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Читать книгу: «Novelle e riviste drammatiche», страница 9

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Sardou ha fatto ciò col pubblico parigino, e se la belva lo graffiò in qualche circostanza, non lo morse ancora.

Le commedie di Sardou diventano quasi sempre popolari a Parigi, si diffondono sulla folla, penetrano nella vita e nei discorsi, negli usi degli abitanti.

La Famille Benoîton ha creato i cappelli Benoîton e le chaînesBenoîton che si poterono ammirare esposte in vetrina da Gagelin e da Andrieux all'indomani della rappresentazione.

I cappelli Benoîton sono certi mingherlini cappelli da signora, vezzosissimi, tagliati alla "Maria Stuarda", a foggia di romboide con due lunghi nastri agli angoli che cascano dritti sulle spalle.

Le chaînes Benoîton sono collane di perle che intrecciate ai capelli scendono fino al collo e circondano d'un vago ovale il volto di chi le porta.

La Famille Benoîton è una commedia.

Una specie di appendice alla Bourse di Ponsard.

La mania del guadagno, la preoccupazione dell'arricchire, la speculazione interposta ad ogni dovere umano, ad ogni sentimento, ad ogni virtù, alla famiglia, all'amicizia, all'amore, ecco il vizio che Sardou intende combattere nella sua commedia.

La famiglia Benoîton è la negazione della famiglia.

È l'opposto della degradazione della miseria: la degradazione della ricchezza; l'opposto dell'abbrutimento della fame: l'abbrutimento dell'oro.

Questo male esiste a Parigi e basta aver traversato un giorno dalla una alle due quell'orribile recinto della Bourse, basta aver udito una volta quegli urli, quegli schiamazzi, basta aver veduto quei ceffi infuocati, febbrili, quelle braccia agitate furiosamente, quel vertiginoso scambio di biglietti, di parole, di segni, per convincersi dell'esistenza di questo male.

Nello stesso modo che alcuni disgraziati portano in mezzo alle famiglie loro il delirio del vino bevuto alle taverne, quegli uomini portano fra i loro figli il delirio dell'oro speculato alla Borsa. In Francia vi sono delle famiglie intiere di boursicotiers; questi gruppi di parenti sono bizzarri a vedersi; Sardou ce li mostra.

Ecco il vecchio Benoîton, il pater familias, un arricchito; la sua fortuna lo ha reso maniaco per gli affari.

L'affare! ecco la sua esistenza, il suo eroismo, il suo lare, il suo tutto.

E intanto ch'egli attende a ciò, cosa fa sua moglie? cosa fanno le figlie? Cosa fa il figlio? La moglie è perennemente fuori di casa, elle est sortie, come dice trenta volte la commedia; le figlie, non sorvegliate dal padre né dalla madre, si danno al lusso sfrenato e sfrontato, alle futilità immodeste e ridicole, parlano un argot di banca e di trivio; il figlio, il piccolo Fanfan che non ha otto anni, iniziato già alla religione paterna, giuoca alla petite Bourse, alla Borsa dei francobolli; compera i "sud", perde e finisce per rubare nello scrigno del padre. Ecco la casa Benoîton.

In questo gruppo di famiglia abilmente fotografato dal signor Sardou c'è un avvenimento, l'unico della commedia: una gelosia suscitata da un equivoco.

Questa commedia ha un peccato radicale di fattura: il nodo estraneo al soggetto. La famiglia Benoîton non entra per nulla in questo avvenimento, unico della tela, avvenimento piuttosto apparente che reale, perché lascia incompiuta la missione della commedia.

La satira perde il suo carattere quando l'azione incomincia, e i pochi inconcludenti episodi che riempiono a stento i vuoti della tela, sono tutti slegati fra loro e non cospirano a verun fatto generale.

Il concetto del signor Sardou era forte, drammatico, ed eminentemente sociale; la pochezza della tessera lo infiacchì. C'è in questo lavoro, più fortunato che severo, l'artifizio e non l'arte, la conoscenza degli effetti, non la scienza del bello.

