Читайте только на ЛитРес

Книгу нельзя скачать файлом, но можно читать в нашем приложении или онлайн на сайте.

Читать книгу: «Il peccato di Loreta», страница 2

Шрифт:

–Povera giovane!

–Povera davvero!.. Fu appunto in quei giorni, dopo averne appreso la tristissima storia, ch'io stesso la vidi in casa del mio amico. Vi era venuta a supplicarlo di raccomandarla presso a qualche famiglia di conoscenti per farle ottenere un posto di istitutrice, di cameriera… un posto qualunque pur di vivere onoratamente. Mi fece pietà. Ben di raro ho visto una faccia più dolcemente buona e rassegnata; ben di raro intesi una parola più soave o piena di tristezza. Mi fece pietà ancor maggiore quando io seppi il suo nome…

–Qual nome? – domandò subito il professore.

–Loreta Lambertenghi.

–Loreta! – esclamò la signora Chiara con grande sorpresa. – Loreta, la figlia di Prospero Lambertenghi!

–Sì, la figlia di Prospero Lambertenghi e della povera Cannila Sant'Angelo. Ah! è stata ben fortunata la povera Camilla di morir così presto per non vedere il triste destino riserbato alla sua creatura!

–Ma dunque il Lambertenghi?

–Ha finito la sua miserabile esistenza. È morto a Sidney, in un ospitale di suore francesi, dieci mesi sono. La notizia della sua morte deve aver portato un ultimo colpo sulla salute malferma della sua sfortunata figliuola.

–Poveretta, poveretta! – sclamò la signora Chiara con accento commosso.

E un improvviso silenzio si fece fra i tre interlocutori di quella scena.

Prè Letterio aveva compreso la penosa impressione destata dal proprio racconto nell'animo del professore e di sua madre. Eglino sentivano entrambi risvegliarsi in quel momento tanti ricordi, che il tempo aveva addormentali in fondo ai loro cuori.

Dall'epoca in cui il dottor Giovanni Sant'Angelo, compromesso in complotti politici, era stato costretto a riparare in Isvizzera, pochi rapporti aveva egli più avuto colla famiglia della sorella. Col cognato, Prospero Lambertenghi, non erano mai andati d'accordo; diversità d'indole e di sentimenti gli aveva tenuti discosti. Quando, dopo sedici mesi da che il Sant'Angelo trovavasi a Ginevra, giunse la notizia che Camilla era morta, rapita in breve tempo da un fiero morbo, ci fu un momentaneo ravvicinamento de' due cognati. Allora nelle lettere, scritte da ambo le parti sotto la impressione di quella sventura, molte cose dolcissime furono dette a proposito della povera bimba, Loreta, che restava a cinque anni senza il conforto amoroso della mamma. Indi tutto cambiò. Da un lato le fortunose vicende di que' tempi, dall'altro alcune brutte voci corse sulla condotta del Lambertenghi, valser, a rimettere un nuovo gelo tra le due famiglie. Come in simili casi avviene? nè dall'una parte nè dall'altra fu più nè desiderato nè tentato un riavvicinamento, I Sant'Angelo avevano udito per mera combinazione di grandi viaggi impresi dal Lambertenghi; avevano vagamente saputo che la giovane sua figlia, uscita da un educandato, s'era data a fare l'istitutrice. Più in là, nulla. Le ultime novelle le avevano ricevute quel giorno per bocca del prete Letterio.

Dopo un lungo silenzio, la signora Sant'Angelo tornò a mormorare, come a conclusione di tutto ciò che le era ripassato nella mente:

–Povera creatura, povera creatura!

–Eh! – fe' il prete con un profondo sospiro, – sarebbe un'opera ben meritoria il porgere una mano a questa sventurata!..

Il professore, serio, colle dita sprofondate nel suo barbone, guardava fissamente la madre come per leggerle sul viso ciò ch'ella pensava.

Poi ad un tratto:

–Potendolo fare! – disse a mezza voce. – Potendolo… sicuro!

–Potendolo, professor mio! Ma è tanto facile. Che cosa chiede quella poveretta? Ve lo dissi prima. S'accontenterebbe persino di un posto di cameriera…

–E tu, mamma, che dici?

