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Da Tommaso a Baro le Roy: stile del testo, codici manoscritti e edizioni a stampa
Non è affatto facile presentare uno status quaestionis sulla Vita Lutgardis, mai editata e, in un certo senso, ancora «sepolta» nella congerie degli Acta Sanctorum. Si cercherà di delineare qui un quadro filologico in base a una lettura del testo che prenderà le mosse dal Commentarius praevius, da questo «libretto d’istruzioni» introduttivo da sottoporre a un’analisi, a mo’ di tabula orientativa.
Anzitutto il Commentario preliminare ci dà notizia di come la memoria di santa Lutgarda, vergine brabantina, sia inserita nel sedici di giugno all’interno del Martirologio romano, in base alle indicazioni del manoscritto Florario e di altri manoscritti redatti ad uso delle chiese belghe.1
Il testo degli Acta Sanctorum, quello su cui lavoreremo noi, non è tuttavia l’unico ad aver trasmesso l’agiografia di Lutgarda perché, sebbene con molteplici omissioni, già Lorenzo Surio (1522-1578), dopo averlo emendato (essendo per lui eccessivamente «simplex»),2 ne pubblica una, di cui non si ha traccia; tornando al testo degli Acta, fondamentale è capire quali siano i codici alla base del nostro scritto d’appoggio, vale a dire: l’autorevole codice del Collegio di Bruges, il manoscritto presente nella Biblioteca dei Canonici Regolari nella Valle Rubea, nei pressi di Bruxelles, e infine un ultimo codice vagliato da Alberto Mireo.3
Il nostro testo presenta un’impostazione di forte connotazione storica, alla quale è quasi totalmente sacrificata l’eleganza formale. Non sussistono infatti molte elaborazioni retoriche, né particolari artifici letterari, volendo rispondere prevalentemente a obiettivi di veridicità.
L’opera sistematizzata dai Bollandisti si presenta con un numero progressivo di colonna, inserito tra parentesi quadre, e molte annotazioni interpolate e segnalate da simili parentesi, probabilmente opera di Giovanni Molano (†1585), sommari o commenti parziali, ma sistematici.4 Vi sono inoltre delle note erudite, di carattere tecnico, talvolta esplicativo, e viene data una scansione in capitoli titolati. Dopodiché è data un’informazione preliminare sull’autore, e quindi il passaggio dai Canonici Regolari all’Ordine dei Predicatori, le lodi alla nobiltà d’animo, alla rettitudine morale e l’ammirazione palesata da noti personaggi, tra i quali ricordiamo Roberto Bellarmino e Giusto Lipsio.5 Infine, in III, 19-20, quindi a conclusione della storia, veniamo a sapere come non soltanto la vicenda qui trascritta da Tommaso sia un modo per rendere grazie alla Santa cui era ed è devoto, ma una forma attraverso la quale pagare tributo alla badessa Hadeweijch, che gli aveva promesso in cambio, come reliquia, la mano della cisterciense fiamminga.
Infine, da un punto di vista stilistico, ricorrono delle appendici ai capitoli, appendici scritte in versi. Ad esempio, in III, 2, un luogo in cui è riferito il racconto della teutonica relativo all’ascesa al cielo di Giordano, generale dell’Ordine dei Predicatori, al quale la narratrice avrebbe assistito bilocandosi, leggiamo:
Hic terram sanctam adiit illic fratres invisere, [prope Terram sanctam submerso,]
Sed cum per mare rediit.
Mergendo cœpit psallere,
Christumque benedicere,
Sicque cælum mox subiit,
Ut signis datur credere.
Nec mora: mox incanduit
Columna lucis maxima,
Quæ dum de cœlo micuit,
Membra lustravit sanctissima;
Et quo transisset anima
Videntes scire voluit.
In re manifestissima,
Adiecto sacro littori
Cæli lampas emicuit:
Quæ ter superstans funeri,
Quarto quoque resplenduit,
In hunc quem secum habuit.
