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Читать книгу: «I misteri del castello d'Udolfo, vol. 3», страница 2

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La solitudine di quel luogo la gelò di spavento, e tremava perfino all'eco de' propri passi. D'improvviso le parve sentire una voce, e temendo egualmente d'avanzarsi o di retrocedere, rimase immobile, osando appena alzar gli occhi. Le parve che quella voce proferisse lamenti, e venne confermata in quest'idea da un lungo gemito. Credè potesse essere sua zia, e si avanzò verso quella parte. Nulladimeno, prima di parlare, tremava di confidarsi con qualche indiscreto che potesse denunziarla a Montoni. La persona, qualunque fosse, pareva afflittissima. Mentre titubava, quella voce chiamò Lodovico. Emilia allora riconobbe Annetta, e tutta lieta si accostò per risponderle.

« Lodovico! » gridava Annetta piangendo; « Lodovico!

– Son io, » disse Emilia, tentando aprir la porta, « Ma come sei tu qui? Chi ti ha rinchiusa?

– Lodovico! Lodovico!

– Non è Lodovico; sono io, è Emilia. »

Annetta cessò di piangere e tacque.

« Se tu puoi aprir la porta, entrerò, » disse Emilia; « non temer di nulla.

– Lodovico! oh Lodovico! » gridava Annetta.

Emilia perdeva la pazienza, e temendo di essere scoperta, voleva andarsene; ma riflettè che la ragazza potrebbe aver qualche notizia sulla zia, o almeno avrebbe potuto indicarle la strada della torre. Ottenne infine una risposta, benchè poco soddisfacente. Annetta non sapeva nulla della padrona, e scongiuravala soltanto di dirle cosa fosse stato di Lodovico. Emilia rispose non saperlo, e le domandò come mai si trovasse rinchiusa là entro.

« Mi ha messo qui Lodovico. Dopo esser fuggita dal gabinetto della padrona, io correva senza saper dove: lo incontrai nella galleria, ed egli mi ha confinata in questa camera, portando via la chiave, affinchè non mi accadesse alcun male. Mi ha promesso di tornare quando tutto sarà quieto. Ma è già tardi, e non lo veggo venire; chi sa che non l'abbiano ucciso? »

Emilia si rammentò allora l'individuo ferito da lei veduto trasportare nella sala, e non dubitò più che non fosse Lodovico, ma nol disse. Impaziente di saper qualcosa della zia, la pregò d'insegnarle la strada della torre.

« Oh! non vi andate, signorina, per l'amor di Dio, non mi lasciate qui sola.

« Ma, Annetta cara, » rispose Emilia, « non creder già ch'io possa restar qui tutta notte. Insegnami la strada della torre, e domattina mi occuperò della tua liberazione.

– Beata Maria! » disse Annetta; « dovrò dunque star qui tutta la notte? Morirò dalla paura e dalla fame, non avendo mangiato nulla dopo il pranzo. »

Emilia potè a stento contener le risa a queste espressioni. Infine ne ottenne una specie di direzione verso la torre orientale. Dopo molte ricerche, giunse alla scala della torre, e si fermò un istante per fortificare il suo coraggio col sentimento del dovere. Mentre esaminava quel luogo, vide una porta in faccia alla scala. Incerta se questa la condurrebbe dalla zia, tirò il chiavistello e l'aprì. Si avvide che metteva sul bastione, e l'aria le spense quasi il lume. Le nubi agitate dai venti stentavano a lasciar vedere alcune stelle, raddoppiando gli orrori della notte. Rinchiuse la porta e salì.

