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Читать книгу: «Eros», страница 13

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Adele avea cominciato ad accorgersi anch’essa del tiro che intendeva giocarle la Metelliani; ma rifuggiva dai lamenti, dalle osservazioni, dalle scene, per alterezza naturale, o per timore di quel marito che le imponeva soggezione, e s’era chiusa nella sua dignità di moglie con tal dispettuccio che sembrava disinvoltura.

Intanto le cose andavano perché la Metelliani le spingeva, perché Alberto, senza dare positivamente una mano, chiudeva gli occhi e lasciava andare – e lasciava andare anche per un falso timore di sembrare ridicolo se avesse fatto il puritano – e andavano infine perché Adele non faceva nulla perché non andassero.

Un giorno Alberti, arrivando un po’ tardi allo stabilimento dei bagni, incontrò la principessa.

«Vostra moglie è lí» gli disse lei con una lieve tinta di motteggio, indicando sul mare una barchetta carica di ombrellini di paglia e di veli svolazzanti. «Volete che andiamo a raggiungerla?»

Il marchese rispose qualche parola a caso, e le sedette accanto. Dopo alcuni momenti le domandò perché non fosse andata anche lei.

«Potrei dirvi perché vi aspettavo, ma non voglio lusingarvi. Ho corso tanto sui piroscafi, che il mare mi fa uggia persin dalla barchetta. Anche voi avete molto viaggiato, so.»

E si misero a parlar di viaggi.

«Chi ce l’avrebbe detto che dovevamo correr tanto per riunirci… da Pancaldi!» diss’ella ridendo.

Gli aveva detto codesto in un certo modo, e con tale accento da ricordargli perfettamente il punto dal quale erano pur partiti per correre – e gliel’aveva fatto rivedere in cosifatta maniera, che Alberto era rimasto taciturno.

«Non promettevate di riescir cosí buon marito, davvero!» gli disse poco dopo con uno sbalzo capriccioso del pensiero.

Alberto rispose al complimento ironico con un ironico chinar di capo.

«Schiettamente… senz’ombra di lusinga… se avessi potuto prevederlo… non mi chiamerei forse Metelliani.»

«Vedete che qualche volta torna meglio non prevedere!»

«Marchesa Alberti è un bel nome anch’esso. E poi tutti vi chiamano il marito modello. Non ve l’abbiate a male: è una bellissima cosa essere innamorato della propria moglie.. È vero che siete innamorato di vostra moglie? Sapete che avrei quasi il diritto di essere gelosa io? Vediamo, Alberto, cosa direste se fossi gelosa di vostra moglie?»

Alberto si dibatteva ancora contro il fascino di lei.

«Vi direi che avete torto» rispose freddamente e alteramente.

Ella si levò da sedere. «Francamente, se non fossi quella che sono vorrei essere… M’accompagnate sino alla mia carrozza?»

Alberti s’inchinò, le porse il braccio, e s’avviarono. Dopo alcuni passi: «Verrete al ballo di stasera?» domandò la principessa.

«Non so.»

«Ci sarà anche la vostra Adele.»

«In tal caso verrò per accompagnarvi lei» rispose egli con calma, e senza mostrare di aver sentito la puntura.

«Andrete pure al concerto delle quattro? Lei non manca mai.»

«Essa sa che fuggo i concerti, e me ne dispenserà.»

La principessa rizzò il capo, e fissò gli occhi nel vuoto corrugando le ciglia.

«Sicché alle quattro sarete libero?» domandò dopo un istante, con quel medesimo sorriso.

«Liberissimo.»

«Ho intenzione di fare una gita sino a Montenero» riprese ella con vivacità. «La giornata è freschissima. Volete venire con me alle quattro? Andremo a cavallo. Domandatene il permesso a vostra moglie. Volete che glielo domandi io?»

«Mia moglie sarà lietissima.»

Ella si fermò, gli lanciò uno sguardo, scosse i capelli ancora profumati dal bagno con un brusco movimento del capo, e con intonazione singolare:

«Davvero? Dunque verrete?»

