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Читать книгу: «Fra Tommaso Campanella, Vol. 2», страница 7

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Da' suddetti brani, i soli che ne rimangono e così trivialmente redatti, possiamo rilevare che la confessione orale in tortura non suggellava soltanto la dichiarazione scritta, ma faceva anche emergere manifesto il disegno del Campanella di rendere il paese indipendente da Spagna e costituirlo in repubblica, essendone autore non altri che lui, ed avendolo ad istanza di lui accettato diversi frati che doveano d'accordo predicarlo, come pure diversi laici, specialmente fuorusciti, che doveano con le armi per lo meno sostenerlo. Vero è che tale disegno presentavasi subordinato alla condizione di future rivolte e mutazioni; ma questo importava poco, non potendosi ammettere nemmeno con riserva l'apostolato per una forma di Governo diversa da quella costituita, e tanto meno il preparativo dell'azione rappresentato dalle ricerche e concerti di persone che doveano promuovere quella forma di Governo con la parola e con le armi. D'altronde non appariva decifrabile per opera di chi sarebbero avvenute le rivolte e le mutazioni antivedute con le Profezie e co' segni astronomici, nè in qual modo la detta repubblica dovesse riuscire tollerata dal Papa e dal Re, essendo stata profetizzata in beneficio del Papa; egualmente non appariva decifrabile che il Campanella, mentre non voleva l'aiuto de' turchi per la detta repubblica ed avea rimproverato Maurizio che si era spinto a chiederlo, ammettesse doversi una parte de' turchi porre dal lato dei Cristiani, ed avesse continuato a trattare con Maurizio il quale avea concordato l'aiuto de' turchi, e a confabulare con persone disposte o chiamate a fare delle armi un uso più spinto e più pronto. Con ciò manifestamente veniva confermato quanto il Pizzoni, il Lauriana, il Petrolo, oltrechè molti laici, aveano deposto contro di lui, quanto aveano denunziato Biblia e Lauro, potendo solo ammettersi che l'avessero denunziato con la più grande ed iniqua esagerazione. E veniva in pari tempo giustificato quanto il Governo avea detto e fatto sin allora, potendo solo ammettersi che avesse tollerato negli ufficiali suoi lo sfogo della loro ambizione e rapacità sulla povera Calabria, considerandola già ribellata, e però «macchiandola di falsa ribellione», come ebbe a scrivere il Campanella, e come si trova anche scritto, con le medesime parole, dal Residente Veneto, benchè, al pari di altri Agenti accreditati in Napoli, non avesse mai posto in dubbio la congiura o il tentativo di ribellione88. – Al Campanella potè sembrare, come nella Narrazione ci lasciò scritto, che non avesse confessato «nè ribellione nè voluntà di ribellare» e che i Giudici «accortisi che la confessione era erronea, perchè li altri non pigliassero la medesima fuga, non fecero ch'esso Campanella facesse la confronta a F. Dionisio, et a gli altri, come la facean fare da tutti l'altri che confessavano». Ma naturalmente i Giudici, per quanto videro chiara e limpida, e niente affatto erronea, la confessione di aver voluto ribellare, altrettanto videro oscura e misteriosa, ed al postutto indifferente, la condizione alla quale si diceva subordinata: nè ebbero a temere che fra Dionisio e gli altri, con la confronta avrebbero pigliato «la medesima fuga», poichè non accordavano alcun valore a questa fuga, la quale, per essere stata così denominata dal nostro filosofo, dovrebbe tradursi sotterfugio, onde le profezie e le vedute astrologiche risulterebbero, se non finte, certamente evocate «per tirar la gente a ribellare». E conviene aggiungere che fu una buona fortuna pel Campanella il non essere stata ordinata dai Giudici la sua confronta con fra Dionisio e compagni, poichè null'altro poteva seguirne, se non che costoro sarebbero risultati convinti per opera sua; e fra Dionisio principalmente, che dovè senza dubbio irritarsi per la confessione del Campanella e ne vedremo una prova più in là, avrebbe ben a ragione finito con odiarlo a morte dopo una confronta. In conclusione non può recare maraviglia che i Commissarii Apostolici si fossero trovati d'accordo nel giudicare il Campanella «confesso»; in tal guisa egli trovasi qualificato negli Atti due volte, ed è superfluo dirne le conseguenze89.

