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Читать книгу: «Storia degli Esseni», страница 2

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LEZIONE SECONDA

Vi promisi, o signori, che subbietto della presente conferenza saria stato la origine, il significato di questo nome di Esseni, di quel nome col quale venne la scuola presente invariabilmente contraddistinta. Aggiunsi, o signori, che molte sono, che sono discordi le congetture che di questo nome furono in tutti i tempi proposte. Io vengo ad adempire la mia promessa, vengo a schierarvi in bell’ordine innanzi le moltissime congetture che nella presente disquisizione il primato contendonsi. – Uomini celebri ci hanno trasmesso delle loro meditazioni il portato; nomi cari e venerati alla scienza non esitarono disputare lungamente intorno l’origine di questo vocabolo. Saremo noi rispetto ad essi più avari di attenzione, di quello ch’essi il furono verso di noi di lucubrazioni e di veglie? Io dico, o signori, per voi che nol saremo. – Levino, dunque, la voce e ci dicano dei loro studi il portato. Ci dica per primo il Salmasio in qual guisa egli giunse a credere il nome di Esseni da quello derivato di una città e regione che questo nome portava di Essa. Ci dica poi il Basnage su qual fondamento egli la opinione del Salmasio negava, affermando a dirittura, nulla traccia averci l’antica geografia tramandato della esistenza della supposta regione. Ci dica, infine, la buona critica tra il Salmasio che afferma e il Basnage che dinega, chi meglio al vero si sia apposto. Cel dica, o signori, la Rabbinica Enciclopedia, e in particolare il Talmud. Cel dica, in secondo luogo, il deposto degli antichi geografi e l’autorità dei viaggiatori. Cel dica e la paziente disamina dei Filologi, e la scienza talmudica (e nello invitarvi a bere con me a questo fonte, nel potere ad autorità invocare il libro che tanti e tanti ebbero ed hanno in dispetto, difendere io non mi so da un innocente sentimento di orgoglio, che il rigoroso ascetismo del Passavanti non temeva qualificare di santa superbia): cel dica il Talmud in quei tanti e concludentissimi passi da me con grande studio raccolti, ove, ad onta dell’asserzione del Basnage, la esistenza di una regione così chiamata vien posta in splendidissima luce. Cel dica il trattato di Sanhedrin, ove di due Dottori si narra che, a determinare le Neomenie e le feste, convenivano insieme a moltissimi altri, in una spezie di concilio che una città vedeva allor celebrare, la quale il nome reca veramente di עסיא Asia: cel dica ivi stesso, ove di un altro Dottore si narra R. Meir, il quale in altra congiuntura si recava nella stessa אסיא Asia all’effetto medesimo. Cel dica nel trattato di Mesiha, ove invitando un Dottore alla fuga, onde all’obbligo sottrarsi di ministrare a certi offici edilizj, Tuo padre, così gli dicono, rifugiossi in Asia, e tu cerca riparo in Laodicea. Che più, o signori? Cel dicano quei passi ove, volendo far comprendere ai contemporanei a quali popoli, a quali terre corrispondono i popoli, le terre nel Genesi rammemorati, ci offre il più curioso ed interessante spettacolo dei primi degli iniziali conati che la scienza etnografica andava facendo per organo dei Dottori, e nuovo lustro e nuovi raggi aggiunge se è possibile alla loro corona. Il Talmud babilonico – il gerosolimitano, il Comento perpetuo che si chiama Medrasce, opera pur essa Palestinese, la Parafrasi di Gerusalemme, tutti, o signori, i primi albori ci offrono della Etnografia nascente, cresciuta, come sapete, ai nostri tempi gigante; e tutti della presenza attestano della contesa עסיא Asia. L’attesta il Babilonico in Batra, laddove ingegnandosi tradurre con nomi nuovi l’antico Cheni, Chenizi, Cadmoni, da Dio ad Abramo promessi nella sua discendenza, ci offre nel secondo di questi nomi il desiderato Asia. L’attesta il Talmud di Gerosolima, laddove a Cheni sostituisce Asia, – a Chenizi Apamea, – e Damasco al Cadmoni. L’attesta il Medras alla sezione 44, ove si riproducono i nomi stessi se non l’ordine istesso del Gerosolimitano. L’attesta infine il Parafrasta di Gerusalemme, ove il nome istesso ci porge di Asia, in ciò solo però dagli altri discorde, che lo equivalente egli ne fa dello antico Aschenaz. Innanzi, o signori, a questo bello e generoso adoprarsi dei Dottori a far convergere al luminoso centro delle Scritture tutti i rai dello scibile, due pensieri l’animo mio tutto intero si assorbivano. Io dissi da principio: È egli possibile, dopo tanti e solenni esempj, più a lungo il divorzio protrarre tra la scienza e la fede; e protrarlo (lo che è a dismisura più enorme) sull’autorità fondandosi e sull’esempio degli stessi dottori? Ripiegando poi l’animo mio verso il subbietto in discorso, io dissi a me stesso: Volle il Salmasio il nome Esseni da quello di Essa originare. – Lo negò il Basnage, e solo il Talmud parve al primo dei due consentire. Dovrà ella la questione rimanere in pendente? Dovremo noi la sola autorità del Talmud opporre al Basnage, a costo di udirci intimare solenne declinatoria? Immaginate voi, o miei giovani, l’ansia che assalisce il viatore quando, dopo mille disinganni, qualche caro pronostico gli ripromette la terra vicina? Or bene, tale io mi feci nella ricerca di una rovina, di una memoria, anzi di un vocabolo solo. Questo nome, o signori, finalmente spuntò. Non solo Tolomeo asserisce essere stato il nome di Asia particolarissimo alla Frigia, ma l’autorità eziandio mi soccorse ben tosto di nomi, di autorità ben altrimenti sonori, che non è in oggi l’esautorato Tolomeo. Egli fu il celebre orientalista Klaproth, che mi mise il primo sulla buona via. Egli, nella Cronaca caucasiana da esso pubblicata, mostra lo stabilimento in quelle regioni sino da epoche remotissime di un popolo detto Osi, o meglio Asi, come piuttosto crede il suddetto Klaproth. Non basta. Il Dubois era più esplicito; egli, nel suo Voyage autour du Caucase, questo formalmente ci fa sapere, cioè che il nome di Asia ha esistito in epoca remotissima, qual denominazione locale particolarissima della parte settentrionale della catena caucasiana.3 Perchè tanto studio a rivendicare la esistenza di tale sconosciuta regione? Forse, o signori, perchè io soscriva interamente alla origine dal Salmasio immaginata? Il processo del mio dire vi mostrerà che così non è veramente. E perchè? Perchè niuno, che io mi sappia, antico, originario legame il nascimento della Setta congiunge colle province dell’Asia minore. Ora, o signori, chi non lo sa? egli è proprio delle sètte quel nome assumere che più aperto n’esprima il genio, e il principio nativo, in quella guisa istessa che ognuno di noi quel nome porta con sè chè recò in sul nascere. E tanto esser dee avvenuto per quel degli Esseni. E poi, o signori, quante altre e potentissime ragioni non avversano la ipotesi del Salmasio! L’avversa il costume che ebbero, sto per dire generale, tutte quante le Sette, di tôrre a preferenza quel nome o che il fondatore ricordasse, o che più alla mente pingesse l’indole, il carattere, il genio ideale, anzichè il luogo, la patria, il paese ove prima ebbe i natali. Così voi dite, o signori, Platonismo, Epicureismo tra i pagani, e voi leggete tra le cristiane eresie i nomi di Ario e Nestorio, le dottrine del Triteismo e del Monoteismo, e tra le filosofiche scuole voi usate rammemorare l’Idealismo, il Sensualismo, il Panteismo.4 L’avversano, o signori, tutte quelle buone e salde ragioni che ci consigliano, come in seguito vedrete, a preferire diversa sentenza; e finalmente, l’avversa la più seria, la meno oppugnabile difficoltà che si potria contro un sistema suscitare. E sapete qual’è? – La prova del contrario. Invero, che dicono, le più antiche memorie della setta? Ove per la prima volta lo storico con gli Esseni s’imbatte, ove li trova, ove ne nota la prima presenza, i primi atti, la prima dimora? Altro che Frigia o Bitinia o altra qualsivoglia gentilesca contrada! E’ sarebbe come chi cercasse fuor di Roma il Campidoglio, l’Acropoli fuori di Atene, e il cuore umano fuori del centro vivificatore ove ha stanza ed imperio. La patria naturale, dirò anzi, necessaria dell’Essenato, è Palestina; e Palestina registra veramente la istoria qual primo teatro della loro storica apparizione. A Palestina aderirono costantemente gli Esseni, in quella guisa istessa che la più nobile parte di noi al frale aderisce per conservarlo in vita sin dove il militar le fu prescritto. Egli n’era l’anima, il genio personificato, condensato, ristretto; quindi tanto più espressivo: genio nazionale e religioso, ma religioso e ieratico sovra tutto, per i tempi volgenti a politico sfacelo, e pel predominio da lungo tempo avverantesi negli ordini ebraici dello spirito sulla materia, del generale sul particolare, dell’eterno sul temporaneo, del Cielo sopra la terra. Egli è quindi nel giro della patria Palestinese che l’origine e il significato dobbiamo cercare del nome di Esseni.