Et sic recursu celeri
Rapta nube non patuit.
Corpus fragrans mirifice
Curatur a fidelibus.
A Græcis dantur unice
Latinis et Gentilibus
Laudes Christo cum fletibus.
Et sic verum magnifice,
Sub tribus patet testibus.6
Per quanto attiene al discorso delle edizioni a stampa, oltre a quella di Surio, ne viene realizzata una a Madrid nel 1627 fondata, oltre che sulla Vita Sanctae Lutgardis, anche su una vita ulteriore con digressioni esortative alle monache di quella stessa città, opera questa dalla quale sarebbe stata tratta successivamente una traduzione italiana uscita a Venezia nel 1661. L’edizione del 1627, intitolata Sponsa Christi e posseduta da Bernardino de Villegas, avrebbe avuto come traliccio, stando sempre alle notizie dei Bollandisti, il manoscritto Ultraiectino della chiesa di San Salvatore. A queste edizioni avrebbero fatto eco alcuni compendi, realizzati in età moderna; fra di essi ricordiamo: l’opera del Frisen, nei Flores Ecclesiae Leodiensis, quelli di Crisostomo Henriquez, nei Gigli del Cistercio; quella di Angelo Manrique, negli Annali Cistercensi; infine quelli di Lippeloo e di Hareo, i quali assieme a molti altri, pubblicano nelle lingue volgari le agiografie esemplate sull’opera del Surio, portandosi appresso l’eredità degli errori da lui commessi.7 Fondamentali risultano le aggiunte del Molano al Baronio,8 mentre vivaci controversie sorgono a proposito della cronologia degli spostamenti di Lutgarda e a proposito della sua morte. Risulta interessante come i compilatori del Commentarius praevius, a un certo punto, contraddicano Tommaso di Cantimpré a proposito del ruolo che la pia Lutgardis avrebbe rivestito all’interno del monastero di Aywières: se Tommaso nega il fatto che le sia attribuita la carica di priora, i bollandisti la vogliono abadessa ad Aywières, dove si sarebbe recata ventiquattrenne, per adempiere un comando divino. Prima di allora la Santa trascorre dodici anni a Tongeren, fra le monache di San Benedetto, presso il monastero di Santa Caterina, in cui riceve la consacrazione a cinque o sei anni dal suo ingresso. La veridicità della notizia relativa al priorato della monaca sarebbe confermata, oltre che dal Molano, pure da Giacomo Baro le Roy, il quale dà la lista delle badesse succedutesi ad Aywières. Testimonianza preziosa quella di Baro le Roy, assai attento all’abbazia di Aywières, di cui cura l’icona: un’immagine successivamente incisa in un elegante cesello, in base a come il complesso si presentava, illo tempore, da settentrione.9
Sibilla de Gagis ed Elisabetta de Wans: due testimoni per un’inchiesta
Tommaso cantimpratano è di Lutgarda devoto cronista. Egli si pone il problema legato al valore testimoniale ed edificante del racconto, si pone il problema della veracità di esso e, volendo dare un impianto di carattere storico all’insieme delle parti che costituiscono il testo, mette in parallelo le testimonianze di chi Lutgarda l’ha conosciuta. Pur senza prescindere dalla messa in rilievo della suggestionabilità dei testimoni, l’autore sottolinea nella sorpresa un indicatore di autenticità; lui stesso non ha mai sentito nulla di simile all’esperienza di Lutgarda e alla virtù di questa, eppure continuamente ripete «quid mirum?», appunto per sottolineare come la sua madre spirituale viva con estrema naturalezza il suo itinerario di rigorosa sequela di Cristo. Molto interessanti sono citazioni come: «non erroneum testimonium habeo»;1 «in testimonium veritatis»,2 o ancor di più: «Qui vidit, testimonium perhibuit, et scimus quia verum est testimonium eius»,3 in cui si indravede una reminiscenza del De Trinitate Dei4:
Nec credo vitam alicuius, quæ tot virtutum insignia et mirabilium ac miraculorum prærogativas in se contineat, a multis retroactis annis fuisse descriptam. Si autem quæritur, quomodo legentibus fidem faciam de iis omnibus, quæ conscripsi: breviter dico, quod ipse Christus testis et judex sit, quod plurima ex iis ab ore ipsius piæ Lutgardis, sicut familiarissimus eius, accepi: et in iis nullum ita temerarium credo, qui eius testimoniis contradicat: cætera vero a talibus me percepisse profiteor, qui nequaquam a veritatis tramite deviarent. […]. Cum ergo caritas omnia credit, omnia sustinet; peto ab iis, quibus Deus spiritum suæ caritatis infudit, ut credant his siqua sunt sancta, siqua utilia, siqua veritati consona proponuntur; simulque sustineant patienter, siqua minus apte, siqua minus litteratorie vel indiscrete posuero: quæ tamen propter hæc minus debite ab improbis repelluntur. Bonorum enim ingeniorum, ut dicit gloriosissimus Augustinus, insignis est indoles, in verbis verum amare, non verba. Neque enim aurum minus pretiosum est, quod de terra tollitur; neque vinum minus sapidum, quod de vilibus lignis excipitur. Ergo non solum vos, sed omnium monasteriorum Brabantiæ cœtus virginum, Vitam piæ Lutgardis suscipiant; ut quæ in fama virtutis notissima omnibus fuit, ipsa brevi libelli huius insinuatione plenius innotescat; augeatque legentibus virtutem et meritum, quibus præscriptum aderit virtutis exemplum. Valeat vestra sancta et sincera benignitas, et mei vos memores in orationibus vestris Divina pietas incolumes tucatur; Amen.5
Nel Prologo si parla di «fides», e cioè di «affidabilità», e si invoca il giudizio di Cristo stesso. In più si fa appello al gloriosissimus Augustinus, del quale è riportato il pensiero senza indicarne la fonte, che in questo caso è il De doctrina Christiana.6 Quanto alla divisione dei libri, si segue la scansione di progresso spirituale, sulla quale torneremo; ad ognuno dei tre libri cioè è correlata una condizione del direttorio ascetico, in base alla tripartizione dei Sermones super Cantica di Bernardo di Chiaravalle:7 incohantes o vulnerati (status poenitentiae); proficientes o anche fatigati (status pugnae); infine perfecti ossia delicati (status vitae contemplativae).8
La narrazione di Tommaso di Cantimpré, la stesura di questa biografia che è insieme edificante e propagandistica, si sostanzia di alcuni testimoni, abbiamo già detto, chiamati a suffragare la fondatezza della grandezza di Lutgarda. Due sono le testimoni più attendibili: Sibilla de Gagis, che aveva servito Lutgarda devotamente, ed Elisabetta de Wans, la nobile sposa di nozze bianche, intima della pia Lutgarda. Elisabetta non solo acquisisce progressivamente il dono della profezia, ma è pure vittima di rapimenti in cui le visioni si manifestano in maniera praticamente analoga a quelli di Lutgarda. Non è forse errato pensare a Elisabetta come a un doppio della sua maestra e non soltanto in quanto, esattamente come questa, Elisabetta viene rapita in estasi, ma pure perché, acquisendo il dono del vaticinio, la donna parla con gli spettri dei nascituri e conosce le sorti di quelli che verranno. Estremamente esemplificativa è la manifestazione del colloquio col crocifisso, che avviene in base ai racconti di Lutgarda: Cristo stacca cioè la mano dalla croce e la consola. Si veda per esempio questo luogo del Commentarius:
Addit ex Ms. Hagiologio Sanctorum Brabantiæ Rayssius sequentia. Hanc pedetentim per tres circiter annos Christi ad Crucem affixi statua undique sequebatur; et si quando immundis ac fœdis vexaretur cogitationibus, manum de cruce porrectam suo superponebat pectori, et actutum perversas omnes animi cogitationes abigebat: sæpius etiam Angelicis colloquiis fruebatur. Ad amœna virentis paradisi die quadam evecta est; ubi quidem tam ex viventibus et natis, quam etiam nascituris, qui æterna gloria potituri erant; et, quod admirabilius est, in quo statu, virginitatis aut coniugii singuli glorificandi essent, spiritu revelante cognovit. Hos igitur cum postea in hac vita videret, quorum similitudines viderat in cælis, licet et antea ignoti essent, ex facie specialissime agnoscebat; et subito in ictu oculi, in singulis meritorum ac statuum differentiam discernebat.9
Un confronto sinottico con la scena in cui Gesù Cristo incede verso Lutgarda mentre la cisterciense è all’ingresso della chiesa probabilmente darà ragione delle tangenze intrattenute dal cammino di perfezione percorso dalla vidua Elisabetta nei confronti di quello della mistica sua maestra:
In ipso ostio ecclesiæ ei Christus cruci affixus cruentatus occurrit: deponensque brachium cruci affixum, amplexatus est occurrentem, et os eius vulneri dextri lateris applicavit. Ubi tantum dulcedinis hausit, quod semper ex tunc in Dei servitio robustior et alacrior fuit. Referebant qui hæc, illa revelante, illo in tempore et diu postea probaverunt, quod saliva oris eius super omnem mellis dulcorem suavius sapiebat. Quid miri? Favus distillans labia tua, Sponsa; et mel divinitatis, et lac humanitatis Christi, etiam tacente lingua, cor interius ruminabat.10
Ancora una volta, il meccanismo di rispecchiamento della vicenda di Elisabetta, come proiezione della biografia della veggente belga, si può rinvenire a proposito del ritratto a penna della beata vedova Wans. A saldare le due storie il tòpos del romanzo cortese. Di nobile stirpe, la monaca testimone, prima di entrare a far parte dei gigli del Cistercio, è data in sposa a un soldato «affidabilissimo», con il quale convola a nozze, restando tuttavia «impolluta virgo»:
Præter Sibyllam, sub eodem Beatæ titulo, eiusdemque Octobris ac diei IX nota, eo quod alius nullus occurreret aptior, refertur etiam a Rayssio, Elisabetha de Wans, quæ quondam (ut hic dicitur lib. 3. cap. 21) in Campania Galliæ apud S. Desiderium fuerat Abbatissa, abdicataque Prælatura Aquiriam transierat. De hac Cantipratanus lib. 2. cap. 5. §. 4. ait, quod genere et vita nobilis, a cunabilis fere Christo devotissima fuit: cuius sanctitati parentes eius simpliciter invidentes, eam Militi probatissimo, licet invitam, in coniugium tradiderunt, cum quo in uno lecto annum integrum agens, virgo tamen impolluta permansit.11
Non dissimile è la vicenda della mater di Tommaso di Cantimpré, che va incontro a numerose traversie prima di diventare monaca. Per raggiungere il Cistercio di Aywières, infatti, la giovane Lutgarda era dovuta fuggire di notte nel bel mezzo della foresta, sottraendosi così a un malfattore.12 Ma la messa a fuoco del romanzo cortese di Lutgarda merita uno spazio a sé, a cui dedicheremo, fra poco, un’ampia argomentazione.