Il signor Sardou studiò molto il pubblico ma poco la verità; esplorò sempre i piccoli capricci della platea, quasi mai le grandi esigenze della scena; adulò la folla anche quando la punse; quasi tutte le sue commedie sono compilate dalla preoccupazione dell'applauso, per la speculazione dei battimani.

Senz'avvedersi il Sardou è anch'esso della famiglia Benoîton.

La centiême représentation, ecco il vero scopo delle sue commedie sociali, e per giungerlo adopera tutti i mezzi sperimentati già favorevolmente sul pubblico.

Questo sistema è volgare ma spesso fortunato, fortunato ma sempre pericoloso; la sconfitta di quel trionfo è facile; in quell'adulazione c'è un principio di paura, in quell'astuzia c'è un po' di fiacchezza.

E fiacca da senno è quell'altra commedia nuova del Sardou intitolata Piccolino.

Il laido aspetto della speculazione teatrale appare in quella commedia in tutta la sua antipatica evidenza.

Piccolino appartiene a quella bastarda razza di commedie popolari-sentimentali che tien residenza perenne nel teatro della Gaîté, genere falso ed uggioso, misto di pianto triviale e di riso plebeo, abborracciamento senza forma, senza scopo, senz'arte. Un ceto particolare di pubblico incoraggia con assiduità questo genere di lavori.

Sardou non ricusò di seguire nelle sue sciocche voglie questo pubblico, e facendo ciò commise opera, artisticamente parlando, disonesta.

La prima idea ch'entra nel cervello, gettata in un vecchio stampo e rifusa in un dialogo scipito, ecco questo Piccolino.

Mutiamo argomento.

Le Lion amoureux di Ponsard c'innalza d'un tratto fra le più pure regioni dell'arte.

Ne avevamo bisogno.

Vi sono a' giorni nostri alcune grandi anime invase esclusivamente dalla contemplazione della rivoluzione francese.

Lamartine, Quinet, Ponsard sono fra queste anime.

Tale contemplazione ispirò al primo un'epopea, al secondo una storia, al terzo due tragedie.

Non si contemplano senza frutto i prodigi. La fissazione dei grandi fatti conduce inevitabilmente alla scoperta delle grandi idee; in questo senso si può dire che la storia è arte. Les Girondins, l'Histoire de la Révolution française, Charlotte Corday, Le lion amoureux sono in parte opere di Danton, di Hoche, di Saint-Just, di Robespierre. Nessuna storia più epica di questa, nessun'era più leggendaria, nessuna cronaca più esatta; che universo pel teatro!

Il miracolo umano colla data del mese, del giorno, dell'ora in cui fu compiuto, confermato da mille documenti, constatato dalla memoria ancora commossa della tradizione viva. L'incredibile, l'inverosimile, il fantastico proclamato vero dalla palpabilità delle cose: ecco questa epoca.

Ponsard principiando la Charlotte Corday poté scrivere questa indicazione scenica colla meridiana della storia davanti: 22 septembre 1792 huit heures du soir. Salon de madame Roland.

Così pure Svetonio poteva scrivere anch'esso alla fine del suo Nerone: 17.° giorno prima delle calende di luglio.

Le date storiche fanno pensare, aiutano il confronto dell'attimo passato coll'attimo presente. Nessuna storia vince in profusione di date la decadenza romana e la rivoluzione francese. Un'epopea teatrale che possa vestirsi di date famose e di nomi famosi, è un indicibile affascinamento.

Ponsard se lo seppe fin da quando ideò la sua Charlotte Corday, da quando disse:

 
Des hommes bien connus paraitront devant vous,
Girondins, Montagnards, je les évoque tous.
 

Che personaggi! Robespierre, Marat, Danton, Barbaroux, Louvet, Sieyés, Buzot, Pethion, Charlotte Corday, madame Roland! Che trepidazione solenne pel poeta che deve far parlare queste bocche, che deve fare agir queste braccia.

Ponsard è un poeta educato alla vigorosa scuola shakespeariana, agli esempi del Riccardo III, dell'Arrigo IV, dell'Arrigo VIII, del Riccardo II; Shakespeare osò far parlare Giovanna d'Arco, Ponsard osò far parlare Carlotta Corday.