Ma per entro agli stessi confini di Terra santa, non è così unanime il sentire, che tutti in una origine si quietino gli indagatori delle Esseniche antichità, nei confini di Palestina. Tra le quali, una mi piace per questa sera considerare, che non piccola fama nè piccolo stuolo di seguaci si trasse dietro nel consorzio degli eruditi. Chi il merito vanti del primato non so, ma egli è un fatto però che non pochi furono di coloro a cui tra gli Esseni e i Baitusei, altra religiosa setta di Palestina, parve vedere una perfetta identità. L’udì forse per la prima volta l’Italia, e dalla bocca l’udì di un Ebreo, di un Rabbino, di un Italiano. Egli era il nostro concittadino Azaria De Rossi, o, com’egli si diceva ebraicamente, Min aadomim, che nel secolo decimosesto seppe coltivare con tal successo la storia e l’erudizione Greca e Romana, che la fama ne corse e dura tuttavia onorata nel mondo erudito. Or bene, o signori, Azaria De Rossi fu quello che propose la identificazione perfetta dei Baitusei del Talmud coll’istituto degli Esseni. Non basta; egli ne vide il nome nel nome dei Baitusei. Questo nome di Baitusei, si scrive in ebraico Baitusim, o Betusim, secondo altra lezione. Or bene, l’occasione era troppo bella per un ingegnoso etimologista, e il De Rossi non era uomo da lasciarla fuggire. Egli scrisse in due parti il vocabolo Baitusim; divise Bet da Usim. Di Bet egli fece Casa, Istituto, Sodalizio, Società; di Usim fece il nome proprio, l’appellativo istesso di Esseni. Ecco che cosa fece il De Rossi, schiudendo in questa via la strada a quelli che in processo di tempo la percorsero intiera. Vi entrò per primo il Fuller, che alla sentenza soscrisse del nostro Rabbino. Vi entrò quasi ai nostri tempi il Gfroëre, dotto tedesco, nella celebrata sua istoria, Critica del cristianesimo primitivo, a pagine 347; e tanto reputò la congettura avverata, che precipuo argomento ne trasse a provare tra le due sètte perfetta, intera omogeneità di carattere. Convien dire però, o signori, che tale non sembrasse a parecchi altri, nè di minore rilievo, che delle origini Esseniche presero a trattare. Io non dirò di altri che il precessero; ma se ultimo fu, certo non meno formale si pronunziò contro l’asserta origine Baitusea, l’illustre Franck, che onora in Parigi il nome e la dottrina Israelitica. Egli, il Franck, nella terza parte dell’opera sua la Kabbale, ou Philosophie religieuse des Hébreux, formalmente la respinge. Io credo che in questa, come in altre cose moltissime, abbia colto nel segno. – No, o signori, fintanto che luce non sarà tenebre, nè il giorno in notte converso, Baitusei ed Esseni non saranno giammai una cosa sola, un istituto, un sodalizio. Riflettete all’opinione costante universa prevalente negli antichi e nei moderni tempi della esistenza di un individuo, di un eresiarca famoso per nome Baitos, fondatore o vogliam dire caposetta della fazione Baitusea;5 esistenza, o signori, che, come vedete, la possibilità perfino ci toglie di scindere, di notomizzare l’indiviso e personale distintivo dell’eresiarca Baitos.6 Riflettete, infine, che i Baitusei non sono tali sconosciuti e incompresi settarj, che sia lecito alla ventura fantasticare sul conto loro; che note non ci sieno le lor dottrine, note le divergenze dal centro ortodosso, noti i caratteri, note le costitutive e naturali fattezze,7 e troppo ristretto quindi e troppo angusto il vallo riservato ad arbitrarii connubii.