–Che vuoi ch'io dica? Penso che, dopo tutto, quella lì è sangue nostro. È la nipote di tuo padre. Che se anche infine il Lambertenghi, che Dio lo riposi, è stato un cattivo soggetto, non è poi giusto che la figlia di lui, che non ne ha colpa nè peccato, debba soffrire a questo modo…

La vecchietta, la quale aveva messo in quella risposta tutta la focosa convinzione di cui si sentiva dominata, s'interruppe un momento guardando il figliuolo:

–Tu approvi quello ch'io penso?

–E chi mai non approverebbe i buoni pensieri che tu hai sempre, mamma… coll'angelico tuo cuore… La signora sorrise un poco.

–Ah! per questo sì, mi ci sottoscrivo anch'io! – intervenne prè Letterio. – E che voi, signora Chiara, e che il professore Mattia avreste pensato così, io non ho dubitato un istante. Anzi, volete che ve la dica tutta?

–Ma sì, ma sì.

–Ebbene: viaggio facendo, nel mio cervello ho architettato perfino un mio bravo progetto. Ma, badate, un progettino in tutta regola, che se mai potesse avverarsi sarebbe una cosa tanto bella… Ve lo dico?

–Fuori, prè Letterio, fuori!

–Ecco qua. Già tante volte il professore Mattia mi aveva fatto un certo discorso: "La mamma è una donna forte, una donna che per la casa è un tesoro, ma infine cogli anni che passano avrà pure bisogno di condurre una vita un po' più tranquilla…" E poi, non una ma cento volte, un'altra cosa mi disse: "lui deve badare agli studi, deve restarsene tante e tante ore chiuso con i suoi scartafacci e le sue medaglie… e la mamma intanto a star sola si deve pur annoiare; così, in campagna, d'inverno, avere almeno una persona amica da barattar dieci parole lavorando insieme, da farsi leggere un libro per ammazzare il tempo!.." A tutto questo io ho pensato. Se vi prendeste la povera Loreta… Un posto qui alla vostra tavola si farebbe tanto presto. Poi, in fine di tutti i conti, meglio che un'estranea, una persona del vostro sangue… Eh?

Il vecchio prete sostò, aprendo le braccia nell'atto di chi, avendo esposto una cosa molto logica, aspetti con tutta sicurezza la pronta adesione de' suoi interlocutori.

E la risposta non tardò.

–Certo che quanto don Letterio dice è molto giusto! – fe' il professore. – La combinazione sarebbe buonissima…

E così a furia di reticenze continuò ancora un poco, senza dare tuttavia un'esplicita dichiarazione.

Ma al prete Letterio brillavano gli occhi, perchè, conoscendo perfettamente il suo amico, comprendeva che quegli, persuaso, persuasissimo, desideroso di annuire, restava in forse unicamente per lasciare che la madre decidesse lei, come le pareva:

–Dunque, signora Chiara, che cosa vi consiglia il cuore?

–Ma! il cuore mi consiglia di offrire a quella povera creatura il soccorso che ci domanda. Se Dio vuole che così sia per il bene di lei, ch'essa venga dunque! Purchè mio figlio sia contento…

–Qua dentro la padrona sei tu, mamma. E poi, te l'ho detto già prima, tu non puoi volere una cosa che non sia bella.

Don Letterio battè insieme le palme:

–Bravi, bravissimi! È un'azione benedetta la vostra, e ne avrete il compenso. Figuratevi la gioia di quella creatura!

–Le scriverete voi?

–Immediatamente.

–E siete contento?

–Mi avete fatto il più caro dei regali per il mio ritorno… Ed ora, una gocciola ancora del vostro buon vino. E poi in viaggio.

La signora Chiara riempì il bicchiere del prete e quello di suo figlio, ed anche nel proprio versò qualche stilla.

Ridendo tutti e tre toccarono i bicchieri.

Poi, prè Letterio risalì nel carrozzino che l'aspettava nel cortile, e, salutati gli ospiti, riprese la strada di Udine.

III

L'arrivo di Loreta fu stabilito per l'ultima settimana di ottobre. Prè Letterio l'aveva preannunciato con una lettera affettuosissima, in cui si dichiarava addolorato di non potere, a cagione di certi gravi suoi affari, recarsi al paese per assistere alla venuta della sua protetta.

