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Читать книгу: «Fra Tommaso Campanella, Vol. 2», страница 8

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La posizione del Campanella, e così pure quella di fra Dionisio, erano dunque nettamente definite: il Campanella ritenevasi confesso, fra Dionisio convinto, e secondo la giurisprudenza e i termini chiari ed espliciti del Breve Papale dovevano essere, previa la degradazione, consegnati al braccio secolare, naturalmente con quella rutinaria preghiera altrove menzionata che la pena fosse «senza pericolo di morte» etc., preghiera che la giurisprudenza imponeva, e che era sottinteso non doversi tenere dal braccio secolare in alcun conto104. Erano dunque accolte le conclusioni del Sances, e senza dubbio, pronunziata la condanna di degradazione e consegna alla Curia secolare, la Curia Pontificia non avrebbe più ricevuto il Campanella nelle sue mani per sottoporlo al processo dell'eresia, segnatamente essendovi l'intenzione, come appunto il Papa l'avea una volta manifestata, che gl'interessati nel negozio dell'Inquisizione si mandassero a Roma. Il Nunzio ebbe a capire quanto male a proposito si era procrastinato il giudizio dell'eresia, e nel tempo stesso si era largheggiato in concessioni pel giudizio della congiura; ed il pericolo di non poter più fare il giudizio dell'eresia, non già la menoma idea di salvare il Campanella, indusse lui ad esigere e Roma ad approvare che si soprassedesse alla spedizione della causa. Intanto siffatta sospensione giunse realmente a salvare dalla morte il Campanella e così pure fra Dionisio; ma il Governo Vicereale dovè ritenerla una manovra dalla parte di Roma in beneficio de' frati ribelli, e dovè legarsela al dito, poichè a' termini del Breve Papale non c'era da rivolgersi ancora a Roma ed «aspettare il comandamento di S. S.tà», ma potevasi concretare la sentenza e poi aspettarlo. Ad ogni modo la sospensiva non fu messa innanzi dal Governo perchè non sapeva come condannare que' frati innocenti, secondo che è stato affermato da altri scrittori; e vedremo anzi quanto esso insistè, durante più anni, perchè si compisse una volta la spedizione della causa, finchè non sopraggiunsero altri fatti, pe' quali sorse un grave sospetto che Roma volesse addirittura salvare que' frati in dispregio del potere civile.

Da Roma, il 22 aprile, si scrisse al Nunzio che tra poco si manderebbe una risposta risoluta, e intanto si lodava che egli non avesse consentito alla spedizione della causa della ribellione, mentre pendeva la deliberazione da prendersi per quella dell'eresia. Effettivamente venne poi, alcuni giorni dopo, comunicata la deliberazione che vi si procedesse in Napoli, e già durante tutto questo tempo si era continuato lo svolgimento del processo della congiura, trattandosi le difese degli altri frati. Questo si rileva dalle lettere del Nunzio del 24 e del 28 aprile, nella quale ultima si dice «che i prigioni per la ribellione… seguono le loro difese, nelle quali non ci è parso restringerli, se bene i termini concessi à tal effetto erano passati». Quali siano state le difese de' rimanenti frati non conosciamo: alcuna Difesa scritta per loro dal De Leonardis non ci è pervenuta, e questo ci fa pensare che forse essi siano rimasti senza Difesa scritta. Del rimanente ecco quanto troviamo in coda a' rispettivi Riassunti degl'indizii, dove si ebbe cura di registrare ciò che si fece da questo lato. Pel Pizzoni troviamo, «habuit defensiones quas fecit», e da ciò desumiamo che egli siasi difeso da sè. Pel Petrolo, e così pure pel Bitonto, troviamo semplicemente «habuit defensiones», donde desumeremmo che questi due si siano rimessi alla giustizia del tribunale senza difendersi, la qual cosa collimerebbe col loro grado di cultura molto più basso. Per gli altri frati poi, cioè il Lauriana, fra Paolo della Grotteria, fra Pietro di Stilo e fra Pietro Ponzio, non troviamo alcuna annotazione, e dovremmo desumerne che il Sances abbia rinunciato all'azione penale contro di loro. È quasi superfluo aggiungere che pe' frati suddetti, come pel Campanella e fra Dionisio, e parimente pel Contestabile, furono compiute le difese ma restò sospesa la spedizione della causa: essi dovevano, o come principali o come testimoni, sottostare al processo dell'eresia, e la Curia Romana avea deliberato che dovesse prima svolgersi quest'altro processo. Così la sorte di tutti costoro rimase sospesa durante molto altro tempo, e da ciò rimase danneggiato singolarmente fra Pietro Ponzio, il quale non era implicato in nessuno dei due processi e restava intanto nel carcere; ma vedremo tra poco che appunto nel carcere erano già cominciati a sorgere alcuni sospetti contro di lui. – La deliberazione che il processo dell'eresia dovesse trattarsi in Napoli fu annunziata dal Card.l di S.ta Severina, con lettera del 28 aprile che troveremo a capo del relativo processo: questa lettera pervenne al Nunzio verso i primi di maggio, come si rileva dall'altra che egli scrisse al Card.l S. Giorgio in data del 5 maggio. Si fu dunque perfettamente in tempo a cominciare il processo dell'eresia mentre terminava il processo della congiura per gl'inquisiti ecclesiastici fin allora presi; e come la spedizione di quest'ultimo processo rimase sospesa, così dobbiamo anche noi sospendere il racconto dell'esito riserbandolo pel tempo suo.

