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In realtà nessuno dei due aveva ancora toccato cibo e bevanda: lui perché non fidarsi è sempre saggio, e lei perché da nobildonna giudicava sgraziato il gesto di cibarsi di fronte ad un semi sconosciuto che stava a guardarla.

«Fino al giorno in cui mi dettero in moglie praticai quasi esclusivamente la mia educatrice, una suora straniera che mi parlava latino.» spiegò Diamante.

Ritornò di nuovo il silenzio e in luogo della voce parlarono gli occhi.

«Vostra moglie è davvero fortunata, Roberto!» esclamò poi lei tra un’occhiata e l’altra.

«Perché dite questo?»

«Se non altro perché voi siete ancora vivo!»

Perciò sorrise.

«Sono sicuro che lo fosse anche vostro marito.»

«E voi, siete fortunato ad avere vostra moglie?»

Diamante gli stava chiedendo se il suo fosse un matrimonio felice.

Questa volta fu Roberto a sorridere.

«Amo molto mia moglie, e lei merita il mio rispetto.»

«Eppure mentre la vostra bocca sorride i vostri occhi piangono. La vostra anima, Roberto... nessuno può leggere la vostra anima, neppure vostra moglie; dico bene?»

Roberto sorrise di nuovo, ma questa volta per l’imbarazzo di sentirsi nudo e vulnerabile di fronte alla sua commensale.

«Il peso che un uomo come me è costretto a reggere sulle spalle, prima o poi piega anche l’anima più resistente. Per tutti questi anni ho provato a rendere felice mia moglie, e lei ha provato a fare lo stesso con me. Come posso tuttavia rivelarle la mia anima nera intanto che la vedo compiacersi di me e del bene che ha ricevuto dalla vita? Il suo sorriso è come un fiore dagli splendidi petali, che però sbiadirebbe se le confidassi il mio male.»

«E dunque preferite sopportare questo peso da solo!»

«Per amore del suo sorriso... solo per questo.»

Roberto sapeva di aver detto fin troppo, che l’aver aperto il suo cuore a quella donna non poteva che portare a spiacevoli conseguenze. Gli batté forte il cuore, quasi come se avesse già consumato il tradimento.

Ad un certo punto Diamante si alzò, girò attorno al tavolo e gli si parò dietro. Afferrò poi la coppa col vino di lui e disse:

«Capisco perfettamente se non vi fidate.»

A questo punto si portò la coppa alla bocca per berne un sorso. Con quel gesto Diamante intendeva dimostrargli non solo che il vino non fosse stato avvelenato, ma anche che poteva fidarsi di lei al punto da affidargli la sua anima.

Roberto seguì il movimento della coppa con lo sguardo, ma, un attimo prima che lei bevesse, le blocco il polso.

«Madonna, a volte il veleno è proprio la cura...»

E ne bevve un sorso.

«E la morte una guarigione... ma in questo caso, al limite, sarete soltanto ubriaco.»

«Mi ci vuole ben altro che un sorso di vino.»

Fu in quell’istante che Roberto avvertì il tonfo del vestito di lei sul pavimento

«Un solo sorso eppure siete già ebbro!» esclamò con disinvoltura Diamante mentre lui se ne stava a guardarla.

«Non è per il vino, ma per il veleno!»

Il veleno era quello che Diamante stava iniettando nelle vene di lui per piegarlo al suo volere e desiderio. Un veleno evidentemente efficace, poiché Roberto non poté fare a meno di farsi condurre nel suo letto.

Fu forse per il sortilegio di quella misteriosa donna... o forse l’uomo di fronte all’essere femminile è già vittima di un potente sortilegio... fatto sta che Roberto cadde preda di Diamante e non disse una parola, mentre lei lo sorprendeva dando sfogo ad una natura selvaggia e rabbiosa non ravvisabile in precedenza.