La struttura del testo
Come già la Vita di Giovanni di Cantimpré (scritta sempre da Tommaso fra il 1223 e il 1270), questo «liberzolo» è sottoposto all’«anatomia» dei Sermones di Guglielmo di St. Thierry (nel primo libro è descritta la vita inchoans, nel secondo quella proficiens, nel terzo quella perfecta), dando luogo a un percorso in cui la natura animale della sposa di Cristo Lutgarda si evolve fino al raggiungimento della piena perfezione.1
La tripartizione dell’opera dà vita a un gioco di corrispondenze sistematiche: la prima parte di essa coincide con la prima giovinezza della donna nell’abbazia benedettina di St. Trond, la seconda con la permanenza al monastero cisterciense di Aywières e l’ultima con i malanni, la cecità e la morte, correlata a un’appendice ove sono menzionati alcuni miracula post mortem. Come ha notato Jean Baptiste Lefèvre,2 la stessa Santa è, nel primo libro, un’incipiente, mentre nel secondo compie con più ardore il suo ministero spirituale, vale a dire la sua mansione di profetessa neotestamentaria, di esorcista e soprattutto di patrona del Purgatorio. Il sistema di corrispondenze si fa più elaborato nel momento in cui si volessero, eventualmente, ricollegare ai tre stadi della progressione mistica bernardiana i tre digiuni espiatori della monaca (compiuti a partire dalla seconda parte del testo, nel secondo libro): vale a dire quello offerto per riscattare gli Albigesi, in secondo luogo le penitenze spese per i peccatori in generale e infine i digiuni atti a scongiurare enormi flagelli che minacciano la Chiesa (con una probabile allusione all’alleanza istituita fra i Tartari e Federico II).3 Dissentendo dall’idea secondo la quale gli incontri metafisici sarebbero manifesti solo nel primo libro,4 data la presenza inesausta di ratti, levitazioni, profezie, come in seguito dimostreremo, si può segnalare come, dal secondo libro in poi, si intensifichino le visitazioni di Maria, che sorregge la monaca spossata, incapace di reggersi in piedi, assieme al Battista, perché Lutgarda possa ricevere la comunione sacramentale:
Cumque euntem ad altare nullus eam in subsidium debilis corporis sustentaret, manifeste viderunt alique, quibus videre datum est, duos eam Angelos mediam tenere; et ad altare deducere. Consimili modo et alia vice manifestissime visum est, gloriosissimam virginem Mariam, et beatum Ioannem Baptistam, eam in obsequio comitari: sed hoc diu postea, cum scilicet tempus instaret, quo debuit ex hoc mundo transferri.5
Le occorrenze in cui figura la coppia Maria-Giovanni Battista si arricchiscono nel terzo libro. Nel caso qui proposto siamo davanti a un incontro che preconizza la morte della monaca di Liegi: Maria e Giovanni («che ella [Lutgarda] amava di un amore specialissimo») le annunciano l’incombere della «consumazione» e della «corona di giustizia», metafore della sua ascesa al Cielo, che sarebbe avvenuta imminentemente:
Quidecim diebus ante mortem suam apparuit ei gloriosa Virgo Maria, et beatissime Baptista Ioannes, quem amore specialissimo diligebat: qui et dixerunt ei: iam instat consummatio tua, superest tibi corona iustitiae.6
La presenza della Vergine, fra secondo e terzo libro, può essere allora elemento strutturante e fondante in quanto sembra possibile smentire un pregiudizio che pare dilagare sia nella storiografia moderna, sia in quella più datata, un pregiudizio secondo il quale Maria sarebbe assente nei percorsi esperienziali ed interiori delle donne medievali.7