Ci occorre pertanto narrare un fatto importantissimo, che si era già verificato in persona del Campanella fin dai primi di aprile. Con un accesso subitaneo e violento si era manifestata in lui la pazzia: questo incidente, non senza conseguenze giuridiche per lui, merita tutta la nostra attenzione, e cominceremo dal vedere dapprima quanto egli medesimo ne lasciò scritto. Nelle lettere del 1606-1607, pubblicate dal Centofanti, una volta scrisse, «furono negate le difese, e per questo sopraggiunse la pazzia»; un'altra volta scrisse, «mi fecero pazzo essi con tanti tormenti et con non lasciarmi difensare»105. Più tardi (il 1614) in una delle note nelle sue Poesie scrisse, «bruciò il letto, e divenne pazzo ò vero ò finto»106. Più tardi ancora (il 1620), nella sua Narrazione, tornò alla prima versione del fatto e con molta larghezza scrisse, che il Sances «con altri di sua fattura» (e questi non potrebbero essere stati che il Nunzio e il De Vera), udendo le ragioni da lui addotte in sua discolpa, «levaro al Campanella la commodità di scrivere, e d'esaminare, e difensarsi, e li libri e il commertio con avvocati, e lo posero dentro al torrione inferrato dicendoli, che dovea morir per ragion di stato e che s'apparecchiasse i sacramenti, non a difensarsi, e li mandaro Gesuini, e frati a conortarlo a morire, e volendo presentar il Campanella li libri da lui fatti sopra la mutatione del mondo e la monarchia di Christo, d'una greggia sotto un pastore, presto apparitura in tutto il mondo, data da lui al Cardinal Sangiorgi dui anni avanti perchè si vedesse che non era invention contra la chiesa, nè contra il Re fatta novamente (sic). E di più volea presentar un volume scritto della Monarchia di Spagna molto utile alla corona, e la tragedia della Regina di Scotia fatta da lui per Spagna contro Inghilterra, e li discorsi alli Principi d'Italia, che per ben comune non devono contradir a detta monarchia, e questi libri fece venir dalla padria subito. Ma il Sances non volse che si presentassero, nè si sapessero, e però lo ristrinse nel torrione con le fenestre serrate, e mise timore a chiunque parlava d'aiutarlo, e li fè tanti stratii al povero Campanella che lo fè impazzire, brugiò il letto, e lo trovaro la mattina mezzo morto, e pazziò cinquanta dì». – Parecchie riserve debbono farsi intorno alle circostanze qui esposte. Vedremo che la sua pazzia durò anche oltre 14 mesi, e scorso questo tempo fu provata col più atroce de' tormenti; saremmo perfino tentati di credere che vi sia stata in tal punto una lezione sbagliata. Vedremo dippiù che i libri i quali volea presentare non vennero dalla patria subito, e nella Difesa scritta da lui medesimo, compiuta dopo la manifestazione della pazzia e venuta in luce 14 mesi più tardi, egli chiedeva a' Giudici che gli si dessero i libri, menzionando i Discorsi politici inviati all'Imperatore, il Dialogo contro gli eretici esistente presso Mario del Tufo, la Monarchia dei Cristiani data al S. Giorgio, la Tragedia e il libro Del Reggimento della Chiesa che diceva trovarsi in Stilo tra le sue piccole masserizie, ed aggiungendovi di seconda mano la Monarchia di Spagna, che diceva trovarsi pure in Stilo tra le sue piccole masserizie, «in meis sarcinulis». Ognuno poi avrà già notato che i tormenti gli erano stati dati il 7 e 8 febbraio, mentre la pazzia cominciò a' primi di aprile, e circa il non essergli state date le comodità di difendersi, bisogna tener presente che nella prima delle sue Lettere del 1606 a Paolo V egli scrisse esplicitamente, «quando mi citaro mi protestai che voleva io difensarmi di propria bocca almen che (sic) non mi lasciaro articolare, e 'l Nuntio passato non mi fè chiamare, che penso non ci l'han detto nè potea» (accennando all'Aldobrandini, che mostrò di scusare poichè scriveva a un Papa): e certamente il Nunzio, che benissimo lo potea, non è scusabile di non averlo fatto chiamare, ma bisogna riconoscere che erano state date le comodità per la difesa, e, come vedremo tra poco, egli non giunse in tempo a presentare la Difesa scritta, e venne poi, il 2 aprile, a manifestarsi pazzo; sicchè riesce del tutto credibile essere sorta la pazzia quando dovè persuadersi che pel momento non dovea più pensare alla difesa, e per giunta mostravasi imminente il processo di eresia tanto più spaventevole per lui. Infine anche la circostanza dell'essere stato trattato con rigore maggiore del solito mentre dovea fare le difese, merita di essere accolta con riserva; poichè, all'opposto, nel detto tempo si soleva trattare gl'inquisiti con larghezza, e vedremo tra poco da una deposizione del carceriere Alonso Martinez confermata la cosa in persona sua. Tutte le altre circostanze poi debbono essere riconosciute esatte, giacchè concordano con quanto emerse in sèguito nel processo dell'eresia, onde siamo in grado di dare la data precisa dell'incidente e tutti i suoi particolari.