In casa Sant'Angelo già da qualche settimana era quello il discorso di tutte le ore.

A mano a mano che il giorno dell'arrivo si approssimava, cresceva la impazienza della signora Chiara. E lo stesso professore, che di solito serbava in ogni cosa la piena serenità dell'animo, non sapeva sottrarsi dal dividere la irrequietezza di sua madre, la quale per parlargli di quell'argomento aveva perfino smesso il suo abituale scrupoloso riguardo di entrare nello studio di lui, durante le ore ch'egli consacrava al lavoro.

Tale irrequietezza doveva spiegarsi assai facilmente da quanti conoscevano il modo uniforme di vita che i due Sant'Angelo conducevano da tanti anni. Soltanto che, mentre nell'animo della signora Chiara altro non era che la spinta della sua bontà e il forte desiderio di conoscere questa ignorata parente, in quello del professore era pure un dubbio molesto, sortogli involontariamente per effetto di qualche parola maligna, ch'egli aveva potuto cogliere quasi per caso sulle labbra di alcuni conoscenti.

Una sera, al Caffè della posta, un vecchio amico di casa, il conte Leonardo Mangilli, un burberaccio che godeva in paese la fama di un vero orso, mentre gli altri, venuti a conoscenza del divisamento del Sant'Angelo, gliene davano in coro gran lode, s'era lasciato scappare una delle sue solite sfuriate:

–Eh! una giocata al lotto, professore mio! Non si sa mai che numeri sortono da quella ruota benedetta. E poi io, io che orso lo sono sempre stato, a' miei parenti, peggio che al diavolo, la porta l'ho sempre serrata a triplo giro. Chi ha la pace non si muova, dice il proverbio!.. E dice assai bene!

Gli altri s'erano messi a far baccano: "quello scettico del conte Leonardo aveva sempre le sue; a sentirlo pareva che ci avesse un cuore con tanto di pelo; invece…" E avevan finito per celiare tutti, compreso il conte, il quale provava una certa soddisfazione a vedere come la gente lo tenesse in fondo per un burbero benefico di quelli della vecchia commedia.

Ma il professore Mattia di coteste parole si ricordò. E quella sera, quando fu solo nel suo studio, in mezzo a' libri, in quell'ambiente tranquillo dove passava tante ore deliziose, stette a lungo collo sguardo fisso sulle pagine di un volume, aperto dinanzi a lui, vinto da una strana preoccupazione. Il proverbio che il conte aveva citato gli ronzava all'orecchio fastidiosamente… Se, obbedendo ad un consiglio inspirato dalla bontà, avessero commesso un errore? Se per quella decisione presa con troppa sollecitudine, avessero dovuto poi subire qualche amarezza?.. Fatta questa prima riflessione, una lunga catena di pensieri tristi, nerissimi, pieni di torve previsioni, si formava nella mente del professore. Vecchie storie dimenticate, nelle quali la ingratitudine umana era sorgente di dolori e di ansietà, rinascevano nella sua memoria. Di molti fatti analoghi si ricordava: amici suoi che per animo buono eran stati spinti al beneficio e ne avevano avuto pagamento colle peggiori disillusioni. Poi… conoscevano essi abbastanza quella giovane che stavano per accogliere? Chi era? Donde veniva? Che cosa aveva nel suo passato?.. È vero, Prè Letterio l'aveva raccomandata: era uomo di coscienza, e non l'avrebbe fatto senza convinzione. Ma d'altro lato non poteva essere stato tratto in inganno egli pure?.. E lo afferrava quasi un pentimento e si sentiva assalito da un arcano timore pensando che sua madre avrebbe forse un giorno potuto dolersi del passo che avevano fatto.

Di tali suoi timori il professore Mattia, nel desiderio di alleggerirsi l'animo di una preoccupazione della quale provava acuta molestia, aveva voluto muovere qualche accenno anche alla signora Chiara.

Lo aveva fatto attendendo con pazienza il momento opportuno, senza darvi importanza, a velate parole. Ma la signora Chiara gli tappò la bocca subito, con una di quelle frasi, piene di dolce mitezza, che erano in lei consuete e per le quali si faceva adorare:

–Che vuoi che avvenga, figlio mio? Al bene si risponde col bene. Noi abbiamo offerto la nostra casa a questa giovane sventurata, come era nostro dovere, con tutto il nostro cuore. Ella non potrà non amarci. E poi-non ridere, sai, se ti dirò una cosa-ma credi che i miei presentimenti non contino per nulla?

