Читайте только на ЛитРес

Книгу нельзя скачать файлом, но можно читать в нашем приложении или онлайн на сайте.

Читать книгу: «Storia degli Esseni», страница 29

Шрифт:

Che se le ragioni allegate dal Basnage non valgono a spiegare il silenzio evangelico, se tutte le ragioni anzi avrebbero dovuto indurre gli Evangelisti a parlarne, se nonostante niuna menzione se ne legge, non resta che una possibile spiegazione, ed è quella che si fonda sulla identità degli Esseni con una di quelle scuole di cui è veramente menzione negli Evangeli. Tra le quali niuna più offre caratteri innegabili d’identità col nostro Istituto di quella dei Farisei. Il nostro sistema dunque non ha soltanto i caratteri intrinseci di verità; ma giova ancora a spiegare alcuni problemi storici finora insoluti.

LEZIONE QUARANTESIMAPRIMA

Nella passata Lezione veduto abbiamo il silenzio degli Evangeli intorno la società degli Esseni e la sua spiegazione. Ma il silenzio evangelico non è il solo a deporre in favor nostro. I libri talmudici, noi lo abbiamo veduto, non sono certo così sterili di dati, di cenni più o meno diretti della società degli Esseni, come sinor fu creduto, ma non ci porgono però le esseniche allusioni che ove siano secondati dal nostro sistema, e pertanto ne suppongono fino a un certo segno la verità. Possiamo però supporre per un istante che tutti i cenni, le allusioni talmudiche siano come non fossero; possiamo dire che il silenzio talmudico sia così profondo, così completo come finora fu ammesso. In questa ipotesi stessa, come spiegarne il silenzio? Come avvenne che il Talmud così pieno di allusioni alle sètte contemporanee, ai Sadducei, ai Minei, ai Galilei, alle divisioni e suddivisioni dei Farisei, ai Cuttei o Samaritani, ai Dualisti, alle sètte primitive del Cristianesimo, niuna ci offra menzione di quella ben altrimenti nobile illustre famosissima dell’Essenato? Il nostro sistema ha già risposto al grande problema. Ma ove pure negar si volessero i resultati, in qual guisa spiegarne il silenzio? O io erro, o l’unica possibile soluzione è la identità degli Esseni con una delle scuole del Talmud rammentate, per cui di questa favellando, di quella pure implicitamente si favelli. Ed ove tra quelle di cui si parla nei libri talmudici discernere si voglia quella che meglio ai caratteri risponde dell’Essenato, io credo che ogni critico di buona fede non esiterà a rispondere; e nella eletta parte dei Farisei, nei Teologi della scuola, vedrà i fedeli rappresentanti dell’Essenato nei libri talmudici. Ed ecco come per due vie opposte si giunga alla mèta medesima, come tanto nell’ipotesi del silenzio talmudico, quanto in quella della esistenza, ivi stesso di parlantissimi cenni giungere si debba inevitabilmente al medesimo resultato, vale a dire alla identità degli Esseni colla più eletta parte dei Farisei.

Ma il Vangelo e il Talmud non sono i soli ad attestare col loro silenzio la identità da noi propugnata. Vi è un altro non meno significante documento in proposito che col suo silenzio egualmente depone in favor nostro, e questi è Giustino. S. Giustino, da cui molto si può imparare intorno la polemica ebraico-cristiana dei primi secoli, ci offre un elenco delle sètte allora esistenti nell’Ebraismo. S. Giustino conosceva gli Esseni; non basta; ei fa l’onore di annoverare tralle sètte dell’ebraismo quelle eziandio che infinitamente più oscure dell’Essenato non lasciarono, si può dire, di sè memoria se non il nome; e pure gli Esseni soltanto sono quelli di cui si tace assolutamente da Giustino. Questo silenzio non può avere altra causa tranne quella da noi accennata; vale a dire l’identità degli Esseni con alcuna delle sètte ivi stesso da Giustino rammemorate, e pei caratteri innegabili di strettissima affinità con quella dei Farisei, di cui sono gli Esseni la parte più nobile e più illustre.