Per tornare al discorso sulla struttura del testo, arriviamo adesso all’epilogo, al transitus della Vita Lutgardis. Siamo al capitolo secondo del terzo libro e, santificata dai sacramenti, l’anima della profetessa vola nelle regioni superne, tra principi celesti e giovani che suonano il timpano e danzano. È il sedici di giugno:
Sabbato autem cum in hora mortis instaret, oculos ad coelos aperuit: et Sacramentis praemunita sanctificis, in medium iuvencularum tympanistirarum principibus caelestis exercitus commixtis, psallentibus, anima felix ad liberas auras exultans, evolat ad superna; anno ab Incarnatione Domini millesimo, ducentesimo, quadragesimo sexto, mense Iunio, sexto decimo Cal. Iulii: Indictione quarta, anno aetatis suae sexagesimo quarto, hora circa vesperam, regnante D. N. Iesu Christo, cui est honor et gloria cum patre et spiritu sancto, per immortalia secula seculorum, Amen.8
Il domenicano Tommaso, nello stesso paragrafo, e quindi in un punto strategico del suo testo, fornisce un’informazione molto precisa: Lutgarda è indicata come «Trini Dei individua veneratrix»9 e cioè «lei che era personalmente veneratrice del Dio trino». Sembra sia stato sancito ormai definitivamente che la mistica trinitaria, quindi la compartecipazione al mistero delle tre persone uguali e distinte, inizi con Caterina Benincasa (1347-1380), essendo quella del Medioevo una mistica del Dio unico (per quanto concerne l’alto Medioevo) o a limite una mistica binaria (se ci riferiamo al basso Medioevo). Se, così come vorremmo, realmente guardassimo alla Vita Lutgardis come a una specie di matrice, modellante e influente rispetto ad agiografie successive, l’autocoscienza trinitaria di Caterina da Siena, la sua preminenza, la sua stessa fortuna, andrebbero forse rimesse in discussione.10
Le visioni. Sui metodi del racconto
La biografia di Lutgarda è caratterizzata da un ruscellare di visioni ed è il caso di chiedersi in che termini questi rapimenti si verifichino e che tipo di operazione compia Tommaso nel trasmetterle attraverso questo testo. La prima apparizione (I, 2) è quella in cui alla giovane compare Cristo, nella sua figura terrena dei tempi della Palestina, che la persuade a non consegnarsi all’amor ineptus dei pretendenti e a riggettarlo in nome di uno sposo di gran lunga più degno, in nome dello Sposo degli sposi, scelta questa che le varrà purissime delizie:
Cumque ad colloquium iuvenis simplex quandoque puella sederet, apparuit ipsi Christus in ipsa humanitatis forma, qua inter homines quondam fuerat conversatus; et pectori vestem detrahens, qua videbatur obtectus, vulnus lateris ostendit, quasi recenti sanguine cruentatum, dicens: blanditias inepti amoris ulterius non requiras: hic iugiter contemplare quid diligas, et cur diligas: hic totius puritatis delicias tibi spondeo consequendas.1
Colpiscono i toni di sensualità del Cristo che si sveste mostrandole il petto e l’erotismo invero si intensifica fino a che Lutgarda si abbevera alla piaga del Suo costato (I, 19),2 qui solo messo in mostra. In seguito la Santa vedrà persistentemente il Cristo crocifisso o «vivo», il quale si sporge ad accarezzarla o a detergerle il volto dalle lacrime (II, 41),3 secondo un rapporto d’amore che la induce ad immergersi nello sposo divino.