Secondo la procedura del tempo, in questi giudizii celeri, non appena esauriti per ciascuno inquisito tutti gli Atti informativi ed offensivi, fatta anche ratificare la confessione nel giorno seguente a quello della tortura allorchè essa era stata amministrata, i Giudici emanavano un decreto che ordinava la consegna di una copia degli Atti all'inquisito con la conclusione del Fiscale, assegnando un termine di pochi giorni per la difesa, ed all'occorrenza deputando anche un Avvocato di ufficio. Il Mastrodatti allora, che avea già preparato ogni cosa, trasmetteva in via legale la copia degli Atti, l'assegnazione del termine etc. all'inquisito, ed anche un Riassunto degl'indizii a' Giudici. L'Avvocato quindi ponevasi in relazione col giudicabile, scriveva l'Atto di difesa, che comunicava al tribunale nel termine stabilito, e poi attendeva la notificazione di un altro decreto ad dicendum per la trattazione della difesa, ciò che del resto importava solo la dimanda se avesse altro da aggiungere alla Difesa scritta. Debbono dunque riferirsi al tempo cui siamo giunti, alla 2a metà del mese di febbraio 1600 il Riassunto degl'indizii, alle prime settimane di marzo la Difesa scritta dall'Avvocato pel Campanella, ed anche la Replica scritta dal Fiscale, i quali Atti, come quelli analoghi successivamente compilati per gli altri incriminati ecclesiastici, rimasero nelle mani del Nunzio, e pervennero quindi con altre carte di lui nell'Archivio di Firenze90. Riserbandoci di esporre a suo tempo gli Atti sopra menzionati, qui dobbiamo notare che al Campanella fu assegnato per difensore il dott.r Gio. Battista de Leonardis Regio Avvocato de' poveri, e da una poesia di fra Tommaso a lui diretta vedremo che costui ebbe l'incarico di difendere anche gli altri frati inquisiti. Allorchè il Vescovo di Termoli, uno de' Giudici dell'eresia, scrisse a Roma la sua opinione su questa causa della congiura, tra le altre cose fece conoscere che «non si trovò un dottore il quale avesse voluto scrivere in jure a loro favore»91. Ciò deve intendersi nel senso che si cercò e non si trovò un Avvocato particolare, e con ogni probabilità il Vescovo intese parlare segnatamente di fra Dionisio, poichè il Campanella e gli altri non ne avrebbero avuto i mezzi; ad ogni modo poi l'Avvocato de' poveri non era una persona da nulla. Nato in Cicciano presso Nola, da umili origini, Gio. Battista de Leonardis si era dapprima mostrato uomo di lettere tale da venir chiamato ad insegnarle pubblicamente in Cosenza, dove cominciò anche l'esercizio dell'avvocatura; ridottosi poi in Napoli e studiato accuratamente il diritto, era già un dottore ben conosciuto, quando con Privilegio del 30 settembre 1599, visto e promulgato il 26 gennaio 1600, fu chiamato all'ufficio di Avvocato de' poveri della Vicaria in luogo di Antonio Catalano92. – Ma nel medesimo tempo avvenne pure un altro fatto, che il Campanella ci fece conoscere nella sua Narrazione e che finora non ci risulta da verun altro fonte; sicchè gioverà tanto più esporlo qui con le parole medesime della Narrazione. «Però dandoli le difese poi al Campanella e l'Avvocato de' poveri…93 il Sances Fiscale finse che per curiosità desiderava sapere in che profetie fondava questi suoi detti, e li fece scriver dal suo notario dettando il Campanella molti articoli profetali: li quali esso Sances portò a' Gesuini, et ad altri, e molti di quelli dissero, che Campanella havea ragione e che non eran finte per ribellare. Però li mandò molti Gesuini, e Theologi Spagnoli a disputare. Li quali si divisero, altri dicendo che diceva bene, altri che no. El Campanella allegò li predetti Santi, et Astrologi et il Cardinale anche Bellarmino. E poi disse, che quando pur fosser false le profezie sue, questa non era confessione di ribellare, ma di falsificar la Theologia, et appartiene al S. Officio, non a loro». Ci fermiamo a questo punto, non senza raccomandare a' lettori di percorrere tutto il resto che il Campanella narrò a tale proposito. E ripetiamo che non vi sono altre notizie capaci d'illustrare il fatto, ma dobbiamo ad ogni modo avvertire che questi Articoli profetali di cui qui si parla, dettati al notaro della causa della ribellione ad istanza del Sances, non debbono confondersi con quelli che il Campanella scrisse egli medesimo come una delle sue difese: noi li abbiamo trovati nel processo di eresia, presentati in giugno dell'anno seguente, e dovremo parlarne più in là.