Le scene popolari del IV atto della Corday e del V atto del Lion amoureux procedono direttamente da Shakespeare.

La Carlotta di Ponsard, quando dice col pugnale in mano:

 
La résolution qui paraissait si fière
S'arrête devant l'act et retourne en arrière,
 

parla come il Bruto del Giulio Cesare; e quando, vedendo la moglie di Marat, Carlotta esclama:

Grand Dieu, sa femme – on l'aime!

s'innalza per un momento alla grandezza di Shakespeare e alla sublimità del vero.

Ponsard è, in fondo, più romantico che classico, benché un'opinione opposta corra nei giudizi del pubblico.

Ponsard non ha di classico che l'alessandrino misurato soverchiamente, colla cesura troppo sentita, artifiziale benché splendido; ma l'istinto dell'ingegno suo è liberissimo.

Nessuna convenzione di scuola in questo poeta, nessun legame, nessun pregiudizio; le unità di tempo, le unità di luogo sono bandite dalla sua scena.

Pure il pubblico che lo sa de l'Académie, vuole che sieno academiche tutte le cose ch'ei scrive.

Se Ponsard è classico, lo è come è classica la rivoluzione francese che racconta: nel senso più profondo della parola.

Il Lion amoureux è un'opera d'arte perfetta. Caratteri stupendi, azione potente, dialogo meraviglioso, e di più, color locale fortissimo; ecco i pregi di questo lavoro che è commedia, dramma, tragedia nello stesso tempo senza che sia lesa l'unità severa e quasi epica del componimento. È commedia se si pensa all'azione, dramma se si pensa ai caratteri, tragedia se si pensa al tempo. Ponsard la chiamò commedia, e fece bene, essendo il nodo principale dell'intreccio sciolto felicemente all'ultimo atto.

Il Lion amoureux è Humbert, un membro della Convenzione, una specie di Saint-Just dei Girondins, una specie di Enjoleras dei Misérables, un idolatra della patria e della libertà che si crede inaccessibile a qualunque altra passione, un gladiatore del cuore. Egli passò in mezzo alle sirene senza smarrirsi, guardò inviso le Armide e le Circi senza sentirsi infiacchito. Egli, incatenatore dei re, non crede alle catene della donna. Così pensa la superba anima sua. Ma la donna apparisce e Humbert è vinto.

La donna è una marchesa, una aristocratica, una realista, e il popolano, il democratico, il convenzionalista se ne innamora. Il primo atto è tutto uno studio psicologico sui primissimi sintomi di questa passione terribile che forma poscia l'azione di tutta la commedia.

Un carattere squisitamente delineato è questa marchesa di Maupas, seducentissima, vezzosamente astuta, fredda un po' nell'apparenza, ma d'animo appassionato, educata alle severe compostezze della sua casta, eppur sensibilissima e generosa, forte e soave, immagine che sfugge alla penna ed al pennello perché velata da indicibili sfumature, e che Ponsard tratteggiò con mirabilissima finezza, creando così un contrasto gentile alla tumultuosa figura di Humbert.

Un altro carattere è il visconte de Vaugris. Giovane realista, bello, elegante, altiero, teneramente invaghito esso pure della marchesa di Maupas: amore aristocratico che s'oppone all'amore repubblicano di Humbert, parola profumata ed armoniosa contro eloquenza selvaggia, bacio di paggio contro bacio di fiera. Questo visconte, travolto dal vortice rivoluzionario, finisce per essere fucilato nell'ultima scena dai soldati di Hoche. Il visconte va alla morte celiando atticamente come i cavalieri del secolo XVI avi suoi e come i voluttuosi compagni di Petronio; le ultime sue parole sono un consiglio di toilette alla bella marchesa; poscia s'avvia tranquillamente al supplizio.

Il generale Hoche poteva essere forse con più grandezza tratteggiato. Hoche era uno di quei sommi intelletti che facevano presentire misteriosamente al mondo la venuta di Buonaparte; Hoche rappresentava già nel '95 il concetto imperialista.