L'immagine della zia, pugnalata forse per mano istessa del marito, venne a spaventarla; e si pentì d'aver osato recarsi in quel luogo. Ma il dovere trionfò della paura, e continuò a camminare. Tutto era calmo. Finalmente le colpì gli sguardi una striscia di sangue sulla scala; le pareti e tutti i gradini n'erano aspersi. Si fermò sforzandosi di sostenersi, e la sua mano tremante lasciò quasi cadere il lume. Non sentiva nulla; quella torre non pareva abitata da anima viva. Si rimproverò mille volte di essere uscita; temeva sempre di scoprire qualche nuovo oggetto d'orrore; eppure, prossima al termine delle sue ricerche, non sapeva risolversi a perderne il frutto. Riprese coraggio, e giunta alla torre, vide un'altra porta e l'aprì. I fiochi raggi della lampada non le lasciarono vedere che mura umide e nude. Entrando in quella stanza, e nella spaventosa aspettativa di ritrovarvi il cadavere della zia, vide qualcosa in un canto, e colpita da un'orribile convinzione, restò alcun tempo immobile. Animata quindi da una specie di disperazione, si accostò all'oggetto del suo terrore, e riconobbe un vecchio arnese militare, sotto al quale erano ammucchiate armi. Mentre si dirigeva alla scala per uscire, vide un'altra porta chiusa di fuori con un catenaccio, e dinanzi alla quale si vedevano altre orme di sangue: chiamò ad alta voce la zia, ma nessuno rispose. « Essa è morta! » sclamò allora; « l'hanno uccisa; il suo sangue rosseggia questi gradini. » Perdè tutta la forza, depose il lume, e sedette sulla scala. Dopo nuovi inutili sforzi per aprire, scese per tornare alla sua camera. Appena fu nel corridoio, vide Montoni, e spaventata più che mai, si gettò in un angolo per non incontrarlo. Gli sentì chiudere una porta, l'istessa ch'ella avea già notato. Ne ascoltò i passi allontanarsi, e quando l'estrema distanza non le permise più di distinguerlo, entrò in camera e coricossi.

Già biancheggiava l'alba e le palpebre d'Emilia non eransi ancora chiuse al sonno; ma alfine la natura spossata diè qualche tregua alle sue pene.

CAPITOLO XXIV

Emilia restò in camera tutta la mattina, senza ricevere alcun ordine di Montoni, nè vedere altro che gli armati i quali passeggiavano sul bastione. L'inquietudine sul destino della zia la vinse finalmente sull'orrore di parlare a quel barbaro, e decise di recarsi da lui per ottenere il permesso di vederla.

L'assenza troppo prolungata di Annetta provava inoltre ch'era accaduta qualche disgrazia a Lodovico, e ch'essa era tuttavia rinchiusa. Emilia risolse dunque d'andar a vedere se ella fosse ancora nella stanza, e d'avvertirne Montoni: suonava il mezzogiorno. I lamenti della meschina si sentivano all'estremità della galleria: deplorava il proprio destino e quello di Lodovico; quando intese Emilia, la supplicò a liberarla subito, perchè moriva di fame. La padroncina le rispose che sarebbe andata immediatamente a chiedere la sua liberazione; allora la paura della fame cedè pel momento a quella del padrone; e quando la fanciulla la lasciò, essa la pregava con calore a non iscoprir l'asilo ove nascondeasi: Emilia si avvicinò alla gran sala, ed il tumulto che udì, gl'individui che incontrò rinnovaronle gli spaventi. Però pareano pacifici: la guardavano con avidità, talvolta le parlavano. Traversando la sala per recarsi nel salotto di cedro, ove teneasi d'ordinario Montoni, scorse sul suolo spade infrante e gocce di sangue: quasi quasi credea vedere un cadavere. Avanzandosi, distinse un mormorio di voci, che la fecero titubare se dovesse o no inoltrarsi. Cercava invano cogli occhi qualche servitore per farsi annunziare, ma non ne compariva alcuno. Gli accenti ch'ella intendea non esprimevano più la collera, e riconobbe la voce di parecchi convitati della sera precedente. Mentre si disponeva a bussare, comparve lo stesso Montoni; sorpreso, lasciò conoscere nella sua fisionomia tutti i vari moti dell'animo. Emilia, tremante, stavasi mutola. Montoni le domandò con severità che cosa avesse inteso del loro colloquio. Essa lo accertò di non essere venuta coll'intenzione di ascoltare i di lui segreti, ma per implorare la sua clemenza per la zia e per Annetta. Montoni parve dubitarne, la fissò con occhio indagatore, e l'inquietudine che provava, non poteva nascere da frivole ragioni. Emilia lo scongiurò di lasciarla andare a visitare sua zia: egli rispose con un sorriso amaro, che confermò i suoi timori, e le fece perdere il coraggio di rinnovargliene la preghiera.

