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Capitolo 3

Primi di agosto 1185, Salernum16

Guglielmo desiderava che il suo nuovo alleato recepisse tutta la sua volontarietà e amicizia nell’affare, perciò aveva accompagnato Costanza per mare fino a Salerno. D’altronde una futura regina e imperatrice non poteva che essere accompagnata da un re...

Componevano il seguito cortigiani, dame di compagnia, ancelle varie e un gran numero di armigeri a scorta di un ricchissimo corredo nuziale. Roberto era a capo della scorta che avrebbe dovuto difendere l’incolumità della promessa sposa, e Giordano, il suo primogenito, gli era a fianco.

La prima volta che l’uomo di fiducia del Re aveva incontrato il viso di Costanza, era rimasto stupito vedendo come la bellezza avesse trionfato sull’età. Gli occhi erano del colore del cielo e la chioma della tinta del grano, tuttavia era la malinconia che emanava il suo volto a lasciare turbati. La sua espressione stessa costituiva un enigma: si era sottomessa di buon grado alla ragion di stato o dentro di sé odiava quella decisione imposta? Costanza avrebbe preferito il perdurare della casata o piuttosto aveva valutato ambiziosamente la sua ascesa? Erano mille le domande che quel candido viso sollevava... su tutte una in particolare: come aveva potuto rinnegare Dio per darsi in matrimonio al figlio del Diavolo? Ovviamente tutti sapevano quanto poco c’entrasse la sua volontà, che nella decisione di sposare un marito di undici anni più giovane doveva esserci stata una bella dose di costrizione, tuttavia preferivano criticare lei piuttosto che un re che se buono lo era di nome doveva esserlo necessariamente anche di fatto.

Sbarcato a Salerno, gli ottimati della città accolsero in gran pompa il Re e tutto il suo seguito. In special modo furono i dottori della Scuola Salernitana, medici senza uguali nel mondo, a sorprendere Guglielmo con la rivelazione di nuove scoperte e con la spiegazione degli ultimi ritrovati medicamentosi. Come tutti gli Altavilla, anche il Buono era ricettivo alle scienze, e non poté fare a meno di promettere nuovi donativi a quella scuola che rendeva il Regnum all’avanguardia nelle arti mediche.

Del seguito di Guglielmo facevano sempre parte un medico e un astrologo. D’altronde per un uomo eclettico come lui conciliare scienza e superstizione era qualcosa di possibile e necessario. Guglielmo era tuttavia un Re anche attento agli affari religiosi, tanto da divenire il primo dei sovrani siciliani a prendere parte alle guerre sante. Anzi, si può ben dire che quella di dover sconfiggere gli infedeli nei luoghi di pellegrinaggio del Levante fosse proprio la sua ossessione. Nonostante si fosse scontrato con il Saladino numerose volte ed in ogni occasione ne fosse uscito sconfitto, egli non cambiava i suoi obiettivi. Se dunque in patria il Buono era prodigo di tolleranza nei confronti dei saraceni e stringeva accordi commerciali con quelli d’Africa, si dimostrava una spina nel fianco per i mori che abitavano in fondo al Mediterraneo.

Di certo questo interesse per le guerre di religione era dovuto all’accresciuta influenza che i vescovi avevano a corte. Un influenza talmente grave che adesso i saraceni che vivevano a Palazzo erano costretti a nascondere le proprie usanze. Per di più, a differenza del passato, le arti maggiormente patrocinate erano ora quelle letterarie e umanistiche, ovvero quelle viste più di buon occhio dalla Chiesa.

Ritornando a Salerno, l’atmosfera era quella di festa. D’altronde c’era un motivo se Guglielmo avesse scelto quella città come porto d’approdo per l’inizio del lungo viaggio che avrebbe dovuto condurre Costanza a Milano. Salerno era la città natale del Protonotario Matteo, il principale oppositore all’accordo matrimoniale con Federico Barbarossa. Si evince perciò che Salerno era candidata a diventare il principale centro d’opposizione alla volontà reale. Alla luce di tutto questo, Guglielmo intendeva ingraziarsi la popolazione rendendole onore con la sua presenza e rendendola partecipe della gioia derivante dal matrimonio del secolo. Ed infatti, già al secondo giorno dal suo arrivo, venne proclamata la notizia che sulla spiaggia, non distante dal porto, era stata montata la giostra.