Non può dubitarsi che fornirono l'occasione o il pretesto per la pazzia le esorbitanze di confessori, che specialmente a motivo della Pasqua frequentavano allora più del solito il Castello. Vi erano assidui il P.e Pepe gesuita, il P.e Muzio, un P.e Pietro Gonzales Domenicano, e quest'ultimo specialmente confessava i frati carcerati, come trovasi attestato nelle loro deposizioni. Notiamo che fra Pietro di Stilo ebbe a dire del Gonzales: «soleva venire spesse volte quà, è ci faceva delle belle esortationi, et andava anco dal Campanella spesse volte per quanto mi è stato detto, è li faceva delle brutte riprensioni». Più esplicitamente il Vescovo di Termoli scrisse a Roma: «dubito che la pazzia sia nata che andando il Padre Maestro Pietro Gonzales à confessar et communicar alcuni di questi carcerati prima che io venisse à Napoli, andava dal Campanella et l'essortava ad haver cura dell'anima perchè il corpo era spedito». Ben si vede che il Gonzales non godeva pienamente le simpatie del Vescovo di Termoli, e possiamo aggiungere che tanto meno godeva quelle del Nunzio, nel cui Carteggio si trovano più lettere contro di esso, dalle quali apparisce molto amico di fra Serafino di Nocera tanto affezionato al Campanella107: inoltre egli conosceva assai da vicino qualcuno de' frati carcerati, p. es. il Petrolo, che era stato con lui in Milano; e per tutti questi motivi rimane dubbio se egli avesse agito a quel modo per leggerezza ed imprudenza, o invece per malizia, vale a dire d'accordo col Campanella medesimo, a fine di rendere spiegabile l'inatteso manifestarsi della pazzia. Ecco ora in che maniera il Campanella si mostrò pazzo, secondo che depose il carceriere Alonso Martines quando ne fu interrogato. «La matina di pasqua del spirito santo prossime passato havendo io la sera precedente lassato una lucerna accesa dentro la priggione di detto frà Thomaso quale poteva durare circa un'hora, è mezza à far lume acciò egli vedesse à mangiare, la matina secondo il mio solito, visitando tutti li carcerati, ritrovai che frà Thomaso havea brusciato la lettèra, le asse, le tavole, un saccone di paglia, et una coperta, et la priggione era tutta piena di fumo, et frà Thomaso era gettato in terra, et io credevo che fusse morto, mà poi io udj che si lamentava, et io lo levai da terra, et lo messi in un'altro loco, et rivenne quanto alle forze del corpo, et ritornato da esso per condurlo alla messa che alhora havea licenza di condurlo, detto frà Thomaso mi venne à dosso è poco ci mancò che non mi levasse il naso dalla faccia, è, da questa hora in quà hà parlato spropositatamente, et anco con altri»108. Da diversi fonti all'uopo ricercati abbiamo potuto trarre che la Pasqua nel 1600 si celebrò il 2 aprile: fu questa dunque la data precisa in cui si manifestò la pazzia del Campanella, ed essa spiega pienamente così l'opportunità e convenienza della pazzia dal lato suo, come l'urgenza estrema della spedizione della causa dal lato del Sances. Reca poi senza dubbio una grande meraviglia il fatto, che il Nunzio non abbia partecipata a Roma tale novità; nel suo Carteggio non se ne trova menzione per lungo tempo, e il primo a parteciparla a Roma apparisce nel processo di eresia il Vescovo di Termoli, in data del 25 maggio109.