La Charlotte Corday, seguita dal Lion amoureux, è una rappresentazione intiera dell'epoca rivoluzionaria.

L'idealismo entusiasta in cui nasce il primo dramma, la catastrofe terribile che lo finisce, sono la sintesi della prima fase dalla rivoluzione: utopia al primo atto, anarchia all'ultimo.

La tirannia repubblicana che appare nel principio del secondo dramma, e i presagi imperialisti della fine compendiano la seconda fase. Tre grandi società sfilano sulla scena di quei due drammi-istorie: la società realista moribonda nella Charlotte Corday, morta nel Lion amoureux la società repubblicana nascente nella Charlotte Corday, trionfante nel Lion amoureux; la società imperialista che si fa presentire.

Il vieux gentilhomme, il conte d'Ars, ed il visconte di Vaugris, rappresentano la prima.

Danton, Barbaroux, Humbert rappresentano la seconda.

Hoche e Buonaparte rappresentano la terza.

Fra queste tre società, una morente, l'altra trionfante, l'altra nascente, scorre diffusa ed imparziale l'idea drammatica di Ponsard. Egli onora tutti tre questi gruppi di caratteri eroici, di tipi simpatici, d'azioni gloriose. L'eroe realista è Vaugris, l'eroe repubblicano è Charlotte Corday, l'eroe imperialista è Hoche:

… qu'en les écoutant la passion se taise, Je bannis de mes vers l'allusion mauvaise; Je suis l'impartiale Histoire.

Così dichiara egli stesso nel suo prologo al primo dramma.

Questa imparzialità, della quale lo scrittore par che si vanti, è l'unico peccato del suo poema drammatico e storico. La pigra imparzialità è un errore davanti all'arte, un errore davanti alla storia, un errore davanti alla filosofia; questa imparzialità, ch'è scetticismo o fiacchezza, riverbera sulle catastrofi pur violentissime delle quali il poeta si serve, una non so quale freddezza pagana.

Tutti coloro che lessero e videro i due drammi di Ponsard notarono codesta freddezza. Noi crediamo spiegarla così e non altrimenti.

Ma forse i tempi del gran dramma storico-sociale non sono ancora venuti. La rivoluzione è ancora troppo vicina a noi e non abbiamo ancora tanto camminato negli anni da aver potuto raggiungere quel centro visuale in cui ne sarà dato con tranquilla coscienza e con occhio riposato osservarla.

Da qui ad un secolo, quando la fine di tre generazioni sarà passata sui tumulti oggi ancor vivi, quando la calma sarà piena, quando la verità sarà diffusa, i poemi sorgeranno più grandi perché più lontani, le tragedie sorgeranno più coraggiose perché più libere.

L'imparzialità non si perdonerà allora al poeta, il teatro non riprodurrà solamente la storia, ma la giudicherà, e l'arte che sarà nata dalla breve era repubblicana, potrà compararsi all'arte dell'era greca.

II

La Contagion, commedia di __E. Augier__. Héloïse Paranquet, commedia di __A. Durantin__. Henriette Marechal, dramma di __J.__ ed __E. Goncourt__.

Narrano le antiche cronache che le pere guaste fanno marcire le buone; e ciò è scritto anche in una moralissima e leggiadra novelletta di Gaspare Gozzi, la quale abbiamo tutti imparato a scuola. Dumas fils fece di questa novella una commedia, il Demi-monde; Augier rifece questa commedia in un'altra commedia, la Contagion. È troppo nota la famosa parabola delle pesche nella scena IX, atto II, del Demi-monde per ricordarla qui tutta intera: codesta parabola, che non è altro che una moderna parafrasi del vecchio apologo, è la sintesi della commedia; l'autore francese non fa che mutare la qualità del frutto: le pere diventano pesche; la variante sta lì.