« Per Annetta, » diss'egli, « andate a trovar Carlo, che le aprirà. Lo stolto che l'ha rinchiusa non esiste più. »

Emilia, fremendo, rispose: « Ma la mia povera zia, signore, per pietà, parlatemi della mia zia…

– Se ne ha cura, » soggiunse Montoni: « non ho tempo di rispondere alle vostre vane domande. » E volle lasciarla. Emilia lo trattenne scongiurandolo di farle sapere ove fosse sua moglie; d'improvviso intesero la tromba, ed un rumore confuso di uomini e di cavalli nel cortile. Montoni corse subito fuori. Emilia, nell'incertezza di seguirlo, affacciatasi alla finestra, le parve distinguere i medesimi cavalieri veduti partire pochi giorni prima, e, scorgendo accorrer gente da tutte le parti, stimò bene di rifugiarsi nella sua camera. La maniera e le espressioni di Montoni quando aveva parlato di sua moglie, confermavano in parte i di lei sospetti. Stava assorta in que' cupi pensieri, quando vide entrare il vecchio Carlo.

« Cara signorina, » le diss'egli, « non ho potuto prima d'ora occuparmi di voi. Vi porto frutti e vino, chè dovete averne bisogno.

– Vi ringrazio, Carlo, » diss'ella; « avete forse ricevuto quest'ordine dal signor Montoni?

– No signora, » rispose il vecchio; « sua eccellenza ha troppe occupazioni. »

La fanciulla rinnovò le sue domande sul destino della zia: ma mentre la trascinavano via, Carlo era dall'altra parte del castello, e da quel momento non ne sapeva più nulla. Mentr'egli così diceva, Emilia lo guardava attenta, e non poteva comprendere se parlasse per ignoranza, o dissimulazione o timore di offendere il padrone. Le rispose laconicamente sulla zuffa della sera prima, accertandola nel tempo stesso che gli alterchi erano finiti, e che il castellano credeva essersi ingannato sospettando degli ospiti. « Il combattimento non ebbe altra origine, » soggiunse Carlo, « ma mi lusingo di non rivedere mai più un simile spettacolo in questo castello sebbene vi si preparino cose strane. » Essa lo pregò di spiegarsi. « Ah! signora, » diss'egli, « non posso tradire il segreto, nè esprimere tutti i miei pensieri in proposito; ma il tempo svelerà tutto. »

Essa lo pregò di aprire ad Annetta, indicandogli la stanza ove la meschina si trovava rinchiusa; Carlo le promise di soddisfarla; mentre partiva, gli domandò chi fossero i nuovi arrivati: la sua congettura si verificò: era Verrezzi colla sua truppa.

Scorse più di un'ora prima che Annetta comparisse. In fine arrivò piangendo e lamentandosi.

« Chi l'avrebbe mai preveduto, signorina? Oh! caso terribile! Oh! povero Lodovico!

– L'hanno proprio ucciso? » le chiese commossa Emilia.

– No; ma fu ferito gravemente. Ecco perchè non poteva venire ad aprirmi; ma ora comincia a star meglio.

– Cara Annetta, mi rallegro molto nel sentire ch'egli esiste. »

Appena la giovine fu alquanto calmata, Emilia la mandò a far ricerche sulla zia, ma non potè averne notizia alcuna.