Non appena ebbe notizia dell'incidente, il Sances ordinò che si spiassero gli andamenti del Campanella, per conoscere se la pazzia fosse vera o simulata; e fin dal 4 aprile alcuni scrivani andarono nelle ore della notte ad appiattarsi presso il carcere del Campanella per raccogliere ciò che avrebbero udito. Ebbe così due relazioni, che esponevano due colloquii notturni tra il Campanella e fra Pietro Ponzio rinchiusi in due carceri vicine, in data l'una del 10 e l'altra del 14 aprile: queste relazioni furono più tardi trasmesse in copia a' Giudici dell'eresia, i quali le inserirono nel loro processo, e in tal guisa ci è venuto tra mano non solo un documento importantissimo per intendere le cose del Campanella e la condotta del Governo Vicereale verso di lui, ma anche il racconto di uno de' più drammatici episodii del tempo de' processi110. Una delle relazioni scritta da Marcello de Andreanis, scrivano fiscale ordinario della Banca di Marcello Barrese, dice che essendosi insieme con Francesco Tartaglia, scrivano straordinario della medesima Banca, recato per ordine del Sances nelle carceri del Castello, e propriamente in un corridoio vicino alle carceri del Campanella e di fra Pietro Ponzio, accostatisi pian piano nel detto corridoio, il 10 aprile, a tre ore di notte, udirono il seguente dialogo. Il Campanella dimandava: che n'è di mio fratello e di mio padre? E fra Pietro rispondeva: stanno nelle carceri del civile con Giuseppe Grillo e Francesco Antonio di Oliviero. Ancora il Campanella: e di tuo fratello che n'è? E fra Pietro: Ferrante sta con quella marmaglia delle carceri del civile. Continuava il Campanella: oh che pietà, che ne sa quel poveretto Francesco Antonio di Oliviero! E fra Pietro: tu vedi! Ripigliava fra Pietro in latino: hai scritto abbastanza oggi? E il Campanella: assaissimo, tutto. Ancora fra Pietro: il Martines è rimasto fuori del Castello ed Onofrio (l'altro carceriere) è stato chiamato dal Capitano; noi possiamo parlare? E il Campanella, in latino: tu non conosci la razza degli spagnuoli; e fra Pietro, in latino: conosco la razza e la scelleratezza degli spagnuoli. Continuando quasi sempre in latino, il Campanella diceva: sai se Tommaso d'Assaro è stato liberato? E fra Pietro: no, dimandane a colui che sta nel carcere superiore (intend. superiore a quello di fra Pietro). E il Campanella: non posso; aggiungendo: fa in modo che dimani possa dare una pagina scritta a fra Pietro (certamente fra Pietro di Stilo), perchè non posso parlare e sento un odore di uomo! E fra Pietro: scongiurali, e parla in latino, giacchè sono idioti e non conoscono la lingua latina. Rimasti quindi un poco in silenzio, fra Pietro ricominciò: non ci è nessuno, perchè il vizio li porta via, tu hai lume? E il Campanella: no, affatto; e soggiunse: andiamo a dormire perchè ho visto un lume. E fra Pietro: andiamo a dormire. Fu questo uno de' colloquii. Notiamo che Tommaso d'Assaro trovavasi carcerato e doveva essere vicino ad uscire in libertà, vedendosi il suo nome più tardi nella lista de' testimoni dimoranti in Napoli, dati da fra Dionisio nella causa dell'eresia, per fatti avvenuti nel carcere111. Ma ciò che riesce notevolissimo è il sapere che il Campanella scriveva, che aveva in quel giorno scritto «assaissimo, tutto», come pure una pagina da doversi passare a fra Pietro di Stilo, e che fra Pietro Ponzio ne pigliava molto interesse. Cosa scriveva il Campanella? Non mancheremo d'indagarlo più in là. – Veniamo all'altro colloquio. Esso è riferito da Francesco Tartaglia sopra nominato, il quale dice di essersi recato per dodici notti successive nel Castello, dietro ordine del Sances, e più volte ha udito il Campanella discorrere con fra Pietro «de bonissimo modo», e segnatamente la notte del 14 aprile, in compagnia anche de' carcerieri Martines ed Onofrio, udì le seguenti parole. Fra Pietro chiamò quattro volte il Campanella dicendo, o fra Tommaso… non senti no o cor mio? E il Campanella: bona sera, bona sera. E fra Pietro: o cor mio, come stai, che fai, sta di buon animo, perchè domani verrà il Nunzio e sapremo qualche cosa. Ed il Campanella: o fra Pietro, perchè non trovi qualche modo per potere dormire insieme e godere? E fra Pietro: volesse Iddio, anche a dover pagare dieci ducati al carceriere, a te, cor mio, vorrei dare venti baci per ora; ho sparso per tutta Napoli i tuoi Sonetti, li so tutti a memoria e nulla mi dà più gran gusto che il leggere qualche frutto dell'ingegno tuo. E il Campanella: voglio ora comporne uno pel Nunzio. E fra Pietro: sì cor mio, ma ti chiedo in grazia di comporre prima quelli per me o quelli che desidero per mio fratello, e poi comporrai quelli pel Nunzio. E il Campanella: va a riposare, buona sera. Ben si rileva qui la tenera ed irremovibile amicizia di fra Pietro pel Campanella, e il suo ardore per averne le poesie, spinto fino all'indiscrezione di volerne per sè e per suo fratello, mentre il povero filosofo ne meditava qualcuna che riuscisse a rendergli propizii i potenti nella sua terribile condizione; e si rileva al tempo medesimo l'animo depresso del filosofo, e il suo vivo bisogno della compagnia di un amico come fra Pietro. Si vide poi tale affettuoso colloquio dare al Vescovo di Caserta motivo di sospettare nientemeno che dell'onestà delle relazioni tra il Campanella e fra Pietro: evidentemente questi due giudicabili erano assai migliori di alcuni de' loro Giudici! Ma dunque il Campanella componeva Poesie, oltrechè scriveva pagine da doversi trasmettere a fra Pietro di Stilo, e il Sances già ne sapeva qualche cosa: e come mai poteva egli meditare un Sonetto pel Nunzio? Non ne troviamo alcuno con questo indirizzo nella raccolta fattane da fra Pietro, e bisogna dire che o lo scrivano sia caduto in un equivoco, o il Campanella abbia voluto alludere al Sonetto indirizzato al Papa, da doversi per vie trasversali far capitare nelle mani del Nunzio, il quale si sarebbe poi fatto un dovere d'inviarlo al Papa. Si può intanto immaginare quale concetto abbia dovuto formarsi il Sances intorno a questa pazzia, durante la quale il Campanella scriveva Sonetti perfino al Nunzio: evidentemente egli non poteva che chiedere d'urgenza la spedizione della causa.