LEZIONE TERZA

Vi dissi, o signori, come il Fuller aveva dapprincipio sottoscritto alla opinione del nostro De Rossi, e come esso prestò omaggio alla etimologia Baitusea. Ma che? ben presto s’avvide su quanto fragile fondamento posasse la preaccennata opinione. Narrò ai dotti impazienti come il vocabolo Esseni significasse uomini ritirati, ascosi, e poco mancò non dicesse solitarj e romiti. Non è difficile ch’egli dedotto avesse il nome Esseni dal vocabolo Asam, che in ebraico significa ripostiglio; o, meglio, che dalla radice ne ripetesse l’origine, che l’idea esprime veramente di tesaurizzare e nascondere, siccome Isaia (XXIII) aveva detto, di questo vocabolo giovandosi, lo ieazer veló iehasen. La nuova etimologia del Fuller riunisce ella, o signori, tutte le desiderate condizioni di credibilità? Rispond’ella a tutte le esigenze grammaticali, critiche, storiche e dottrinali? Quanto alla prima, io vo’ dire alla convenienza grammaticale, sarebbe ingiustizia il dirne male. Ben altre etimologie, e ben altrimenti arbitrarie, furono propalate qual prezioso e pellegrino trovato. Ma potranno dirsi egualmente contenti la critica, la istoria, e il genio e l’indole generale delle sètte? La critica potria invero, ponendoci un poco di buona volontà, chiamarsi contenta; potrebbe ricordarsi la critica come i Talmudisti dicessero appellativo glorioso quello di hobesé bet amedras, che suona gli studiosi reclusi; come uno tra essi celebratissimo recasse il nome di Hanen il recluso, Hanen anehba; come di parecchi si narri nel Talmud di Gerusalemme, avere eglino menato della vita gran parte, nel fondo di una grotta, tamir bimhartà: e infine potrebbe con cert’aria di trionfo notarsi come i diletti di Dio, i suoi servi, i suoi fedeli, siano detti a dirittura nei Salmi, i reclusi di Dio, i nascosi di Dio. (Salmo 83.)