I due giorni susseguenti passarono senza verun caso notevole, e senza ch'ella potesse saper nulla della zia. La sera del secondo giorno, in preda al suo dolore, ed assalita da funeste imagini, per iscacciarle, si affacciò alla finestra, considerando i tanti astri fulgidissimi e scintillanti nell'azzurro empireo, che tutti seguono una determinata via senza confondersi nello spazio. Si rammentò quante volte col diletto padre ne avesse osservato il corso. Queste riflessioni finirono a destare in lei quasi egualmente dolore e sorpresa. Pensò ai tristi eventi succeduti alle prime dolcezze della vita, alle ultime scosse, alla sua presente situazione in terra straniera, in un castello isolato, circondata da tutti i vizi, esposta a tutte le violenze, e le pareva d'essere illusa da un sogno prodotto dall'immaginazione alterata, nè poteva persuadersi che tanti mali non fossero ideali. Pianse al pensiero di quanto avrebbero sofferto i di lei genitori, se avessero potuto prevedere le sventure che l'attendevano.

Alzò gli occhi al cielo, e vide il medesimo pianeta osservato in Linguadoca la notte precedente alla morte del padre; desso trovavasi al di sopra delle torri orientali. Si rammentò i discorsi relativi allo stato dell'anime, e la melodia intesa, e della quale la sua tenerezza, a dispetto della ragione, aveva ammesso il senso superstizioso. All'improvviso, i suoni d'una dolce armonia parvero traversar l'aere; rabbrividì, ascoltò qualche minuto in una penosa aspettativa, sforzandosi di raccogliere le idee e ricorrere alla ragione. Ma la ragione umana non ha impero sui fantasmi dell'immaginazione, più che i sensi non abbian mezzi per giudicare la forma dei corpi luminosi, che brillano e tosto si estinguono nell'oscurità della notte.

La sorpresa di lei a quella musica sì dolce e deliziosa, era per lo meno scusabile, essendo già molto tempo che non udiva la menoma melodia. Il suono acuto del piffero e della tromba era la sola musica che si conoscesse nel castello di Udolfo.

Allorchè si fu un poco rimessa, cercò assicurarsi da qual parte venisse il suono. Le parve che partisse dal basso del castello, ma non potè precisarlo. Il timore e la sorpresa cedettero tosto al piacere di un'armonia, che il silenzio notturno rendeva ancor più interessante. La musica cessò, e le idee di Emilia errarono a lungo su questa strana circostanza; era singolare udir musica dopo mezzanotte, allorchè tutti dovevano essere al riposo, e in un castello ove da tanti anni non erasi inteso nulla che vi somigliasse. I lunghi patimenti avevanla resa sensibile al terrore, e suscettibile di superstizione. Le parve che suo padre avesse potuto parlarle con quella musica, per ispirarle consolazione e fiducia sul soggetto ond'era allora occupata. La ragione le suggerì però questa congettura esser ridicola, e la respinse; ma, per un'inconseguenza naturale della fantasia riscaldata, si abbandonò alle idee più bizzarre: rammentò il caso singolare che aveva posto Montoni in possesso del castello; considerò la maniera misteriosa della scomparsa dell'antica proprietaria; non si era mai più saputo nulla di lei, ed il suo spirito fu colpito da paura. Non eravi nessun rapporto apparente tra quell'avvenimento e la melodia, eppure credè che queste due cose fossero legate da qualche vincolo segreto.

Finalmente si ritirò dalla finestra, ma le tremavano le gambe nell'accostarsi al letto. Il lume stava per estinguersi, ed ella fremeva di dover restare al buio in quella vasta camera; ma vergognandosi tosto della sua debolezza, andò a letto pensando al nuovo incidente, e risoluta di aspettare la notte successiva all'ora istessa per ispiare il ritorno della musica.

CAPITOLO XXV

Annetta venne da lei la mattina senza fiato. « Oh! signorina, » le disse con tronche parole, « quante cose ho da raccontarvi! Ho scoperto chi è il prigioniero, ma non era il prigioniero; è quello chiuso in quella camera, di cui vi ho parlato, ed io l'aveva preso per un'ombra!

