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Читать книгу: «I minatori dell' Alaska», страница 9

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XVII – UN PERICOLO SCONOSCIUTO

L’accampamento delle Teste Piatte o Tilat Heando, come vengono chiamati questi indiani, era situato all’estremità di un cupo vallone che giganteschi pini della Columbia rendevano quanto mai selvaggio e tetro. Si componeva di un centinaio di wigwams di forma conica, costruiti con pertiche e pelli di bisonti e di altrettante famiglie le quali formavano un totale di sei o settecento persone. Vedendo arrivare il capo seguito dagli uomini bianchi e dai principali guerrieri recanti i primi trofei della grande caccia, urla di gioia indescrivibili scoppiarono in tutto il campo. Uomini, donne, fanciulli, perfino i cani si precipitarono intorno ai cavalieri, disputandosi le code e le lingue che in un momento andarono a finire sui giganteschi fuochi, accesi tutti intorno al campo. Il sackem, sceso da cavallo, condusse gli uomini bianchi dinanzi alla sua tenda, la più bella e la più vasta, facendoli sedere dinanzi a un gran fuoco sul quale già arrostivano sanguinacci di prateria e interi quarti di bisonte. Gli anziani della tribù, sette od otto vecchi indiani che per la loro tarda età e per le ferite contratte nelle lunghe guerre con i Piedi Neri non avevano potuto prendere parte alla scorreria, si erano già radunati, sorvegliando attentamente la cottura di quel gigantesco arrosto che esalava un profumo appetitoso. Il sackem fece dispensare agli uomini bianchi dei piatti di ferro acquistati dai cacciatori delle Compagnie, o al forte Vermillon, poi servi loro i fumanti flat-jaks, e in tale abbondanza che dieci uomini non sarebbero stati capaci di consumarli. Bennie e i suoi compagni, con l’appetito stuzzicato da quei profumi, incoraggiati dall’esempio del capo e degli anziani, assalirono animosamente quegli squisiti salsicciotti, che sono formati di gobba, di filetto e di lingua di bisonte ben triturati e insaccati dentro gli intestini di quei grossi ruminanti, ma prima rivoltati, affinché la materia grassa che li riveste rimanga nell’interno. Dopo la prima portata, il capo fece servire una gobba intera, una vera montagna di carne, delle lingue arrostite, delle focacce di mais e per ultimo fece portare dei fiaschi di un whisky detestabile, eppure molto apprezzato da quegli indiani. Terminato il pasto e fatto circolare il calumet per suggellare l’amicizia fra gli uomini bianchi e i pellerossa, il sackem che aveva mangiato a crepapelle, si distese placidamente fra le erbe per digerire il copioso pasto, invitando gli ospiti a imitarlo per preparare il corpo a una seconda scorpacciata.

– Lasciamolo riposare a suo comodo, – disse Bennie. – Non siamo venuti qui per fare una indigestione di carne di bisonte e rimpinzarci come bruti.

– Appena svegliato ricomincerà a mangiare?… – chiese Armando.

– Finché ci sarà carne fresca, questi indiani continueranno a divorare con avidità bestiale, a rischio di scoppiare.

– E non ne mettono in serbo?…

– Una parte la seccheranno per ridurla in pemmican, ma allora queste montagne di carne saranno ben diminuite.

– Sono dunque così imprevidenti?

– Non si occupano troppo del domani, amico mio. Anzi, pensate che buona parte dell’anno sono in lotta con la fame, mancando o scarseggiando molto spesso la selvaggina.

In quell’istante un rullìo assordante, accompagnato da un vociare monotono e triste, si fece udire all’estremità del campo, dentro un wigwam le cui pelli di bisonte erano bizzarramente dipinte in rosso e nero.

– Che cosa succede laggiù?… – chiese Back. – Improvvisano qualche danza?…

– No, – disse Bennie. – Non vedete il mago della tribù che si dirige verso quella tenda?…

– Un mago?… – esclamò Armando. – Lo direi un orso!…

– Infatti gli rassomiglia – rispose il cow-boy, ridendo.