Ma che per ciò, o signori? Io ripeterò ciò che parmi aver detto altre volte. Questi curiosi ravvicinamenti, questi tratti di luce, queste inaspettate e brillanti conferme, possono, in progresso di tempo, avere sovrapposto sul fondo primitivo un nuovo senso che nè al vocabolo ripugnava nè al costume degli Esseni. Ma può esserne stato, o signori, cotesta la naturale e propria e primitiva intelligenza? Io non lo credo; e per addurre due potentissime ragioni, ella è, in primo luogo, la considerazione per me capitale che gli Esseni così facendo, dissentito avrebbero dall’andazzo comune di ogni setta, la quale quel nome a preferenza si appone che il genio intimo e la natura sua propria e il carattere prominente stia a significare, anzichè un uso o una qualunque consuetudine, per quanto grande e peculiare si voglia imaginare. Ella è, in secondo luogo, la formale e contradittoria deposizione della istoria, la quale, siccome a suo tempo vedremo, non solo della vita reclusa, del genio cenobitico non fa costume proprio inseparabile dagli Esseni, ma gli Esseni stessi ci addita talvolta negli affari e nelle transazioni mischiati della umana società, e bella e grande parte sostenere sì nelle politiche, come nelle religiose faccende. – Il fatto, o signori, la reclusione, la vita cenobitica, cade qual integral requisito dell’Essenato; e con esso cade la etimologia del Fuller sur esso fondata. Altra ne escogitò lo Scaligero, e fu quella di Santi. Che ciò significhi il nome di Esseni, non oserei sostenere, comecchè io vada persuasissimo che tra i nomi che recarono gli Esseni, fu quello di Santi; come, da un lato, ne fanno fede le numerose menzioni che sotto questo nome appunto ne fa il Talmud, segnatamente là ove si parla della Santa Società, Keilla caddiscia di biruslem; e come, dall’altro, non meno concludenti ne soccorrano all’uopo i tanti passi degli Evangeli, in cui i primitivi cristiani, usciti senza meno dagli essenici chiostri, s’intitolano Santi; e Santi è tra i nomi che gli storici attestano avere i cristiani nei primi tempi recato, molto prima che cristiani si dicessero in Antiochia.

Strana cosa avvenne poi ad un antico padre della Chiesa cristiana, a S. Epifanio. Non è già che la cognizione della vera e sana etimologia gli facesse difetto, che anzi egli la conoscea benissimo, egli la propose, la insegnò; ma non quotando nel possedimento del vero, cercò il nuovo ed incappò nell’errore. Stava a cuore ad Epifanio, siccome stette di poi ad altri moltissimi della sua religione, di noverare il nobilissimo Istituto tra quelli che la chiesa generò nei primi secoli; di cristianizzare, per così dire, lo Essenato, di svellere la gloriosissima pianta dal Monte Sion per innestarlo al tronco cosmopolita del cristianesimo, e questa cara e bella gemma strappare alla corona di Giuda. Però non rifinirono antichi e nuovi dottori cristiani di cercare alle loro pretensioni argomento; cercarlo nei fatti, cercarlo nelle dottrine, e di queste vedremo; cercarlo poi nell’etimologia, e di questa adesso vediamo. Il primo a dar il segno della propaganda retrospettiva, fu, come dissi, Epifanio. Egli nel nome Esseni trovò Iesse genitore di Davide; anzi, in grazia di esso, il nome di Esseni in quello mutò più alle sue viste affaciente di Iesseni. Gli parve poco. Gli parvero troppo remoti, troppo indiretti i rapporti coll’oggetto che preso si aveva di mira. Egli osò; e di un balzo superò ogni distanza, e di un balzo strinse, confuse, identificò l’Essenato o il Cristianesimo; e quello, come questo, derivò dal nome di Gesù, e gli Esseni disse da Gesù appellati, siccome quelli che alle dottrine sue preso avevano ad ubbidire. Dante, o miei giovani, disse in alcun luogo della Commedia, negarsi talvolta dagli uomini ossequio a quel ver che ha faccia di menzogna; nè la mente errò, così dicendo, del divino Poeta. Dante, avria potuto dire con egual verità, che spesso quest’ossequio si concede, si prostituisce a quella menzogna che ha faccia di verità. Ma quella di sant’Epifanio ha ella almeno, o signori, di verità la sembianza? Io dico che ella reca distinto il suggello dell’errore, dell’arbitrario. Chi mi sa dire, invero, quale delle due sue interpretazioni riesca più a udir tollerabile? È ella forse la prima, è ella quella che da Iesse padre di Davide l’appellazione ripete degli Esseni? Ma qual rapporto, di grazia, fra l’antico Betlemmita, e il grande e il dotto istituto degli Esseni? È ella la seconda che da Gesù, il nome conia di Esseno, di Essenato? Ma vuol dunque egli, sant’Epifanio, la baia dei fatti nostri? Che un padre della chiesa, che un Epifanio non voglia soscrivere alla sentenza di parecchi tra i moderni che Gesù vogliono anzi educato, ispirato nella società degli Esseni, questo di leggieri si comprende; ma quello che non si comprende, questo si è, o signori, cioè come ignorasse Epifanio, che mentre gli Esseni mangiavano, bevevano e panni vestivano, il modello d’onde tolsero, al dire di lui, a foggiare il nome loro, il preteso denominatore della setta, giaceva tuttavia latente in grembo al futuro; ch’è quanto dire che Gesù Cristo non esisteva: e non occorre aggiungere che, salvo quei rarissimi casi in cui tutto collima ad attestare la verità di un supposto, non è concesso a chicchessia, fosse pure un santo, detrarre o aggiungere una jota, siccome egli fa, veramente nel nome che si vuol decifrare. Or, chi ha egli abilitato Epifanio a cangiare il nome di Esseni in quel di Iesseni? Ecco, o signori, le cause, le gravissime cause che ci interdicono lo assentire alle arbitrarie interpretazioni di Epifanio.