Come abbiamo visto dalla lettera del Nunzio sopra riportata, l'11 febbraio già si era dato al Campanella «il termine e la commodità» per la difesa, e si era deciso di seguire con gli altri lo stesso metodo, cioè quello delle torture acri. Infatti può ritenersi con sicurezza che i fol. 35 e 36 del volume siano stati occupati dalla ratificazione della confessione del Campanella e dal decreto per l'assegno del termine e deputazione dell'Avvocato; ed ecco il fol. 37 occupato dall'Atto della tortura data a fra Dionisio94. Il Riassunto degl'indizii contro costui ci dice che gli fu dato egualmente il polledro e non confessò nulla, e un brano di lettera del Vescovo di Termoli, inserto ne' Sommarii del processo di eresia, ci fa conoscere che «fu tormentato con 'l tormento del polledro, et delle 19 funicelle (sic) con le quali era tormentato 7 se ne ruppero nell'atto della tortura datali per ribellione»95; vedremo nel medesimo processo che fino a tutto giugno egli non potè firmare gli Atti che lo riguardavano, e dovè segnarli portando la penna stretta tra' denti, giacchè i polsi torturati non si prestavano. Dopo fra Dionisio venne la volta del Pizzoni, il quale ebbe la corda aggravata da' funicelli per quasi due ore, e nemmeno confessò96: come riferì lo stesso Vescovo di Termoli, «fù ligato con li funicelli e posto alla corda per la causa della ribellione et è restato stroppiato d'un brazzo»; infatti vedremo che una delle sue spalle non guarì mai più, e questa lesione l'avviò alla morte durante il processo di eresia. Nella stessa seduta, o in una seduta successiva, furono interrogati il Clerico Gio. Battista Cortese e il Sacerdote D. Andrea Milano, che si ricorderà essersi trovati nominati in una lettera di Claudio Crispo a Geronimo Camarda, la quale parlava della congiura e futura vittoria nel mese di settembre: non sappiamo ciò che essi risposero, ma possiamo ritenere per certo che non si passò oltre contro di loro. E si ripigliarono subito le torture col Petrolo, che ebbe la corda per due ore ed egualmente non confessò: sappiamo da lui medesimo la specie di tortura avuta, poichè quando l'ebbe di nuovo nel 1603 per l'eresia, rivolto al Nunzio esclamava, «hoggi fanno tre anni, e fù pur Sabbato come hoggi che hebbi un'altra volta la corda». Poi si venne a Giulio Contestabile che non era stato interrogato ancora, onde si raccolse la sua deposizione che riuscì negativa; e si passò al Bitonto e gli si diede la tortura «ad sciendum complices et fautores citra prejudicium probatorum», ed egli come tutti gli altri, ad eccezione del Campanella, non confessò, sicchè il metodo vantato dal Nunzio non riuscì. Possiamo affermare che non vi furono altre torture di frati, e però in conclusione l'ebbero solamente il Campanella e fra Dionisio mercè il polledro, il Pizzoni, il Petrolo e il Bitonto mercè la corda forse in tutti aggravata da' funicelli per due ore: questo risulta dal cenno fattone in coda a' rispettivi Riassunti degl'indizii che si conservano in Firenze; e dietro la scorta del medesimo fonte dobbiamo dire che per fra Paolo della Grotteria si procedè al solo interrogatorio, mentre pel Lauriana, per fra Pietro di Stilo e fra Pietro Ponzio non vi furono nemmeno altri interrogatorii, e si ritennero sufficienti quelli fatti da fra Marco e fra Cornelio e dal Vescovo di Gerace. – Immediatamente dopo il Bitonto ebbe la tortura anche Giulio Contestabile, per quasi due ore cum funiculis come dice il Riassunto degl'indizii compilato contro di lui, ed egli nemmeno confessò: naturalmente così a lui come a tutti gli altri, mano mano che si esaurivano gli Atti offensivi, era decretata la consegna della copia del processo, l'assegno del termine per le difese, la deputazione dell'Avvocato ufficioso qualora non avessero un Avvocato particolare; e vedremo tra poco che il Contestabile si provvide di un Avvocato particolare.

Tutto ciò fu compìto nella 2.a metà di febbraio e 1.a metà di marzo, con molta sollecitudine, poichè intendevasi finir presto ogni cosa, per liberare i parecchi prigioni poco o punto indiziati e quindi passare alla causa dell'eresia, come il Nunzio facea sapere a Roma. Difatti nello stesso periodo or ora indicato furono liberati dapprima otto, poi altri quattro, in tutto dodici incriminati ecclesiastici, come si rileva da due lettere del Nunzio, l'una del 3 e l'altra del 10 marzo, che gioverà riportare testualmente. «La causa della ribellione si tira avanti con ogni diligenza, et di già si è ordinato la liberatione di 8 fra Frati et Clerici che si trovavono presi per diversi sospetti senza fondamento et 4 altri spero ne liberaremo domani, poichè i principali sono tutti essaminati, et di già si vede in che il negotio potrà principalmente parare, et per che la medesima Ecc.za mi hà richiesto che i Calabresi che dovranno come hò detto liberarsi non si lascino così subito ritornare in Calabria, gli hò detto che si farà con un Precetto che non partino di Napoli senza licenza, parendomi cosa che come propone possa esser di qualche consideratione, che tornino là persone avanti che il negotio si finisca che sieno informati come gira, et ne suscitino qualche nuovo bisbiglio; procurerò che si risolva quanto prima per manco incommodo di quei poveri huomini» (3 marzo). «La causa della ribellione si tira avanti con la solita diligenza, et di già se ne sono liberati 12 fra regolari et Clerici, et la prohibitione del partirsi che le scrissi con altra si è ristretta à due frati Domenicani, che non tornino in Calabria senza licenza, et altrove vadino dove vogliono» (10 marzo). Non si potea veramente procedere con maggior sollecitudine: il tribunale teneva sedute quasi ogni giorno, come si rileva da un'altra lettera del Nunzio della stessa data (10 marzo) che dice, «dal Venerdì in poi che l'occupo in dettar lettere, et le feste, gli altri tutti si va in Castello»97. Trattandosi d'individui non trovati delinquenti, ai termini del Breve i Giudici aveano facoltà di pronunciare senz'altro la sentenza; per essi non c'era la limitazione di procedere usque ad sententiam exclusive, ed è poi facile conoscerne i nomi guardando l'Elenco degl'incriminati ecclesiastici98. I primi otto furono: D. Gio. Battista Cortese, D. Gio. Andrea Milano, fra Scipione Politi, fra Francesco di Tiriolo, D. Marco Petrolo, fra Pietro Musso, D. Domenico Pulerà, fra Vittorio d'Aquaro; gli altri quattro furono D. Colafrancesco Santaguida, fra Giuseppe Perrone di Polistina, Giovanni Ursetta e Valentino Samà. Di tutti costoro vennero esaminati solamente il Cortese e il Milano; e i due Domenicani, a' quali si vietò di tornare in Calabria, doverono essere il Tiriolo ed il Musso, mentre contro fra Giuseppe di Polistina, come contro qualche altro, non si potè neanche compilare un Riassunto d'indizii, non essendosi trovata in processo cosa alcuna. Rimasero dunque in carcere nove frati Domenicani compreso il Campanella, e dippiù il clerico Giulio Contestabile; vi pervenne poi molto più tardi, come vedremo a suo tempo, il clerico D. Marco Antonio Pittella, il quale era scappato di mano alle guardie in Calabria, ma fu ripigliato nel 1601. E non è dubbio che gli Atti difensivi ebbero immediatamente corso pel Campanella, per fra Dionisio e per gli altri frati; così pure per Giulio Contestabile, e vi è motivo di ritenere che co' suoi mezzi costui abbia potuto far precedere la difesa della sua causa, essendo stato in grado di presentare in suo favore, senza ritardo, documenti, testimoni ed un Avvocato proprio.