Ma oltre le prove tratte dal silenzio degli Evangeli, del Talmud e di Giustino, vi è un passo nel nostro Giuseppe che, per chi ben lo intenda, depone altamente in favor della identità da noi propugnata. Ed è quello nelle Guerre Giudaiche al Cap. XII, ove narra Giuseppe il nascimento di una quarta setta creata da un Giuda, del quale egli narra le gesta e la vita. Giuseppe così si esprime: Questo Giuda fu autore di una quarta setta di cui la prima è quella dei Farisei; la seconda dei Sadducei; la terza degli Esseni, ch’è di tutte la più perfetta. Giuseppe, voi lo udite, chiama la setta degli Esseni, di tutte quante la più perfetta. Giuseppe ne loda, ne esalta i pregi singolarissimi; Giuseppe, il Fariseo confessato, il Fariseo illustre, l’apologista eziandio dei Farisei. Io lo chieggo agli uomini di buona fede: avrebbe egli così parlato Giuseppe, avrebb’egli chiamato la setta essenica di tutte la più perfetta, se gli Esseni come i Sadducei dissentito avessero profondamente dai Farisei, se formato avessero una scuola nemica, se la parte anzi non fossero stata più eletta, più illustre del farisato medesimo?

Noi abbiamo finora veduto quanto valga il silenzio degli Evangeli, del Talmud, di S. Giustino, e quanto le parole stesse di Giuseppe in favore della identità da noi propugnata. Qui non hanno però termine gli argomenti estrinseci che formano di questa lezione il subbietto. Vi sono quelli che abbiamo detto cronologici e storici, e di cui vado adesso a darvi contezza. E sono a due punti riferibili, i più prominenti della essenica esistenza, a due momenti principali di loro vita, a quelli che contrassegnano l’apogeo e il perigeo, lo stato più florido e la decadenza, o per dir meglio la scomparsa dello istituto dalla scena del mondo. Ed ambi ci forniscono novello argomento in favore del nostro sistema. Il momento più bello della esistenza dell’Essenato egli è quello senza meno, in cui scrisse Filone, vale a dire il primo secolo dell’Era Volgare. Allora l’Egitto e la Palestina offrivano, nel duplice ramo di Terapeuti ed Esseni, tutte quelle istituzioni, dottrine, tutti i costumi di cui si fecero storici Giuseppe e Filone, e le offrivano in tutta la pompa e la forza del loro sviluppo. Allora Esseni e Terapeuti avevano e studiavano, al dire dei medesimi, libri speciali, veneratissimi trasmessigli dai loro maggiori. Ma che dico? Scorrono già due secoli: siamo ai tempi di Alessandro Severo, e di Porfirio filosofo; e Porfirio non rifinisce di laudare l’istituto degli Esseni, e tante sono le lodi che gli profonde, che il cardinale Baronio non esitava di asserire, confortato eziandio da altri indizj, non potere non essere esso Porfirio di origine, di nazione israelitica. Tanto che non si può muover dubbio che sino nel terzo secolo dell’Era Volgare vi era l’Essenato, pieno di vita ed in perfetta possessione delle sue istituzioni e dei suoi libri. In qual guisa sì repentina scomparsa? In qual guisa si ecclissò il sole essenico, si può dire in sul meriggio? In qual guisa scomparvero