Per Adamo il castigo fu una mela, per Gozzi fu una pera, per Dumas fu una pesca: lettori, guardatevi dalle frutta. Vous êtes ici dans le panier de pêches de quinze sous, dice Olivier a Raymond, e queste pesche da quindici soldi hanno tutte una macchia nerastra da un lato; quel segno è il contagio, quel segno è il morbo, quel segno è las bubas, quel segno è l'infirmitas nefanda: guardatevi da quel segno. Il suo contagio è tale, che come appena l'autore del Demi-monde l'ebbe divulgato dal palco scenico, invase tutte le schiere degli scrittori di commedia; dalle pesche passò ai letterati dopo aver attraversato il lavoro di Dumas fils, e quello fu il primo e il secondo avataro di tale segno malefico; non rimase a Parigi un solo autore drammatico immune dal morbo; il sangue di Dumas fils s'infiltrò nelle vene di tutti i suoi colleghi; tutti composero un Demi-monde alla loro maniera, s'affollarono tutti intorno alle pesche da quindici soldi, e ne mangiò Sardou, e ne mangiò Barière, e ne mangiò Plouvier, e ne mangiò Decourcelle, e ne mangiò perfino Siraudin, l'"auteur-confiseur", il proprietario della ghiottissima pasticceria in Rue de la Paix.

L'ultimo caso di questo contagio si vede appunto nella nuova commedia di E. Augier intitolata la Contagion.

La Contagion non è altro che il Demi-monde, più qualche elemento della Question d'argent, più qualche particolare della Dame aux camélias.

Non arrischieremmo un asserto così duro e così riciso contro un illustre scrittore come Augier senza tenerci obbligati a dimostrarlo. Per dimostrarlo incominceremo dai personaggi. Navarette, vedi Suzanne; d'Estrigaud, vedi Vernouillet; André Lagarde, vedi Raymond de Nanjac; la marquise Galeotti, vedi madame de Lornan; Aline, Valentine, Aurélie, vedi le donne della Dame aux camélias. Il filo principale degli avvenimenti del Demi-monde è la lotta d'astuzia che ha luogo fra la maligna Suzanne e l'avveduto Olivier; il filo principale della Contagion sta appunto nella stessa lotta d'astuzia che accade fra la maliziosa Navarette e il furbo d'Estrigaud. Tous plus malins les uns que les autres, dice lo stesso Dumas fils nell'Ami des femmes, e in questa frase è svelata una delle forme drammatiche predilette di questo autore.

Due personaggi i quali sostengono dal principio alla fine dell'azione teatrale un duello aperto o nascosto di sottigliezze di spirito, di raffinamenti d'intrigo, di strategie, di finte, di controfinte, di mosse, di contromosse, l'uno in nome della verità e della virtù, l'altro in nome della menzogna e del vizio, oppure tutti e due per ispeciale egoismo o capriccio, ecco una delle pietre di cantone dell'edificio drammatico innalzato da quel nuovissimo ingegno di Dumas fils.

Augier imitò spesso questo sistema che sorregge tutta la matassa della Contagion come tutto l'intreccio del Demi-monde. Così nell'una come nell'altra commedia i due antagonisti di questa specie di duello appartengono a diverso sesso, ma nel Demi-monde è l'uomo che è più astuto della donna, nella Contagion è la donna che è più maligna dell'uomo. Olivier vince Suzanne e Navarette vince d'Estrigaud; Navarette e Suzanne sono lo stesso personaggio; rappresentano tanto nella commedia di Dumas come in quella d'Augier la pesca fradicia, il male, la contagion.

Esiste in Lituania una spaventosa leggenda, che descrive la peste sotto la forma d'una donna spettrale, tutta cinta di bianco, con una corona di fuoco sulla fronte, agitante nell'aria un velo sanguigno, che esala la morte dovunque s'avvicina: con apparenze meno fantastiche e meravigliose Suzanne e Navarette rappresentano la stessa allegoria; salvo che invece d'essere spettri sono belle donne, squisitamente vestite, seducentissime, come se ne danno spesso nell'allegro paese della commedia; hanno una vivace maniera di spirito, una parola piena di grazia e d'onestà; hanno movenze modestissime e tranquille, tanto che a vederle si direbbero donne ammodo e virtuose; ma sotto questa apparenza si cela il contagio.