– Chi era quel prigioniero? » chiese Emilia, ripensando al caso della notte scorsa.

– V'ingannate, signora, non era prigioniero niente affatto.

– Chi è dunque?

– Beata Vergine! come son rimasta! L'ho incontrato poco fa sul bastione qui sotto! Ah! signora Emilia, questo luogo è proprio strano. Se ci vivessimo mill'anni, non finirei mai di stupirmi. Ma, come vi diceva, l'ho incontrato sul bastione, e certo pensava a tutt'altro che a lui.

– Queste ciarle sono insopportabili; di grazia, Annetta, non abusare della mia pazienza.

– Sì, signorina, indovinate? chi era mo; è una persona che voi conoscete benissimo.

– Non posso indovinarlo, » rispose Emilia con impazienza.

– Ebbene, vi metterò sulla strada. Un uomo grande, col viso lungo, che cammina con gravità, che porta un gran pennacchio sul cappello, che abbassa gli occhi quando gli si parla, e guarda la gente di sotto le ciglia negre e folte! Voi l'avete veduto mille volte a Venezia; era amico intimo del padrone. Ed ora, quando ci penso, di che aveva egli paura in questo vecchio castello selvaggio per chiudervisi con tanta precauzione? Ma adesso prende il largo, ed io l'ho trovato poco fa sul bastione. Tremava nel vederlo; mi ha fatto sempre paura; ma non voleva che se ne accorgesse. Allorchè mi è passato vicino, gli ho fatto una riverenza, e gli ho detto: Siate il ben venuto al castello, signor Orsino.

– Ah! dunque era Orsino?

– Sì, signora; egli stesso, colui che ha fatto ammazzare quel signore veneziano.

– Gran Dio! » sclamò Emilia; « egli è venuto a Udolfo! Ha fatto benissimo a star nascosto.

– Ma che bisogno c'è di tante precauzioni? Chi potrebbe mai immaginarsi di trovarlo qui?

– È verissimo, » disse Emilia, ed avrebbe forse concluso che la musica notturna veniva da Orsino, se non fosse stata certa non aver egli nè gusto, nè talento per quell'arte. Non volendo aumentare le paure di Annetta parlando di ciò che cagionava la sua, le domandò se fossevi alcuno nel castello che sapesse suonar qualche istrumento.

« Oh, sì, signorina, Benedetto suona bene il tamburo, Lancellotto è bravo per la tromba, e anche Lodovico suona bene la tromba. Ma ora è ammalato. Mi ricordo che una volta…

– Non avresti tu intesa una musica, » disse Emilia interrompendola, « dopo il nostro arrivo in questo luogo, e segnatamente la notte scorsa?

– No, signora; non ho inteso mai altra musica, fuor quella dei tamburi e delle trombe. E quanto alla notte passata, non ho fatto altro che sognare l'ombra della mia defunta padrona.

– La tua defunta padrona? » disse la fanciulla tremando; « tu sai dunque qualcosa? Dimmi tutto quello che sai, per carità.

– Ma, signorina, voi non ignorate che nessuno sa cosa sia accaduto di lei: è dunque chiaro che ha preso l'istessa strada dell'antica padrona del castello, della quale nessuno ha saputo più nulla. »

Emilia, profondamente afflitta, congedò la cameriera, i cui discorsi avevano rianimato i terribili di lei sospetti sul destino della zia, ciò che la decise a fare un secondo sforzo per ottenere qualche certezza in proposito, dirigendosi un'altra volta a Montoni.

Annetta tornò di lì a poche ore, e disse ad Emilia che il portinaio del castello desiderava parlarle avendo un segreto da rivelarle. Quest'ambasciata la sorprese, e le fece dubitare di qualche insidia; già esitava ad acconsentire; ma una breve riflessione gliene dimostrò l'improbabilità, e arrossì della sua debolezza.