La Difesa scritta per Giulio Contestabile ci fa intendere le accuse formolate dal Fiscale contro di lui, e ci dà notizia de' documenti e testimoni da lui presentati99. Secondo il Fiscale, Giulio Contestabile dovea dirsi uno de' capi della congiura dietro la Dichiarazione del Campanella, la cui amicizia con Giulio era confermata da sei testimoni uditi in Calabria, come pure dietro le deposizioni del Caccia, del Vitale e dello stesso Maurizio nell'ultima sua confessione; inoltre dovea dirsi reo di fatti e detti in dispregio di S. M.tà dietro le rivelazioni del Campanella e del Petrolo, e indirettamente anche di fra Pietro di Stilo. I documenti prodotti da Giulio furono: un certificato di buona vita e fama, rilasciato dall'Università, clero e particolari di Stilo; l'istrumento pubblico di pace tra' Contestabili e Carnevali, stipulato mercè l'opera del Campanella e non ratificato; le fedi di tre Confessori che aiutarono a ben morire il Caccìa, attestanti la revoca della sua confessione fatta per forza di tormenti. I testimoni furono quattro: essi affermarono principalmente (con poca verità) che Giulio e il Campanella erano nemici prima del maggio 1599, fin dal gennaio di quell'anno, ma dal maggio «nè si parlavano, nè si cavavano la berretta». E l'Avvocato si appoggiò moltissimo a questa circostanza dell'inimicizia anteriore, e cercò di confermarla anche col fatto, che appena venuto lo Spinelli in Calabria, Giulio avea dato accuse scritte contro il Campanella, e procurata presso D. Carlo Ruffo commissionato dello Spinelli una commissione pel cognato Di Francesco in persecuzione del Campanella e complici, come pure il Campanella avea date egualmente accuse scritte contro Giulio ed avea sedotto il Petrolo a far lo stesso, mentre poi le sue affermazioni non poteano far fede, essendo lui «notato d'infamia per avere abiurato de vehementi»100. Invalidò inoltre le deposizioni del Caccìa, notando che costui non avea determinato il genere di discorsi passati tra Giulio e il Campanella, che era stato esaminato da un tribunale incompetente, e poi in ultimo avea revocato i suoi esami presso i Confessori. Invalidò la deposizione del Vitale, notando che non era stata fatta la ripetizione di lui innanzi a' Commissarii Apostolici, nè egli avea potuto conoscere da Maurizio la partecipazione di Giulio nella congiura, mentre Maurizio medesimo avea rivelato che la cosa gli era stata detta dal Campanella nelle carceri di Napoli, ed allora il Vitale era stato già giustiziato. Invalidò ancora la rivelazione di Maurizio, notando sempre che non era stata fatta la ripetizione di lui innanzi a' Commissarii Apostolici, ed aggiungendo che egli non avea potuto parlare col Campanella trovandosi rinchiusi non solo in carceri separate ma anche in torrioni separati (fatto non vero), nè poteva credersi che Giulio fosse entrato in un concerto nel quale erano capi il Campanella e Maurizio, entrambi notorii nemici suoi. Infine, quanto all'avere Giulio oltraggiato il ritratto del Re, gli bastò mettere in rilievo le contraddizioni tra le rivelazioni del Campanella e quelle del Petrolo, e tra le prime ed ultime rivelazioni del Campanella medesimo. – Con siffatti argomenti l'Avvocato potè far ritenere Giulio Contestabile qual semplice sospetto di complicità, e così poi, allorchè molto più tardi si venne alla sentenza, il Contestabile, aiutato forse anche dalle potenti raccomandazioni delle quali vedremo che disponeva, riuscì a cavarsela con la condanna ad una pena relativamente mite.