Un indiano coperto da una grande pelle d’orso grigio, il cui muso gli copriva il capo e buona parte del volto, e adorno di rospi, serpenti, code di cani di prateria, di raccoon e di bisonti, si dirigeva frettolosamente verso il wigwam seguito da una dozzina di donne urlanti e da alcuni schiavi, che percuotevano furiosamente alcuni tamburelli.

– Laggiù c›è un moribondo – disse Bennie, – probabilmente qualche cavaliere ferito dai bisonti.

– Sarà capace di guarirlo lo stregone? – chiese Armando.

– Tra pochi minuti quel disgraziato sarà morto, ve lo assicuro.

– E perché? – chiese il meccanico.

– Perché questi stregoni hanno un metodo di cura da mandare all’altro mondo anche un uomo sano come un pesce.

– Forse li bastonano?…

– Poco meno, Armando. Tutta l’abilità di quei pretesi medici consiste nell’introdurre nella bocca del moribondo un sassolino bianco, e nel comprimere brutalmente le costole e il petto del disgraziato, dicendo quindi, che quella pietruzza era lo spirito del male che lo voleva far morire.

– Alla larga da simili medici!… – disse Back.

– E se anche dopo tolta la pietruzza, il malato morisse? – chiese il meccanico.

– Tanto peggio per lui. Lo stregone non si lascia d’altronde cogliere in fallo, poiché si affretta a dire che qualche altro spirito del male si era introdotto di nascosto.

– Che buffoni!… – esclamò Armando.

– Un altro modo per fugare il male consiste nel mandare qualcuno sulla cima del wigwam, incaricandolo di urlare a squarciagola e di battere furiosamente il tamburello. Le Teste Piatte credono, in buona fede, che quel fracasso spaventi lo spirito maligno e lo costringa a fuggire.

– E dopo la morte, sperano in una vita migliore? – chiese il meccanico.

– Sì, – rispose Bennie. – I bravi e i coraggiosi, che non hanno perduto la loro capigliatura, vanno diritti nelle opulente praterie del Grande Spirito, pullulanti di bisonti e di selvaggina d’ogni specie, i cattivi sono invece condannati ad abitare per un certo tempo deserte pianure nevose e a soffrire la fame e il freddo. Espiata però la pena per un certo numero di anni, e dopo essere stati tramutati in animali per un altro periodo di tempo, sarà concesso anche a loro di andarsi d riposare nelle praterie del buon manitù.

– Credono dunque alla trasmigrazione delle anime?…

– Così sembra, signore, poiché so che le Teste Piatte rispettano i castori.

– E per quale motivo?

– Perché credono che quegli animali siano indiani condannati a essere castori in seguito a non so quali malvagità commesse molti secoli fa.

– E gli scotennati non sono ricevuti nelle grandi praterie? – chiese Armando.

– No – rispose Bennie. – Il Grande Spirito respingerebbe con disprezzo il guerriero che si presentasse senza la capigliatura, a meno che non possa offrire quella del nemico che lo ha scotennato.

– Zio mio, – chiese Armando, – per te il paradiso dei pellerossa è chiuso per sempre.

– Si, – rispose il meccanico, ridendo. – Fortunatamente non ho nulla a che fare col severo manitù degli uomini rossi.

Mentre digerivano il copioso pasto chiacchierando, gli indiani, soddisfatto l’appetito, avevano formato dei grandi circoli e discutevano con grande calore fumando le loro pipe piene di ottimo tabacco e vuotando numerose bottiglie di acqua del diavolo, mentre le loro donne, aiutate dai fanciulli, continuavano ad arrostire giganteschi quarti di bisonte, mettendoli a disposizione di tutti, essendo bandita, in quelle occasioni, ogni economia. I due cow-boys e i loro compagni, vedendo che il sackem e gli anziani continuavano a russare beatamente, andarono a visitare i diversi circoli, accolti dovunque con franca ospitalità e deferenza, sapendo che erano sotto la protezione del totem della tribù e non rifiutando, per timore di offendere quegli uomini molto suscettibili, di vuotare qualche bicchiere di quella miscela ardente che rovinava la gola perfino al vecchio scorridore della prateria. Verso le tre, svegliatisi il sackem e gli anziani, tutti i circoli, come obbedendo ad una parola d’ordine si sciolsero, per portarsi in massa verso un ampio steccato in mezzo al quale sorgeva un palo, alto quanto un uomo. I guerrieri più famosi della tribù, adorni di penne di tacchino selvatico, di code di bisonte, di braccialetti di rame e d’argento, con casacche di pelle di daino dipinte di giallo e mocassini frangiati e ricamati, si erano già radunati attorno al palo, portando con loro le armi: coltelli, scuri, lance e fucili di vari modelli e calibri, per la maggior parte a retrocarica. Otto suonatori di tamburello avevano già cominciato a intonare una marcia poco allegra e molto lenta da principio, che però più tardi doveva diventare vertiginosa.