«Ma sí.»

«Non avete paura?»

«Paura di che?»

«Ma… che so io?…»

E lo fissò in viso ridendo stranamente.

«Proprio? Non temete che… la fatalità… È singolare!»

«Io sono incredulo.»

«Ah! Venite dunque ad incontrarmi alle quattro ai Cavalleggieri.»

Egli s’inchinò senza rispondere.

«Proprio? Verrete?»

«Certo.»

«È che temevo… Scusate: non ce l’avete piú con me?»

«Non ce l’ho avuta mai.»

«Mai?»

«Mai.»

«Arrivederci dunque.»

XLVI

Alberto rimase tutto sconvolto, col capo vertiginoso, con degli ardori improvvisi che gli scorrevano per le vene, ed evitò gli sguardi della moglie quand’ella saltò dalla barca appoggiandosi alla mano di lui.

Il marchese avea ordinato il suo cavallo per le tre e mezzo. Verso quell’ora Adele, dopo essersi abbigliata, usciva per andare al concerto, e incontrò il marito nel salotto – la camera e lo spogliatoio della marchesa erano separati dalle stanze del marito da quel salotto. – Alberto leggeva o fingeva di leggere.

«Oh, non sei andato?» gli disse.

«No, vengo con te. Vuoi?»

«Volentieri. Non ti annoierai però?»

«Tutt’altro.»

Al concerto c’era tutto il mondo elegante, all’infuori della principessa Metelliani. Marito e moglie erano rientrati in casa verso le sei, quando si udí nel corridoio che separava il loro appartamento da quello dei Metelliani il fruscío dell’amazzone della principessa che ritornava dalla sua passeggiata.

A pranzo Alberti fu un po’ distratto, e faceva degli sforzi visibili per non lasciar scorgere la sua preoccupazione; quando fu l’ora d’andare al ballo pregò la moglie che lo dispensasse d’accompagnarla.

«Perché non vieni?»

«Sono stanco, ho qualche lettera da scrivere, e del resto sai che non mi diverto molto.»

«Ci rinunzierei anch’io, se non mi fossi impegnata ad andare colla Lina.»

«No, vai, divertiti pure, anche un poco per me.»

La marchesa partí; un quarto d’ora dopo si udí anche la carrozza della Metelliani che andava. Allora Alberti respirò liberamente.

Passò nel suo stanzino da studio e si mise a leggere per ingannare il tempo, aspettando la moglie, ed anche per distrarsi alquanto.

A misura che andava calmandosi quello stato d’agitazione in cui era stato tutto il giorno, dopo la prima vertigine, attraverso le idee che andavagli suscitando la lettura, ritornava con una strana intermittenza, il pensiero che lo preoccupava dippiú. In certi momenti chiudeva gli occhi, e scorgeva Velleda come l’avea vista il mattino.

Tutt’a un tratto udí un passo rapido e leggiero nel salotto, l’uscio fu aperto bruscamente, ed entrò la principessa.

Era in abito da ballo, avvolta in una leggiera mantellina, splendida di bellezza.

«Vostra moglie vi ha proibito di venire?» domandò con un sardonico sorriso.

Alberto la guardava ancora sorpreso, senza rispondere.

«Vi siete pentito, dite?»

«Sí.»

«Alla buon’ora!»

La principessa non osservava che Alberti s’era bensí levato in piedi, ma non l’invitava a sedere. Andò risolutamente verso la poltrona ch’egli aveva lasciato, e vi si adagiò da padrona.

«Perché non siete venuto neppure al ballo? Per timore d’incontrarmi?»

E siccome egli non rispondeva, soggiunse:

«Avete fatto una bella cosa, marchese Alberti!»

Dopo un istante di lotta penosa ei disse risolutamente:

«Io vi ho perdonato… perdonatemi!»

«Ah! m’avete perdonato? Che cosa, di grazia?»

«Lo sconvolgimento che avete gettato nella mia mente, il turbamento che m’avete fatto provare accanto a mia moglie… il rossore che son costretto a subire dinanzi a voi. Tutto ciò non vi pare abbastanza?»