Poi la stanchezza ebbe il sopravvento e finito l’affare, nel frangente in cui le accarezzava i morbidi capelli e la schiena bianca, Roberto si addormentò, mettendo a tacere i rimorsi di una coscienza che quella sera si era rifiutato di ascoltare.

Si svegliò dopo non molto, e non certo perché avesse esaurito il suo sonno. Una gran confusione proveniva dall’aia e un bagliore intenso penetrava dagli scuri socchiusi della finestra.

«Diamante!» chiamò a gran voce, rendendosi conto che qualcosa non andasse e che la donna fosse sparita.

Guardò allora dalla finestra e si accorse che l’intero villaggio prendeva fuoco: le quattro abitazioni dei villani e presumibilmente anche quella in cui se ne stava. In quel preciso momento la carrozza con Costanza veniva portata via dalla zona abitata.

«Maledetti!» urlò come un matto.

Comprendeva di essere stato giocato, che un interno villaggio non brucia simultaneamente per caso.

Scese di sotto per darsi all’inseguimento, nondimeno le fiamme già divampavano sull’ingresso. Si coprì allora con una coperta e, gridando indomito con quanto fiato avesse, corse alla cieca contro le porte. Roberto ruzzolò sull’aia mentre la coperta prendeva fuoco in luogo dei suoi abiti.

«Venti con me!» comandò ai soldati.

Intanto ne disarcionava uno e gli requisiva il cavallo.

«Ermanno, il vostro secondo, porta al sicuro la Principessa... e dieci sono con lui!» spiegò quello che era stato appiedato.

«Venti con me!» ripeté Roberto, sicuro che Ermanno fosse in combutta con Diamante e che portasse via Costanza per far saltare il matrimonio.

«E voi, portate questi carri lontano dalle fiamme!» ordinò in conclusione al solito soldato, riferendosi ai veicoli col corredo nuziale.

Alla fine solo in quattro della scorta andarono dietro a Roberto.

Accorrevano intanto alcuni baroni del seguito del corteo, spaventati dalle alte fiamme elevatesi nel cuore della notte.

In lontananza si vedevano luci di torce, tanto piccole e distanti che parevano lucciole. Era quella la direzione che dovevano prendere, quella opposta allo sbocco sulla strada principale. Corsero perciò come matti nel buio della notte, scongiurando che il terreno non riservasse loro sorprese. Ad un certo punto compresero però che la carrozza era stata fermata. Roberto immaginò che Ermanno intendesse caricare Costanza sul suo cavallo per svignarsela prima del loro arrivo. Li trovò invece tutti lì, fermi e con i visi turbati proprio nei pressi del veicolo. In quel momento Ermanno era intento ad illuminare il viso della donna.

«Mio Signore, volevo condurre al sicuro la Principessa, ma questa non è lei!» fece stupefatto e confuso il cavaliere del Protonotario, ancor prima che Roberto prendesse parola.

Qualunque fossero le intenzioni di Ermanno, Costanza era sparita. Tutti fissarono Roberto, ma questi sembrava più interessato al recupero del suo orgoglio ferito che all’effettivo problema che si stava presentando. Diamante, quella donna, era riuscita a fargli abbassare la guardia, ed Ermanno, per certo alleato di questa, aveva provato ad attuare il suo piano proprio nel bel mezzo della sua distrazione. Roberto sbuffava dalle narici le stesse fiamme dell’incendio a cui era sfuggito, intenzionato com’era a farla pagare a chi l’aveva gabbato.

«Signore, la Principessa è sparita!» ribadì quello che stava accanto a lui.

Fu adesso che Roberto comprese pienamente cosa preoccupasse Ermanno e tutti gli altri.

Capitolo 5

Agosto 1185, Reate19

Roberto fissò l’uomo del Protonotario e, riferendosi al dilemma della Principessa sparita, rispose:

«Grazie al cielo la fanciulla che trattenete non è lei... altrimenti chissà cosa ne avreste fatto!»

«Portavo la carrozza al sicuro prima che l’incendio divampasse su di essa o che i banditi rapissero la Principessa.»

