al cestino.)
Toglietevi, per favore, quel paltò, quegli occhiali… Siete opprimente così imbacuccato!
Gli occhiali me li tolgo subito, perchè qui dentro, se Dio vuole, polvere non ce n'è. Ma quella strada maestra!.. L'altro ieri mi sono rovinato gli occhi. Guardate qui. (Allargando le palpebre con le dita) Ho una minaccia di congiuntivite! Lasciare le strade maestre in quello stato è un'infamia! Ma che cosa fanno i consiglieri della Provincia? Che cosa fanno i deputati? Che cosa fanno i ministri? (Siede.)
E il paltò?
No. Vi domando perdono, ma il paltò, per ora, mi abbisogna. Ho fatto di corsa quest'ultimo tratto di via, che mi sembra il Calvario, e, se non mi sbaglio, sono un tantino sudato. Aggiungete poi che questa non è mica una camera: è una ghiacciaia.
Potevate fare a meno di correre.
Eh!.. Di tante cose si potrebbe fare a meno!
Per esempio?
Per esempio, di venire fin quassù tre volte la settimana.
Perchè ci venite?
Io non lo so.
(ridendo un po') Ah, ah, ah!
Che c'è da ridere?
Ricordavo… le tre volte la settimana di Olghina: lunedì, mercoledì e venerdì.
Ma che confusione fate!
(graziosamente, dopo una pausa) Come sta?
Sta bene. Credo che stia bene.
Sempre… tre volte la settimana?
No, no.
Due volte?
Nemmeno.
Una sola?!.. Povero Maurizio!
(con comico risentimento di uomo offeso nel suo amor proprio maschile) Vi prego di credere, Donna Claudia…
Andiamo, non vi arrabbiate con me, chè anzi io mi compiaccio di sapervi divenuto più saggio.
Più saggio!.. Chi può dirlo poi se sia precisamente saggezza? La verità è che tutta questa storia mi ha scombussolato. Ci pensate, voi, a quel che mi capita? Quando verrà pronunziata la sentenza di separazione tra voi e vostro marito non ci sarà un cane che non avrà la convinzione ch'io sia il vostro amante e anche il… Mi capite, eh?
La vedete questa cuffiettina com'è caruccia?
La vedo, sì, la vedo.
È un amore!
È tanto caruccia, ma datemi retta. Non si tratta d'una bazzecola. È un fatto d'una gravità singolare, singolarissima. Io sarò in una falsa posizione vita natural durante.
(con la massima calma, lavorando a un'altra cuffietta) Il vostro nome non verrà fuori. Voi sareste forse indiziato se ci fosse un sincero dibattito in tribunale. Invece, no, sarà tutta una mirabile finzione, perchè mio marito ed io ci siamo messi d'accordo.
Ma visto che di accordo avete stabilito di dimostrare che vostro figlio non è suo, il naturale candidato alla paternità ho il piacere di essere io. È chiaro.
(senza darsi nessuna pena) Ma no!
Sentite, Donna Claudia, questo figlio deve averlo fatto qualcuno.
(con un sorrisetto bonario) Ecco quello che vi nego.
(scattando in piedi e levando la voce) Quando si arrivano a dire di simili enormità, non c'è più nulla a sperare dalla logica umana!
(graziosissimamente) Non urlate, Nunù, perchè gli urli mi guastano l'appetito.
Chi è Nunù?
(rifacendo le voci e i gesti del primo atto) «Addio Ninì» – «Addio Nunù». (Ride.)
(rammentandosi) Ah!.. Ve ne ricordate? (Facendosi serio) E da allora, purtroppo, sono cominciati i guai!
Ma voi ridete sempre, Donna Claudia!
O Dio! Non dovrei ridere neppure pensando a quel servo imbecille, che, secondo voi, riconoscendomi per la marchesa di Montefranco, mi avrebbe terribilmente compromessa? Vedete come sono mutate le cose. Adesso, voi medesimo venite quassù, da me… tre volte la settimana, affrontando la polvere, il caldo, il freddo, il vento, e mi compromettete con la più spensierata disinvoltura.
(sedendo di nuovo) Voi scherzate, e intanto vi assicuro che, più o meno, queste stesse parole io me le dico senza punto scherzare, quando ci penso. Non è proprio della compromissione ufficiale che io mi preoccupo. Oramai, quella lì è un incidente esaurito. Ma c'è una compromissione di altro genere…
Che riguarda voi e me?
(facendosi sempre più serio) No, riguarda me solo. Perchè, sappiatelo, (con vibrazione malcontenuta)… non tutti gli uomini sono come sembrano!..
Bella novità!
Io sembro un vecchio fannullone, un vile cultore del proprio benessere, di quel benessere mediocre e pedestre che non corre nessun rischio in mezzo agli urti, alle grida, alle afflizioni, alle lagrime dell'umanità sofferente, e che, d'altra parte, non aspira alle grandi gioie, ai godimenti supremi, e non li rasenta mai. Io sembro un uomo fatto con la ricetta: tanto di prudenza, tanto d'indifferenza, tanto di bontà, tanto di debolezza, tanto di virtù e tanto di vizio, e il tutto mescolato bene e riscaldato a bagnomaria. Io sembro, insomma, e sono forse stato, ne convengo, la negazione di ciò che rende la vita molto bella o molto brutta, di ciò che la rende movimentata e profonda, di ciò che la distrugge e la ravviva, che l'abbassa fino al fango o la eleva sino al Cielo: (con uno slancio d'entusiasmo) ma io, Donna Claudia…
(interrompendolo apposta e mostrandogli la seconda cuffietta) Vi piace quest'altra col nastrinuccio celeste?
