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Читать книгу: «I misteri del castello d'Udolfo, vol. 3», страница 10

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La contessa, appena arrivata, si ritirò nel suo appartamento. Il conte, Enrico e Bianca andarono nel salotto, ma appena vi furono giunti, udirono, un colpo di cannone. Il conte riconobbe il segnale d'un bastimento in pericolo che chiedeva soccorso; aprì una finestra, ma il mare avvolto nelle tenebre ed il fracasso della tempesta non lasciavan distinguer nulla. Bianca si ricordò della nave già veduta, e ne avvertì tremando suo padre. Di lì a poco udirono un'altra cannonata, e poterono scorgere al chiarore d'un lampo una barca agitata dai flutti spumosi, con una sola vela, e che, ora scomparendo nell'abbisso, ora sollevandosi sino alle nubi, cercava di guadagnar la costa. Bianca si attaccò al collo del padre con uno sguardo doloroso in cui si dipingevano lo spavento e la compassione. Non eravi bisogno di questo mezzo per intenerire il conte: egli guardava il mare con espressione di pietà, ma vedendo che i battelli non potrebbero resistere alla burrasca, proibì di arrischiarsi a perdita sicura, e fece portare molte torce accese sulle punte degli scogli, a mo' di faro.

Enrico uscì per andar a dirigere i servi, e Bianca col padre restò alla finestra, di dove si scorgeva al lume dei baleni il misero bastimento. Ad ogni cannonata rispondevano i servi alzando ed agitando le torce, e al debole chiarore dei lampi Bianca credè vedere nuovamente la nave molto vicino alla riva. Allora si videro i domestici del conte correre da tutte le parti avanzarsi sulla punta degli scogli, chinarsi sporgendo le torce; altri, dei quali non si distingueva la direzione che al movimento dei lumi, scendevano per sentieri pericolosi fin sulla spiaggia, chiamando ad alte grida i marinai, di cui sentivano i fischi e le fioche voci, che per intervalli si confondevano col fracasso della burrasca. Quei gridi inaspettati che partivano dagli scogli, accrescevano il terrore di Bianca ad un grado insopportabile; ma il di lei tenero interesse fu in breve sollevato, quando Enrico arrivò, correndo, a dar la notizia che il bastimento aveva gettato l'àncora nel fondo della baia, ma in sì miserando stato, che sarebbesi forse sommerso prima che l'equipaggio fosse sbarcato. Il conte fece tosto partire tulle le barche, annunziando agli stranieri che li avrebbe ricevuti nel castello. Tra essi eranvi Emilia Sant'Aubert, Dupont, Lodovico ed Annetta, i quali imbarcatisi a Livorno, e giunti a Marsiglia, traversavano il golfo di Lione quando vennero assaliti dalla tempesta. Furono tutti ricevuti dal conte con grande affabilità. Emilia avrebbe voluto andare al convento di Santa Chiara quell'istessa sera, ma egli non volle permetterglielo.

Il conte ritrovò in Dupont un'antica conoscenza, e si fecero i più cordiali complimenti. Emilia fu ricevuta colla più cortese ospitalità, e la cena fu servita.

L'affabilità naturale di Bianca, e la gioia cui esprimeva per la salvezza dei forestieri, che aveva sì sinceramente compianti, rianimarono a poco a poco gli spiriti di Emilia. Dupont, sciolto dal timore provato per lei e per sè medesimo, sentiva la differenza della propria situazione. Uscendo da un mare procelloso, in procinto d'inghiottirli, si ritrovava in una bella casa, ove regnavano l'abbondanza ed il gusto, e nella quale riceveva cortesissima accoglienza.

Annetta intanto raccontava alla servitù i pericoli sofferti, felicitandosi della propria salvezza e di quella di Lodovico. In una parola, risvegliò il brio e l'allegrezza in tutta quella gente. Lodovico era lieto come lei, ma sapeva contenersi, e procurava inutilmente di farla tacere. In fine, le risa smoderate furono intese persino dall'appartamento della contessa, che mandò a sentire cosa fosse quel chiasso, raccomandando il silenzio.