Ed eccoci condotti a narrare la vita intima del Campanella, considerandola propriamente dal lato delle sue opere d'ingegno, in questo primo periodo della sua prigionia di Napoli, rappresentato dal tempo in cui venne istituito e svolto il processo della congiura così pe' laici come per gli ecclesiastici. Dicemmo già che fin dai primi momenti dell'arrivo egli compose Poesie per dare animo agli amici, che nel Syntagma se ne ha il ricordo ma con una completa confusione di tempi, che la Raccolta fattane da fra Pietro ci mette in grado di potere fino ad un certo punto distinguere ed assegnare alle diverse poesie la propria data. E veramente nel Syntagma si parla delle poesie in questi termini: «Fui condotto a Napoli qual reo di Maestà, ed ivi, mentre si negava l'aiuto de' libri, composi molti versi latini ed italiani, sul primo Senno e prima Possanza, sul primo Amore, sul Bene, sul Bello e simili, che tutti scriveva di nascosto quando ne aveva l'agio. Di essi vennero formati sette libri intitolati La Cantica, de' quali in parte Tobia Adami pubblicò una scelta, fatta secondo il giudizio suo, sotto il nome di Settimontano Squilla, aggiuntavi l'esposizione. Composi parimente Elegie sulle sventure mie e degli amici, inoltre Ritmi profetali ed una quadruplice Salmodia su Dio e su tutte le opere sue, e a questo modo con le poesie diedi anche vigore agli amici acciò non si abbattessero ne' tormenti». Ora tra le poesie raccolte da fra Pietro, alla cui composizione quasi totale possiamo assegnare un tempo certo, compreso tra il 10 novembre 1599 e il 2 agosto 1601, non si trovano le Canzoni, le Elegie, le Salmodie ricordate nel Syntagma e poi pubblicate veramente dall'Adami; nè occorre dire che vi si troverebbero, qualora fossero state composte nel tempo anzidetto. Appena vi si trovano i Ritmi profetali, sicchè bisogna rimandare le poesie sopra ricordate ad un periodo posteriore di molto; nel qual caso, gli amici rinvigoriti con esse ne' tormenti dal Campanella sarebbero i soli pochi frati tormentati per l'eresia, ciò che vedremo accaduto nel gennaio 1603; invece la raccolta fatta da fra Pietro ci presenta le poesie del primo periodo, e tra esse quelle che servirono a rinvigorire gli amici tutti ne' tormenti per la congiura. La detta Raccolta non serba un ordine strettamente cronologico, ed abbiamo già rilevato altrove che contiene pure qualche poesia certamente del tempo della prigionia di Roma, conservataci per reminiscenze comunicate dal Campanella al raccoglitore: ma essa nemmeno procede scompigliata del tutto, e in generale vi si possono molto bene riconoscere due gruppi che indichiamo subito, assegnando al primo il periodo del quale ci siamo finora occupati, vale a dire dal novembre 1599 all'aprile 1600. Questo primo gruppo è rappresentato essenzialmente dalle prime 24 poesie, che mostrano un distacco sensibile dalle rimanenti, tra le quali per altro è capitata ancora qualcuna da doversi riferire al primo gruppo, mentre poi nell'uno e nell'altro gruppo son capitate quelle poche di reminiscenza, già composte ne' tempi anteriori112. Il primo Sonetto col quale si apre la Raccolta di fra Pietro, ben conosciuto perchè fu poi pubblicato dall'Adami, è quello «sul presente stato d'Italia» che comincia col verso