«Quali banditi?»

«Credete che l’incendio sia divampato per caso? Dove sono finiti i villani? Sono sicuro che qualcuno sarebbe intervenuto per rapire la Principessa.»

«Quel qualcuno ha un nome e un volto... ed è il vostro!»

«Voi mi accusate?»

Adesso Roberto guardò quei dieci che avevano seguito Ermanno e comandò:

«Sia tenuto in custodia fino a Rieti!»

Ermanno spinse via la ragazza che era presso di sé, sfoderò la spada e si rivolse ai soldati intorno:

«Se c’è qualcuno che ha rapito la Principessa, questi è proprio il vostro comandante! Ci dica prima dove si trova la vera Costanza.»

Gli uomini avanzarono timidamente, effettivamente confusi sul da farsi.

«Costanza è già a Rieti!» affermò Roberto.

E riguardo ad Ermanno ripeté:

«Tenetelo in custodia fino a destinazione. I funzionari del Re attendono già da giorni il nostro arrivo; saranno loro a giudicarlo.»

«Questo è un affronto che pagherete caro!» ringhiò Ermanno, mentre gettava a terra la sua arma e metteva a disposizione i polsi per farsi legare.

Giunsero in quell’esatto momento due dei baroni salernitani che accompagnavano il corteo.

«Perché lo fate legare, Messere?» chiese il primo.

«Qualunque cosa abbia fatto, sia chiaro che noi siamo testimoni di ciò che sta accadendo.» continuò il secondo, un tale Romualdo, un uomo molto vicino a Matteo di Salerno.

«È stato solo un malinteso... Roberto di Rossavilla mi ha scambiato per il rapitore della Principessa, e il buio gli ha impedito di identificarmi con precisione.»

Sapendo di essere in torto, Ermanno cercava di uscirne subito e pulito. D’altronde non aveva senso esporsi contro Roberto col rischio che le sue accuse fossero confermate in un tribunale. Ermanno si dimostrava prudente, ammetteva la sconfitta e si defilava dall’incomodo.

I soldati smisero di legare i polsi dell’accusato e questi completò il lavoro sciogliendo del tutto quei legami. Poi porse una mano a Roberto e gli disse:

«La stanchezza può fare prendere degli abbagli... e alla vostra età si è spesso molto stanchi. Avrete il mio perdono se voi ritirate le parole d’accusa che poc’anzi mi avete rivolto.»

Roberto si guardò attorno, fissò i due baroni sopraggiunti e rispose:

«Resterete al mio fianco da uomo libero; non vi accuso di nulla. Riguardo al vostro perdono: risparmiatevelo!»

Dunque gli voltò le spalle e ritornò verso il villaggio.

Stringeva i pugni per la rabbia di avergliela data vinta, tuttavia rimaneva soddisfatto per la concretezza delle sue scelte, quelle che avevano permesso a Costanza d’Altavilla di giungere sana e salva fino a Rieti.

Quella notte Roberto fece scandagliare la zona del villaggio palmo per palmo, sperando di trovare Diamante o almeno qualcuno dei villani. Cercava prove e testimoni che potessero provare la colpevolezza di Ermanno, ma non trovò niente e nessuno.

Alle prime luci dell’alba ripartirono infine per Rieti, e poco dopo mezzogiorno giunsero nella città pontificia. L’intera cittadinanza affollò allora le vie per tributare onore al passaggio di Costanza.

Il corteo era immenso, le strade strette e la folla si accalcava disordinatamente tra trombettieri e tamburini in marcia; impiegarono più di un’ora prima di arrivare a destinazione. Si fermarono dunque dinanzi al palazzo vescovile. Qui c’erano ad attenderli tale Benedetto, vescovo della città, Corrado di Urslingen, Duca di Spoleto e uomo in grazia al Barbarossa, i legati dell’Imperatore e alcuni funzionari del Regno che avevano preceduto il corteo.