Emilia si ritirò di buon'ora per cercare quel riposo, onde avea tanto bisogno; ma stette un pezzo senza poter dormire, perchè il di lei ritorno in patria le ridestava interessanti memorie. I casi occorsi, i patimenti sofferti dopo la sua partenza, le si affacciarono con forza, non cedendo che all'immagine di Valancourt. Sapere ch'essa abitava la medesima terra, dopo sì lunga separazione, era per lei una fonte di gioia. Passava quindi all'inquietudine e all'ansietà, quando considerava lo spazio del tempo scorso dall'ultima lettera ricevuta, e tutti gli avvenimenti che, in cotesto intervallo, avrebber potuto cospirare contro il suo riposo e la sua felicità; ma l'idea che Valancourt non esistesse più, o che, se viveva, l'avesse dimenticata, era sì terribile pel suo cuore, che non potè sopportarla. Risolse d'informarlo subito il giorno dopo del suo arrivo in Francia con una lettera. La speranza finalmente di sapere in breve ch'egli stava bene, ch'era poco lontano da lei, ed in ispecie che l'amava ancora, calmò la di lei agitazione: il suo spirito si racchetò, chiuse gli occhi, e addormentossi.

CAPITOLO XXXVII

Bianca aveva preso tanto interesse per Emilia, che quando seppe ch'essa voleva andar ad abitare il convento vicino, pregò il padre d'impegnarla a prolungare il suo soggiorno nel castello « Voi comprendete benissimo, » soggiunse, « quanto sarei contenta di avere una tal compagna. Ora non ho verun'amica, colla quale io possa leggere o passeggiare. La signora Bearn è amica soltanto della mamma. »

Il conte sorrise di quell'ingenua semplicità, che faceva cedere la figlia alle prime impressioni. Si propose di dimostrargliene il pericolo a suo tempo; ma in quel punto applaudì, col suo silenzio, a quella cordialità che la portava a fidarsi istantaneamente d'una sconosciuta.

Aveva osservato Emilia con attenzione, e gli era piaciuta, per quanto poteva comportarlo una sì breve conoscenza. Il modo con cui Dupont aveagli parlato di lei, l'aveva confermato nella sua idea; ma vigilantissimo sulle relazioni della figlia, e intendendo come Emilia fosse conosciuta al convento di Santa Chiara, risolse di recarsi a visitare l'abbadessa, e se le di lei informazioni avessero corrisposto ai suoi desiderii, voleva invitare Emilia a passar qualche giorno in casa sua. Aveva in vista, sotto questo rapporto, più il piacere della figlia, che il desiderio di far cosa grata all'orfana, ma nulladimeno prendeva per lei un sincero interesse.

Il dì dopo, Emilia era troppo stanca, e non potè scendere cogli altri a far colazione. Dupont fu pregato dal conte, come antico conoscente, di prolungare il suo soggiorno nel castello. Egli vi acconsentì volentieri, tanto più che questa circostanza lo tratteneva presso Emilia. Non poteva in fondo al cuore alimentare la speranza ch'ella corrispondesse giammai alla sua passione ma non aveva coraggio di procurar di vincerla.

Allorchè Emilia fu alquanto riposata, andò a passeggiare colla novella amica, e fu sensibilissima alle bellezze di quei punti di vista. Nel vedere il campanile del monastero, annunziò a Bianca esser quello il luogo in cui voleva andare a risiedere.

« Ahi » rispose questa sorpresa; « io sono appena uscita di convento, e voi vi ci volete rinchiudere! Se sapeste quanto piacere io provo nel passeggiar qui con libertà, e nel vedere il cielo, i campi ed i boschi intorno a me, credo che abbandonereste quest'idea. » Emilia sorrise dell'eloquenza, colla quale ella si esprimeva, dicendole come non avesse l'intenzione di chiudersi in monastero per tutta la vita.