«La gran Donna ch'a Cesare comparse»:

in verità noi lo crederemmo scritto piuttosto ne' giorni de' preparativi, in Calabria, contemplandosi in esso che per la patria infelice, dominata da stranieri, non c'era più da sperare nè nel Principato nè nel Sacerdozio, ma bisognava tornare a' puri principii del Cristianesimo e della Sapienza greca; ad ogni modo riesce abbastanza interessante il sapere che un Sonetto simile, decorato del sacro nome d'Italia e tutto sollecitudine per le sciagure di essa, sia di vecchia data ed abbia circolato tra le mani de' congiurati o de' perseguitati per la congiura113. Più sicuramente appartiene al primissimo tempo della prigionia di Napoli, e forse è stato davvero il primo composto nel Castello nuovo, quello che viene in 2o luogo «sopra l'istesso stato d'Italia» (titolo verosimilmente dato da fra Pietro), avendo tutta l'impronta dell'attualità, esprimendo la preoccupazione che il Conte di Lemos avesse a menar buoni i tristi processi fatti in Calabria, promettendo in tal caso più grave la rovina profetizzata agli oppressori, ed esalando il dolore del filosofo ancora sotto l'impressione della bieca accoglienza popolare sofferta nel viaggio da Gerace a Bivona:

 
«Il fato dell'Italia hoggi dipende
dall'esser vera ò falsa rebellione
questa, ch'à calavresi Carlo impone
e Sciarava, ch'el Regno el Rè n'offende.
E s'il Conte che regge ancor pretend
che lor finte ragion sian vere e buone
 
 
....
 
 
più grave fia l'antevista ruina.
 
 

 
 
Ahi cieca Italia nella tua rapina!
sin quando il senno tuo sopito langue?
s'io ben ti desiai, che t'ho fatt'io?»
 

Sarebbe poco ragionevole voler qui trovare una Musa felice e splendida, e lo stesso va detto per tante altre poesie di questa raccolta: il filosofo dovea sentirsi disposto a tutt'altro che a poetare; d'altronde poesie simili bastavano per que' rozzi ma generosi patriotti. Il 3o Sonetto, intitolato dall'autore «a sè stesso», può ritenersi bene al suo posto, valendo ad ispirare conforto e fiducia a' compagni suoi in un modo generale, e sempre promettendo la vendetta divina:

 
«Spesso m'han combattuto, io dico anchora,
fin dalla giovanezza, ahi troppo spesso,
 
 
....
 
 
ma la spada del ciel per me lavora».
 