« Digli che venga nel corridoio, » rispos'ella, « e gli parlerò. »

Annetta partì, e tornò poco dopo dicendo:

« Bernardino non ardisce venire nel corridoio, temendo di essere veduto. Si allontanerebbe troppo dal suo posto, e non può farlo per adesso. Ma se volete compiacervi di venire a trovarlo al portone, passeremo per una strada segreta ch'egli mi ha insegnata, senza traversare il cortile, e vi racconterà cose che vi sorprenderanno assaissimo. »

Emilia, non approvando quel progetto, negò positivamente di andare. « Digli, » soggiunse, « che se ha da farmi qualche confidenza, l'ascolterò nel corridoio quando avrà il tempo di venirci. »

Annetta andò a portar la risposta, ed al suo ritorno disse ad Emilia: « Non ho concluso nulla, signorina; Bernardino non può in verun modo lasciare la porta in questo momento; ma se stasera, appena farà notte, volete venire sul bastione orientale, egli potrà forse allontanarsi un minuto e svelarvi il suo segreto. »

Emilia, sorpresa ed allarmata al tempo stesso dal mistero che colui esigeva, esitava sul partito da prendere; ma considerando che forse l'avvertirebbe di qualche disgrazia, od avrebbe da darle notizie della zia; risolse di accettare l'invito. « Dopo il tramonto del sole, » disse, « io sarò in fondo al bastione orientale; ma allora sarà appostata la sentinella; come farà Bernardino a non esser veduto?

– È appunto ciò che gli ho detto, ed esso mi ha risposto aver la chiave della porta di comunicazione fra il cortile e il bastione, per la quale egli si propone di passare; che quanto alle sentinelle, non ne mettono alcuna in fondo al bastione, perchè le mura altissime e la torre di levante bastano da quella parte per guardare il castello, e che quando sarà oscuro, non potrà esser veduto all'altra estremità.

– Ebbene, » disse Emilia, « sentirò ciò che vuol dirmi, e ti prego di accompagnarmi stasera sul bastione: intanto di' a Bernardino di esser puntuale all'ora indicata, giacchè potrei ancor io esser veduta dal signor Montoni. Dov'è egli? Vorrei parlargli.

– È nel salotto di cedro, a parlamento con altri signori. Io credo che voglia dare un banchetto per riparare il disordine dell'altra notte: in cucina sono tutti occupatissimi. »

La padroncina le domandò se aspettavano nuovi ospiti. Annetta non lo credeva. « Povero Lodovico! » diss'ella; « sarebbe allegro come gli altri se fosse ristabilito! Il caso però non è disperato: il conte Morano era più ferito di lui, e intanto è guarito e se n'è tornato a Venezia.

– Come facesti a saperlo?

– Me l'han detto ier sera, signorina; mi sono scordata di contarvelo. »

Emilia la pregò di avvertirla quando Montoni fosse solo. Annetta andò a portar la risposta a Bernardino, che l'aspettava impaziente. Il castellano intanto fu così occupato per tutto il giorno, che Emilia non ebbe l'occasione di calmare i suoi timori sul destino della zia. Volse i suoi pensieri all'ambasciata del portinaio: si perdeva in mille congetture, e man mano che si avvicinava l'ora del misterioso colloquio, cresceva la sua impazienza. Il sole finalmente tramontò: sentì appostare le sentinelle, ed appena giunse Annetta, che doveva accompagnarla, scesero insieme. Emilia temeva d'incontrar Montoni, o qualcuno de' suoi. « Rassicuratevi, » disse Annetta, « sono ancora tutti a tavola, e Bernardino lo sa. »

Giunte al primo terrazzo, la sentinella, gridò: Chi va là? Emilia rispose, e s'incamminarono al bastione orientale, ove furono fermate da un'altra sentinella, e dopo una seconda risposta, poterono continuare. Emilia non amava esporsi così tardi alla discrezione di quella gente, impazientissima di ritirarsi, accelerò il passo per raggiunger Bernardino, ma non trovandolo si appoggiò pensierosa al parapetto. Il bosco e la valle eran sepolti nell'oscurità, un lieve venticello agitava solo la cima degli alberi, e tratto tratto si udivano voci nell'interno del vasto edifizio.