«No!» esclamò dessa con accento indefinibile. «C’è qualcosa di piú… o di peggio, come volete… che io mi sia gettata alla vostra testa, che voi ne abbiate forse riso con vostra moglie, e che io sia qui!… Cosa vi sembra di cotesto, marchese?»

Ei guardava stupefatto quella bellezza imperiosa, fremente di corruccio e di civetteria dispettosa di cui le braccia nude spiccavano a loro insaputa sul bruno velluto della poltrona.

«Cosa credete che possa fare una donna in tali condizioni»

Alberto chinò gli occhi dinanzi a quegli occhi sfolgoranti.

«Per fortuna che sono una donna di spirito, – avete detto, – e anche voi… – e non ho bisogno di domandarvi se siete certo che il vostro amor proprio non v’abbia giocato un brutto tiro. – Addio, Alberto; giacché volete il mio perdono, ve lo do con tutt’e due le mani. Non dite nulla a vostra moglie. Che cosa penserebbe se sapesse che sono stata qui, proprio qui, dopo la mezzanotte, io, la vostra antica amante?… Poiché ci siamo amati, non è cosí? – Ma, davvero!… avrebbe torto, davvero!»

S’era rizzata in tutta la bellezza della sua elegante persona, ironica, provocante, motteggevole, colle spalle marmoree, e il seno superbo, la veste sinuosa, come cosa animata anch’essa è seduttrice e stava per andarsene. – Egli che non avea detto piú una parola, le prese con impeto una mano, poi l’altra. Ella, afferrata da quella stretta, gittò indietro tutta la sua persona fremente.

La principessa aprí l’uscio con un colpo secco e nervoso; gettò ad Alberto una stretta di mano senza voltarsi, ed attraversò il salotto rapidamente. Alberto ritornando dall’accompagnarla ancora confuso e sossopra, vide del lume in camera della moglie. Rimase un istante ritto in mezzo al salotto, turbato, sorpreso, esitante, poscia picchiò timidamente all’uscio ch’era soltanto socchiuso. Trovò Adele dinanzi allo specchio, in atto di disfarsi i capelli senza l’aiuto della cameriera, pallida, turbata anch’essa. – Udendo entrare Alberto si volse trasalendo.

«Sei tornata… diggià!…» diss’egli evitando di guardarla.

Chinò gli occhi anche lei.

«Sí» rispose dolcemente.

«Da quanto?»

«Da poco… da mezz’ora…»

Egli fece qualche passo per la camera.

«Volete che partiamo domani?» domandò poscia.

Ella chinò il capo. Il marito uscí.

XLVII

Qual notte terribile per la povera Adele! Non solo avea ricevuto una acerba ferita al cuore ed all’amor proprio, ma tutto l’edificio della sua felicità crollava; quell’uomo ch’era tutto per lei le sfuggiva, travolto nel turbine di quelle passioni ch’erano state cosí formidabili per lui, e che lo rendevano formidabile agli altri.

Ella non avea pianto, non s’era lamentata; il domani s’era levata com’era andata a letto la sera senza chiuder occhio, pallida, febbricitante, e avea fatto con calma i preparativi per la partenza.

Lungo il viaggio scambiarono una dozzina di parole, parole indifferenti, dette con accento pacato, evitando di guardarsi, parole di ghiaccio che mettevano del ghiaccio tra di loro. Ella sentivasi stringere il cuore, e procurava di metterci almeno una certa dolcezza; quella dignitosa rassegnazione sembrava che andasse a colpire in faccia Alberto, il quale sentiva l’abisso sprofondarsi gradatamente fra di loro: lo sentiva alla sua propria freddezza, a quel non so che d’impacciato, di timido ed altero che c’era, a sua insaputa, nelle sue stesse parole.