Accorsero in centinaia, nobili, notabili, poveracci e delinquenti, tutti desiderosi di vedere il volto del Re e i giochi da lui promossi.

Una tribuna coperta era stata montata durante la notte sul bordo della spiaggia; qui sedeva Guglielmo. Costanza, parata a festa, gli sedeva accanto, messa in bella mostra al popolo e ai cavalieri che a lei, quale dama d’onore, avrebbero tributato lo scontro e la vittoria. Lanciavano la sfida i nobili siciliani del seguito del Re e l’accettavano gli ottimati del posto. Tutto faceva chiaramente parte di una strategia politica atta ad unire in una sola volontà la corte palermitana e la nobiltà locale.

Faceva molto caldo, tanto che la gente che affollava la spiaggia preferiva stare ammollo all’acqua salata. Dopo una parte di spettacolo in mattinata, si decise che si sarebbe ripreso nel pomeriggio, quando il sole avrebbe picchiato con meno intensità sulle teste del popolo e sugli elmi dei cavalieri partecipanti.

Era stato organizzato un rinfresco ai piedi del monte su cui sorge il castello dei longobardi, sede temporanea di Guglielmo nel suo soggiorno a Salerno. A tale evento, che aveva luogo sotto un enorme padiglione, partecipavano tutti gli uomini più in vista della città.

Mentre Roberto sorvegliava il Re e lo vedeva ricevere dall’alto del suo seggio i baroni locali, giunse Giordano, il quale era stato incaricato di sovrintendere alla guardia che si trovava sull’esterno.

«Padre, ditemi: aveste mai qualche contesa con qualcuno di Salerno?»

Roberto sorrise, come a sottolineare la banalità della domanda, e rispose:

«Gli amici puoi anche scordarli, Giordano, ma i nemici mai! L’avrei ricordato...»

«Un tale Ermanno, cavaliere legato alla famiglia del Protonotario, intende sfidarvi alla giostra.»

«Perché proprio a me?»

«Afferma di conoscere il vostro passato e di avervi in stima. Vuole misurarsi col migliore... così dice.»

«Perché dunque non viene a chiedermelo di persona?»

«Perché non gli ho permesso di entrare.»

Roberto si arrabbiò e rispose:

«Ti affido compiti che io alla tua età mi sarei solo sognato di poter assolvere... ma a volte dimentico che ventitré anni possono essere davvero pochi... Sua Maestà si ingrazia gli amici e tu tieni alla porta i potenziali nemici? Lascialo entrare e scusati per il malinteso.»

Giordano se ne andò mortificato.

Il primogenito di Roberto in molte cose somigliava più alla madre. Aveva gli occhi azzurri e i capelli biondi di Guida, come pure un temperamento impulsivo che non si era mai ravvisato in suo padre. Era un idealista, proprio come Roberto, ma differiva da lui per i metodi che preferiva usare.

Quando Giordano si ripresentò, lo accompagnava il tizio a cui aveva accennato prima. Ermanno era un trentenne alto e di bell’aspetto, dallo sguardo profondo e dai capelli bruni e crespi. Aveva labbra carnose e un colorito bronzeo; indubbiamente era stato il sole a scurirlo in quella maniera. Portava una corta barba ben curata e vestiva gli abiti di chi è a festa.

«Mio Signore, non avrei mai pensato che un giorno avrei potuto incontrarvi qui, nella mia città. Ermanno, cavaliere di ventura!» si presentò il nuovo giunto, parlando con voce virile e scura e porgendo la mano.