Poco dopo, o tutt'al più contemporaneamente, venne fuori la Difesa del Campanella scritta dal De Leonardis: e in sèguito di essa una Replica di D. Gio. Sances. Ad entrambi questi Atti possiamo facilmente assegnare la data delle prime settimane di marzo, poichè certamente durante il marzo le difese doverono essere discusse: vedremo infatti esservi state negli ultimi giorni di marzo e primi di aprile le feste di Pasqua, e poco dopo, il 12 aprile, la richiesta del Sances a' Giudici di venire alla spedizione della causa. La Difesa scritta dal De Leonardis mostra che pel Campanella non ci furono nè documenti nè testimoni a discarico: nulla di simile vi si trova citato, e chiaramente vi si scorge che l'Avvocato sentiva di scrivere per una causa persa, giacchè il Campanella non poteva non dirsi convinto e confesso qual capo della congiura o tentata ribellione101. Fin dall'esordio della Difesa l'Avvocato non potè fare a meno di riconoscere una criminosa cospirazione contro la Real M.tà; se non che goffamente magnificò la clemenza e la bontà di Filippo III, per avere ordinata questa Difesa, ed affermò che da parte sua avrebbe voluto dilaniare e fare a brani con Neronica voluttà «simili facinorosi delinquenti», e dichiarò che per obbedienza agli ordini del Vicerè presentava al Nunzio e al De Vera «dottissimi e religiosi Giudici Apostolici» le ragioni che gli parevano favorevoli alla causa. Due questioni egli vide nella causa: la 1a, se il Campanella, dato che fosse reo di tale delitto di lesa Maestà, potesse consegnarsi alla Curia secolare, e siffatta questione egli dovè riconoscere già sciolta col Breve Papale, che ne avea dato larga facoltà a' Giudici Apostolici; la 2a, se il Campanella avesse commesso tale delitto di lesa Maestà, che dovesse consegnarsi alla Curia secolare, ciò che equivaleva a condannarlo alla morte, e sopra tale questione egli stimò aversi a considerare le circostanze del fatto e la qualità della persona. Notò quindi che il Campanella non gli pareva «legittimamente convinto» giusta i termini del Breve, poichè tutti i testimoni erano socii del delitto, i quali bastavano a provare la congiura, ma non bastavano a far condannare alla pena di morte, massime in persona di un Clerico in sacris, contro il quale occorreva sempre una forma più privilegiata che nel Laico; oltracciò tutti i testimoni lo aveano detto capo della congiura, e per esservi congiura avrebbe dovuto esservi concerto di molti a fine di sovvertire lo Stato, ma i testimoni medesimi aveano detto che doveano fatalmente avvenire rumori e rivoluzioni nel Regno, ed allora egli avrebbe sottratta la Provincia alla potestà Regia, ma allora si era già verificata la sovversione dello Stato. Non gli pareva poi nemmeno confesso di congiura e per questo legittimamente convinto, mentre dalla sua confessione non risultava «una così grande ed acerba cospirazione quale era stata asserta da' testimoni», perchè appunto egli voleva far la repubblica quando fatalmente succedessero rumori e rivoluzioni, e non aveva mai approvato l'aiuto de' turchi. Aggiunse inoltre che la congiura non doveva avere una esecuzione prossima ed immediata, e poteva anche non verificarsi o poteva verificarsi in un senso buono, essendo preferibile nel caso di grossi trambusti, che si costituisse la repubblica dall'inquisito con la volontà del Papa e del Re, rimanendo impedita la conquista a' nemici invasori. In somma trattavasi della preparazione ad un mutamento in caso di un futuro evento dubbio, e l'inquisito non era suddito del Re e non avrebbe quindi dovuto mandarsi a morte come se il delitto fosse stato consumato o vi fosse stato disegno di uccidere il Re; non era poi l'inquisito nemmeno tale da poter sovvertire uno Stato, e quindi la pietà e l'equità de' Giudici Apostolici poteva fargli scansare la morte, «salvo sempre il più sano giudizio e l'autorità della Sede Apostolica», in servizio della quale e del Re Filippo egli, l'Avvocato, avrebbe voluto volentieri morire se fosse stato necessario! – Messe da parte le goffe ampollosità del tempo, rimane che il De Leonardis cercò, per quanto potè, di salvare il Campanella dalla morte: tutti i suoi sforzi furono concentrati su questo punto, riuscendo impossibile negare ciò che fra Tommaso avea confessato, e parecchie osservazioni dell'Avvocato, che i lettori vorranno senza dubbio più minutamente conoscere percorrendo la Difesa da lui scritta, offrono tutti gli elementi di una critica di quel Breve Papale che avea tanto largamente concesso di rilasciare alla Curia secolare gli ecclesiastici legittimamente convinti o confessi «di ribellione o prodizione, o altri delitti di lesa Maestà», senza tener conto di alcuna delle circostanze restrittive ammesse dalla giurisprudenza del tempo. Una sola cosa a noi profani in giurisprudenza apparisce imputabile al De Leonardis, la mancanza dell'argomento che i testimoni nella più gran parte non erano stati esaminati o ripetuti nel foro competente, e però non potevano dirsi capaci di legittimamente convincere: ma bisogna pur riconoscere che si era fatta una inestricabile confusione di fori, mentre da' «Giudici Apostolici», e segnatamente dal Nunzio, si era tollerato che figurassero nel processo, e quindi ne' Riassunti, come elementi del giudizio, perfino le deposizioni raccolte da fra Marco e fra Cornelio, ed anche dal Vescovo di Gerace, nel foro di S.to Officio; così la mancanza del detto argomento non potè davvero influire in nulla. Avremo poi a vedere che il Campanella medesimo, nella Difesa sua propria, venuta in luce più tardi ed inserta nel processo di eresia, non trovò argomenti migliori di quelli del De Leonardis, e distinguendo il crimen volitum e il crimen patratum (distinzione che ne' delitti di lesa Maestà non giovava) concluse doverglisi dare piuttosto la pena del carcere perpetuo e non la pena di morte. Assai più tardi poi, nella sua Narrazione, scrisse che il suo Avvocato «più presto avvocò contra per diventar Consigliero»: ma anche questa volta bisogna riconoscere, che le necessità sue l'abbiano spinto a scrivere senza alcun ritegno tutto ciò che potè sembrargli utile a farlo uscire da una tristissima posizione.