Victorien Sardou dice: à quoi reconnaît-on les honnêtes femmes? à la peine qu'elle se donnent pour ne pas le paraître; Augier ripete l'osservazione soggiungendo: tandis que les femmes comm'il faut s'evertuent à avoir l'air de biches, les biches s'evertuent à avoir l'air de femmes comm'il faut; e Dumas rinforza le ricerche osservando che il paniere di pesche da quindici soldi rassomiglia perfettamente, salvo la macchia nerastra, al paniere da venti soldi. La più elementare manovra del vizio è di vestirsi colle forme della virtù; l'ipocrisia è il principale lineamento della fisionomia morale di Suzanne e di Navarette. Attorno a Suzanne stanno madame de Vernières e madame de Santis, attorno a Navarette stanno Aurélie e Valentine, altre secondarie apostolesse del male.

Navarette rappresenta come Suzanne il male, l'incarnazione femminile del vizio e della malvagità, l'ultimo limite della menzogna e dell'audacia.

Quando il peccato s'incarna in Eva è più maligno che quando s'incarna in Adamo: lady Macbeth è peggiore di Macbeth. D'Estrigaud, il maestro di Navarette, rappresenta il "male-uomo", se così ci è permesso d'esprimerci, e benché sia stato egli ad iniziare Navarette alla scuola del vizio, pure non regge davanti alla sua avversaria e rimane vinto da lei.

Continuiamo la nostra inquisizione sulle somiglianze strane delle due commedie. Come nei lazzaretti, il grado di contagio è diverso fra i vari personaggi del Demi-monde e della Contagion. A seconda del sangue più o meno sano, il morbo s'appiglia più o meno violento, più o meno medicabile.

Non ogni contagio è mortale; a volte si danno anche delle guarigioni, dei salvamenti quasi miracolosi. Esempio la scena IX dell'atto IV nel Demi-monde. Accenniamo il concetto di questa scena che è una fra le potenti inspirazioni di Dumas fils. Siamo in casa di Suzanne, entro la cesta delle pesche fracide; tutte le muffe, tutte le gromme, tutte le magagne morali sono raccolte sul palco e intente tutte alla loro parte. Queste pesche da quindici soldi attendono con ansia l'arrivo d'una pesca da venti soldi, madame de Lornan, donna pura e gentile, la quale doveva capitare in mezzo a Suzanne, alla Vernières, alla Baronne d'Ange e compagnia.

Non v'è anelito più cupo che quello del vizio il quale attende la virtù per bruttarla. A un tratto il domestico entra e annuncia madame de Lornan; a quel nome, Olivier che è presente alla scena, si slancia fuori dell'uscio e dopo un minuto ritorna:

=Raymond=: D'où venez-vous, monsieur?

=Olivier=: Je viens de dire à madame de Lornan que je ne voulais pas qu'elle entrât ici.

Madame de Lornan è salvata.

La Galeotti della Contagion è onesta, pura, gentile, come madame de Lornan, è vedova com'essa; fra queste due figure non c'è che una sola differenza. Madame de Lornan non entra in iscena, non pone nemmeno la punta del suo stivaletto nella casa del contagio, la marquise Galeotti v'entra; il nome della prima non appare neanche sulla lista dei personaggi, il nome della seconda vi campeggia come quello d'una protagonista. Questo è un altro importantissimo segno d'affinità fra le due commedie.

Augier, dopo aver udito il Demi-monde, immaginò madame de Lornan varcante il limitare del boudoir di Suzanne e stette a indovinare le conseguenze; così probabilmente si formò nell'idea dell'autore della Contagion il personaggio della Galeotti. Dumas salvò la sua vedova colla provvidenza del caso, Augier colla coscienza; il contagio entra in casa della Galeotti con la persona della Navarette, la Galeotti va nel tempio stesso del contagio quando entra in casa di d'Estrigaud; ma appena tocca dal male, guarisce.

Altre due serene immagini d'innocenza rimaste pure, inter scabiam tantam, sono Marcella nel Demi-monde ed Alina nella Contagion; Marcella ed Alina non sentono che il santo e l'ingenuo contagio dell'amore: Marcella ama Olivier come Alina ama Lucien. Tanto Olivier quanto Lucien si sono per un istante imbrattati nel vizio. Uno ha bazzicato in casa di Suzanne, l'altro in casa di Navarette, ma il loro cuore è giovane ed onesto ed atto al ravvedimento; Olivier finisce per isposare Marcella e Lucien finisce per isposare Alina.