«Un mercenario! E chi servite di questi tempi, Ermanno?»

«La mia lealtà è sempre stata incondizionata verso la casa di Matteo Protonotario.»

«Dunque ricevete il soldo benché serviate un solo signore...»

«Matteo mi prese in affido quando non ero che un fanciullo, per l’affetto che nutriva per mio padre.»

«Eravate ancora bambino quando mi facevo conoscere; perché desiderate sfidarmi?»

«Perché voglio che si dica che Ermanno di Salerno è stato in grado di battere alla giostra Roberto di Rossavilla, l’uomo verso il quale Re Guglielmo ha riposto la sua piena fiducia.»

Ermanno sorrideva e aveva un espressione da sbruffone.

Perciò Roberto, con impareggiabile calma e serenità, ricambiando il sorriso, rispose:

«È fuori discussione! Non posso permettere che l’incolumità del Re e della Principessa venga compromessa da tali distrazioni.»

«E dunque preferite perdere il vostro onore?» chiese provocatoriamente l’altro.

«Come osate rivolgervi così ad un uomo di cui voi non valete nemmeno la metà?» intervenne Giordano, digrignando i denti e sbuffando dalle narici.

«Padre, raccolgo io la sfida!» aggiunse inoltre.

Roberto agganciò il capo di Giordano sotto l’ascella e, voltandosi, gli disse all’orecchio:

«Ti disarcionerà al primo colpo!»

«Non lo temo.»

«Le schegge delle lance di frassino possono essere mortali tanto quanto il ferro affilato.»

«Temete di perdere, Messere?» aizzò ancora Ermanno.

«Non lasciate che ci insulti ancora!» esclamò Giordano, alzando il volume della voce.

«Vi scontrerete con me, Ermanno di Salerno!» concluse poi, rivolgendosi una volta per tutte al molesto cavaliere.

La scena inconsueta aveva catturato l’attenzione di molti presenti, e pure il Re se n’era accorto.

«Credo che sia un’ottima idea, Messer Roberto!» intervenne a questo punto proprio Guglielmo, fingendosi divertito per via del siparietto, ma in realtà spaventato che quello scambio di frasi potesse compromettere i suoi disegni politici.

Inoltre aveva davanti a sé l’Arcivescovo della città, figlio secondogenito del Protonotario, personaggio di cui non si fidava e che puntava ad ingraziarsi.

Roberto chinò il capo, sottomettendosi alla decisione del Re. Giordano invece ne uscì compiaciuto, consapevole che quel giorno avrebbe avuto l’opportunità di dimostrare le sue abilità davanti a tutta la gente che contava.

Per volere di Guglielmo la gara tra i due giovani sfidanti si sarebbe tenuta per ultima, al tramonto.

Quando l’araldo d’armi blasonò gli scudi, una lunga scia dorata illuminava già la superficie del mare, essendo il sole basso ed il cielo purpureo.

Lo stemma dei Rossavilla era composto da un’ascia danese sovrastata da una verde foglia di quercia inserite in uno scudo a campo rosso.

Ermanno si fregiava invece del blasone dell’Arcivescovo di Salerno, e Roberto, identificandolo, poté dare conferma alle notizie raccolte durante il pomeriggio. Gli avevano detto che colui che l’aveva sfidato non era altri che il figlio naturale di tale Giovanni, avuto da questi in gioventù prima che diventasse Vescovo di Catania. Giovanni era deceduto da molti anni e da allora il fratello, proprio il Protonotario Matteo, l’aveva accolto in casa sua e cresciuto come un figlio. Ermanno non poteva essere legittimato per via dello scandalo che si sarebbe potuto sollevare, ma godeva in tutto e per tutto degli onori riservati ad un nobile d’alto rango.

Come detto, Ermanno portava lo scudo di suo cugino l’Arcivescovo di Salerno, proprio quello di un prelato, e questo nonostante il papato avesse proibito i tornei tra cavalieri. Ma d’altronde si sa, le questioni religiose del Regnum erano prima di tutto competenza del Re, e poi di Sua Santità.