Rientrando in casa, Bianca la condusse alla sua torre favorita, e nelle antiche stanze già da lei visitate. Emilia si divertì ad esaminare la distribuzione, a considerare il genere e la magnificenza dei mobili ed a paragonarli con quelli del castello di Udolfo, ch'erano però più antichi e straordinari. Considerò anche Dorotea che le accompagnava, e parea quasi tanto antica, quanto gli oggetti che la circondavano. Parve che la vecchia guardasse Emilia con interesse, ed anzi l'osservava con tanta attenzione, che appena intendeva quanto le dicevano.

Emilia, affacciatasi ad una finestra, volse gli sguardi sulla campagna, e vide con sorpresa molti oggetti, di cui conservava ancora la memoria: i campi, i boschi ed il ruscello che aveva traversati con Voisin una sera, dopo la morte di Sant'Aubert, nel tornare dal convento alla casa di quel buon vecchio. Riconobbe Blangy essere il castello che aveva scansato allora, e sul quale Voisin aveva tenuto discorsi così strani.

Sorpresa di tale scoperta, ed intimorita senza saperne il motivo, restò qualche tempo in silenzio, e rammentossi l'emozione di suo padre al trovarsi vicino a quella dimora. Anche la musica da lei sentita, e sulla quale Voisin le aveva fatto un racconto così ridicolo, le tornò allora in mente. Curiosa di saperne davvantaggio, domandò a Dorotea se si sentisse ancora musica a mezzanotte, e se ne conoscesse l'autore.

« Sì, signorina, » rispose la vecchia, « si sente tuttavia quella musica, ma non se ne conosce l'autore, ed io credo che non si saprà mai. Avvi qualcuno che indovina cos'è.

– Davvero! » sclamò Emilia; « e perchè non seguitano a far ricerche?

– Ah! signorina, abbiamo cercato anche troppo; ma chi può seguire uno spirito? »

Emilia sorrise, e rammentandosi quanto avesse recentemente sofferto per la superstizione, risolse di resistervi, benchè sentisse suo malgrado un certo timore mescolarsi alla curiosità. Bianca, che fin allora aveva ascoltato in silenzio, domandò cosa fosse questa musica, e da quanto tempo la si sentisse.

« Sempre, dopo la morte della nostra padrona, » rispose Dorotea. « Ma ciò non c'entra con quel che voleva dirvi.

– Diteci, ve ne prego, diteci tutto, » rispose Bianca. « Ho preso molto interesse a quel che mi hanno raccontato suor Concetta e suor Teresa in convento sulle apparizioni.

– Voi non avete mai saputo, o signorina, per qual motivo fummo costretti di uscire dal castello per andar ad abitare in quella casuccia? » continuò Dorotea.

– No, al certo, » rispose Bianca impaziente.

– Nè la ragione, per la quale il signor marchese… » Qui titubò, e cambiò discorso; ma la curiosità di Bianca era destata; ella sollecitò la vecchia a continuar il suo racconto, ma non potè indurvela. Era dunque evidente ch'essa s'allarmava della sua imprudenza.

« So bene, » disse Emilia sorridendo, « che tutte le case antiche sono frequentate dagli spiriti. Vengo da un teatro di prodigi, ma disgraziatamente, dopo che ne uscii, n'ebbi la spiegazione. »

Bianca taceva, e Dorotea stava seria e sospirava. Emilia, rammentando lo spettacolo veduto in una camera di Udolfo, e, per una bizzarra relazione, le parole allarmanti lette accidentalmente in una delle carte bruciate per cieca obbedienza agli ordini paterni, fremeva al significato che sembrava avessero, quasi quanto all'orribile oggetto da lei scoperto sotto il velo funesto.