Cento volte, in quella notte dolorosa anche per lui, era stato sul punto di correre a buttarsi ai piedi di Adele, e chiederle perdono; ma gliene era mancato il coraggio per una fatale delicatezza, per un falso pudore, per una singolare rettitudine della colpa. Domandarle perdono di che? Di averla tradita vilmente per una donna che non stimava punto? Di aver dimenticato in un istante l’amore di lei, la fiducia ch’ella aveva in lui, il loro passato, i giorni, i mesi interi d’intimità, di casto abbandono, d’espansione, d’identificazione completa d’idee, di sentimenti? Di essersi posto sotto i piedi tutto ciò per dei capelli biondi e delle spalle che gli si erano gettate alla faccia? Di averla insultata volgarmente all’uscio istesso delle sue stanze? Ma il domandarle cotesto perdono non sarebbe stato un altro insulto? Non sarebbe stato come domandarle una sanzione disonorevole per entrambi, un confessarsi piú basso della colpa? D’ora innanzi avrebbe potuto piú dirle che l’amava tuttora, che non avea mai cessato d’amarla – ed era vero – senza sentirsi montare i rossori al viso? E avrebbe potuto credere ch’ella avesse obbliato, e l’amasse ancora, senza dubitare che mentisse anche lei? Quando si cade bisogna almeno aver la forza di non dare del viso nel fango.

Giunti a Firenze, mise in campo degli affari, e partí per la campagna. Cosí toglievasi pel momento al supplizio di comparirle dinanzi in quelle ore che solevano passare insieme. Ella sentiva un gran dolore, una gran timidezza di fronte a quell’uomo, un gran timore di contrariarlo, e non fece la menoma osservazione.

Alberti avea detto che sarebbe mancato una settimana o due, e mancò tre mesi. In questo tempo Adele s’era ammalata, assai piú gravemente di quel che sospettasse ella medesima, e gliene aveva scritto come di una passeggiera indisposizione. Egli informavasi di lei tutti i giorni per telegrafo, ma non ritornava. Del resto le notizie che riceveva erano sempre piú rassicuranti: la marchesa sembrava intieramente guarita.

D’allora in poi il marchese scriveva spesso alla moglie, e spesso riceveva sue lettere. Per lo piú erano lettere insignificanti – o significanti troppo – non contenenti altro che le fredde formule della cortesia coniugale, rispettose e asciutte da parte di lui, timide e riservate da parte di lei. Di tanto in tanto un pensiero serpeggiava (è questa la parola adatta, poiché era un serpe) per la mente di Alberto. Che cosa sarebbe divenuto di quel tesoro di affetto che c’era nella sua Adele, adesso che per sua colpa era stato distolto violentemente da lui? Dove sarebbesi rivolto, su chi e in qual modo? Allora arrischiavasi ad insinuare nelle lettere qualche frase che prestavasi ad un’interpretazione affettuosa, e cercava nelle risposte di Adele il riflesso del sentimento che provava.

Gemmati, avendo saputo che la marchesa Alberti era ritornata da Livorno, sebben non si fosse fatta viva, era andato a farle visita, ed era rimasto colpito dall’alterazione profonda che scorgevasi nell’aspetto di lei. Dopo alcuni giorni Adele s’era ammalata davvero, Gemmati l’avea assistita come sorella o come una figlia, e, pur dissimulando la gravità del male, aveva insistito perché ne fosse informato Alberto. I pretesti dapprima, e poi le ripulse ostinate della marchesa, l’avevano sorpreso, e non avea tardato ad accorgersi che qualcosa di grosso doveva esserci stato. Conoscendo Alberto intimamente, egli fu sgomentato piú di quanto lo fosse Adele istessa.