Raymond de Nanjac, il colonnello che viene dall'Africa e piomba in mezzo al Demi-monde di Dumas fils come un selvaggio e si lascia ammaliare dalle moine di Suzanne, è fratello gemello di André Lagarde, l'ingegnere di Gibraltar, il povero provinciale candido e credenzone, che si lascia infinocchiare da Valentine, capitato in mezzo alla Contagion di E. Augier. Così pure d'Estrigaud è fratello di Vernouillet, personaggio della Question d'argent: è l'uomo senza cuore e senza coscienza, il cinico avido e depravato, colla sola differenza che d'Estrigaud è più elegante, più sibarita, più cortigiano, e Vernouillet più volgare. Torniamo al Demi-monde.

Il punto di contatto più evidente, più imprudente, più impudente fra questa commedia e la Contagion è la finta catastrofe dello scioglimento.

D'Estrigaud finge di morire in duello precisamente come Nanjac, e da questa astuzia scoperta vien risolto il nodo della commedia. Il caso è grave; sommiamo a quest'ultima rassomiglianza tutte le rassomiglianze che abbiamo enumerato fra la commedia d'Augier e quella di Dumas, ed avremo un risultato di plagio evidente nel concetto, nei tipi, nell'intreccio; se frughiamo ancora, troveremo non poche analogie anche nel dialogo. La prima scena dell'atto quarto pare dialogizzata da Dumas fils, e rammenta moltissimo il primo atto della Dame aux camélias. È inconcepibile che un intelletto così nobile, così originale come quello di Augier si sia lasciato volgarmente trascinare alla imitazione. Non sappiamo rinvenire più in questa Contagion quel gran maestro degli Effrontés, del Fils de Giboyer, del Gendre de M. Poirier. Sono umilianti per l'ingegno umano questi repentini traviamenti delle grandi intelligenze.

Eppure è così. Un intelletto altissimo, potente, dopo avere per anni ed anni spaziato fra le più sublimi sfere dell'arte, creando prodigi d'ispirazione, può smarrire ad un tratto la sua potenza, può crollare dalla sua altezza come un giuocatore che smarrisce la sorte del giuoco. Questo fenomeno è tetro e mette capo alle induzioni del materialismo più crudo.

E perché mai Shakespeare, dopo avere ideate e scritte le mirabili scene dell'Arrigo IV e dell'Arrigo V, diventa triviale e mediocre nella prima parte dell'Arrigo VI, per poi rialzarsi stupendamente nella seconda e terza parte? Il senso umano si ribella davanti a questi fatti, la critica generosa e idealizzatrice protesta e proclama che la prima parte dell'Arrigo VI non è di Shakespeare; sarà di Marlowe, sarà di Greene, sarà di Nashe, ma di Shakespeare non è. Nei placidi regni dell'arte l'uomo non vuole né momentanee detronizzazioni, né subitanee glorificazioni; l'alto e il basso delle instabilità terrene non si riflette sulle serene uguaglianze del cielo. L'uomo ha decretata l'infinita impeccabilità del genio; perciò i peccati di Shakespeare cascano sulle spalle di Greene, salvo a collocare le virtù di Greene sulla fronte di Shakespeare. Così è, e se così anche non fosse, così giova che sia. Chi è grande, sarà grande in eterno; chi è mediocre, sarà in eterno mediocre. Esempio: M. A. Durantin. M. A. Durantin è un omiciattolo, non sappiam bene se grosso o smilzo, se biondo o bruno, se grigio o calvo, se lungo o piccino, ma fin d'ora lo qualifichiamo per omiciattolo e ce lo dipingiamo piuttosto piccino che lungo, piuttosto calvo che biondo, piuttosto grassotto che magro. Vedete slealtà della critica! E ciò perché. Perché il signor A. Durantin visse ignorato per più di quarant'anni a Parigi, perché scrisse romanzi che non furono letti, perché scrisse drammi che non furono rappresentati, perché scrisse commedie che furono fischiate, perché da mezzo secolo in qua ch'egli tiene la penna fra le dita, non seppe fino ad ieri imbattersi in una pagina di scrittura che facesse chiaro il suo nome; perché infine il raziocinio umano ha dei pregiudizii che sono profonde verità, ha delle idee preconcette che sono sapienze, ha delle apparenti ingiustizie che sono giustizie altissime.