Venendo all'Allegazione del Sances in risposta a quella del De Leonardis, abbiamo poco da dire102. Egli, rivolgendosi allo Ill.mo Presidente e al dottissimo Magistrato, stimò del tutto naturale che il Campanella, «legittimamente convinto e confesso» del delitto di lesa Maestà, dovesse «essere attualmente degradato e consegnato alla Curia secolare, tanto per disposizione del dritto, quanto in forza del rescritto di commissione del SS.mo Padre». E confutando le ragioni dell'Avvocato, fece notare che, circa la qualità della persona, trattavasi di un frate di mancata vita monastica, assiduo co' malfattori, già condannato ad abiurare, cospiratore contro gli Stati del Re Cattolico per menare vita lussuriosa e seminare eresie, autore e capo di tutto, convinto da testimoni come il Franza, il Cordova e due altri già carcerati col Pisano (sicuramente il Gagliardo e il Conia), i quali, sebbene socii nel delitto, in questo di lesa Maestà per una speciale disposizione del dritto provavano; che inoltre era confesso, come essi medesimi i «Padri» lo avevano udito, di avere eccitato a prendere le armi e procurare amici, confesso di formata macchinazione, soggetto ad essere degradato e consegnato alla Curia secolare anche per un rescritto espresso del Papa, il quale volle mostrare quanto difendesse e proteggesse gli Stati di S. M.tà. Nè egli faceva istanza che fosse condannato perchè avea già cacciato il Re e fatta la Repubblica, ma per avere macchinato e sedotto a farla le persone che si erano mostrate pronte, dovendosi nel delitto di lesa Maestà, per dritto, punire con la stessa pena così la volontà come l'effetto; la macchinazione era seguìta, e i Giudici poteano degradare questo clerico ribelle alla Maestà Divina ed umana, causa della perdita della vita, de' beni e dell'onore, per tanti infelici, e de' beni e della patria per molti contumaci, costituiti anche in pericolo di vita, essendo stato lui di ogni cosa duce, autore e capo.

Una Difesa scritta, analoga a quella pel Campanella, parrebbe che avesse dovuto esservi anche per conto di fra Dionisio; giacchè il Sances chiese di poi a' Giudici che spedissero la causa tanto del Campanella quanto di fra Dionisio. Forse, essendo in sèguito costui scappato senza rimedio, il Nunzio credè inutile conservare tale Difesa e così essa non sarebbe a noi pervenuta; ma forse anche, con maggior probabilità, avendo lui dichiarato di volersi servire di un Avvocato proprio, e non essendo poi riuscito a trovarlo, rimase senza Difesa scritta, giacchè, nel decretare il termine per le difese, i Giudici solevano dichiarare che badasse l'inquisito a provvedersi di un Avvocato o a chiedere quello di ufficio, mentre in difetto, scorso il termine, il tribunale avrebbe spedita la causa anche senza l'Avvocato. Ciò per altro non vuol dire che fra Dionisio non si sia difeso da sè, oralmente e presentando documenti; che anzi dobbiamo ritenerlo, trovandosi in coda al Riassunto degl'indizii contro di lui l'annotazione «habuit defensiones quas fecit». Non potremmo dire lo stesso pel Campanella, mentre in coda del relativo Riassunto degl'indizii troviamo scritto solamente «habuit defensiones»: la qual cosa riesce difficile a spiegarsi, e bisognerebbe ammettere che veramente non sia stato chiamato a parlare, come di poi si dolse; ma forse egli avea dichiarato che intendeva presentare una propria Difesa scritta ed anche difendersi oralmente, e non giunse in tempo a presentare la Difesa scritta, come vedremo più in là, e i Giudici poco giustamente passarono oltre ritenendo decaduta la sua dichiarazione. Ad ogni modo la sorte del Campanella, e così pure di fra Dionisio, non poteva esser dubbia, e stiamo per vedere che il Nunzio non ne fece un mistero.