A questo punto Costanza in persona, quella vera, scese dalla carrozza.

Gli uomini della scorta rimasero a bocca aperta, Ermanno credette di avere le traveggole e i baroni che erano abbastanza vicini per vedere si stropicciarono gli occhi. Roberto invece sorrise beffardo.

«Quell’uomo saprebbe imbrogliare il Diavolo!» esclamò uno del soldati.

«Quell’uomo è il Diavolo!» puntualizzò Ermanno, pieno di furore e allo stesso tempo di ammirazione per l’uomo che aveva creduto di poter vincere in astuzia.

Con la comparsa di Costanza venivano fugati anche i dubbi che si erano scatenati a causa della sua assenza. Lo stesso dicasi per il malcontento di alcuni baroni del corteo, che venuti a conoscenza del fatto che la Principessa non fosse con loro, si erano indignati oltremisura. Adesso si convinsero tutti che si trattava solo di voci; lo credettero perfino alcuni che erano stati testimoni oculari dell’assenza di Costanza.

Ed ecco comparire Giordano, il quale tutti credevano che fosse tornato in Sicilia. Egli scagliava occhiate infuocate ad Ermanno, consapevole che grazie alla scaltrezza di suo padre fosse riuscito a riprendersi il ruolo che l’altro gli aveva sottratto con la forza.

Quando Ermanno lo vide, sbuffò e si allontanò sconfitto.

«Signore, la Principessa è ritornata al suo posto quando abbiamo passato la porta Romana, poiché è stato l’unico momento in cui la vista della carrozza è stata del tutto occultata, proprio negli istanti in cui il corteo si è fermato per la prima volta; dico bene?» chiese a bassa voce un giovane soldato, uno di quelli che ammiravano profondamente il loro comandante.

«Figliolo, tu farai strada!» si complimentò Roberto.

Ovviamente Giordano aveva preparato ogni cosa e non era un caso che le guardie della città l’avessero fatto avvicinare alla carrozza proprio nel momento del passaggio delle porte della città.

Fatte le dovute presentazioni, si stabilì che le nozze per legatos20 si sarebbero tenute l’indomani, il 23, concedendo così alla Principessa e al suo seguito di potersi riprendere dal lungo viaggio. Comunque sia, quella stessa sera il Duca Corrado intrattenne tutti ad un fastoso banchetto, mostrando così la sua ospitalità agli ottimati giunti dal sud.

Fu adesso che Roberto si accorse che tra Costanza e Giordano, nonostante si trovassero agli angoli opposti della sala, correvano brevi ma intense occhiate. Immaginò che tra i due fosse nata una sorta di complicità durante il viaggio e sperò che non fosse successo di peggio. Ebbe perciò un colpo al cuore quando, a fine serata, la Principessa richiese la sua presenza in privato. Roberto provò una strana timidezza al pensiero di dover comparire dinanzi alla figlia di Re Ruggero e avvertì un forte imbarazzo ipotizzando che Giordano l’avesse oltraggiata in qualche maniera.

Quando Roberto entrò nella camera che ospitava Costanza, questa se ne stava di spalle alla porta e guardava fuori dalla finestra. Indossava lo stesso abito del banchetto, un lungo vestito verde molto austero. Costanza si copriva come al solito i capelli e il collo fino al mento, nonostante il caldo del periodo e i disagi dovuti al viaggio da poco concluso. Non appena la porta della stanza fu socchiusa - infatti una serva se ne stava appena fuori a garanzia della sua verginità - Costanza si voltò e guardò negli occhi Roberto, che confuso se ne stava in piedi e rigido.

«Io vi perdono...» fece lei con voce flebile, tanto bassa che Roberto credette di aver sentito male.

«Io vi perdono, Roberto di Rossavilla... vi perdono perché agite da buon cristiano e da suddito fedele.»

La malinconia che traspariva dal suo sguardo avrebbe spiazzato chiunque pure se fosse rimasta in silenzio.