– È la danza del cane? – chiese Armando a Bennie.

– Sì, – rispose questi. – È una cerimonia molto importante poiché i danzatori devono giurare di aiutarsi reciprocamente nei combattimenti e di essere fedeli amici.

– E che cosa c’entra il cane?…

– Forse questo animale non è il simbolo della fedeltà?

– È vero, signor Bennie.

– Vedrete poi che anche i cani avranno la loro parte.

– Prenderanno parte al ballo?…

– Sì, ma una parte poco invidiabile, – rispose il cow-boy, ridendo. – I poveri animali sarebbero più contenti se i loro padroni li escludessero dalla danza.

I guerrieri, a un comando del sackem il quale, si era accomodato sul cranio di un bisonte, avendo ai fianchi due stregoni della tribù, si ordinarono su quattro colonne, poi cominciarono le loro evoluzioni coreografiche saltando, e cantando attorno al palo. Era una serie di marce e di contromarce, disordinate; ben presto, però, tutti i guerrieri, come fossero stati assaliti da un improvviso accesso di furore, si divisero in due gruppi e si scagliarono gli uni contro gli altri, urlando a piena gola e agitando freneticamente le armi, mentre i tamburelli affrettavano la musica. S’insultavano, si minacciavano, si assalivano impetuosamente per poi retrocedere con eguale rapidità, scaricavano le armi con grande pericolo di accecarsi, si tiravano colpi di lancia e si misuravano colpi di scure, evitandoli però con un’agilità straordinaria. Il pubblico, entusiasmato, non poteva star fermo. Uomini, donne e ragazzi urlavano e si dimenavano: perfino il capo era balzato in piedi tenendo in pugno il suo tomahawk e pareva che fosse lì lì per scagliarsi nella mischia. I combattimenti erano giunti a un tale stato di parossismo che, dimenticando ogni prudenza, avevano già cominciato a ferirsi. Due o tre, colpiti dai tomahawk erano caduti sanguinanti e erano stati portati fuori dallo steccato conciati malamente. Il sackem, però, accortosi a tempo che i suoi guerrieri cominciavano a fare sul serio, fece cessare la musica, con evidente rammarico di tutti gli astanti. Rinvigoriti i combattenti con alcune bottiglie di acqua del diavolo, fu portato nel recinto un grosso cane dal mantello villoso. Il povero animale, indovinando certamente la sua triste fine, guaiva dolorosamente e cercava di opporre resistenza. I due stregoni in un baleno gli furono addosso, lo ammazzarono con due poderosi colpi di tomahawk, lo sventrarono e levatogli il cuore andarono a piantarlo, ancora fumante, sulla punta del palo. I guerrieri intanto si erano schierati, mentre i musicanti avevano ricominciato a battere i loro tamburelli, traendone suoni sempre più aspri e monotoni. Dopo un breve discorso pronunciato dal sackem sui doveri dell’amicizia, i guerrieri ripresero la danza intorno al palo sulla cui punta palpitava ancora il cuore del povero cane. Passandovi accanto, i danzatori lo fiutavano, lo leccavano, mostrando un grande desiderio di piantare i denti su quel pezzo di carne cruda, poi riprendevano la corsa urlando e agitando le armi. A un tratto, uno di loro, forse il più famoso guerriero della tribù, si precipitò addosso al palo, addentò ferocemente un pezzetto di cuore poi balzò indietro e lo inghiottì manifestando il più grande piacere. Subito un secondo ne strappò un altro pezzetto imitato poi da tutti gli altri, Finché non ne rimase più.

– Puah! – fece Armando – Mangiare il cuore di un cane!