Vi fu, o signori, chi accettando la lezione di questo Padre, e chiamando lo antico sodalizio Iesseni piuttosto che Esseni, una interpretazione v’innesta che ha, se non altro, l’apparenza di plausibile. Volle il Nilo che Esseni si dicessero nel significato di Dotti e di Savi. D’onde una siffatta etimologia? Egli vide la Sapienza denominata nelle sacre scritture col nome implicito di Ies; dico, o signori, implicito, perchè la forma e lo involucro esteriore suona piuttosto Tuscia, comunque universa predomini la opinione, inchiudervisi qual radice il vocabolo significantissimo di Ies. Che vuol dire Ies, o signori? —Ies è il vocabolo che esprime l’Idea più astratta, l’Idea, sto per dire, più ideale – l’Idea massima – l’Essere– l’Essere metafisico, incondizionato, indeterminato, e come direbbe il Rosmini, l’Ente Possibile. – Ma Ies esprime eziandio, voi già l’udiste, l’Idea di Scienza, di Dottrina, di Pensiero per eccellenza; attalchè, per una ammirabile e notevolissima sinonimia, acchiude nel proprio senso il duplice significato di Essere e di Pensiero. Voi non potreste misurare la immensa importanza di questo bellissimo trovato filologico senza molte indispensabili precognizioni filosofiche; che dico? senza alle più alte cime poggiare della odierna filosofia Alemanna, senz’almeno toccare del rinnovatore delle filosofiche discipline, di Cartesio, che poneva a base del suo sistema il famoso Cogito, ergo sum: Penso, dunque esisto;– senza risalire almeno a Platone che, nel decimo delle leggi, domandava che cosa è l’Essere Primo? e rispondeva l’Essere Primo, è l’Idea – è il Pensiero; – senza accennare almeno ai Dottori, i quali videro nel Ies promesso ai giusti in Paradiso, leanhil oabai ies, l’Essere Perfetto e il Perfetto Pensiero, cioè la Visione.8

È egli questo lavoro, o signori, che intraprendere si possa e compire tra due parentesi? Il vostro buon senso ha già risposto per me. Io voglio soltanto che impariate da questo esempio, quale sterminata latitudine abbracciano le lettere ebraiche; come in fondo ad un oscuro vocabolo ti si apra non di rado agli sguardi atterriti tale profondo e smisurato abisso, da darti, al solo vederlo, il capo-giro; come gli spregiatori di queste frasche pretese, sieno tanto savi quanto il villano che d’uno sguardo non degna la minutissima polve stellare che si chiama Nebulosa, alcune poche palate anteponendole invece del suo caro concime. Fatto è, o signori, che Ies adombra l’Idea di una scienza sublime, di una scienza nella sua perfezione immanente; e chi solo ne dubitasse potria vedere i più rigidi ed esclusivi gramatici, il Kimhi tra gli altri, nei suoi Radicali.