Il professore non si tenne dal sorridere.

–Oh! mamma, i tuoi presentimenti!

–Già, già, lo so, tu li metti in canzone. Roba da vecchiette, che amano le fantasticherie… Ma intanto-voialtri gente seria, fìlosofoni che non credete a nulla di nulla, potete ridere quanto volete-certi presentimenti non fallano mai! E questa volta…

–Ebbene, mamma, questa volta?

–Sono presentimenti de' migliori! – fè la signora tutta allegra, fregandosi le mani.

Il professore, dinanzi alla figura così placida, così serena di sua madre, sentì anche questa volta, come sempre nelle incertezze della propria vita, venire una tranquillità soave nel suo spirito:

–Iddio voglia che sia così, mamma, – disse. E non ci pensò più.

Intanto il giorno della venuta di Loreta era giunto e mezz'ora prima dell'arrivo del treno il professore Mattia trovatasi già in attesa alla stazione di Tricesimo.

Passeggiava impaziente in su ed in giù dinanzi alla piccola casa, tendendo l'orecchio se si udisse il rumore del convoglio, affacciandosi allo stanzino ove il capostazione se ne stava curvo sull'apparato del telegrafo, per sapere se per caso fosse segnalato qualche ritardo. Intanto fuori, sulla strada, di là dallo stecconato dipinto di verde, Agnul stavasene curiosando anche lui, colla frusta fra le mani, accanto al cavallino che sonnecchiava.

Il treno finalmente arrivò.

L'unica persona che scese a quella stazione fu Loreta Lambertenghi. Ma se anche ve ne fossero state cento, il professore Mattia non avrebbe durato fatica a riconoscerla, tanto la sua figura era distinta e tanto rassomigliava al ritratto fattone da don Letterio Prandina.

Era una donna ancor giovane, alta, bruna, molto pallida, dalle vesti di lutto semplicissime. Portava un cappello rotondo, di paglia nera, e sul viso una veletta grigia sotto la quale brillavano due occhi grandi e profondi.

Scese rapidamente da una carrozza di terza classe e volse subito uno sguardo in giro come cercando qualcuno.

Il professore Mattia si avanzò:

–La signorina Lambertenghi… – chiese con voce un po' tremante.

La ragazza ebbe un sorriso di piacere.

–Sono io. E lei… il professore Sant'Angelo?

–Sì.

Si strinsero la mano non trovando subito altro da dirsi, con quella incertezza che non si scompagna mai da un primo incontro il quale avvenga in così delicate contingenze.

–Ha fatto un buon viaggio?

–Buonissimo; solo mi parve tanto lungo. Non vedevo l'ora di essere arrivata.

–L'attendevamo anche noi con tanto desiderio. La mamma poi…

–Sua madre! Come dev'essere buona!

E uscirono dopo che il professore ebbe incaricato un guardiano della stazione di ritirare il bagaglio di Loreta e di recarlo poi in casa.

Fuori, Agnul era già pronto. Il ragazzo seduto a cassetta colla frusta tra le ginocchia, spalancò tanto d'occhi a vedere la forastiera e nella sua grande curiosità dimenticò perfino di mettere la mano al cappello.

–E presto! – disse il professore quand'ebbero preso posto.

Il carrozzino partì velocissimo.

Per qualche minuto nè Mattia nè la giovane dissero parola. Lei guardava intorno le belle distese de' prati già invasi dalla mestizia autunnale.

–Che luoghi pittoreschi! – mormorò dopo un poco.

–Sì, il paese è bello. Certo, adesso che l'autunno avanza, tutto apparisce più malinconico. Ma nella stagione buona…

Erano giunti ad uno svolto della strada e sul colmo di un poggio apparve la casa dei Sant'Angelo, bianca, coi vetri luccicanti nello splendore del tramonto.

–Ecco lì la nostra casa, – fe' il professore accennando col dito, – laggiù dietro a quei due grandi pini.

–Ah! laggiù!