ad un tratto le sue istituzioni ed i suoi libri? Che lo istituto siasi spento senza seguire le leggi regolari, ordinarie di ogni vita sociale, senza percorrerne le fasi tutte di declinazione e di decadenza, è già tal supposto che nulla può darsi di più strano, di più inverosimile, è già per se stesso uno dei più parlanti riscontri colla parte più eletta, superlativa, teologica, della scuola dei Farisei. La quale presente nei libri più antichi del Rabbinato talmudico, presente nella Misna, nei Medrascim, nell’uno e nell’altro Talmud, sparisce poi dalle scritture rabbiniche posteriori, sparisce collo sparire del Dottorato talmudico, e sparisce, lo che più monta, in quel punto istesso in cui sparisce dalla storia la società degli Esseni, e col simultaneo suo sparire giova mirabilmente ed al sistema d’identità da noi propugnato, ed a rispondere trionfalmente allo argomento degli avversarj i quali trar vorrebbero dal silenzio del Rabbinato postalmudico nuovo pretesto a negare l’antichità, l’autenticità cabbalistica. Noi torneremo sull’argomento presente quando il secondo punto toccheremo della loro scomparsa. Noi dobbiamo notare adesso un nuov’assurdo ch’emergerebbe dal rifiuto del nostro sistema. Se gli Esseni e i Terapeuti non sono i medesimi Cabbalisti; se la scuola non si è perpetuata sott’altro nome nella scuola dei Cabbalisti; se i loro libri, le loro opere, i loro scritti, che redato avevano, come dice Filone, dai loro maggiori, che formavano, come attesta egli stesso, oggetto precipuo, amatissimo dei loro studj, non si perpetuarono, non si trasfusero in quelle opere che la scuola serbò gelosamente dei Cabbalisti; se questi libri ai tempi di Filone, ai tempi eziandio di Porfirio, erano in fama grandissima, e oltremodo studiati e venerati presso gli Esseni, in qual guisa spiegare la loro subitanea e completa scomparsa dalla superficie del mondo; in qual guisa libri diffusi, meditati, venerati non lasciarono di sè traccia veruna? Io comprendo che libri preziosi celebratissimi siensi in breve ora perduti, che sieno stati anzi distrutti, o per scarsezza di esemplari svanissero dalla faccia del globo; ma che libri, non solo religiosi, non solo autorevoli, ma libri eziandio incarnati colla esistenza stessa di un istituto vivacissimo, anzi, colla fede, colle dottrine di un popolo tuttavia vivente; che libri i quali esprimono, senza meno, il grado più eccelso del suo intellettuale sviluppo, siensi perduti in modo sì intero, sì assoluto, sì irreparabile, egli è tal fenomeno bizzarrissimo ch’io non riesco a comprendere. Ma se i libri essenici sono quei medesimi che compongono la Biblioteca cabbalistica, o almeno se le idee, se le dottrine che li contessevano, si travasarono sott’altra forma nelle opere e negli scritti dei teosofi; in fine se il nostro sistema non è bugiardo, l’asserzione di Filone non è più contraddetta dai fatti, e il più strano fenomeno che siasi mai dato nella istoria cede il luogo al più normale e verosimile andamento nella seguenza dei fatti.