Prima di cedere al gran bisogno che sentiva di sfogarsi, di esser confortata, di appoggiarsi ad una mano amica, Adele avea molto combattuto, per delicatezza, per un sentimento di dignità, di rispetto e di amore verso il marito; ma a poco a poco qualcosa erale sfuggita lentamente. Gemmati avea capito il resto, e d’allora in poi erasi mostrato piú riservato, e piú discretamente affettuoso. Andava a trovarla di sovente, poiché sentiva che il darle occasione di parlar di lui le faceva bene, e che quel povero cuore tremante e malato aveva bisogno di esser rinfrancato da una voce amica. Le diceva poche parole, di quelle che sapeva giovarle, o stava zitto, ascoltando pazientemente i suoi discorsi scuciti e febbrili, o il suo silenzio eloquente. Ella avea finito per fargli leggere le lettere di Alberto, cosí fredde, cosí compassate, e gli dimandava dei consigli o delle lusinghe. Mostravasi cosí contenta allorché Gemmati dicevale che Alberto sarebbe ritornato ad amarla, ch’egli ripetevale spesso. L’amico le faceva piú bene del medico. Ella guarí infatti, o sembrò esser guarita.

Finalmente una sera piovosa, verso gli ultimi di ottobre, Alberto ritornò a Firenze, e arrivò a casa sua quasi all’improvviso.

Al suo annunzio Adele s’era rizzata di botto in piedi; tutto il sangue le era corso al viso, e vedendolo entrare era ricaduta tremante sulla poltrona, mentre il rossore e il pallore si alternavano rapidamente sulle sue guancie. Gemmati osservava con occhio inquieto cotesti sintomi, e rimaneva preoccupato. Alberti fu sorpreso dall’accoglienza che gli faceva, e parve arrestarsi un istante sull’uscio, e saettare uno sguardo rapido e profondo sulla moglie e su Gemmati. Poi era andato a stringerle la mano, l’aveva stretta anche al suo amico e s’era messo a sedere e a discorrere di quel che avea fatto e di cose indifferenti con aria distratta. Anche Gemmati erasi mostrato un po’ freddo verso l’amico, di cui il suo leale carattere non poteva scusare la condotta. L’arrivo di Alberto evidentemente avea gettato del ghiaccio nel discorso, che andava scucito e alla meglio. Dopo circa un quarto d’ora Alberto protestò una grande stanchezza e si ritirò.

L’indomani andò a trovare la moglie, e s’informò piú minutamente della salute di lei.

«E Gemmati .. lo vedi spesso?»

«Sí.»

«Ah!» e parlò d’altro.

Le disse della ubertosa vendemmia, e della Sassosa, la famosa Sassosa, e dei miglioramenti fatti, delle disposizioni date, delle occupazioni piacevoli che avea trovato in campagna.

«E tu?» le domandò. «Come hai passato il tuo tempo?»

«Ma… bene.»

«Sei molto pallida, sai! Devi esser stata piú male di quel che m’hai scritto.»

«Adesso sto meglio.»

«E Gemmati è il tuo medico?»

«Sí.»

«Dicono che sia un bravo medico. È stato sempre un uomo d’ingegno.»

«È verissimo, in pochi mesi qui a Firenze s’è fatta una bellissima riputazione.»

«E dei clienti?»

«Molti.»

«Devi essergli doppiamente grata in tal caso della sua assiduità…» Ella levò timidamente gli occhi sul viso marmoreo di lui. «Però trovo strano… davvero!… ch’egli non m’abbia avvisato della gravità della tua malattia… molto strano!» disse Alberto andandosene.

Adele era rimasta confusa, sgomenta, trepidante. In mezzo a tutto questo vago turbamento insinuavasi, come un raggio di sole fra le tristi nebbie della sua anima, la speranza che in quel cuore di sasso fosse ancora qualcosa di vivo che agitavasi per lei. D’allora in poi ella s’arrischiò timidamente a far scorgere anche a lui qualcosa di quel suo nuovo sentimento, di quella deliziosa speranza. Alberto volgeva uno sguardo sorpreso, penetrante, pensieroso su di lei a quelle commoventi esitazioni, a quegli slanci repressi, che tremolavano nello sguardo o vibravano nella voce o avvampavano nei rossori subitanei del suo viso. Aveva anch’egli di quelle esitazioni, di quelle distrazioni – il ghiaccio si liquefaceva, il dubbio si dileguava. Anch’egli sorprendevasi a stare piú lungamente del solito accanto a lei dopo il desinare, e a non cercare piú con tanta fatica i soggetti piú comuni per la sterile e penosa conversazione di quelle ore, o a non essere piú impacciato se il silenzio li sorprendeva tutt’e due, cogli occhi fissi sulla fiamma del camino. In certi momenti il cuore davagli come uno sbalzo in petto, la parola gli moriva sulle labbra, e volgea su di lei gli occhi distratti e profondi. Una sera, dopo aver preso il caffè, erano rimasti piú a lungo del consueto accanto al fuoco, ella come assorta in quel silenzio e deliziosamente turbata, egli astratto, stuzzicando i tizzoni colle molle.