Non si possono dare né genii sconosciuti, né veri genii incompresi; v'è una legge naturale che s'oppone a ciò, ed è che la folla dei mortali ha essa maggior bisogno delle grandi anime, che non le grandi anime della folla. I passeri volano alla quercia, e non la quercia ai passeri, e nel bosco non v'hanno alti alberi ignorati dai piccioli augelli. Innoltre, l'organizzazione intellettuale dell'uomo di genio è per se stessa così smisuratamente superiore alla proporzione delle intelligenze comuni, che apparisce grande semplicemente per la sola sovranità della natura sua.

Non solo Goldoni, Molière, Calderon, ma Scribe, ma Ponsard, ma Augier, appaiono all'occhio dell'osservatore come innalzamenti eccezionali del livello intellettuale comune; quale più, quale meno, essi sono i promontorii ideali di questa valle terrena; e le cime, dovunque e comunque elle sieno, non possono stare ignorate.

Dunque il signor A. Durantin (per dirla qui colla locuzione familiare) non è una cima.

E ciò sia detto prima anche d'aver udito la sua commedia Héloïse Paranquet, e ciò sia detto pel solo fatto ch'egli stesso ci narra nella prefazione alla commedia, pel fatto, cioè, d'avere egli scritto a Parigi per mezzo secolo continuamente senza aver mai potuto razzolare abbastanza da mettere insieme quattro battimani. Dunque, il signor Durantin non è una cima; ciò non toglie che l'Héloïse Paranquet abbia de' pregi non pochi. Eccoci in flagrante contraddizione, dalla quale però, calmatevi, esciremo subitissimo, quando diremo che l'autore dell'Héloïse Paranquet è Durantin in tutto e per tutto, fuorché nel buono e nel bello della sua commedia, perché qui l'autore diventa ancora A. Dumas fils.

V'è a Parigi chi sostiene e chi stampò fin sui giornali che la Héloïse Paranquet sia materialmente scritta da Dumas fils, e che M. Durantin non c'entri che pel nome; noi non crediamo ciò. Non è Dumas che diede a Durantin, è piuttosto Durantin che prese a Dumas.

La Contagion è una imitazione del Demi-monde, come HéloïseParanquet è una imitazione del Fils naturel.

La fille naturelle sarebbe il titolo naturale di questa commedia poco legittima. Durantin non fece altro che mutare i sessi dei personaggi di Dumas, e poi stette a vedere quello che ne risultava. Il figlio cinse la sottana e divenne una figlia, la madre buona e amorosa indossò il panciotto e divenne il padre buono e amoroso, e per l'opposto il padre malvagio divenne la madre malvagia in cappellino e gonnella. Se non fosse che tanto nell'una quanto nell'altra commedia c'è un avvocato, il quale non muta sesso né panni, la sarebbe, questa Héloïse Paranquet, una mascherata completissima del Fils naturel.

Ma questo è il caso di dire che la maschera muta un po' la persona e che l'abito cangia il monaco. Gli elementi drammatici e morali delle due commedie sono perfettamente uguali, solo che essendovi questo chassé-croisé di sessi, mutansi i relativi valori dei tre principali caratteri che rappresentano questi elementi. Ciò che nell'uomo non è che peccato, nella donna può essere delitto, e infatti il padre orgoglioso e freddo della commedia di Dumas diventa, nella commedia di Durantin, la madre infame. Héloïse Paranquet è tal madre.

Возрастное ограничение:
12+
Дата выхода на Литрес:
27 июня 2017
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190 стр. 1 иллюстрация
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Public Domain

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