– Oh! Più tardi mangeranno anche il corpo, ve lo assicuro. Quando gli indiani cominciano a essere a corto di viveri, gettano nelle pentole i loro cani e se li divorano senza manifestare alcuna ripugnanza.

– È finita la danza? – chiese il meccanico.

– C’è tempo ancora, e altri cani verranno sventrati, ma… dov’è il sackem che non lo vedo più?

– Sarà andato a mangiare un bel pezzo di bisonte – rispose Back – Lo preferirà alla carne coriacea e selvatica del cane.

– Poteva invitarci. – disse Bennie. – Lasciamo che si divertano e andiamo a cenare

Stava per farsi largo fra gli indiani, quando tutto d’un tratto si sentì afferrare da mani robuste ed atterrare.

– Oh!… Che cosa significa questo?… – si mise a urlare.

Dieci o dodici dei più robusti indiani si erano gettati sui quattro uomini bianchi, riducendoli all’impotenza, prima ancora che avessero potuto fare uso delle armi. Bennie, volgendosi indietro, aveva visto cadere anche i suoi compagni.

– Corna di bisonte!… – gridò. – Che cosa vuol dire questo tradimento!… Giù le zampe, bricconi!…

– Signor Bennie!… – urlò Armando, il quale cercava, invano, di opporre resistenza – Siamo stati traditi!

La danza era stata bruscamente interrotta da quell’avvenimento inaspettato. Pubblico e danzatori si erano slanciati verso i dodici indiani i quali stavano legando solidamente i quattro bianchi, adoperando i lazos, usati per catturare e domare i mustani di prateria. Se Bennie e i suoi compagni erano stupiti per quella improvvisa aggressione, anche i guerrieri che avevano preso parte alla danza non lo sembravano meno, poiché si chiedevano l’un l’altro quale poteva essere il motivo per imprigionare quegli uomini che erano stati, fino a pochi minuti prima, ospiti rispettati del capo. I dodici indiani, che dovevano avere obbedito a un ordine del sackem, senza rispondere nè agli uni, nè agli altri, presero i quattro prigionieri, e attraversando di corsa il campo andarono a deporli nel gran wigwam, mettendosi di sentinella al di fuori, per impedire che qualcuno entrasse.

– Corna di bisonte! – esclamò Bennie, non ancora rimesso dalla sorpresa. – Che il capo sia diventato pazzo? Che cosa significa questa brutale aggressione?

– Avremo offeso involontariamente il sackem? – chiese il meccanico. – Non saprei a che cosa attribuire questo colpo di testa.

– Non è possibile!…

– Che vogliano derubarci delle armi? – chiese Back.

– Non lo posso credere – rispose Bennie. – Le Teste Piatte sono sempre state leali, e mai hanno tradito i doveri dell’ospitalità!

– Che ci credano loro nemici?…

– No, Armando, poiché mai questi indiani sono stati in guerra con gli uomini bianchi, anzi sono stati semprein ottimi rapporti coi cacciatori dei forti di Vermillon, di Wrangel e di Provvidenza. Corna…

– Che cosa avete, signor Bennie? – chiese Armando.

– Mi viene un sospetto.

– E quale? – chiesero tutti

– Avete dimenticato Coda Screziata?…

– L’ostinato indiano?…

– Sì, amici, lui!… Posso ingannarmi, eppure credo che quell’indiavolato indiano c’entri per qualcosa.

– Credete che ci abbia già raggiunti? – chiese il meccanico.

– Non sarei sorpreso se fosse qui.

– I Grandi Ventri sono amici delle Teste Piatte?…

– Sono alleati, signore.

– E voi credete che quel furfante sia venuto qui per farci prendere dal sackem delle Teste Piatte?

– Lo sospetto.

– E il sackem si presterà a questo tradimento.

– Si vedrà, signore. Noi non siamo uomini da lasciarci scotennare tranquillamente.

– Corna di bisonte! Se riacquisto la libertà, puoi raccomandarti l’anima, Coda Screziata!…

– Purché il sackem ci lasci liberi – disse Armando.

– Quando saprà di che cosa si tratta e chi è Coda Screziata, ci renderà giustizia. Gli indiani, checché si dica sul loro conto, sono in fondo leali, e l’ospitalità l’hanno sempre rispettata.