Bianca intanto, non potendo indurre Dorotea a spiegarsi di più, la pregò, passando vicino alla porta chiusa, di farle vedere tutti gli appartamenti.

« Cara signorina, » rispose la custode, « vi ho già dette le mie ragioni per non aprire quella stanza. Non vi sono più entrata dopo la morte della mia cara padrona: quella camera mi affliggerebbe troppo: per carità dispensatemene.

– Sì, certo, » rispose Bianca, « se tal è il vostro vero motivo.

– Pur troppo è l'unico, » disse la vecchia. « Noi l'amavamo tanto, ed io la piangerò sempre. Il tempo vola sì rapido! Sono molti anni ch'è morta, eppur mi ricordo, come se fosse oggi, di tutto quel che accadde allora. Molte cose nuove mi sfuggirono dalla memoria; ma le antiche le vedo come in uno specchio. » Poi, avanzandosi nella galleria, e guardando Emilia, soggiunse: « Questa signorina mi rammenta la signora marchesa: mi ricordo ch'era fresca come lei ed aveva il medesimo sorriso. Povera donna! Com'era allegra quando fece il suo ingresso qui!

– Che! forse non lo fu anche in seguito? » disse Bianca.

Dorotea scosse la testa. Emilia l'osservava, e sentivasi penetrata da vivo interesse. « Se ciò non vi affligge, » disse Bianca, « fateci la grazia di raccontare qualcosa della marchesa.

– Signora, » rispose Dorotea, « se voi ne sapeste quanto me, le trovereste troppo penose, e ve ne pentireste. Vorrei cancellarne l'idea sulla mia memoria, ma è impossibile… Io vedo sempre la mia cara padrona al suo letto di morte, vedo i suoi sguardi e mi rammento i suoi discorsi. Dio! che scena terribile!

– Che le accade dunque di sì terribile?

– Ah! la morte non è dunque abbastanza terribile? »

La vecchia non rispose ad alcuna delle interrogazioni di Bianca. Emilia, osservando che le spuntavano le lacrime, cessò d'importunarla, e procurò di attirare l'attenzione della sua giovine amica su qualche punto del giardino. Il conte, la contessa e Dupont vi stavano passeggiando, ed esse li raggiunsero.

Quando il conte vide Emilia, le andò incontro, e la presentò alla contessa in un modo così gentile, che le rammentò l'affabilità del proprio genitore.

Prima di aver finito i suoi ringraziamenti per l'ospitalità ricevuta, ed espresso il desiderio di recarsi tosto al convento, fu interrotta da un invito pressantissimo di prolungare il di lei soggiorno nel castello. Il conte e la contessa ne la pregarono con tanta sincerità, che malgrado il desiderio che aveva di rivedere le amiche del monastero, e sospirare nuovamente sulla tomba dell'amato padre, acconsentì di restare per qualche giorno. Scrisse intanto alla badessa per informarla del suo arrivo, e pregarla di riceverla nel convento come educanda. Scrisse parimente a Quesnel ed a Valancourt, e siccome non sapeva ove indirizzare precisamente quest'ultima lettera, la diresse in Guascogna al fratello del cavaliere.

Verso sera, Bianca e Dupont accompagnarono Emilia alla casa di Voisin; nell'avvicinarsene, provò una specie di piacere misto ad amarezza. Il tempo aveva calmato il suo dolore, ma la perdita fatta non poteva cessare di esserle sensibile; si abbandonò con dolce tristezza alle memorie che le rammentava quel luogo. Voisin viveva ancora, e sembrava godere, come in passato, della placida sera di una vita senza rimorso. Era seduto innanzi alla porta della sua casa, compiacendosi della vista dei nipotini, che scherzavano intorno a lui, e di cui ora il suo riso, ora le sue parole eccitavano l'emulazione. Riconobbe subito Emilia, e mostrò gran gioia nel rivederla, annunciandole che, dopo la sua partenza, la di lui famiglia non aveva sofferto affanni o perdite funeste.