Non così l'altro intitolato anche «a sè stesso», con la giunta dovuta a fra Pietro, e certamente errata, cioè «subito fu preso»: esso venne pubblicato dall'Adami senza questa giunta, che forse potè essere suggerita a fra Pietro dalle parole che si leggono nel 2o verso, «il fiero stuol confondo»; ma tutte le circostanze, che accompagnano queste parole, le mostrano riferibili a' Giudici, Fiscale e contradittori intervenuti nelle confronte, sicchè il Sonetto risulta precisamente del tempo degli esami e confronte del Campanella, che aveano dovuto sembrargli tali da poterne menar vanto. Passiamo quindi sopra di esso, e del pari sopra il seguente, che gli apparisce collegato e che dinota un grave sconforto succeduto ad una viva fiducia; ci troviamo così in presenza del Sonetto «in lode di carcerati e tormentati», che ci conduce al periodo in cui si pose mano alle torture cominciando da Maurizio.

Siamo dunque alle prime settimane del dicembre 1599, al tempo del massimo fervore nel processo della congiura pe' laici. Maurizio avea sostenuto con fermezza terribili e lunghissimi tormenti, e gli altri avrebbero dovuto imitarne l'esempio; il Campanella lo esalta con entusiasmo, e merita di essere notato che attribuisce allo «ardore di libertà e di ragione» il superare que' tormenti, armi del tiranno:

 
«Veggio spirti rivolti al Creatore
schernir tormenti e morte, del tyranno
armi sovrare, e scherzar con l'affanno
 
 
....
 
 
Di libertà e ragion tanto è l'ardore
che dolcezza il dolor, ricchezza il danno,
seguendo l'orme di color che sanno,
stimano, armati di gloria et honore.
Rinaldi il primo sei notti e sei giorni
vince i tormenti antichi e i nuovi sprezza
 
 
....
 
 
esempio a gl'altri d'invitta fermezza»114.
 

Ma il poeta dovea sentirsi anche personalmente grato a Maurizio, il quale, non avendo confessato, aveva contribuito assaissimo a farne migliorare la causa; ed ecco quel Madrigale:

 
«Generoso Rinaldi
vera stirpe del syr di Monte Albano» etc.
 

Nè deve fare impressione qualche concetto come quello di «aver reso il pegno di fedeltà al Re». Bisogna tener presente che stavano entrambi in carcere e sotto un processo capitale; la poesia avrebbe potuto essere sorpresa da' carcerieri e trasmessa al Sances, onde naturalmente non può darsi molto peso a qualche concetto che esprima innocenza, ed invece deve darsene molto a quelli che esprimono sentimenti di libertà. – Ma giunge il 20 dicembre, e Maurizio sotto le forche si decide a confessare per iscrupolo di coscienza: si rivolta allora l'animo del poeta, e scrive quel «Madrigale di Palinodia», che è triste dover ricordare, e che i lettori troveranno dopo il precedente; un passaggio così brusco dalla lode al vituperio stringe veramente il cuore. Conoscendo poi che egli credè, più o meno, all'influenza del Gesuita confessore del Vicerè, il Padre Mendozza, che avrebbe determinato Maurizio alle rivelazioni, ci parrebbe naturale collegare con tale fatto quel Sonetto che potè anche scrivere più tardi, col titolo «contro i G…» ossia «contro i Gesuiti», pubblicato negli anni successivi dall'Adami col titolo più prudente «contro gl'ipocriti»: che esso debba riferirsi a' Gesuiti risulta manifestamente da' primi versi,

 
«Gli affetti di Pluton portano in core
il nome di Giesù segnano in fronte»;
 

ben doveva il poeta trovarsi in grande eccitamento contro costoro, allorchè accennava alle loro malizie, e non soltanto per aggiustare la rima egli scriveva

 
«questo veggendo fà ch'io mi dischiome»115
 

Nè scorgiamo altre poesie da doversi con qualche probabilità riferire a' fatti concernenti i laici, fra' quali pel solo Maurizio si vede che il Campanella poetò, mentre da una cancellatura fatta da fra Pietro nella sua raccolta rilevasi che perfino il Sonetto «in lode di carcerati e tormentati» aveva dapprima il titolo di Sonetto «in lode di Mauritio Rinaldo».