Di certo durante il marzo vi fu un poco di rilasciamento nell'attività del tribunale; le feste di Pasqua poi, negli ultimi giorni di marzo e primi di aprile, vennero a sospenderne affatto le sedute. Durante il marzo la causa del Contestabile, con l'esame de' quattro testimoni, non potè occupare molte sedute, tanto meno la Difesa orale di fra Dionisio, ancor meno la Difesa scritta dell'Avvocato del Campanella, e d'altronde conosciamo che i termini per le difese solevano essere brevissimi. Bisogna dunque ammettere qualche ragione estrinseca, e questa potrebbe ravvisarsi nell'assenza del Vicerè da Napoli in tale periodo: poichè egli dovè finalmente adempiere la missione già troppo ritardata, di Ambasciatore straordinario di obbedienza al Papa in nome di Filippo III, e così venne meno la sua inesorabile insistenza 103. Il 9 marzo egli era partito da Napoli, insieme con la Viceregina ed una distinta comitiva di Nobili, che erano felici di potersi mostrare servitori affezionati a S. M.tà e di poter guadagnare anche le indulgenze del Giubileo in Roma, nè fu di ritorno prima del 27 aprile. Potremmo narrare una grande quantità di aneddoti intorno a questo viaggio, ma ce ne asteniamo. Diremo solamente, per quanto riflette i casi della nostra narrazione, che tra' nobili i quali ottennero l'onore molto ambìto di accompagnare il Vicerè vi fu il Principe della Roccella, insieme col suo primogenito Girolamo Marchese di Castelvetere, la qual cosa venne ritenuta un favore particolare del Vicerè dietro la brillante condotta del Principe nella cattura del Campanella: oltracciò il Nunzio espose al Card.l S. Giorgio il desiderio che si trattassero in Roma direttamente col Vicerè gli affari più gravi, e tra questi non v'era compreso l'affare del Campanella, ma del resto, malgrado le promesse del Cardinale, non se ne fece nulla. Era rimasto in Napoli Luogotenente del Regno il figliuolo secondogenito del Vicerè, D. Francesco de Castro, giovane di anni e maturo di senno, il quale non fu tiepido nel volere spedita la causa del Campanella, ma non avea la voce autorevole del padre, e il Nunzio poteva tanto più opporgli la sua. Il 12 aprile, forse in previsione del prossimo ritorno del Vicerè, ma piuttosto in sèguito di una novità manifestatasi nel Campanella, come vedremo più oltre, il Sances chiese istantemente a' Giudici che si spedissero le cause del Campanella e di fra Dionisio: il Nunzio si avvide allora, abbastanza tardi, degl'inconvenienti a' quali si andava incontro, e si oppose, e volle che si attendesse per avere nuove istruzioni da Roma. Ecco come egli ne scrisse al Card.l S. Giorgio in una sua lettera del 14 aprile, che importa tener tutta sott'occhio, mentre da essa si rileva qual fosse la posizione giuridica del Campanella e di fra Dionisio, con la corrispondente condanna in vista. «Tornammo due giorni sono à trattar della causa della ribellione, et perchè il Fiscale di essa mi fece una gagliarda instanza della speditione quanto alla persona di fra Thomaso Campanella et di fra Dionigi Pontio, non volsi consentire che si trattasse della fine, non si sapendo ancora dove N. S.re voglia si conoschino le materie appartenenti al S.to Offitio, oltre che reputandosi l'uno confesso che è il Campanella, et l'altro convinto che è il Pontio, potrà facilmente essere la fine delle loro cause il degradarli, e darli alla Curia secolare, ma non mi è parso che questo si deva fare in modo alcuno, senza parteciparlo prima con S. S.tà rimanendo sospesa la causa del S.to Offitio. Et se bene di questo se ne potrà fare espressa riserva, ho non dimeno per un certo che di convenienza reputato sia bene che S. B.ne lo sappia, et comandi se in ciò gli occorre altro, questo medesimo risposi hieri al Sig.r D. Francesco de Castro che à suggestione, per quanto credo, del medesimo fiscale me ne parlò tanto efficacemente, non si volendo far capace delle ragioni che mi movevano à voler prima parteciparlo costà, che mi hebbi à risentire, parendomi d'esser troppo stretto, et à dire risolutamente che non ne voleva far nulla et che mi pareva strano che in un negotio che hà durato più di 6 mesi mi si volesse ridurre ad un' giorno, quando per haver una risposta di costà ne bisognavano 10 ò 12 che non erano anche tanti che si convenisse negarmeli, et perciò desidero haver di questo risposta quanto prima».

88.Ved. Doc. 192, pag. 97.
89.Ved. Doc. 241, pag. 127, e Doc. 244, pag. 143.
90.Alludiamo a' Doc. 244-266, pag. 129-183. Il Notamentum (Doc. 241, pag. 127) dovè essergli trasmesso o nell'inizio del processo, o piuttosto nel periodo di cui trattiamo, essendovi poi stato aggiunte a lato di ciascun nome le annotazioni relative all'esito del giudizio mano mano che questo si compiva per ciascuno inquisito.
91.Ved. Doc. 394, pag. 456.