Tra i verbi usati nella meticolosa descrizione dell’estasia, ricorre decine di volte, prevalendo sugli altri verbi del vedere, «video», quindi il comune verbo del vedere, volendo indicare un evento abituale nella Vita, seppur straordinario. Non sussiste un gioco di sinonimia relativa ai verbi legati alla sfera sensoriale della vista, tuttavia si trovano talvolta «conteplat»,4 che allude a un percorso di meditazione interiore legato all’immagine, e «ruminat», un termine metaforico con il quale è resa bene la continua tangenza di parola e immagine, assimilandola a sé. «Rumino» è usato ad esempio per riportare la dolcezza del sangue fresco assaporato nell’atto di bere alla ferita dell’homo passionatus: «Favus distillans labia tua, Sponsa; et mel divinitatis, et lac humanitatis Christi, etiam tacente lingua, cor interius ruminabat».5 Altri termini della sfera del vedere sono: apparet,6 visio,7 visibiliter,8 fulgor,9 splendor,10 stupefacta,11 admiratio.12 Vale la pena di soffermarsi su «rumino», un verbo che apre un mondo sulla cosiddetta machina memorialis,13 sulla quale si basa la meditazione monastica nel Medioevo, e su tutti quei percorsi mnemonici tipici dell’ortoprassi consolidatasi fra 400 e 1200 nel mondo cristiano.14 Come ben si può vedere nelle Conferenze ai monaci di Giovanni Cassiano (360-435), l’autore dichiara di essersi liberato dai modelli pagani di cui era invischiata la sua formazione di retore (per esempio dalle favole di Ovidio) attraverso la curiositas. Nei cantieri archiviali della sua mente, il monaco autore delle Collationes ha disposto nuovi materiali, riadattando le tecniche di apprendimento da lui assimilate nel corso della formazione scolastica. Il processo di apprendimento dei testi canonici (si pensi ai Salmi), per venire al nostro verbo, era scandito da tre fasi: apprendimento mnemonico del testo (sillaba per sillaba), esegesi e infine ruminazione, che consisteva nella lettura silenziosa.15 Nel testo delle Conferenze ai monaci leggiamo:
[…] in qua [litteratura] me ita uel instantia paedagogi vel continuae lectionis macerauit intentio, ut nunc mens mea poeticis illis uelut infecta carminibus illas fabularum nugas historiasque bellorum, quibus a parulo primis studiorum inbuta est rudimentis […] psallentique uel peccatorum memoria suggeratur aut bellantium heroum ante oculos imago uersetur.16
L’autore dichiara di essere stato ammorbato dagli antichi poemi e il tutto è spiegato tramite un lessico ricollegabile alla sfera del cibo (nel testo sono menzionati i termini «foraggio», «viscere», ecc.) e questo proprio perché la memorizzazione era considerata un processo fisiologico («Quae cum profunde alteque conceperit atque in illis fuit enutrita, vel expelli priores sensim poterunt uel penitus aboleri»).17 In definitiva:
La metafora della digestione e della escrezione umana, che sta alla base di tutta questa discussione, è evidente e si basa sull’idea fondamentale che la lettura sia nutrimento, il pensiero sia la sua digestione, la cogitazione la sua ruminazione […].18
Si guardi anche solamente alle implicazioni della ruminatio, alla compuntio cordis, quindi al ricordo che avviene, come dire, con dolore di cuore, dolore di cui parla Anselmo d’Aosta nelle Orazioni e meditazioni, composte fra i 1070 e il 1080.19 A questo, volendo, potremmo associare il dato della figliolanza spirituale che lega Tommaso di Cantimpré a Riccardo di San Vittore, a sua volta discepolo di Ugo di San Vittore, la famosa abbazia nei pressi di Parigi. Quest’ultimo è autore, si ricorda qui, del trattato De arca Noe mystica, costruito attraverso la presenza di un diagramma, o meglio di una figura della Bildensatz. Si tratta in pratica di una figura della mnemotecnica in cui l’opera, o una sezione di essa, si apre con una pictura (la pictura può essere, a seconda, una mappa, una rosa, uno schema, una ruota…). Il De arca Noe mystica è incentrato sulla figura mentale del quadrato, che si rifà alla rappresentazione biblica (in forma di quadrato appunto) della città celeste.20 Tommaso allora doveva essere bene addentro all’«arte della memoria», come la definiva Ugo di Rouen, ecco perché sembra pertinente applicare una lettura in senso mnemotecnico ai verbi che abbiamo visto qui. Ma riprendiamo a parlare, dopo questa digressione, delle visioni di Lutgarda.