–Sì: ed ecco mia madre, che ci sta aspettando. Infatti a piede del viale che saliva alla casa, fiancheggiato di vecchi pini, la signora Chiara, avvolta nel suo sciallino di lana scura e colla sua cuffietta nera in capo, li stava aspettando.

Con un sorriso sulle labbra la buona donna si avvicinò al carrozzino quand'esso sostò, e affabilmente, con quel modo incoraggiante che concilia di primo acchito la simpatia, tese le mani a Loreta.

La giovane balzò a terra, afferrò le mani della signora e con espansione, vincendo con uno sforzo la riluttanza di lei, gliele baciò replicatamente:

–Come la ringrazio! come la ringrazio!

La signora Chiara si strinse la ragazza al petto, dandole un bacio sulla bocca:

–Ma che, ma che! Siate benvenuta nella nostra casa. Lassù c'è bene un posto anche per voi…

Loreta, confusa, sorpresa quasi, da quell'accoglienza tanto affettuosa, si provò indarno a parlare. Le parole non le uscivano, mentre una lagrima le scorreva giù per le guance patite.

La signora le cinse col braccio la vita e riprese il cammino verso la casa.

–Aveva ragione Prè Letterio, – disse dopo un lungo silenzio la giovane, – aveva ragione quando mi scrisse che avrei trovato la bontà più grande…

–Prè Letterio ci vuol troppo bene, – rispose la signora Chiara. – Non è bontà questa. È un dovere ed una gioia. Io spero che mi vorrete bene, e che sarete contenta in mezzo a noi.

–Se sarò contenta!.. Dio è stato così pietoso verso di me, mandandomi questa grazia. Se vi vorrò bene?.. Come mai altrimenti!

E nel trasporto sincero della sua gratitudine, altre cose la giovane soggiunse, ed altre molte ne avrebbe soggiunte se la signora Chiara non glielo avesse proibito. "Era momento di finirla adesso! Doveva riposarsi, doveva tranquillizzarsi che proprio il bisogno ce lo aveva. E poi già glielo comandava e intendeva di essere subito obbedita…"

Tale fu l'ingresso di Loreta nella famiglia dei Sant'Angelo.

IV

Per quanto da una parte le accoglienze fossero state cordialissime, e per quanto dall'altra vi avesse risposto la più calda riconoscenza, certo, ne' primi giorni non potè completamente essere vinto quel vicendevole imbarazzo, che tratto tratto s'impadroniva così dei Sant'Angelo come di Loreta, e che tutti e tre riuscivano assai malamente a dissimulare.

V'erano delle ore nella giornata-quelle specialmente che di solito sono consacrate alle intime confidenze familiari-in cui cotesto imbarazzo manifestavasi più molesto. Alla sera, quando terminavano la cena e si erano esauriti i soliti argomenti della chiacchiera giornaliera, facevasi assai sovente un improvviso silenzio fra que' tre personaggi. La signora Chiara andava a sedersi nella sua grande poltrona, in un angolo della stanza, che rimaneva quasi immerso nella penombra, accanto alla stufa dove già s'era acceso il primo fuoco; il professore si poneva a giocherellare col grosso cane di casa-un bel terranova dagli occhi intelligenti-che veniva a posargli la testa sulle ginocchia. Loreta rimanevasene al suo posto, pallidissima, collo sguardo fisso a terra, come assorta in una lontana visione. Sulla sua fronte bianca si sarebbe creduto di scorgere una nube di tristezza. E nel fissarla attentamente quasi s'indovinava uno sforzo ch'ella s'imponesse per celare il vero stato dell'anima sua.

La signora Chiara pescava nelle proprie memorie, per rompere que' silenzi incresciosi, i vecchi aneddoti paesani, le burlette di cui in altri tempi era stato maestro il nonno Sant'Angelo, qualche strofetta allegra, di quelle che l'arguto vecchietto improvvisava ne' momenti di buon umore nella sua caffetteria di Tricesimo e che si citano ancora oggi nel Friuli insieme a' versi migliori di Pietro Zorutti.