Emilia non ebbe coraggio di entrare nella camera ov'era morto Sant'Aubert, e dopo un'ora di conversazione, tornò al castello.

Nei primi giorni che soggiornò a Blangy, osservò con pena la malinconia profonda, che assorbiva troppo spesso Dupont. Emilia compiangeva l'acciecamento che lo tratteneva vicino a lei, e risolse di ritirarsi al convento appena potesse farlo. L'abbattimento dell'amico non tardò ad inquietare il conte, e Dupont gli confidò finalmente il segreto del suo amore senza speranza. Villefort si limitò a compiangerlo, ma decise fra sè di non trascurare veruna occasione per favorirlo. Allorchè conobbe la pericolosa situazione di Dupont, si oppose debolmente al desiderio da lui esternato di partire da Blangy l'indomani; gli fece però promettere di venire a passarvi qualche tempo, quando il suo cuore fosse stato più tranquillo. Emilia, che pur non potendo incoraggiare il suo amore, ne stimava le buone qualità, ed era gratissima ai di lui servigi, provò grand'emozione quando lo vide partire per la Guascogna. Si separò da lei con tal espressione di dolore, che il conte s'interessò vie più per l'amico.

Pochi giorni dopo, anche Emilia partì dal castello, avendo però dovuto promettere al conte ed alla contessa di venire spesso a trovarli. La badessa la ricevè colla materna bontà di cui le aveva già data prova, e le monache con nuovi segni d'amicizia. Quel convento, a lei sì noto, risvegliò le sue tristi idee; ringraziava il Supremo Motore di averla fatta sfuggire a tanti pericoli, sentiva il prezzo dei beni che le restavano, e sebbene bagnasse sovente la tomba di suo padre delle sue lacrime, non sentiva più però la medesima amarezza.

Qualche tempo dopo il suo arrivo nel monastero, Emilia ricevè una lettera dello zio Quesnel in risposta alla sua, e alle domande su' suoi beni, che egli aveva preteso amministrare nella di lei assenza. Erasi specialmente informata sull'affitto del castello della valle, che desiderava abitare, se le sue sostanze glie lo permettevano. La risposta di Quesnel fu secca e fredda come se l'aspettava; non esprimeva nè interesse per i di lei patimenti, nè piacere perchè ne fosse sfuggita. Quesnel non perdè l'occasione per rimproverarle il suo rifiuto alle nozze del conte Morano, cui cercava rappresentare come ricco e uomo d'onore; declamava con veemenza con quell'istesso Montoni, al quale fin allora, erasi riconosciuto tanto inferiore; era laconico circa gl'interessi pecuniari di Emilia, avvertendola però che l'affitto del castello della valle spirava fra poco; non l'invitava ad andare da lui, ed aggiungeva che, nello stato meschino della sua sostanza, avrebbe fatto benissimo a restare per qualche tempo a Santa Chiara. Non rispondeva nulla alle di lei domande sulla sorte della povera Teresa, la vecchia serva del padre suo. In un poscritto, Quesnel, parlando di Motteville, nelle cui mani Sant'Aubert aveva posto la maggior parte del suo patrimonio, le annunziava che i di lui affari stavano per accomodarsi, e ch'essa ne ritirerebbe più di quel che avrebbe potuto aspettarsi. La lettera conteneva parimente una cambiale a vista per riscuotere una modica somma da un mercante di Narbona.

La tranquillità del monastero, la libertà statale accordata di passeggiare sul lido e pei boschi circonvicini, tranquillarono a poco a poco lo spirito di Emilia, la quale però sentivasi inquieta a proposito di Valancourt, ed impaziente di riceverne una risposta.

FINE DEL TERZO VOLUME
Возрастное ограничение:
12+
Дата выхода на Литрес:
03 августа 2018
Объем:
160 стр. 1 иллюстрация
Правообладатель:
Public Domain

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