(dissimulando un po' di tristezza interiore) Sì, mi piace.
Ce n'è di tutti i gusti. Guardate! Guardate! (Prende la scatola riboccante di cuffiette.)
Difatti, ce n'è moltissime.
E ce ne saranno anche di più.
Ma, tanto per sapere, quanti figliuoli contate di mettere al mondo in una sola volta?
(con tenerezza soave) Uno, mio buono Maurizio, che sarà tutto il mio mondo!
Ecco… Quando dite queste cose, con quella voce, con quel certo non so che di dolce e di commovente… è un affare serio! Io ne piglio…
Una malattia!
(La commozione quasi lo vince suo malgrado) No! Donna Claudia, devo convenire… che ne piglio un poco di buona salute.
(di dentro) Signora! (E tossisce come per meglio avvertire della sua presenza.)
Cosa c'è?
(di dentro) Posso entrare?
(a Maurizio, sorridendo della reticenza di Teresina) Che ne dite? Può entrare?
Come vi divertite a mie spese! (Tentennando la testa in segno di pazienza) Entra pure, ragazza, chè non ci disturbi.
(continuando la celia – a Teresina) Perchè hai domandato se potevi entrare?
(indicando Maurizio) Eh! Quando c'è lui…
No, sai, ti sbagli!
(mettendo la zuppiera in tavola) Mi prendete per allocca. Ma io lo capisco quello che siete.
È inutile: ne è convinta anche lei!
Almeno per galanteria, non dovreste lamentarvene.
(alzandosi) Sì, sì. Buon pranzo! Io vi lascio.
(preparando in fretta un altro coperto) No, no. Qui. Pranzate con me. Vi offro una minestrina paesana, che è un piccolo capolavoro.
Non è ora mia, Donna Claudia. Vi ringrazio.
In campagna si può mangiare a tutte le ore.
Mi farà molto male, lo so. Ho anche l'emicrania, oggi.
Sedete e mangiate. Senza discussione, e, soprattutto, senza paltò.
Evvia, non vi fate pregare, chè dovreste essere voi a pregar lei.
Santa pazienza! (Si toglie il paltoncino e siede a tavola.)
Svelta, Teresa. Taglia il pane e cerca nella credenza una bottiglia di Gragnano rosso.
(servendo la minestra) Sentite che odore? Roba sana! E bisogna mangiarla calda calda. (Insistendo) Non fate raffreddare.
Ho capito! (Assaggiando) Non avete torto, sapete. Sarà forse la suggestione, ma giurerei di non aver mai provato una minestra squisita come questa.
E se aveste la fame che ho io!
È un piacere vedervi a tavola con tanto ardore!
Teresa! Teresa! Bada alla carne. Non troppo cotta, mi raccomando.
Non vi si riconosce più. Non so… Siete tutt'altra donna!
E dite, dite la verità: d'aspetto come mi trovate?
Attraentissima!
Che c'entra!
Vi trovo colorita, fresca, luminosa, magnifica. E mi pare che tutto sia attraente.
E ieri, invece, quel vecchio gufo del dottor Berner, dicendomi delle parole sibilline, mi guardava con certi occhi che per un momento mi fecero sospettare d'essere diventata un cencio.
Come vi saltò il ticchio d'andare dal dottor Berner?
Volli consultarlo.
Eravate molto sofferente?
(con urgenza, eccitandosi) No! Poco, pochissimo… quasi niente! Ve lo accerto, Maurizio: quasi niente…
Ne sono persuaso, che diamine! E appunto, dicevo, non era il caso di recarsi apposta in città per consultare un pezzo grosso.
D'altronde, io non ho nessuna esperienza. Il dottor Berner mi ha vista nascere… È uno specialista di gran fama… Mi parve abbastanza naturale profittare dei suoi consigli.
E questi consigli?
Non me ne dette.
Meglio.
Soltanto, con la sua consueta aria d'importanza, mi promise che verrà domani a vedermi qui. Ma mi annoia la sua visita. Io non lo riceverò.
Scrivetegli di non venire.
E se poi… (si rattrista ad un tratto) Se poi… avesse a dirmi qualche cosa di molto serio?
Non cominciate a farneticare, adesso, perchè, su questo terreno, oggi, non me la sento di seguirvi. Io non sono uno specialista… Ciò è incontestabile. Ma se io vi dico che non siete mai stata così florida e forte, potete contarci.
Giuratemi che non m'ingannate.
… Ve lo giuro.
(esaltandosi) Sì, sì, vi credo, vi credo!.. Voi siete un amico incomparabile, voi siete un angelo, e io vi credo. Via tutti i farfalloni neri! Mangiamo, beviamo… Beviamo tanto da ubbriacarci. (Versando il vino) Non vi volete ubbriacare, voi?
(esaltandosi anche lui) Ma sì che voglio ubbriacarmi, perbacco!
Vi abbraccerei.
(di dentro, tossisce per prudenza e domanda:) Posso entrare?
(prorompe in una risata) Ah, ah, ah!
È esasperante!
Entra, entra, entra! Afflizione!
Ma questa volta, scusate, poteva anche aver ragione. Stavo per abbracciarvi…
Magari!
(entrando) Carne poco cotta. (Mette la carne in tavola.)
Bravissima! (Beve d'un fiato. Poi a Maurizio:) E voi?
Eccomi. (Ingolla un bicchier di vino.)