92.Il Toppi (De Origine omnium tribunalium etc. Neap. 1655-66, vol. 2.o pag. 319), nel dare le notizie del Leonardis, non riesce esatto intorno alla data della nomina di lui ad Avvocato de' poveri, indicando per essa il 30 luglio 1601, che urta con la cronologia del processo del Campanella, nel quale si sa avere il Leonardis funzionato. Invece abbiamo trovato ne' Registri Privilegiorum le date sopraindicate pel Privilegio di nomina ad Avvocato de' Poveri (Ved. Privileg. vol. 120, an. 1599-600 fol. 188), e ne' Reg.i Sigillorum la data 30 luglio 1601 come quella del pagamento per l'esecutoria del Privilegio col quale venne poi nominato Avvocato fiscale della Vicaria (Ved. Sigil. vol. 38, an. 1601, introiti del 21 novembre). A complemento della rettificazione aggiungiamo che negli stessi Reg.i Sigillorum abbiamo trovato l'esecutoria del Privilegio di Avvocato de' poveri pel Catalano in data 16 febbraio 1594 (vol. 29), poi la nomina provvisoria di Jo. Vincenzo Cavaliero «mentre sua M.tà e sua Ecc.a provederà» in data 25 gennaio 1599 (vol. 35), infine l'esecutoria del Privilegio pel Leonardis in data 29 febbraio 1600 (vol. 37). Indubitatamente questo modo di successione, ed inoltre la data stessa del Privilegio del Leonardis «Metimnae coeli 30 7bris 1599», mostrano che il Leonardis non dovè essere nominato a bella posta nell'occasione di questo processo: sarebbe stato necessario un periodo di tempo molto maggiore per far giungere in Ispagna la proposta ed avere la decretazione di essa nella data suddetta.
93.Naturalmente furono i Giudici quelli che ordinarono la consegna degli Atti al Campanella e gli assegnarono anche l'Avvocato; ma il Campanella parimente qui si studia di mettere nell'ombra i Giudici e di far comparire il Sances.
94.Ved. Doc. 247 pag. 160; e risc. l'Illustr.ne II, pag. 619, per tutti gl'inquisiti che seguono.
95.Ved. la nostra Copia ms. de' processi eccles. tom. 1.o, fol. 377.
96.Il dottor Orazio Greco, che abbiamo citato a proposito del polledro, ci fa conoscere a proposito delle funicelle che se ne applicavano quattro, due ai carpi con uno o più nodi, le quali sempre recavano un'incisione della cute più o meno superficiale, e due alle braccia, a quattro dita sotto i capi degli omeri: preparato in tal guisa il paziente era poi elevato in alto con la corda, e finiva per rimanervi in uno stato orribile, che il Greco descrive minutamente.
97.Ved. Doc. 93, pag. 65.
98.Ved. Doc. 241, pag. 127.
99.Ved. Doc. 264, pag. 175.
100.Si avverta questa osservazione fatta dall'Avvocato, che si accorda con quanto avea già detto il Nunzio (ved. pag. 66) e che vedremo poi accordarsi anche con le affermazioni del Fiscale e infine con le affermazioni del Campanella medesimo nella sua Difesa; quattro affermazioni parallele emerse co' processi di Napoli. Nè si creda un'esagerazione curialesca il notatus infamia con le sue conseguenze. Era massima del S.to Officio che la sola carcerazione per delitto di eresia apportasse «notabile infamia» al carcerato, e i confessori, i medici, i maestri di scuola, i quali avessero abiurato come veementemente sospetti d'eresia, non solevano restituirsi o abilitarsi a' loro primitivi ufficii se non di espresso ordine e grazia del sommo Pontefice (Ved. Masini, Sacro Arsenale overo Pratica della S.ta Inquisitione, Roma 1639, pag. 309). La condanna poi in eresia formale colpiva d'infamia, di privazione di ufficio ed anche di successione i discendenti, e il potere civile in Napoli lo riconosceva. Ecco un breve documento in proposito, molto significativo e appunto del tempo del quale trattiamo: esso leggesi ne' Registri Sigillorum vol. 34, an. 1598, sotto la data 26 settembre: «Lettera per la quale se reintegra hercole miglionico a la dignità del dottorato et altri honori e officii publici e successione per lo delitto del eresia de suo avo»!
101.Ved. Doc. 245, pag. 144.
102.Ved. Doc. 246, pag. 149. Le parole, dalle quali risulta che questa Allegazione sia stata scritta in risposta a quella dell'Avvocato, si leggono a pag. 151: – «nos non instamus puniri eum, quod iam ejecerit Regem a Regno, Rempublicam fecerit, quod dicit se facturum procurasse, et hoc sub conditione et spe futuri eventus, ut advocatus partis fatetur» etc.
103.È bello conoscere l'atteggiamento de' giuristi napoletani e del Consiglio Collaterale, fin dalla prima notizia di questo passo della Corona di Spagna verso Roma: ce l'insegnano due brani di dispacci del Residente Veneto scritto il 14 7bre e 26 8bre 1599. – 1.o «Intorno alla investitura del Reame persistono tuttavia quelli che nelle materie feudali sono stimati più intendenti, che non dovesse la M.tà Cattolica condescender mai a dimandarla, poichè il Re suo padre, nell'atto che allhora era necessario per la rinuncia fatta vivendo dall'Imperator Carlo, fù investito da Papa Giulio terzo per sè et legitimi heredi, et discendenti secondo l'obligo et uso delle antiche et moderne infeudationi». – 2.o «Il Consiglio non può accomodarsi che sia la persona sua (int. del Vicerè) che faccia l'atto di prestar l'obedientia al Papa, facendo in ciò molte considerationi, et movendo consequenze importanti per gli interessi di questo Regno con la Sede Apostolica, le quali tutte sono state con esso corriero rappresentate alla M.tà Cattolica». – Ma le rimostranze furono vane, e al Vicerè fu rinnovato l'ordine di recarsi a Roma.
Возрастное ограничение:
12+
Дата выхода на Литрес:
28 сентября 2017
Объем:
850 стр. 1 иллюстрация
Правообладатель:
Public Domain

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