«Mirandis plus miranda succedunt»,21 per usare le parole dell’agiografo, si verifica a metà del primo libro, nel capitolo intitolato «Varie estasi e visioni divine. Passaggio dall’Ordine benedettino a quello cisterciense»,22 una visione funzionale alla comprensione della «meccanica» del procedimento estatico, riportiamo allora la scena:
Cum aliquo incommodo cordis aut corporis gravaretur, stabat ante imaginem Crucifixi: et cum diu fixis oculis imaginem inspexisset, clausis oculis et resolutis in terram membris, instar Danielis viri desideriorum, super pedes suos stare non poterat; sed elanguens prorsus rapiebatur in spiritu, et videbat Christum cum vulnere lateris cruentato.23
Ci viene detto in modo manifesto che Lutgarda sosta davanti al Crocifisso per una lunga contemplazione, con gli occhi fissi sull’immagine; successivamente è rapita in spirito e vede il Christus humanatus e passionatus con la ferita del costato, come persona viva e presente in tutto il suo essere divino. Subito dopo ecco la monaca baciare la piaga assieme al Battista, il quale sopraggiunge in forma di aquila bianchissima.24 Nei colloqui divini si assiste sporadicamente ad esiti sorprendenti: ella si offre, supplica, ma anche si impone con audacia a Cristo, come in II, 1: «O libera lui o separe me da Te».25 Chiede continue conferme del suo lavoro d’intercessione per la salvezza dell’uomo e affronta travagli intensi, fintantoché non le viene chiaramente rivelato come il suo impegno spirituale aiuterà Dio a perdonare l’umanità.26 Un altro aspetto relativo all’esito di questi colloqui è il superamento delle paure della Santa rispetto all’ira divina, un concetto espresso secondo la tradizione medievale e veterotestamentaria (« […] calice irae eius», II, 20), così come pure l’attaccamento alle sofferenze di Cristo come pena interiore «in fletibus rugiens».27 Le appaiono le anime liberate grazie alla sua preghiera d’intercessione, tra queste quella di papa Innocenzo III, che ha ottenuto la grazia di pentirsi prima di morire,28 ma le appaiono pure i demoni tormentatori, i quali puntualmente fuggono, snervati dalle sue preghiere.29
Come si diceva, il testo di Tommaso può risultare interessante anche dal punto di vista delle apparizioni della Madonna.30 È da notare come la Vergine venga indicata, nelle glosse al testo, come «Deipara», vale a dire «generatrice di Dio», dal verbo latino «pario» (appunto «genero»). Alla fine del secondo libro leggiamo:
Accidit ergo nocte quadam, ut dum in Cantico, Te Deum laudamus, versum illum, Tu ad liberandum suscepturus hominem, non horruisti Virginis uterum, diceret; ei beatissima Virgo Maria, quasi congratulans appareret: intellexitque versum istum beatissimæ Virgini fore gratissimum, per quem memoratur suscepisse Dei filium. Hoc ergo mihi ipsamet sicut filio dilecto revelans; admonuit, ut quoties versum istum dicerem, me toto corpore ad laudem gloriosæ Virginis inclinarem.31
Ogni volta che le monache cantano il Te Deum laudamus, si legge, c’è un luogo di questo inno particolarmente gradito alla Vergine: la Madonna le appare e facendole un gesto di riverenza si congratula con la monaca.32 Non si può certo pensare che Lutgarda conoscesse l’iconografia della Madonna dell’Umiltà, tuttavia c’è traccia di statuette lignee appartenute a monasteri di monache cisterciensi, nelle quali è possibile vedere la Madonna che palesa un atteggiamento di deferenza nei confronti di Suo Figlio, il piccolo bambino in braccio, quasi come se la Vergine santa stesse specchiandosi nel volto del pargolo. Diamo in figura un esempio del 1300, ma ricordiamo che la presenza di quest’iconografia è appurato esistesse già prima del 127033 (fig. 1). A nostro modo di vedere quindi l’iconografia (quale potrebbe essere quella della Madonna specchiantesi) sembra fare da linea-guida nell’implementare il meccanismo della visione.
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