Ma nelle prime settimane del gennaio 1600 già si conosceva non lontano il cominciamento del processo della congiura per gli ecclesiastici, e le poesie furono più frequenti. Non è arrischiato l'ammettere che siano stati composti in tale data que' due Sonetti profetali, l'uno ancora inedito che comincia col verso

 
«Toglie i dì sacri il Tebro e calca Roma»,
 

e l'altro già pubblicato dall'Adami che comincia col verso

 
«Veggio in candida roba il Padre Santo».
 

Questi Sonetti con qualche altro analogo, che trovasi disperso nel 2o gruppo e che vedremo altrove, sarebbero appunto i Ritmi profetali menzionati nel Syntagma; e non debbono sfuggire que' versi del primo rimasto inedito, forse rimasto inedito per essi,

 
«La giustizia si compra, el verbo santo
sotto favole e scisme ogn'hor si vende»116.
 

Egualmente è verosimile che siano stati composti in tale data quei tre Sonetti concernenti lo Sciarava, i due primi di maledizione, il terzo, diremmo, d'insinuazione117. Il primo che comincia co' versi

 
«Campanella d'heretici e rubelli
Capo in Calavria mai non s'è trovato»
 

offre anche una discolpa, oltre la maledizione nella quale son compresi tutti i persecutori di alto grado

 
«Ruffi, Garraffi, Morani, e Spinelli».
 

Il secondo, che ci sembra abbastanza bello, e che comincia co' versi

104.Confr. vol. I.o pag. 70.
105.Ved. nell'Archivio Storico Italiano an. 1866 la Lett. latina al Papa, a pag. 82, e la Lett. al Re di Spagna a pag. 91.
106.Ved. le Poesie ediz. d'Ancona p. 100. Anche nelle Lettere più volte accenna a riconoscere che la pazzia fosse simulata.
107.Ved. il Carteggio del Nunzio filz. 231, Lett. del 13 aprile, 25 maggio e 15 giugno.
108.Ved. Doc. 392, pag. 416.
109.Ved. la nostra Copia ms. de' processi eccles. tom. 1.o fol. 362-1/2. Dal brano della lettera del Vescovo risulterebbe che il Nunzio avesse fatto molti giorni prima osservare il Campanella, e gli fosse stato riferito che in segreto egli parlava assennatamente: ma fu questa senza dubbio una piccola vanteria del Nunzio, mentre l'osservazione del Campanella venne ordinata dal Sances, il quale dovè poi discorrerne al Nunzio; difatti le relazioni avute dal Sances si raccolsero in sèguito nel processo di eresia, non le relazioni avute dal Nunzio, il quale si curava ben poco del Campanella e de' frati.
110.Ved. Doc. 350, pag. 327.
111.Ved. Doc. 361, pag. 356. Ma non è sicuro che questo d'Assaro fosse carcerato per la congiura: un Cesare d'Assaro, clerico, trovasi nominato qual prigione nel Carteggio del Nunzio; egli era incriminato di assassinio, con la tortura avea purgato gl'indizii, e non vedendosi liberato fuggì di Castello in compagnia del cav.r Capece ma fu ripigliato. Ved. Lett. da Roma, filz. 210 e 211, let. del 18 8bre 1597, 13 marzo 1598 etc. etc.
112.Si dia uno sguardo all'indice delle poesie che pubblichiamo. E ci si permetta di aggiungere che quando fra Pietro fu poi interrogato circa le poesie, tra le diverse provenienze, indicò «per la maggior parte che sono più di 25» quella da altri carcerati, i quali dicevano averle avute da Maurizio, cui sarebbero state date direttamente dal Campanella etc. Non ci fermiamo su questa scusa di fra Pietro che cita il morto, scusa manifestamente inventata anche perchè sarebbe difficile riferire tante poesie al breve periodo in cui Maurizio rimase nelle grazie del Campanella, vale a dire dal 9 9bre al 19 10bre, o poi gli argomenti di molte fra esse alludono fuori ogni dubbio a circostanze posteriori a tale periodo; ma notiamo la distinzione di questo numero di «più di 25» poesie, che rappresenterebbero un gruppo speciale più antico.
113.Ved. Doc. 436, pag. 549, e i seguenti.
114.Ved. Doc. 441, pag. 551, e i seguenti.
115.Ved. Doc. 459, pag. 558.
116.Le favole da una parte, gli scismi dall'altra. Vedi Doc. 456, pag. 556.
117.Ved. Doc. 452, 453 e 457, pag. 555 e 557.
Возрастное ограничение:
12+
Дата выхода на Литрес:
28 сентября 2017
Объем:
850 стр. 1 иллюстрация
Правообладатель:
Public Domain

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