Da qualche tempo le rare parole erano finite anch’esse; marito e moglie non avevano piú bisogno di parlarsi, non rimaneva loro che stringersi quelle mani le quali piú di una volta si erano stese l’una verso l’altra, allorché fu suonata una visita, ed il domestico annunziò Gemmati.

Alberto si scosse, si alzò bruscamente, e fece due o tre passi scostandosi dalla moglie con vivacità. Poi tornò indietro. Il suo volto avea ripreso la solita maschera di marmo. Ella a quel movimento del marito s’era fatta di brace.

«Fate entrare» disse il marchese, poiché sua moglie non dava alcun ordine.

«Ti faccio fuggire?» gli domandò Gemmati stendendogli la mano.

«Al contrario» rispose Alberti, senza avvedersi del gesto e tornando a sedere sulla poltroncina. «Ecco!»

Il discorso si avviò su cose indifferenti. Malgrado la gran forza di dissimulazione che possedeva Alberto, balenava di tratto in tratto nelle sue parole un’ironia dispettosa di sé stesso e d’altrui. Adele sbalordita dalla luce che si era fatta improvvisamente nella sua mente, taceva spesso, era spesso pensierosa, e sembrava imbarazzata. Gemmati sentiva l’effetto che aveva prodotto la sua visita, ed era impacciato anche lui, senza saperne troppo egli stesso il perché. Fra tutti loro Alberto solo mostravasi il piú amaramente disinvolto. Come accade qualche volta, a furia di cercar di stordire la preoccupazione comune col divagare sugli argomenti piú disparati, il discorso era sdrucciolato sul terreno scottante della cronaca galante, e parlavasi di un duello famoso nel quale un marito aveva avuto la peggio: duello che allora faceva le spese della conversazione in tutti i ritrovi della città.

«Ah» disse Alberto alzando le spalle. «Il giudizio di Dio!»

Adele lo guardò in viso. Gemmati aggiunse ridendo:

«Sei tu che parli cosí?»

«Perché no?» rispose Alberto serio serio, dopo un istante di riflessione. «Alla fin fine, se l’onore non ha un fondamento naturale, è una convenzione sociale anch’esso… una cosa falsa…»

«Ne sei convinto?» gli domandò Gemmati, ironico a sua volta.

«Perfettamente» rispose Alberti con calma.

Dopo che Gemmati se ne fu andato, Alberti rimase ancora soprappensieri poi si accomiatò dalla moglie. Vedendolo uscire, Adele fu due o tre volte per buttargli piangendo le braccia al collo e dirgli: “Oh, Alberto!…”. Ma le parole, lo sguardo, il sorriso, la fisonomia del marito le agghiacciarono il sangue nelle vene.

Al domani la colazione fra marito e moglie fu silenziosa. Si scambiarono appena le parole indispensabili di cortesia, e tosto alzato da tavola Alberti disse alla moglie:

«Non vai stasera al ballo di casa Rossi?»

«No» rispose Adele pensierosa.

«Non vai in nessun luogo!… È singolare!»

«Se lo desideri…»

«Non desidero nulla. Sembrami sconveniente cotesto stare rintanata in casa.. appena appena compatibile ad una innamorata Tu cominci a render ridicola la nostra luna di miele, mia cara… E sai bene che non ci ho colpa.»

Ed uscí.

Возрастное ограничение:
12+
Дата выхода на Литрес:
30 августа 2016
Объем:
210 стр. 1 иллюстрация
Правообладатель:
Public Domain

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