Si apponeva egli, o signori, il nostro Erudito nel derivare da questo vocabolo, l’origine di quel di Esseni? Senza dubbio, che qualche giusta e calzante analogia milita in favor suo. Il favorisce, o signori, l’Ebraico Jesciscim, al plurale Vecchi, o come altrimenti si voglia, Anziani, nei quali, dicono i Proverbi, posta ha seggio la Sapienza: bisciscim hohma. Il favorisce lo esempio dei Pitagorici, coi quali non pochi nè lievi riscontri ci offrirà il nostro Essenato, che il nome i primi coniarono ed assunsero eglino stessi per tempissimo, di filosofi, ossia cultori ed amanti della sapienza: e quando ogni altra analogia venisse meno, quella sorgerebbe viva e parlante di tutto il Dottorato Ebraico, che la caratteristica distinse mai sempre di Hahamim, savi. Dirò anzi di più, che per questa come per alcuna fra le altre etimologie da noi rigettate, noi rechiamo sentenza che i nomi che vi si volle trovare, se non esprimono il senso di Esseni, pure tornano in acconcio al grande Istituto, e per, alcuni almeno, probabilmente il contraddistinsero. Di questo novero è il nome di Savi, di Dotti; diciamolo a dirittura, di Gnostici. Noi che crediamo gli Esseni antenati dei Cabbalisti, la cui scienza essi chiamarono Gnosi o Scienza per eccellenza, come chiamarono la propria e il Cristianesimo e le prime Eresie; noi che ricordiamo nel Talmud cento parlantissimi casi in cui il nome di hohma o Gnosi è usato manifestamente nel senso di Dottrina Acroamatica, non potremmo negare la convenienza di questo nome all’istituto degli Esseni. Ma è egli questo che il nome loro significa? Chi non lo vede? Ies, Iascisc, Tuscià, nel senso pure più favorevole alla imaginata derivazione, sono vocaboli che appartengono principalmente al linguaggio sublime, allo stile, per così dire, nobile, poetico, aulico, aristocratico della Scrittura. È ella questa la officina ove i nomi si coniano per l’ordinario, che scuole e sètte contraddistinguono? La Storia vi risponde al contrario. Parole vive, parole usate, correnti sulle labbra del popolo; parole pregne di senso, multiformi, multilatere e in sommo grado comprensive; ecco, o signori, il materiale donde si foggiano i nomi, le qualificazioni delle sètte. E tale non è la proposta derivazione. – Ella è troppa dotta, troppo classica, troppo studiata, per esser vera. È anche, dirò di più, troppo biblica, troppo scritturale, per tornare in acconcio nella epoca Rabbinica per eccellenza, nella quale sotto questo nome ti apparisce a prima volta lo Essenato; – per consuonare con quella lingua dai Dottori parlata, che se non è il dialetto Ebraico-rabbinico dei tempi posteriori, è certo immensamente distante dal biblico purismo; con quella lingua insomma che mirabilmente tramezza

Fra lo stil de’ moderni e ’l sermon prisco.

Ancora, o signori, ulteriore esame ci attende, e noi abbiamo finito.

Egli è un curiosissimo passo che la mia stella propizia mi parava dinanzi nel volgere e rivolgere a questo uopo le carte; un passo, io dico, sugli Esseni rilevantissimo, nella più dotta descrizione che della Grecia vetusta ci abbia tramandata l’antichità, in un autore greco egli stesso, in Pausania. Egli, nella descrizione dell’Arcadia, discorrendo del celebre Tempio di Diana Imnia nella regione degli Orcomeni, alcune cose va esponendo di cui disconoscere non si potrebbe la importanza. Narra Pausania, come stabilito fosse dalla legge che la sacerdotessa e il sacerdote, non solo circa il commercio carnale, ma in tutte le altre cose ancora dovessero serbare la castità per tutto il tempo di vita loro; che nè il bagnarsi, nè vivere secondo gli altri, nè entrare nemmeno nella casa di un privato fosse loro consentito. Giunto a questo punto, Pausania esce fuori con queste parole che io vi raccomando, che riproduco testualmente, ed alle quali vi prego attendere tutti in orecchi. —Io so, dice Pausania, che queste cose (ch’è quanto dire il celibato, la solitudine e la vita in tutto singolare di sopra rammentate) osservano presso gli Efesi, per un anno non per tutta la vita coloro i quali sono Estiatori di Diana Efesina, e che dai cittadini, Esseni, sono chiamati Tanto è. Pausania ha pronunziata la gran parola! La parola di Esseni! e l’ha profferita a proposito non già di Solima e delle sue sètte, ma di Efeso, ma del culto di Diana, ma del prisco Politeismo.

Ove siam noi, o signori, e che cosa significa questo stranissimo incontro? Siamo in Efeso? Siamo in Palestina? È Diana che qui si adora, è l’Eterno che qui si cole? Sono Ebrei cotesti, sono Pagani? Voi siete già, o miei giovani, non è egli vero, alquanto sorpresi. Or bene, permettete che vi dica che tutto non avete udito. Avete udito, è vero, i sacerdoti di Diana Efesina qualificati Esseni; intenderete adesso, cosa più strana, intenderete un Dio, un Dio del Paganesimo, il più grande degli Dei dell’Olimpo, l’Ottimo, il massimo Giove, Esseno egli stesso esser chiamato. Chi gli diede questo nome inatteso? Chi operò questo strano connubio? Egli è il poeta Callimaco, a cui gli antichi e i moderni tempi concessero fama di dottissimo nelle greche antichità. Egli è Callimaco che così si esprime nell’Inno a Giove che reca il suo nome. Callimaco, che insieme a Pausania ci attesta la presenza in seno al paganesimo di un istituto, dirò di più, di uno stato di straordinaria perfezione che dai popoli, dai poeti, Esseni ed Essenato eran chiamati. Che vuol dir ciò, o signori, e quale è dello Essenismo la chiave? La chiave, o signori, è pronta. L’Edipo si è trovato. Egli è lo Scoliaste, ch’è quanto dire l’autore delle Scolie o commenti alle Poesie di Callimaco. Egli lesse come noi il Giove Esseno di Callimaco; ad esso, come a noi, sembrava strano, incompreso l’epiteto; ma egli meglio di noi nelle greche lettere erudito, potè coglier più davvicino nel segno. – Narra lo Scoliaste, come il vocabolo Esseno– notate, o signori, singolarità, – fosse vocabolo vecchio, usitato in Efeso; e di che lingua credereste? Forse della lingua greca? della lingua popolare? Signori no, dice lo Scoliaste, della lingua Religiosa. E che significa in questa lingua, di grazia, il nome Esseno? – Significa, ripiglia il nostro chiosatore, significa Re delle Api, e in questo senso fu conosciuto, fu usato nei prischi tempi. Però non guari andava, continua lo Scoliaste, che il senso assunse di Re, di Monarca in generale, e Monarchi e Re furon detti Esseni. Ma una nuova trasformazione il vocabolo Esseni attendeva, e non è la meno importante. Venne tempo in cui per dir Re, Sacerdote, Principe dei sacrifizj, Preside nei sacri agapi o nei religiosi conviti, Esseno generalmente solea dirsi. Esseno, quando l’officio si voleva indicare che in Atene eserceva il Re Arconte; Esseno, quando quello che in Roma sosteneva il Rex Sacrificulus.