«La lealtà è una nobile virtù!» concluse, mentre si sforzava di celare i gesti involontari del suo viso, segnali di un pianto soffocato.

Roberto reggeva il suo copricapo tra le mani e continuava a torcerlo per l’apprensione che quel discorso gli provocava.

«Mia Signora, se Giordano vi ha arrecato qualche disturbo, vi prego... prima ancora che voi mi accordiate il perdono, aspettate che io vi implori di concedermelo. Non avrei dovuto affidarvi a lui... Egli è valoroso, ma è anche giovane e inesperto.»

Sul viso della Principessa si stagliò un grande sorriso. Era la prima volta che Roberto le vedeva mostrare un accenno di felicità.

«Né Giordano né gli uomini che erano con lui, né le ancelle a cui avete affidato la mia cura in questo strano viaggio segreto mi hanno arrecato disturbo. Vostro figlio, Messere, ha reso meno dolorosa la mia prigionia.»

«Questo mi rincuora, ma... mia Signora, ho creduto che consideraste un onore prodigarvi per il bene della pace. Ora chiamate prigionia la vostra condizione, rendendomi inquieto e schiacciandomi sotto il peso di una colpa che non avevo considerato.»

«Sposerò un uomo che non ha ancora vent’anni, mentre io ne compirò trentuno il prossimo novembre. Ma questo è nulla, poiché il sacrilegio maggiore è stato compiuto quando sono stata strappata dal mio primo Sposo; di fronte a questo ognuno dovrà chiedere perdono direttamente a Dio!»

«Sono certo che Dio avesse disegni più gloriosi per la sua servitrice. La vostra unione con Enrico è il coronamento degli accordi di pace stabiliti tra tutte le potenze d’Italia. Eviterete che scorra ancora sangue... Dio comprenderà il vostro sacrificio.»

«Per quanto, Roberto?»

«Fosse anche per un solo anno, sarebbero comunque vite risparmiate.»

«Scorrerà ancora sangue e sarà fatto in nome mio, contro la mia stessa famiglia e contro il mio stesso popolo, poiché è certo che non tutti si inginocchieranno ai piedi di Enrico.»

Costanza chinò il capo e strinse in un pugno il crocifisso che portava al collo.

«Mia Signora, voi siete la figlia di Ruggero, il primo e il più grande Re che abbia mai seduto sul trono di Sicilia... e il vostro promesso è l’erede dell’uomo più potente d’Europa. Immaginate cosa sarà il vostro discendente! Egli sarà per forza di cose grande, e dopo di esso il mondo non potrà essere più lo stesso.»

Roberto aveva già espresso le sue perplessità a Guglielmo, ma a chiunque altro non avrebbe mai detto cosa pensava, poiché la sua lealtà al Re, oltre che nei fatti, stava nelle parole. Ora sosteneva a spada tratta quella decisione, ma in cuor suo sapeva che fosse sbagliata... o perlomeno ambigua.

«Desideravo per me solo la pace di Dio.» riprese Costanza.

«Non per voi, ma per il mondo intero, perché sono sicuro che se mai esisterà qualcuno in grado di pacificare la Terra questi verrà dalla vostra discendenza. Pensate a quali mezzi e risorse e potere avrà a disposizione unendo i due regni in un solo dominio!»

«Basta! Non mi convincerete con questi discorsi. Domani non sorriderò di fronte al legato dell’Imperatore, e nemmeno di fronte al Vescovo. Mi illusi un anno fa che Guglielmo, mio nipote, potesse comprendere l’inviolabilità di una vocazione sincera, ma fu tutto inutile. Ed ora mi sono illusa che poteste comprenderlo voi.»

Roberto avvertì in lei tutta la delusione di non essere stata compresa, dunque si inginocchiò ai suoi piedi e supplicò:

«In tal caso, mia Signora, invoco il vostro perdono...»