– Ah! Ecco il sackem!… Sia il benvenuto.

Il capo delle Teste Piatte aveva allora alzato un lembo della tenda ed era entrato, seguito dai sette anziani della tribù e da uno dei suoi maghi. Il volto dell’indiano era molto scuro e i suoi occhi tradivano una non lontana minaccia. Egli si sedette quasi di fronte a Bennie, mentre i suoi compagni si sedevano in circolo, poi dopo aver guardato per alcuni istanti i prigionieri, disse con voce grave:

– Miei fratelli, gli uomini dal viso pallido hanno fumato con le Teste Piatte il calumet di pace, ma Dorso Bruciato è stato ingannato e se lo avesse previsto prima, avrebbe infranta piuttosto la pipa che, da secoli e secoli si conservava nella mia tribù, e avrebbe disperso al vento tutto il tabacco.

– Adagio, capo – disse Bennie. – Spiegami, innanzi tutto perché ti abbiamo ingannato. Noi fino a pochi minuti fa eravamo tuoi ospiti; quale motivo ti ha spinto a trattare come nemici, noi, che siamo sempre stati amici degli uomini rossi?…

– Tu hai mentito, – rispose il sackem. – Un uomo che è venuto dai paesi del sud, dalle rive del Piccolo Schiavo, ha portato qui la notizia che voi siete nemici delle Teste Piatte e che avete fumato, poche settimane or sono, il calumet di pace coi Piedi Neri, i nostri mortali e secolari avversari.

– Ah!.. – esclamò Bennie, senza perdere la sua calma. – Si dice questo? Ebbene, che Dorso Bruciato e gli anziani della tribù mi ascoltino e farò apprendere loro come siano stati indegnamente ingannati da quell’uomo che è Coda Screziata, guerriero di Nube Rossa, il gran sackem dei Grandi Ventri.

XVIII – UN TERRIBILE DUELLO

A quelle parole pronunciate con molta gravita, non esente da una leggera punta d’ironia. Dorso Bruciato e gli anziani avevano mandato un «A ha!…» che poteva, fino ad un certo punto, passare per un segno di approvazione e anche di sorpresa. Forse si erano meravigliati udendo l’uomo bianco parlare di Coda Screziata, mentre avrebbe dovuto ignorare il nome dell’indiano venuto dai paesi del sud, non avendolo potuto vedere fino allora. Bennie lasciò che quell’istante di sorpresa passasse, poi riprese:

– Io e i miei compagni siamo venuti qui come leali amici, accettando l’ospitalità offertaci dal sackem Dorso Bruciato, poiché sapevamo che le Teste Piatte non erano mai state in guerra con i cacciatori della prateria. È vero questo, sì o no?

– Sì – risposero in coro gli indiani.

– Coda Screziata ci ha accusati ora di essere amici dei Piedi Neri e di aver fumato il calumet di pace con i vostri eterni nemici. Io mi meraviglio come Dorso Bruciato e i suoi consiglieri, che godono fama di essere i guerrieri più esperti della tribù abbiano potuto credere che degli uomini bianchi avessero avuto l’audacia di mettersi nelle mani dei loro nemici, mentre avrebbero potuto rifiutare l’ospitalità offerta e prendere il largo. E poi, quando mai un bianco ha osato entrare in relazione con le tribù dei Piedi Neri, senza aver lasciato la capigliatura nelle mani di quei feroci indiani? No, Dorso Bruciato!… No, vecchi della tribù!… Voi siete stati giocati da quel vendicativo indiano, che da quindici giorni ci segue ostinatamente, dalle rive del Piccolo lago degli Schiavi fin qui. Nessuno di noi conosce i Piedi Neri, nessuno di noi ha fumato con loro il calumet di pace, come nessuno di noi ha mai posto piede sul loro territorio di caccia.

– Noi siamo uomini del sud, mai abbiamo visitato i paesi del nord.

– Bene, – disse il capo, dopo aver guardato gli anziani come per vedere se lo approvavano. – Mio fratello bianco è buon parlatore e credo anche leale, ma mi dirà perché il guerriero del nostro alleato Nube Rossa lo ha ostinatamente seguito e perché lo odia.