Questi sono i fatti, o signori, e dei fatti interprete fedelissimo finora mi sono reso. Èmmi dato perciò muovere un passo più oltre? potrò io scoprire quali relazioni possono avere stabilito questa comunanza di nome, e in parte questa comunanza d’idee, tra l’Essenato Palestinese e il sacerdozio dell’Asia Minore? Io confesso che non mi sento da tanto, nè tanto mi consentono le notizie di cui io dispongo, nè le forze nè il tempo nè la già stancata pazienza vostra. Il fatto, o signori, è grande e vistoso, e tale da provocare gli ingegni più felici, e da meritare le indagini più accurate. Noi lo lasceremo per altra volta intentato: forse non ci sarà disdetto rivolgerci sopra altra fiata la mente. Per ora mi basta chiamare la vostra attenzione sopra questi tre punti, secondo me, capitali. Il primo riguarda il luogo. Quale è il luogo ove udiste risuonare il nome di Esseni? È, voi lo sapete, l’Asia Minore; quell’Asia, cioè, ove vedemmo sin dalla prima lezione sorgere una città per nome Asia, da cui fu creduto per alcuni derivato il nome di Esseni; ove traevano, come avete veduto, i più eletti campioni del nostro Dottorato a celebrarvi la fissazione e la proclamazione delle feste, e la intercalazione del nuovo mese. Questo è, o signori, il primo punto. L’altro fatto di non minore rilievo, è il vocabolo ebraico Hassen, il quale non solo, come l’Efesiano Esseno, suona in genere forte, illustre, magnifico; non solo è posto al fianco di Nezer, Corona, e vi officia qual sinonimo, secondo il genio del parallelismo ebraico, chi lo leolam hasen veim nezér ec. ec.; ma, ciò che pone il colmo alla nostra ammirazione, è il vedere nei salmi Dio, Dio nostro, il Dio vero chiamato Dio Hassin, in quella guisa che facendosi organo del pensiero ieratico dei sacerdoti di Diana, chiamava Callimaco il greco Giove, Giove Esseno; parola non greca, non popolare, ma vocabolo vecchio, ma vocabolo della lingua religiosa, siccome udiste dalla bocca di Callimaco stesso.9 E questo è il secondo punto. Venga il terzo adesso, e chiuda di queste riflessioni la serie.