L’arbitro stabilì che i destrieri corressero all’incontro su una linea immaginaria che permettesse di avere il sole in perfetto profilo, evitando quindi che abbagliasse l’uno maggiormente che l’altro. Nonostante questo i due cavalieri poterono notare come il bagliore dei raggi solari, penetrando dalle fessure dell’elmo, recasse loro fastidio.

Ognuno spronò la propria bestia e questa sbavò come fosse una fiera famelica, mentre nitriva e sbuffava dalle narici. La spiaggia tremò e la rena sobbalzò per la corsa dei due cavalli. Ermanno, il quale veniva da sinistra, portò in alto il braccio, facendo sì che lo scudo impedisse ai raggi solari di infastidirlo. Giordano, invece, venendo da destra, teneva lo scudo dall’altro lato, verso est. Quando furono giunti in prossimità dello scontro, il cavaliere di casa rimise in posizione il proprio scudo, ma aveva ormai calcolato il bersaglio. Colpì Giordano proprio al centro dello scudo e lo fece con una forza tale che la lancia si frantumò in mille pezzi e l’avversario finì col viso sulla sabbia. Ermanno gettò un urlo per esaltare la propria vittoria, ma lo sconfitto, giungendo da dietro e appiedato, lo afferrò per la metà di lancia ancora integra e lo tirò giù, disarcionandolo.

«Fellone!» urlò il primogenito di Roberto.

Ermanno allora si alzò e, volgendo lo sguardo alla tribuna, richiese:

«Sire, concedetemi di ripagare quest’offesa ora, su questa spiaggia!»

Roberto impugnava già l’elsa della sua spada ed era pronto a dare ascolto al suo istinto di genitore qualora Ermanno avesse colpito Giordano. Guglielmo dovette accorgersene, poiché con calma rispose:

«È un giorno di festa, Messere... placate la vostra rabbia e considerate l’offesa come parte del gioco... nullo interveniente odio17

«Io invece ribadisco che quest’uomo è un fellone!» ripetè Giordano, facendo un passo avanti e aprendo la visiera.

«Non ha retto il suo scudo in posizione corretta. Ho mancato il bersaglio perché esso non era nella sua posizione.» aggiunse ancora lo sconfitto.

«L’intera spiaggia mi è testimone che il bersaglio era nella sua posizione al momento dello scontro.»

Immediatamente i presenti si divisero tra coloro che asserivano di aver visto lo scudo ritornare in posizione e coloro che affermavano di averlo visto per tutto il tempo in alto.

Il verdetto poi arrivò come una doccia fredda per Ermanno.

«Squalificato... per aver occultato il bersaglio!»

Il cavaliere salernitano si allontanò contrariato, scuotendo la testa e prendendo a calci la tiepida sabbia. Giordano invece gioì, credendo che l’onestà avesse trionfato sui sotterfugi dell’altro. Tuttavia il giovane siciliano aveva ben poco di cui gioire; gli obiettivi reconditi di Ermanno avevano avuto successo.

A sera inoltrata, intanto che si attardava a rimirare dalle mura del castello le torce sulle lontane barche dei pescatori, Guglielmo convocò Roberto.

«I giudici del torneo hanno concesso la vittoria a Giordano.» espresse il fatto cardine delle sue prossime parole il Re.

«Conosco mio figlio e so bene quanto il suo carattere impaziente lo svantaggi in questo genere di attività. Io, Sire, ero contrario.»

«Eppure ha vinto!»

«Non per il suo valore; bisogna riconoscerlo...»

«Un padre che giudica con obiettività il proprio figlio è un buon padre! Bene, accetterete allora più facilmente quello che sto per dirvi. Ho ricevuto la visita dell’Arcivescovo giusto un’ora fa. Chiede che il prode Ermanno sostituisca vostro figlio in questa missione.»