« Cosa sono queste voci? » disse Emilia tremante.

– Quelle del padrone e de' suoi ospiti che gozzovigliano, » rispose Annetta.

– Gran Dio! com'è mai possibile che un uomo sia così allegro quando forma l'infelicità del suo simile!… E la fanciulla guardò con raccapriccio la torre di levante presso cui si trovava: vide una fioca luce attraverso la ferriata della stanza inferiore: una persona vi passava col lume in mano; tale circostanza non rianimò le sue speranze a proposito della signora Montoni, poichè, avendola cercata colà appunto, non vi aveva trovato che una vecchia divisa e delle armi. Nulladimeno si decise a tentar di aprire la torre al di fuori, appena Bernardino si fosse partito da lei.

Passava il tempo, e costui non compariva. Emilia, inquieta, esitò se dovesse aspettarlo ancora; avrebbe mandata Annetta a cercarlo, se non avesse temuto di restar sola.

Mentre ragionava colla seguace della tardanza, lo videro comparire. Emilia si affrettò a domandargli che cosa voleva dirle, pregandolo di non perder tempo, poichè l'aria notturna l'incomodava.

« Licenziate la cameriera, signorina, » le disse Bernardino con voce sepolcrale, che la fece fremere, « il mio segreto non posso rivelarlo che a voi sola. » Emilia esitò, ma finì a pregare Annetta di allontanarsi alcuni passi; indi gli disse: « Ora, amico mio, son sola, cosa volete dirmi? »

Egli tacque un momento, come per riflettere poi, rispose: « Io perderei certo il mio impiego se lo sapesse il padrone. Promettetemi, signorina, che non paleserete a chicchessia sillaba di ciò che son per dirvi. Chi si è fidato di me in quest'affare me ne farebbe pagare il fio se venisse a capire ch'io l'avessi tradito. Ma mi sono interessato per voi, e voglio dirvi tutto. » Emilia lo ringraziò accertandolo della sua segretezza, e lo pregò di continuare. « Annetta mi ha detto nel tinello, quanto voi state in pena per la signora Montoni, e quanto desiderate essere informata del suo destino.

– È vero, se lo sapete ditemi tosto ciò che ha di più terribile; son parata a tutto.

– Io posso dirvelo, ma vi veggo così afflitta, che non so come cominciare.

– Son parata a tutto, amico, » ripetè Emilia con voce ferma ed imponente, « e preferisco la più terribile certezza a questo dubbio crudele.

– Se è così, vi dirò tutto. Già sapete che il padrone e sua moglie non andavano d'accordo; non tocca a me conoscerne il motivo, ma credo che ne saprete il risultato.

– Bene, » disse Emilia, « e così?

– Il padrone, a quanto pare, ha avuto ultimamente un forte alterco con lei: io vidi tutto, intesi tutto, e più di quel che possono supporre; ma ciò non riguardandomi, io non diceva nulla. Pochi giorni sono egli mi mandò a chiamare e mi disse: Bernardino, tu sei un brav'uomo, e credo potermi fidare di te… Lo assicurai della mia fedeltà. Allora, per quanto mi ricordo, mi disse: Ho bisogno che tu mi serva in un'affare importante. Mi ordinò ciò che doveva fare; ma di questo non dirò nulla, chè concerne soltanto la padrona.

– Cielo! che faceste? qual furia poteva indurvi ambidue ad un atto così detestabile?

– Fu una furia, » rispose Bernardino con voce cupa, e tacquero entrambi. Emilia non aveva coraggio di domandarne davvantaggio. Bernardino pareva temere di spiegarsi più particolarmente; alfine soggiunse: « È inutile riandare il passato. Il padrone fu troppo crudele, sì, ma voleva essere obbedito. Se io mi fossi ricusato, ne avrebbe trovato un altro meno scrupoloso di me.