– Perché Coda Screziata è stato mio prigioniero. Guarda quest’uomo e questo giovane, capo: essi venivano dai lontani paesi dove nasce il sole, al di là del grande Lago Salato, per recarsi nei paesi del nord dove sono attesi. Mai avevano, prima di allora, veduti uomini rossi quindi non potevano essere loro nemici. Ebbene, una notte i guerrieri di Nube Rossa piombarono a tradimento su questi disgraziati, uccisero i loro compagni, rubarono i loro cavalli e saccheggiarono il loro carro. Vuoi una prova della malvagità dei Grandi Ventri?… Guarda!…

Bennie con un rapido gesto levò il berretto di pelle di raccoon che copriva il capo del meccanico e fece vedere al sackem ed agli anziani quel povero cranio, orribilmente privato della capigliatura, e coperto ancora da piaghe non ancora rimarginate.

– Vedi?… – gli disse.

– È vero, – rispose il sackem. – Quest’uomo è stato scotennato, quantunque la Gran Madre dei bianchi abbia proibito ai guerrieri rossi di mutilare in tal modo i suoi sudditi. Nube Rossa ha mancato alle sue promesse ed ha agito male.

– A’hu! – esclamarono in coro gli anziani, approvando in tal modo le parole del capo.

– Indignato per questo fatto, io ho preso le difese dei miei fratelli bianchi e ho impegnata una lotta disperata per salvarli, aiutato dal mio compagno qui presente, ma ho dovuto fuggire, dopo aver perduto oltre duecento capi di bestiame affidatimi da un ricco allevatore di Edmonton.

– E Coda Screziata, perché ti ha seguito?…

– Perché aveva giurato di scotennarmi, essendo stato mio prigioniero per ventiquattro ore.

– Comprendo – rispose il capo.

– Credi ora che sia l’amico dei Piedi Neri?

– No e anche prima non lo credevamo, sapendo come quegli indiani odino gli uomini bianchi.

– Ci lascerai dunque liberi?

– Sì, ma… e Coda Screziata?

– Caccialo dal tuo campo.

– Ritornerà presso la sua tribù e dirà a Nube Rossa che noi siamo dei cattivi alleati e tu sai che i Grandi Ventri sono ben più potenti di noi.

– È per questo che ti preoccupi?… Sackem, fra me e Coda Screziata esiste un profondo rancore che non possiamo cancellare se non con la morte o dell’uno o dell’altro.

– Bennie, che cosa volete fare? – chiese il meccanico.

– Lasciatemi dire, signore. Se non ci sbarazziamo di quel furfante, qualcuno di noi finirà col perdere la capigliatura.

– Volete sfidare Coda Screziata?

– Sì, signor Falcone.

– E se vi uccidesse?…

– Oh!… non temete, signore!… Sarò io che ucciderò quel furfante.

– E poi io sarò pronto a vendicarlo – disse Back.

– E anch’io – disse Armando.

– Spero di non averne bisogno, amici. Conto sulla mia infallibile carabina.

Poi volgendosi verso il sackem, il cow-boy continuò:

– Dirai a Coda Screziata che io lo sfido a combattimento, in piena prateria, a colpi di fucile e di coltello.

– Tu sei un valoroso, – rispose il capo, – e io amo i coraggiosi. Sì, tu ti batterai col guerriero di Nube Rossa, e qualunque cosa succeda noi, quantunque alleati dei Grandi Ventri, non interverremo. Ho detto!…

L’indiano si era alzato e si era affrettato a uscire, seguito dagli anziani, i quali parevano tutti soddisfatti di quella soluzione che prometteva un bellissimo spettacolo molto apprezzato da quegli indomiti guerrieri.

– Bennie, – disse il meccanico, quando furono soli. – Volete proprio giocare la vostra vita contro Coda Screziata?…

– È l’unico mezzo per sbarazzarci di lui. Pensate che i Grandi Ventri sono alleati di numerose tribù e quindi potremmo, un giorno o l’altro, venire assaliti di sorpresa e scotennati. Le Teste Piatte non sono mai state nemiche degli uomini bianchi; così non si può dire di altri indiani sui cui territori di caccia saremo costretti a passare.

– Ascoltatemi, Bennie. Lo scotennato sono io, ho quindi maggior ragione di voi per misurarmi con Coda Screziata; lasciate perciò a me la cura di sbrigarmela con lui. Sono un buon tiratore e battermi non mi fa paura.