E quando Loreta sorrideva:

–Eh! eh! – esclamava tutta soddisfatta la buona signora-casa Sant'Angelo è stata sempre casa di gente allegra. Visacci mai, neanche nelle ore cattive. E tutti così: il nonno non si dice; il babbo di Mattia, con tanti pensieri, allegro sempre anche lui. E Mattia come lo vedete, con tutti i suoi studi e le sue medaglie e i suoi occhiali d'oro, così serione ch'egli pare… Ma se ci si mette!

–Non ci credete veh! alla mamma. Dice così per farmi arrabbiare.

–Sicuro, poverino! Ma se mi ponessi a narrare un paio soltanto delle sue storielle!

E ne narrava alcune difatti, ad onta delle proteste che il professore affettava di fare.

Una fra quelle storielle era graziosissima davvero e curiosa anche per la sua eccentricità.

Si riferiva al grosso cane di Terranova, che accompagnava dovunque il professore come la sua ombra e per il quale in famiglia si avevano grandissime cure.

La storiella rimontava ad un paio di anni ed aveva avuto origine da un singolare processo che per il corso di molti mesi era stato argomento di ardenti discussioni in tutto l'alto Friuli. Si trattava di una querela sporta contro il professore Sant'Angelo al tribunale di Udine da un notissimo prete di Collalto, don Giovanni Morganti, a proposito del diritto di proprietà sur una breve zona di prato, che trovavasi sul confine de' loro possedimenti. Era una prateria piccina, di poche centinaia di metri quadrati, che dava ogni anno uno scarsissimo raccolto di fieno e che, a giudizio della gente, non meritava certo il chiasso e le spese che i due litiganti avevano fatto. Ma c'era per questo la sua brava ragione. In quel campo pochi mesi prima un contadino, scavando una fossa, aveva trovato una piccola urna contenente dieci o dodici monetucce coll'effigie dell'imperatore Massimino, una fibula, una collana di ametiste e due aghi crinali, che al professore Mattia erano parsi un vero tesoro. Il prete Morganti, collettore arrabbiato di vecchie medaglie, e che in fondo sentiva una grande invidia per la bella fama del Sant'Angelo, non aveva più dormito i suoi sonni tranquilli. E avendo, tra antiche carte di famiglia, ritrovato certi documenti, che gli parevano dargli un titolo ad accampare de' diritti su quel pezzo di terreno, s'era affrettato a movere lite al professore.

La lotta fu lunga. Gli avvocati-i migliori di Udine-moltiplicarono scritture e controscritture. I due litiganti ebbero a spendere di gran quattrini. Ma la vittoria infine rimase al Sant'Angelo.

La sentenza del tribunale, se mise in regola la questione giuridica, non bastò a conciliare i due antagonisti. Il prete non si dette più pace e non lasciò occasione per manifestare il suo malanimo contro l'usurpatore. Questi dal canto suo se la godette a rispondere coi dispetti ai dispetti. E ne pescò di quelle che fecero montare il prete Giovanni su tutte le furie. Basti il dire che un bel giorno, per far rabbia a don Morganti, gli venne il ticchio di imporre al suo grosso terranova il nome di prè Zuan, cosa che fece ridere di cuore tutto il paese e fruttò al magnifico cane una rinomanza quasi maggiore di quella procurata da Alcibiade al suo col famoso taglio della coda.

–Eh! ho ragione io se dico che i Sant'Angelo sono gente allegra! – concludeva la signora Chiara tutta gongolante nel vedere che un sorriso illuminava la bella faccia della giovane Lambertenghi.

La signora Sant'Angelo provava una soddisfazione, nell'agire in tal guisa. Ottima di cuore e un po' facile a prestar fede a quello ch'essa soleva chiamare il volere del destino, aveva sentito di primo impulso, appena l'ebbe veduta, una viva simpatia per la nipote. Ne' suoi lineamenti severi, in quegli occhi pieni di pensiero, nella parola di lei misurata e dolce, le pareva di avere già indovinato il carattere della giovane. Certo in quell'anima la tempesta delle passioni doveva essere già passata implacabile, lasciandovi il segno del suo furore. Ma in quell'anima non poteva essere distrutta l'ingenita delicatezza di sentimento, che è la più bella qualità di ogni umana creatura. Tutto questo la signora Chiara era riuscita a comprendere osservando attentamente ogni atto di Loreta, pesando ogni sua parola, non lasciandosi sfuggire alcun particolare del suo contegno.