Roberto si voltò dall’altro lato, tentando di nascondere tutto il suo turbamento agli occhi del Re.

«Che cosa vi avrebbe chiesto se avesse sconfitto me?» domandò il nobile palermitano, spiazzato e confuso.

Dunque Guglielmo affondò il colpo al suo cuore già provato.

«L’ho accontentato, Roberto... mi dispiace.»

«Le provocazioni di quello sbruffone facevano chiaramente parte di un piano ben studiato... di cui sono complici pure l’Arcivescovo e il Protonotario. Vogliono il controllo di questa missione... per sabotarla!»

«Ringraziamo il cielo che voi rimanete ancora al vostro posto senza che abbia dovuto scontentarli. In guerra il nemico non si attiene alle regole, così come non ha fatto Ermanno, e vostro figlio non è la persona più adatta ad affrontare i pericoli di questo viaggio; ecco con quali argomentazioni ha provato a convincermi...»

«Giordano partecipava ad un torneo, e non alla guerra!»

«Lo so bene... ma che altro avrei dovuto fare quando la mia presenza a Salerno ha proprio lo scopo di attirarli alla nostra causa? Sono molti i baroni che seguiranno il corteo nuziale fino a Milano, e a quelli partiti con noi da Palermo si aggiungeranno quelli che si sono uniti in questi giorni. Sono sicuro che molti di loro sono dalla parte del Protonotario. Roberto, amico caro, Messer Ermanno da questo momento vi sarà secondo... Guardatevi da lui come se fosse il vostro peggior nemico!»

La mattina del giorno seguente Giordano e pochi altri al suo seguito lasciavano Salerno. Passavano per la piazza principale, affinché la decisione del Re fosse sotto gli occhi di tutti. La rimozione di Giordano dal suo incarico significava infatti che Guglielmo non avesse favoriti e che fosse disposto ad accogliere uomini della fazione capeggiata da Matteo.

Giordano se ne andava a testa bassa, sconfitto nell’anima e demolito nella sua sicurezza. Roberto, che avrebbe dovuto essere lì a consolarlo, schiacciato da un peso perfino maggiore non trovò il coraggio per assistere alla sua partenza.

Capitolo 4

Agosto 1185, territori pontifici

Il ventiquattro di agosto l’esercito dei siciliani entrava a Tessalonica, conquistando e devastando quella preziosa città dipendente da Costantinopoli. Tancredi si fregiava di un grande successo e Margarito di Brindisi, futuro comandante della flotta, si faceva un nome famoso. Ai successi militari, Guglielmo desiderava però aggiungere quelli diplomatici, e così, qualche tempo prima che l’impresa greca avesse luogo, aveva permesso che il fastoso corteo che scortava Costanza partisse da Salerno.

Si era concordato che alcuni rappresentanti del Barbarossa attendessero la futura sposa nella città pontificia di Rieti. Qui la principessa normanna avrebbe formalmente sposato il giovane Enrico, benché questi non sarebbe stato presente a causa dei funerali di sua madre.

Come ogni cosa, anche quella sosta aveva un forte significato simbolico, indicava infatti l’approvazione papale di quell’unione in virtù degli accordi presi al tavolo delle potenze d’Italia. Inoltre Rieti era la prima città fuori dai confini del Regnum che si incontrava provenendo da sud, e poco più a nord Costanza sarebbe entrata nei territori dell’Impero. Era di buon auspicio che al passaggio del confine la principessa normanna vestisse già gli abiti della futura regina consorte.

Degli uomini della scorta davvero in pochi potevano dire di aver mai visto la figlia di Re Ruggero da vicino, e per certo nessuno l’aveva più vista in viso da che erano partiti da Salerno. La carrozza sulla quale se ne stava era tenuta sotto strettissima sorveglianza, e solo ad un esiguo numero di ancelle era permesso di accedere alla sua presenza. Costanza non mise mai piede fuori dalla sua abitazione mobile e le dame che la servivano diffusero la voce che fosse indisposta e scombussolata per il viaggio.