«Ringraziate vostro figlio. Mi ha parlato di voi e della vostra cieca fedeltà a Guglielmo. Perciò vi perdono, perché l’avete fatto credendo nella vostra causa. Non perdono tuttavia coloro che mi hanno usata per i loro affari; chiedano piuttosto perdono a Dio!»

E detto questo affondò una mano tra i capelli di Roberto, dimostrando di avergli concesso ciò che chiedeva. Poi tornò a fissare la finestra e riprese:

«Avrei voluto avere la vocazione e il coraggio di Rosalia de’ Sinibaldi. Se fossi stata un’eremita nessuno avrebbe saputo dove cercarmi. Avevo cinque anni quando Muhammad al-Idrīsi mi parlò di un’isola, un luogo incantato e lontano dai rumori del mondo e della corte. Su di essa correvano a rifugiarsi lui e mio padre, per discutere di filosofia, di astronomia e di religione. Marìtima21, il luogo più occidentale del Regno, su cui sorge un remoto castello e dove il vento sospinge l’odore del timo selvatico e della spuma marina; ecco dove vorrei trovarmi adesso! Tutto questo, invece, è per me una prigione!»

Roberto si era rialzato ed era molto vicino a lei. Preso perciò da una sorta di affetto paterno le accarezzò un braccio e le disse:

«Nemmeno io vorrei essere dove sono e fare quel che faccio.»

«Dunque mi comprendete?»

In fondo la congrega del Sancta Sanctorum, per sentimento di appartenenza e per devozione alla causa, non era molto diversa da una confraternita monacale.

«Credo di potervi capire.» affermò Roberto, deglutendo la tristezza che lo attanagliava da più di un mese.

«Voi, però, dopo che mi avrete consegnata agli uomini dell’Imperatore, tornerete a casa.»

«La mia prigione la porto nell’anima, mia Signora, e non basterà tornare a casa per essere libero.»

«Dunque fuggite a Marìtima!» esortò con estrema semplicità d’animo Costanza.

Roberto fu preso da infinita dolcezza e, accarezzandole il volto col dorso della mano, rispose:

«Figliola, quale male vi è stato fatto!»

Costanza non aveva mai conosciuto suo padre e quella carezza fu la sensazione più simile all’affetto paterno che avesse mai avvertito. Strinse allora la mano di lui e piegò la testa su di essa, abbandonandosi ad occhi chiusi e piangendo.

«Mi è stato detto che il corteo ha subito un attacco.» chiese adesso spiegazioni, staccandosi da lui e sedendosi sul bordo del letto.

«Ci hanno provato, mia Signora.»

«Ma voi siete Roberto di Rossavilla... Quanto sarebbe stato meglio che foste un altro!»

«Avreste preferito che vi rapissero?»

«Il ratto, la morte o questo matrimonio... che differenza passa? E che differenza passa tra me e Tancredi?»

«Il Conte Tancredi è un illegittimo, mentre voi siete la figlia di Ruggero!»

«Ma è pur sempre un Altavilla, e lo sono anche i suoi figli, mentre io sarò una nobile di Svevia22, e similmente lo saranno i miei figli. E gli interessi di quale popolo faranno i figli di un germanico? Non comprenderanno questo popolo che parla molte lingue... questo Regno in cui ognuno prega il suo proprio Dio dove ritiene più giusto farlo.»

«I figli sono frecce nella faretra; voi saprete indirizzarli nella giusta direzione.»

«Come avete fatto voi con Giordano? Quanto avrei voluto che non vi somigliasse tanto e che invece di condurmi a Rieti mi vendesse al nemico!»

«Voi vaneggiate.»

«La verità è che non ho nessun interesse nella vita materiale, e che in cuor mio non ho mai rinnegato i voti che feci a Nostro Signore. Ho compreso l’interesse di vostro figlio sin dal primo giorno... Egli è l’uomo più gentile e amabile che abbia mai incontrato, ma io non conosco quel sentimento che conduce alla follia una donna. Sono sicura che se glielo avessi chiesto mi avrebbe condotta altrove, tuttavia non avrei mai potuto ricambiarlo, e lui merita quello che in questa vita io non posso essere.»