La vita che Loreta conduceva era assai semplice. In pochi giorni aveva saputo perfettamente accordarsi alle abitudini regolate ed uniformi della casa. Di più, con tatto squisito, aveva subito cercato di mostrarsi premurosa e non inutile nelle bisogne domestici. Quando la signora Chiara accingevasi a qualche lavoro, Loreta prontamente si offeriva di darle mano. Se il professore esprimeva qualche desiderio concernente la casa, la giovane procurava subito di concorrere perchè egli fosse soddisfatto. Perfino, talora, ne' giorni che c'era gran da fare, o pel bucato o per i fittaiuoli che venivano a pagar le pigioni o per qualche forestiero che capitava a visitare il medagliere e le lapidi del professore, Loreta, ad ogni costo, voleva addossarsi una parte de' lavori che incombevano alla Vige.

La vispa contadina però si ribellava. Non poteva permettere che quella signorina sciupasse le sue piccole manine bianche nell'attendere a certe cose. Mani da ricamare, mani da contessina. E poi, con quella salute che aveva, starsene al foco de' fornelli, starsene curva sulla tavola da stirare. Mai e poi mai!

–Vige mia, lasciatemi fare. Mi ci diverto e mi fa piacere!

Vige la guardava, la guardava fissamente, e comprendendo che le parole della giovane erano veritiere si guardava dal contraddirla più oltre.

Ma quando, qualche volta, Loreta usciva a fare degli acquisti a Tricesimo od andava, accompagnata da Agnul col carrozzino a Udine, per visitare il suo amico e protettore don Letterio, Vige provava il bisogno di dire l'animo suo alla padrona:

–Non è una donna quella lì, è un angelo! Buona, buona come il pane. Ha fatto una gran opera santa, signora mia, prendendola in casa.

–Per buona, sì, mi pare.

–E dev'essere stata così sfortunata! Guai a dirlo: è un grosso peccato! ma è proprio vero che sono i buoni quelli che hanno le maggiori disgrazie!

–Ti narrò mai qualchecosa la signorina?

–A me! si figuri! Che confidenza vuole che abbia per una povera serva come son io? Però ho indovinato ed ho anche udito…

–Udito? Che cosa?

–Eh! ma tante volte! Alla sera quando ella, signora, ed il professore son già coricati ed io passo, per andarmene a dormire, dinanzi alla camera della signorina…

–Ebbene?

–La odo di dentro a piangere sommessamente. E una volta anzi… – ho fatto male, lo so-ma, avendo visto ohe il lume era ancora acceso, presa dalla curiosità, ho anche guardato dal buco della toppa… Avesse visto! La povera signorina era inginocchiata dinanzi al suo letto e tenendo fra le mani un oggetto lucente, – che so? una croce, un medaglione… – lo baciava replicatamente, colla faccia tutta bagnata di lagrime. Certo qualche memoria de' suoi cari…

–Certo, – fe' la signora Chiara. – Queste sono cose che provano ad ogni modo un animo buono ed affettuoso…

–Altro che buono!.. Se sapesse la pietà che m'ha fatto!

E l'ottima Vige, per poco fosse stata incoraggiata, quasi quasi si lasciava intenerire al solo ricordo di questi particolari.

Ma la signora Chiara non gliene lasciò il tempo:

–Tutto va bene… tutto va bene. Ma non va bene niente affatto di spiare, come hai fatto tu, dal buco delle serrature…

La Vige chinò il capo tutta mortificata, buscandosi senza proteste quel piccolo rimprovero che sapeva bene di meritarsi.

La signora Chiara non avrebbe del resto avuto bisogno alcuno dei racconti della sentimentale servetta per essere persuasa della grande bontà della sua povera parente, il cui carattere espansivo e cordiale le si veniva rivelando ogni giorno di più colle prove che Loreta le dava del suo attaccamento e della sua gratitudine. S'erano fatte amiche. Omai per la signora Chiara la compagnia della giovane era divenuta un'abitudine gradevolissima, di cui non si sarebbe privata che a malincuore. Erano pochi mesi dall'arrivo di Loreta e la vecchia signora la considerava già com'ella fosse stata sempre nella loro famiglia.