– No, signore, – rispose il cow-boy, con incrollabile fermezza. – Voi siete il capo della spedizione e non potete esporre la vostra vita contro quel furfante. D’altronde voi non conoscete tutte le astuzie degli indiani, e perdereste qualunque vantaggio.

– È vero, signore – confermò Back.

– Lasciate dunque fare a me, e vedrete che il mio proiettile, se l’altra volta non è giunto a destinazione, oggi non mancherà.

Quella gara generosa, che minacciava di diventare interminabile, fu interrotta dal ritorno del sackem.

– Seguitemi, – disse, dopo aver tagliato i legami che li tenevano prigionieri. – Coda Screziata mi ha detto che attende il Gran Cacciatore.

– Avete udito – disse Bennie al meccanico. – Sono io quello che aspetta.

Fuori li attendevano i loro mustani, alle cui selle erano ancora appesi i fucili, e una scorta composta di cinquanta indiani in pieno assetto di guerra. In mezzo a loro Bennie scorse Coda Screziata, armato di un fucile a retrocarica, di tomahawk e di coltello, montato su di un bellissimo cavallo bianco datogli certamente dal capo. Vedendo il suo mortale nemico, l’indiano lo guardò con due occhi che mandavano fiamme, poi alzando il tomahawk, gridò:

– Avrò la tua capigliatura. Gran Cacciatore!…

Il cow-boy alzò le spalle e non si degnò di rispondergli. A un cenno del sackem la colonna si mise al galoppo, dirigendosi verso l’estremità della valle per arrivare nella prateria dove era avvenuto il massacro dei bisonti. Bennie, abituato da lungo tempo a giocare la propria pelle contro gli indiani, era tranquillo. Chiacchierava con i suoi compagni, scherzando e masticando un grosso pezzo di tabacco, senza nemmeno degnarsi di guardare Coda Screziata, il quale, dal canto suo, non lo perdeva di vista un solo istante, come se temesse di vederlo fuggire. Giunti all’estremità della valle, incontrarono l’intera tribù. Vecchi, donne e fanciulli, avvertiti del combattimento fra il guerriero di Nube Rossa e l’uomo bianco, si erano rovesciati in massa verso la prateria, per non perdere il sanguinoso spettacolo. Vedendo avanzare i due combattenti, proruppero in acclamazioni assordanti, senza però manifestare simpatia per l’uno o per l’altro, quantunque la lotta dovesse decidersi fra un uomo della loro razza e uno dalla pelle bianca, uno della razza dei conquistatori. La prateria scelta per la lotta era una bella pianura erbosa, senza essere ondulata, con una superficie di un buon miglio quadrato, e rinchiusa da superbi boschi di pini e di betulle. La tribù occupò uno dei lati, accampandosi al margine del bosco, mentre la scorta si disponeva all’ingiro per impedire la fuga di uno o dell’altro dei combattenti o qualche sorpresa da parte di partigiani o di amici, poi il capo, volgendosi verso Coda Screziata e a Bennie, disse:

– Il campo è vostro!…

Il cow-boy andò a stringere la mano ai suoi compagni, dicendo loro di conservare, durante la lotta, la più stretta neutralità per non attirarsi addosso l’ira di tutta la tribù, esaminò accuratamente le cinghie della sua sella e le briglie, poi spronò risolutamente il mustano, prendendo il largo.

– Io tremo per lui, – disse il meccanico a Back. – So che è coraggioso, ma quell’indiano è capace di tutto.

– Non temete per Bennie – rispose il messicano, sorridendo – Non è la prima volta che sfida dei capi indiani di valore provato, e li vince. Coda Screziata, d’altronde, combatterà lealmente, almeno ora, ve l’assicuro, poiché le Teste Piatte non permetterebbero che ricorresse a un tranello per sbarazzarsi dell’avversario.

– E se Bennie restasse ucciso?…

– Più tardi lo vendicheremo, ma non temete; Bennie tiene alla sua capigliatura e la difenderà strenuamente.