Roberto in persona scortava il veicolo della Principessa, mentre aveva affidato ad Ermanno la sovrintendenza del ricco corredo nuziale. L’uomo di fiducia del Re gli avrebbe ceduto perfino il controllo della sua anima pur di tenerlo lontano da Costanza.

Ad ogni modo il rapporto tra i due si distese quando Roberto scoprì nell’altro un abile e piacevole conversatore. Ermanno d’altronde non espresse mai le sue vedute politiche, non potendo certo ammettere di essere contrario alla missione di cui faceva parte. Se non fosse stato per i pensieri di Roberto rivolti al figlio umiliato, sarebbero sicuramente diventati buoni amici, o almeno questo è quello che avrebbero mostrato di essere... Infatti Roberto non avrebbe mai abbassato la guardia, e prevedeva che Ermanno, prima che il viaggio giungesse al termine, avrebbe manifestato la sua vera natura. Aveva giudicato per anni le anime nere del Regnum e adesso non gli sarebbero sfuggiti i veri disegni del giovane cavaliere.

Facevano parte del corteo anche alcuni baroni, religiosi e uomini in vista del Regno, i quali rendevano ancor più pomposo il seguito della futura regina. Nessuno di questi, comunque sia, si sarebbe mai potuto avvicinare a Costanza senza ottenere il permesso di Roberto.

Appena un giorno prima di arrivare a Rieti, circondati dai rilievi dei Preappennini, così come dai castagni, dai lauri e dai noci, giunsero nei pressi di un piccolissimo villaggio.

Roberto e gli uomini del grosso della colonna si erano appena accorti del fumo che si elevava dagli alberi in lontananza, segno inequivocabile della presenza umana, quando un soldato dell’avanguardia tornò indietro e venne cavalcando verso di loro.

«Signore, dei villani ci invitano a passare la notte presso le loro case.» annunciò quello che era appena arrivato.

Era strano che gente comune non diffidasse di uomini armati, quindi Roberto, desideroso di vederci più chiaro, si staccò da quelli che gli stavano vicino e avanzò fino all’avanguardia.

Un gruppo di una ventina di persone aveva occupato la strada e i soldati del Regno se ne stavano a pochi passi. Guidava quei villani una donna dai capelli biondo rame e dagli occhi del colore della giada. Per certo, osservando quanta beltà spandeva il suo candido viso, ammirando l’elaborata acconciatura e soffermandosi sulle sue vesti raffinate, doveva trattarsi della signora di quei luoghi. A motivo dei suoi tratti maturi era possibile inserirla nella quarantina, ma a dispetto dell’età conservava una bellezza tale da lasciare impietriti.

Quando la donna vide Roberto, si avvicinò veloce e, piegando leggermente le ginocchia e il capo in sottomissione, esordì:

«Attendiamo da giorni il vostro arrivo!»

La sua voce era calda come il sospiro dello scirocco tra gli alberi del Parco Reale, e le sue labbra erano del colore del melograno. Per di più alcune lentiggini sugli zigomi spezzavano la monotonia della pallida carnagione.

Roberto era un uomo tutto d’un pezzo, tuttavia rimase ammaliato dall’aspetto e dai modi di quella donna in nemmeno cinque minuti. Dunque, nel tentativo di non farsi distrarre, si voltò verso le guardie al suo seguito ed esclamò sarcastico:

«Il papa ci manda i suoi messi!»

Tutti risero.

«No, in verità io sono l’inviata di me stessa, Signore! Attendo il vostro passaggio in questa contrada da molti giorni, per rendere omaggio alla Principessa Costanza. Mi piacerebbe anche solo vederla, Signore... Se tuttavia questo non mi è permesso, accettate almeno l’ospitalità mia e di questa gente, pernottando nel villaggio.»

«Possono una manciata di villani provvedere alloggio a tutta questa folla?»

«No, avete ragione, ma l’aia è molto grande e vi sono due pozzi molto profondi da cui potete rifornirvi.»