Ora, che l'invernata scorreva rigida e che si era obbligati a starsene per intere settimane chiusi in casa, la giovane riesciva di vero conforto alla signora. Il professore Mattia, da quel rusticone che era, se ne stava adesso più che mai seppellito nel suo studio, intento a dar l'ultima mano ad una memoria Sulle antichità aquileiesi, che gli era stata richiesta dal Mommsen per una rivista tedesca. E le due donne solette nel tinello, al lume raccolto della lampada, passavano le loro serate lavorando: per lo più capi di biancheria e di vestiario, che la Sant'Angelo, secondo una sua antica abitudine, destinava ai fanciulli poveri della parrocchia. La buona signora, cogli occhiali sul naso, ferruzzava le grosse calze di cotone bigio; Loreta attendeva a qualche lavoro di cucito.

Poi, a tratti, quando le raffiche del vento venivano, giù dalle gole nevicate della Carnia, a rompersi con impeto contro la casa facendone tremare i vetri delle finestre, la signora Chiara deponeva il lavoro:

–Che brutta notte, oggi! L'inverno in queste campagne è assai triste. Per coloro poi che non ci sono avvezzi… Voi, mia cara Loreta, dovete trovarvi assai male.

–Male? Ma che dite, signora! Qui per me è il paradiso. Se Dio non mi avesse protetta mandandomi il soccorso provvidenziale che voi mi avete offerto, che cosa sarebbe di me? Si apprezza il bene solo quando si è imparato che cosa sia la sventura!

–Sì, sì, figliuola mia; ciò che dite mostra il vostro bell'animo. Ma via, siete tanto giovane ancora: la vostra mente deve volare ben lontano da queste nostre solitudini così fredde!

–Lontano! Ma dove mai? No, signora Chiara. Al di là della soglia di questa casa benedetta, dove ho trovato tanto tesoro di amorevolezza e di pietà, non c'è più nulla per me. Al di là non ho lasciato nulla: nulla al'infuori di memorie dolorose. E guai per me se non fossi riuscita a cancellarle dall'anima mia!

In quelle conversazioni Loreta aveva anche accennato più volte a suo padre, e talora aveva pure insistito nel discorso a malgrado che la signora Chiara, con gentile sentimento, nulla avesse fatto mai per indurla a confidenze ed anzi si fosse tenuta in proposito nel riserbo più delicato.

I giovani anni di Loreta erano stati infelicissimi. Sua madre, Camilla Sant'Angelo, era morta presto, trentenne appena, coll'illusione beata che alla bambina sarebbero riserbate le più dolci tenerezze dell'affetto. Prospero Lambertenghi glielo aveva promesso dandole l'ultimo bacio e fu con questo pensiero tranquillante che la poveretta si spense. Ma Prospero obbliò assai presto. Carattere volubile, dominato dalla sete de' pronti guadagni, insofferente di una vita umile e regolata, dopo breve tempo sentì il peso dell'esistenza a cui le contingenze della sua famiglia lo costringevano. Nei primi tempi il pensiero di dedicarsi tutto alla felicità di quella povera creatura, che, col suo vestitino da lutto lo attendeva sul limitare del loro quartiere, compensandolo col suo sorriso d'ogni fatica, gli era apparso bellissimo e pieno di poesia. Poi più tardi, quando nuovi arditi progetti di intraprese larghissime gli balenarono alla mente; ne' giorni nervosi, quando la cerchia ristretta delle pareti domestiche apparì, al suo spirito ansioso di voli infrenati, simile ad una prigione, quella bimba gli sembrò un ostacolo posto fra lui ed il raggiungimento de' suoi ideali. Non voleva essere lo schiavo di stupidi platonismi. Finalmente col bene proprio avrebbe fatto pur quello della bambina. Al suo cuore, che talora gli opponeva un palpito affettuoso, impose il silenzio. E si lanciò nel mare magno degli affari, delle imprese arrischiate, in que' giuochi ardimentosi, in cui il segreto del trionfo sta quasi interamente nel freddo disprezzo di ogni contrarietà della sorte.

Возрастное ограничение:
12+
Дата выхода на Литрес:
03 июля 2017
Объем:
280 стр. 1 иллюстрация
Правообладатель:
Public Domain

С этой книгой читают