Mentre il cow-boy prendeva campo, galoppando verso sud. Coda Screziata si era diretto verso nord facendo caracollare con studiata spavalderia, il suo bianco mustano. Se il primo sembrava calmo e risoluto nemmeno l’indiano pareva preoccupato, anzi, essendo in genere i pellerossa pessimi tiratori, torse non contava tanto sul suo fucile, quanto sul suo tomahawk di guerra, arma formidabile che gli uomini della sua razza sanno lanciare a una distanza di trenta e anche quaranta passi senza mai mancare il colpo. Giunti presso i margini dei boschi, il cow-boy e l’indiano avevano fatto un rapido dietro-front, impugnando i fucili. Si guardarono alcuni istanti, misurando la distanza, poi spronarono le loro cavalcature, movendo l’uno verso l’altro, a gran galoppo. Novecento o mille metri li dividevano l’uno dall’altro, però quella distanza doveva venir superata in pochi istanti con quei rapidi cavalli. Ai clamori assordanti delle tribù era subentrato un profondo silenzio: tutti gli occhi seguivano i due combattenti, i quali correvano, curvi in groppa e stringendo i fucili. Il meccanico e Armando non respiravano più; Back invece fumava tranquillamente una sigaretta. A trecento passi, Bennie ruppe improvvisamente la linea lanciando il mustano attraverso la prateria. Il cacciatore volendo essere sicuro del suo colpo, e temendo, se faceva fuoco di fronte, di colpire la testa del bianco mustano, dietro la quale si teneva nascosto l’indiano, voleva tirare di fianco. Coda Screziata, vedendoselo passare a destra, alzò prontamente il fucile e lo scaricò alla distanza di duecentocinquanta passi. Un urlo di trionfo mandato dal cow-boy, lo avvertì che la palla era andata perduta.

– Ah!… ah!… – fece Back, gettando via la sigaretta. – Lo sapevo che l’indiano non avrebbe colpito nel segno.

Bennie, sfuggito miracolosamente alla palla, si era subito raddrizzato in sella, mirando l’indiano che gli passava accanto a galoppo sfrenato. Il suo fucile stette un momento immobile, poi il colpo partì.

– Fulmini!.. – esclamò Back, impallidendo. – Mancato!…

Era proprio vero: l’infallibile cacciatore, in quel supremo momento, non aveva colpito l’avversario. Questi, vedendosi preso di mira, con una manovra prodigiosa, familiare agli uomini della sua razza, si era lasciato cadere sull’opposto fianco del cavallo, tenendosi aggrappato alla criniera con una sola mano e era sfuggito alla palla nel momento in cui passava sopra la sella.

– Mancato!… – avevano esclamato alla loro volta il meccanico e Armando, non potendo credere ai loro occhi.

– Sì – rispose Back. – Doveva aspettarsi quel tiro da quel furfante di Coda Screziata.

– Mi sembra però che Bennie non sia preoccupato.

– Hanno delle altre palle, signor Armando, – disse il messicano. – Se Coda Screziata è ancora vivo, ha guadagnato poco.

– Purché non ripeta il giuoco.

– Bennie starà in guardia.

I due cavalieri, sparati senza successo i due primi colpi, avevano continuata la corsa per alcuni minuti, ma ben presto tornarono indietro dopo aver ricaricato le armi. Bennie, questa volta, non si era slanciato incontro all’avversario con la foga di prima. Frenava di frequente il mustano, e pareva attendesse il momento propizio per fare un colpo da maestro. Anche Coda Screziata era diventato più prudente. L’astuto selvaggio si era raggomitolato così bene dietro il collo e la testa del proprio cavallo, da non esporre un briciolo della sua persona, e procurava di mantenersi esattamente di fronte all’avversario per non farsi colpire di traverso. Vedendo Bennie rompere di nuovo, l’impareggiabile cavaliere si gettò prontamente di sella, aggrappandosi ancora alla criniera e tenendosi sospeso per una sola gamba, deciso di non lasciarsi cogliere, poi quando vide l’avversario, rimontò rapidamente in arcione, alzando il fucile. La vittoria doveva essere sua, però non aveva contato sull’abilità del cow-boy.

Возрастное ограничение:
12+
Дата выхода на Литрес:
30 августа 2016
Объем:
360 стр. 1 иллюстрация
Правообладатель:
Public Domain

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