In quell’esatto momento giunse Ermanno dalle retrovie.

«Signore, uno dei carri ha un’asse che sta quasi per cedere; temo che prima di giungere a Rieti ci darà delle noie. Chiedete a questa gente se tra loro vi è un facocchio18

Si fece avanti un tizio con uno strano cappello a punta. Questi teneva i suoi due bambini sottobraccio.

«Messere, io sono il facocchio di queste terre; non ne troverete un altro fino in città.»

«Qualunque servizio sarà offerto a mie spese!» propose la donna.

Roberto ci pensò un attimo e poi concluse:

«Giusto il tempo per riparare l’asse e per dare da bere alle bestie.»

Per molti del corteo quella decisione era la cosa migliore successa durante la giornata. La maggioranza andava a piedi e la voglia di riposare era forte. D’altronde era quasi il vespro e a breve avrebbero montato comunque l’accampamento.

Entrarono nell’aia del villaggio e al centro sistemarono i carri con il corredo nuziale. La donna che li aveva accolti mise a disposizione dei soldati la casa principale e nei pressi di questa collocarono la carrozza sulla quale viaggiava Costanza. Si trattava di una costruzione di legno strutturata su due livelli, di cui solo le mura basali erano di pietra. Essendo l’edificio più alto, al piano superiore Roberto piazzò le vedette. Corredavano quel luogo altre quattro abitazioni, e in ognuna di esse era presente una bottega sul davanti.

Diffidente come sempre, Roberto diede ordine che nessuno toccasse cibo offerto dai villani e che la stessa acqua del pozzo fosse prima saggiata da una delle bestie. Non valutando altre minacce, suppose che un eventuale pericolo potesse provenire esclusivamente da avvelenamenti. Inoltre diede ordine ai nobili al seguito del corteo di piazzarsi oltre l’ingresso del villaggio, in modo da contrastare eventuali attacchi. In realtà voleva tenerli lontani perché non si fidava di loro.

Non era la prima volta che montavano l’accampamento tra le case di un villaggio, però era la prima volta che un gruppo di così poca gente li invitasse a restare.

«Diamante de’ Benvenuti... Signore!» si presentò la donna una volta che Roberto scese da cavallo.

«Se questo era il vostro desiderio, Madonna, perché non ci avete fatto pervenire un dispaccio mentre eravamo ancora in viaggio?»

«Guardatevi attorno... ditemi se questo luogo vi sembra consono alla dignità di una nobildonna.»

«Per certo avrete pure un castello da qualche parte.»

«Sono vedova da ormai cinque anni e gli esattori del papa non mi hanno lasciato nulla eccetto la miseria di questo villaggio e la gente che vi abita.»

«Non avete figli, Madonna?»

«Ne ebbi soltanto uno, ma gli angeli esattori di Dio me lo portarono via troppo presto.»

«Dunque non è per ammirazione alla mia signora che vi mostrate ospitale...»

«Se ella si ricorderà di me quando avrà ricevuto la corona, le sarò ammiratrice e serva! I miei debiti sono una piccola cosa per lei, mentre io oggi sto mettendo a disposizione tutto quello che ho.»

Diamante si voltò dall’altro lato e si portò una mano sugli occhi.

Roberto, che pure era abituato a vedere povertà e miseria, si impietosì come non mai di fronte a quella donna benestante che aveva perso tutto. Non era certo per la circostanza che provava compassione, ma per come lei gliene aveva parlato.

«Madonna, parlerò alla Principessa.» la rassicurò lui.

«Fatemela vedere, così che possa chiederglielo in ginocchio.»

«La Principessa Costanza è indisposta per via del viaggio e chiede di non essere importunata fino a Rieti.»

«Respirare un po’ d’aria pulita le potrà fare solo bene, Signore.»