– L'avete uccisa? » balbettò Emilia; « io dunque parlo con un sicario? » Bernardino tacque, e la fanciulla mosse un passo per lasciarlo.

– Restate, signorina, » ei le disse; « voi meritereste di lasciarvelo credere, giacchè me ne stimaste capace.

– Se siete innocente, ditelo tosto » soggiunse Emilia quasi moribonda; « non ho forza bastante per ascoltarvi maggior tempo.

– Or bene, la signora Montoni è viva per me solo; essa è mia prigioniera: sua eccellenza l'ha confinata nella camera di sopra del portone, e me ne affidò la custodia. Voleva dirvi che avreste potuto parlarle; ma ora… »

Emilia, sollevata a tai parole da inesprimibile angoscia, scongiurollo di farle vedere la zia. Egli vi acconsentì senza farsi pregar molto, e le disse che la notte seguente, allorchè Montoni fosse a letto, se voleva recarsi alla porta del castello, potrebbe forse introdurla dalla prigioniera.

In mezzo alla riconoscenza che le ispirava siffatto favore, parve alla fanciulla di scorgere ne' di lui sguardi una certa soddisfazione maligna, mentre pronunziava quest'ultime parole. Sulle prime scacciò tale idea, lo ringraziò di nuovo, e raccomandò la zia alla di lui pietà, assicurandolo che l'avrebbe ricompensato, e sarebbe esatta all'appuntamento indicato; quindi gli augurò buona sera, ed andossene.

Passò qualche ora prima che la gioia, eccitata in lei dal racconto di Bernardino, le permettesse di giudicare con precisione dei pericoli che minacciavano ancora la zia e lei stessa. Quando la sua agitazione si calmò, riflettè che la zia era prigioniera d'un uomo, il quale poteva sacrificarla alla vendetta o all'avarizia sua. Allorchè pensava all'atroce fisonomia del portinaio, credeva che il suo decreto di morte fosse già firmato; immaginando colui capace di consumare qualunque atto barbaro. Queste idee le rammentarono l'accento col quale le aveva promesso di farle vedere la prigioniera. Le venne mille volte in idea che la zia potesse esser già morta, e che lo scellerato era forse incaricato d'immolare anche lei all'avarizia di Montoni, il quale di tal guisa sarebbe entrato in possesso dei suoi beni in Linguadoca, che avevan formato il tema d'una sì odiosa contestazione. L'enormità di questo doppio delitto gliene fece alla fine respingere la probabilità; ma non perdè tutti i timori, nè tutti i dubbi ispiratile dalle maniere di Bernardino.

La notte era già molto avanzata, ed ella si afflisse quasi di non sentir la musica, della quale aspettava il ritorno con sentimento più forte della curiosità. Distinse lunga pezza le risa smoderate di Montoni e de' suoi convitati, le canzoni lubriche, e sentì finire ben tardi i loro rumorosi discorsi. Susseguì un profondo silenzio interrotto soltanto dai passi di quelli che si ritiravano ne' rispettivi alloggi. Emilia, ricordandosi che la sera precedente aveva intesa la musica press'a poco all'istess'ora, aprì pian piano la finestra, stando in attenzione della soave armonia.

Il pianeta da lei osservato al primo sentire della musica, non si vedeva ancora, e cedendo ad una impressione superstiziosa, guardava attenta la parte del cielo in cui doveva apparire, aspettando la melodia nello stesso momento. Alfine esso comparve, rifulgendo sopra le torri orientali. Emilia tese l'orecchio, ma indarno. Le ore scorsero in ansiosa aspettativa; nessun suono turbò la calma solenne della natura. Ella rimase alla finestra finchè l'alba non cominciò a biancheggiare le vette de' monti, e persuasa allora che la musica non si sarebbe altrimenti sentita, se ne andò a letto.

Возрастное ограничение:
12+
Дата выхода на Литрес:
03 августа 2018
Объем:
160 стр. 1 иллюстрация
Правообладатель:
Public Domain

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