«Ciò che dite di Giordano mi onora come non mai, mia Signora!» esclamò Roberto, accennando una riverenza e battendosi il petto ad occhi chiusi.

«Onora me averlo incontrato... e avervi incontrato.»

Roberto piegò definitivamente un ginocchio e le baciò la mano, così come farebbe un cavaliere che lotta per la causa, un cavaliere che ha giurato fedeltà alla sua signora.

«Guglielmo è vostro coetaneo e regnerà ancora per molti anni. Io invece sono vecchio e conduco me stesso al tramonto dei miei giorni... ma sarebbe stato un onore giurare al vostro cospetto e obbedire alla vostra parola di Regina!»

«Sarebbe stato per me un onore servirvi.»

Con “servirvi” Costanza indicava l’esercizio del potere regale, il servizio che un buon sovrano deve ai suoi sudditi. Manifestava così la sua anima trasparente e onesta.

Quando Roberto uscì da lì si mise immediatamente alla ricerca di Giordano. Lo immaginava affranto e in pena per quei sentimenti che lo spingevano in opposta direzione al destino. Lo ritrovò quindi dopo un’ora, mentre se ne stava inginocchiato alla sola luce delle candele della cattedrale sotterranea. Roberto ripensò alle parole di Costanza ed ebbe un rigurgito d’orgoglio nell’osservare la bionda chioma china innanzi al crocifisso. Poi gli fu accanto e gli disse:

«Porti la spada pure in chiesa ma non ti accorgi di chi ti arriva alle spalle...»

«Ho sentito i vostri passi; saprei riconoscerli anche se questa navata fosse piena di gente.»

«Perché sei qui?»

Giordano guardò suo padre e rispose:

«Mia madre mi ha cresciuto da buon cristiano. E voi, perché mi cercavate? Anche se conosco già la risposta...»

«Non c’entra niente il matrimonio col figlio del Barbarossa... il cuore di Costanza appartiene già a Nostro Signore.»

«Sposerà quell’uomo e tradirà comunque Dio! Dunque, se costretti, Dio si può anche rinnegare... Perché non rinnegarlo allora per chi la ama davvero?»

«La dimenticherai.»

«Voi non vi siete perso nella sua tristezza... Non avete visto i suoi occhi color cielo gonfiarsi di lacrime.»

Ora Roberto gli poggiò una mano sulla spalla e gli parlò con fermezza.

«Giordano... apri gli occhi! Quanto vali tu dinanzi alla pace? Quanto vali tu dinanzi agli editti del Re e ai decreti del Regno? Quanto valgo io di fronte a tutto questo? Abbiamo giurato di morire per Guglielmo e per difendere la sua volontà. Rammenta il tuo giuramento, figliolo!»

«I sostenitori di Tancredi dicono che questo matrimonio sarà la fine del nostro Regno.»

«I sostenitori di Tancredi non sono gli editti del Re e i decreti del Regno. Le loro sono solo parole... parole vane.»

«Mi chiedo quanto saremo disposti a rinunciare per sostenere la volontà di Guglielmo.»

«Dipende da quanto ci credi.»

«Io non so più in cosa credere, padre. Forse finora ho creduto solo in voi, ma questa... questa è una causa sbagliata!»

«Lo dici per il Regno o per Costanza?»

«E qual è la differenza?»

Il tono di Giordano era stato un crescendo di fervore e rabbia. Dunque, concludendo, si alzò in piedi e lasciò suo padre da solo, innanzi al Cristo e innanzi all’immagine delle proprie inquietudini.

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Возрастное ограничение:
0+
Дата выхода на Литрес:
26 января 2021
Объем:
260 стр. 1 иллюстрация
ISBN:
9788835417354
Правообладатель:
Tektime S.r.l.s.
Формат скачивания:
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