3.A quai paesi corrisponde la nordica regione del Caucaso? Se io non vado errato, ai paesi anticamente conosciuti sotto i nomi di Frigia e Bitinia. E questi paesi che nomi recano nella Santa Scrittura? Null’altro, dice il Bochart, e dopo di esso autori parecchi, che quello di Aschenaz. E per quanto Askenaz suoni diverso nella lingua ultima dei Rabbini, e nel valore che l’uso da lungo tempo gli annette, quello cioè di Germania; nonostante, ai Dottori, organi veri, legittimi di tradizione, non mai avvenne usare per Germania Askenaz. Che dico? Sono essi per contro che il suggello appongono alla Interpretrazione del Bochart, e tutto il peso vi aggiungono del numero e della tradizione. Abbiamo detto, non è molto, il Parafrasta di Gerusalemme tradurre Aschenaz per Asia: ora non è egli solo che all’uopo ci ajuti. Egli è il Rabba, che l’Askenaz della Scrittura ci presenta in Asia. Egli è altresì il Talmud di Gerusalemme, che Asia egualmente sostituisce ad Askenaz. Non basta: ma, cosa più sorprendente, vi ha un nome d’un popolo tra i figli di Jafet e tra i popoli Giapetidi, che il nome reca di Tubal. Ora, o signori, che cosa è Tubal? Bitinia, vi risponde aperto il Talmud Jerosolimitano; Essenia, vi risponde aperto egualmente il Medras. Duplice asserzione che a vicenda si rischiara, che a vicenda s’illustra, che ci rimena col pensiero alla Bitinia, che, secondo Tolomeo, il Klaproth e il Dubois, fu specialmente contrassegnata col nome di Asia. Egli è, insomma, quel cumulo maggiore di prove che sia lecito desiderare onde mettere in sodo la esistenza di una particolare regione denominata Asia, e per giustificare il Talmud.
4.Si dice, è vero, Scuola eleatica, cirenaica ed itala; ma non si dice, od appena, eleati, cirenaici ed itali.
5.Vi sono alcuni testi rabbinici antichi, che farebbero credere essere stati piuttosto i discepoli di Zadoc e Baitos, ch’eglino medesimi, i fondatori delle sètte di questo nome. Ma posto ciò eziandio, riman ferma la esistenza storica di Baitos, e la derivazione da esso del nome della setta. Quanto ai Sadducei, setta a questa collaterale, la critica moderna si è permessa da poco in qua un congetturare senza limiti e senza freno. Lo spirito caraitico e antitradizionale che informa alcuni distinti suoi corifei, fece trovare nel nome di Sadducei un senso eminentemente encomiastico, facendolo derivare da Zaddik, giusto. Altri fece risalire i Sadducei a Zadok, antico sacerdote a’ tempi di Salomone, e vide per conseguenza in essi un partito sacerdotale. Il Sig. Renan, nella recente sua opera Vie de Jesus, fece altrettanto rispetto al Baitusei, che volle derivati da un Böethus pontefice di questo nome. Sarebbero, dunque, e Sadducei e Baitusei della famiglia sacerdotale. Qualunque sia il fondamento di questa congettura, egli è certo che il sacerdozio costituiva ai tempi di G. C. un partito ostile ai Farisei, tanto per le tendenze politiche, quanto per le dottrine religiose. E di ciò abbiamo autorevoli documenti nel Talmud, nè il sig. Renan ne dissente minimamente. Solo ci pare ch’ei non tragga tutte le conseguenze che da questo fatto derivano, nella discussione dei grandi problemi ch’ei si è proposto. Ma qui non è luogo a parlarne.
6.Il nome talmudico Baitos è identico al Bœthus pagano. Vi fu un Bœthus stoico, contro cui scrisse Porfirio un Trattato sull’Anima. V. Enneades de Plotin, trad. par Bouillet: Paris. Vol. II, p. 68.
7.Il Talmud è pieno di allusioni alla setta dei Baitusei; e quanto di essa si legge, delle dottrine e costumanze, nulla offre di analogo a quanto sappiamo d’altronde di certa scienza intorno la società degli Esseni.
8.L’illustre sig. Frank, autore della Kabbale, notò a buon diritto come nella identificazione suprema dell’Essere e del Pensiero precorresse la Teologia ebraica alle ultime dottrine prevalse in Germania. Ciò che ci reca ad una più alta antichità, che ne fa risalire alle Bibliche sorgenti, e che perciò stesso rivela nelle viscere dell’idioma biblico l’arcana dottrina teosofica che per entro vi circola, è questa sinonimia profonda di Essere e Pensiero nella radice Ies, onde qui si discorre. In un ordine poco diverso d’idee abbiamo, nel verbo Iadah, conoscere, un’altra non meno ammirabile sinonimia di Conoscenza e Amore. Noi renunciamo a citare il nome di Benedetto Spinosa, e ciò che nella sua Etica pertratta. È noto come i due attributi della Sostanza sieno per esso il pensiero e la estensione; e ciò che vi ha di acroamatismo ebraico nelle dottrine di Spinosa, ciò che costituisce la sua deviazione dall’acroamatismo ortodosso, ci studiammo di porre in luce in un articolo in idioma francese dettato, nel quale prendemmo a rilevare alcune mende nelle quali ci sembrò incorrere l’illustre sig. Emilio Saisset, nell’egregio suo lavoro pubblicato dalla Revue de deux Mondes intorno a Maïmonide et Spinosa.
9.Solo nel secolo scorso, e tra gli Enciclopedisti sarebbe suonata una eresia filologica l’additare nell’Ebraico l’origine di un vocabolo greco. Erano costoro così lungi dall’immaginarne perfino la possibilità, che tra le più speciose obbiezioni che mossero contro la originalità e santità delle sacre scritture, sì fu il nome di Giove pagano, che dissero origine e modello del nome ineffabile del Dio d’Israel, senza riflettere che gli Ebrei avrebbero dovuto andare a cercare il tipo immaginario non già in Grecia ove Giove ebbe nome Zeus, ma in Roma, anzi in Etruria, sin dove lo raggiungono gli studj moderni. Per essi, il Sole delle origini non sorgeva più dall’oriente; e bene stava cotesto ragionare in bocca di chi cantò per Caterina Seconda: —
  C’est du nord qu’aujourd’hui nous vient la lumière.
  I progressi della scienza hanno ricollocato nell’oriente la sorgente della luce morale, siccome non cessò mai di essere il fonte della luce che ci rischiara; e basta aprire un lessico moderno per comprendere ad un solo sguardo qual parte segnalatissima sostenga l’idioma ebraico, e in generale sostengono le lingue semitiche, nella formazione delle lingue occidentali; comecchè si collochino nella famiglia delle indo-germaniche, e se ne cerchi la prima derivazione o almeno la forma loro più antica, nella lingua sanscrita.
Возрастное ограничение:
12+
Дата выхода на Литрес:
07 июля 2017
Объем:
620 стр. 1 иллюстрация
Правообладатель:
Public Domain

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