Attorno a loro si affaccendava il numerosissimo seguito della spedizione, soldati, e servi impegnati a sistemare l’accampamento per passarvi la notte. Roberto si guardò a destra e a sinistra, come se volesse evitare di essere visto da occhi indiscreti, e quindi, sospingendo Diamante per il fianco, la condusse a lato della casa principale, lì dove vi era poca gente.

«Voglio confidarvi un segreto, Madonna. È risaputo che Costanza d’Altavilla abbia vissuto una parte considerevole della sua vita come sposa di Cristo... Non vi stupisca perciò se in luogo della carrozza lei immagini la cella del convento. E non vi meravigliate se si sia chiusa in estrema solitudine e contemplazione prima di sciogliere il voto della sua verginità.»

Era con queste argomentazioni che finora il comandante della spedizione era riuscito a tenere a bada tutti quei principi e baroni del corteo che richiedevano di poter conferire con Costanza.

«Il suo lutto dev’essere molto simile al mio.» rifletté Diamante.

«Il suo sacrificio per il bene della pace sarà ricompensato da Nostro Signore.»

«Che dunque possiate essere voi mio ospite!»

Roberto lesse la malinconia nei suoi occhi, qualcosa di simile a ciò che aveva ravvisato nello sguardo di Costanza.

Succede che quando la tristezza attanaglia il cuore si vada a cercare la compagnia di quelli accomunati dalla stessa malattia, pur se questi non possono che aggravare la propria condizione. Roberto soffriva già la tristezza derivata dal cambio di ruolo che gli aveva riservato il Re; comandare soldati non era infatti ciò che amava fare. Avrebbe preferito di gran lunga continuare a dare la caccia ai criminali nascosti di Palermo, una causa a cui lui aveva dato vita e verso la quale aveva versato sangue e sudore. Roberto si sentiva accantonato e inadatto al nuovo incarico, tanto da arrivare a pensare che ormai la vecchiaia l’avesse raggiunto. Per tale motivo vide in Diamante la persona che l’avrebbe capito... proprio perché il suo cuore soffriva di un male simile.

«Madonna, io sono responsabile di tutti e tutto.» cercò di accampare una scusa Roberto.

Diamante però gli afferrò una mano e gli disse:

«Se rifiutate non vi mostrate grato.»

«Voi pretendete quello che in realtà è nelle mie facoltà declinare. La vostra tenacia è degna del nome che portate!»

«Parlate del mio nome quando voi non mi avete ancora detto il vostro.»

«Perché dovrei dirvi qualcosa di cui siete già a conoscenza?»

«Mi parlò di voi un commerciate salernitano, un tizio che vendeva stoffe. È così che seppi che sareste passati da queste parti. Roberto di Rossavilla... non era solo la Principessa che desideravo conoscere. Una volta sentii mio marito parlare di voi. Mi parlò della storia di un uomo che si fingeva morto per vendicarsi di chi l’aveva ucciso.»

«Ciò che dite è contorto, Madonna... ma se lo gradite ve lo racconterò.»

Quella stessa sera Diamante fece apparecchiare una tavola per due all’interno della casa principale. L’ambiente era spartano e a tratti fatiscente. Permeava l’intera costruzione in legno una pungente puzza di muffa. La presenza di Diamante, tuttavia, trasformava quella casa nel più bel palazzo nobiliare. Lei era sofisticata e leggiadra. Inoltre indossava un abito bianco molto aderente, tanto da non lasciare spazio all’immaginazione delle sue forme.

Un paio dei villani del villaggio, vestendo i panni della servitù, portarono a tavola selvaggina e vino.

«Madonna, dal vostro accento non riesco a comprendere la vostra provenienza.» rifletté Roberto per rompere il ghiaccio.

286,32 ₽
Возрастное ограничение:
0+
Дата выхода на Литрес:
26 января 2021
Объем:
260 стр. 1 иллюстрация
ISBN:
9788835417354
Правообладатель:
Tektime S.r.l.s.
Формат скачивания:
epub, fb2, fb3, ios.epub, mobi, pdf, txt, zip

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