Ora diremo del secondo punto di contatto che ci offre la Storia tra le due scuole nel momento in cui spariscono dalla scena del mondo; gli uni, i Cabbalisti, dai libri posteriori al Talmud; gli altri, gli Esseni, dagli storici, dai cronisti posteriori a Giuseppe e Filone, ai primi Padri della Chiesa e Porfirio. Io dissi, non ha guari, che meglio che scomparsa, meglio che estinzione, si dovrebbe chiamare questo sottrarsi degli Esseni cabbalisti dalla scena del mondo un’ecclissi temporaria, un ritiramento nelle più segrete latebre dell’Ebraismo, uno ascondimento precario a guisa di quei fiumi che ad un tratto avvallando e sprofondandosi nelle viscere della terra, si aprono una via sotterranea per miglia non poche, onde erompere di nuovo alla superficie del globo e lo antico corso seguire alla luce del sole. Due cose sono da notarsi in questo fatto importante: la causa che lo ha prodotto; lo insegnamento prezioso che ci porge, e i nuovi riscontri in favore della identità da noi sostenuta. Della causa si vorrebbe discorrere con ampiezza maggiore di quella che qui è concessa, tanto parmi rilevante e connessa coi più grandiosi problemi della storia contemporanea. Pure è bene che qui ne abbiate almeno un cenno. E per averlo meno inadeguato che è possibile, mestieri è che vi riduciate a memoria come tre grandi avvenimenti segni la Storia circa all’epoca istessa, vale a dire, nel terzo o quarto secolo dell’èra volgare. Il primo è il trionfo definitivo del Cristianesimo. Il secondo è la formulazione definitiva della tradizione nei libri talmudici. Il terzo è la scomparsa, è l’eclissi di una dottrina che fatto aveva per lo mondo romore stragrande sotto tre forme particolari, ma una sempre, e la stessa nella sostanza; e le tre forme sono l’Essenato, il Cabbalismo e la Filosofia alessandrina rappresentata da Ammonio Sacca, da Platino, da Porfirio, da Samblico e da Proclo. Questo sincronismo, questa contemporaneità dei tre grandissimi eventi, non è a caso. In gran parte, si può dirlo arditamente, i due ultimi fatti, la formulazione della tradizione, e la scomparsa dell’Essenato, del Cabbalismo e dell’Alessandrinismo, essere conseguenza più o meno diretta del primo e momentosissimo fatto, voglio dire il trionfo del Cristianesimo. Il quale dopo avere a lungo lottato coll’Ebraismo da cui tratto avea il nascimento, colla civiltà e colla filosofia alessandrina con cui ebbe più di un tratto di somiglianza, finì col prevalere sulle due forme rivali, sulla forma religiosa trionfando dell’opposizione del Giudaismo, sulla forma civile e filosofica trionfando della opposizione dell’Essenismo. Vinti nel mondo esteriore, spodestati dal Cristianesimo trionfante, Essenismo e Giudaismo, disperando oggimai di lottare e di vincere, pensarono almeno a conservarsi, a custodire pei tempi avvenire il pensiero, l’idea di cui erano depositari. Ambi lo fecero, ma ognuno in quel modo che più tornava acconcio al suo genio, ai suoi destini: l’Essenismo depose la stola di sacerdote e ispirò le lettere, le scienze, la filosofia della società riformata per comparire di nuovo ed invadere, ad èra meglio opportuna, il dominio istesso della religione e del culto. L’Ebraismo, che il trionfo veduto aveva della forma sorella, ma non meno per questo rivale, che appunto per le affinità che tra esse correvano, doveva ragionevolmente temere di essere da quella avvolto, circonfuso, assorbito, che vedeva il mondo confonderli, immedesimarli nella stessa esecrazione o nello stesso rispetto; l’Ebraismo avendo invano combattuto, osteggiato ciò che dal Cristianesimo lo divideva, pensò a difendersi, a premunirsi contro di quello che al Cristianesimo il congiungeva. Se durante le lotte ci furono le discrepanze a temere, ci furono per contro dopo il trionfo le somiglianze. Quell’ombra vana, quel ricordo lontano, quel simulacro di Ebraismo che la Chiesa ostentava, era il pericolo massimo per la esistenza del nome ebraico. Quel centro possente di Pseudo-Ebraismo che si andava formando in Costantinopoli e in Roma, era un’aperta voragine dove precipitate sarebbero il nome e la fede ebraica, dove gli animi ebraici inquieti, perplessi in quell’istante critico di rottura fra le due forme, e non sapendo da qual parte fosse il vero, l’antico Ebraismo avrebbe con facile apostasia disertato gli antichi vessilli. Quindi nei Dottori, nei Padri del popolo, il grande studio di definirsi, quando quello spettacolo grande che somiglia ad un esercito avvolto nelle tenebre per vie nuove e inesplorate, che per riconoscersi, per distinguersi dagli inimici, moltiplica i contrassegni con assise, con motti, con armi diverse; quindi in una parola lo studio, come dissi, di definirsi: definirsi nelle leggi, negli usi, nelle credenze colle più precise e formulate sanzioni dell’opere scritte, e al tempo istesso con concentramento, con ritiramento della vita e del pensiero ebraico nelle più segrete latèbre del popolo nostro. A quel moto di espansione che prodotto aveva i Filoni, gli Aristobuli, i Flavii e le lotte rabbiniche colle sètte contemporanee, sottentrò un moto contrario di ripiegamento sopra se stessi, e per meglio conservarsi, e per meglio serbarsi intatti e possenti per l’avvenire. Ma questo internamento del pensiero ebraico si verificò in quella misura che più si richiedeva, secondo l’importanza e la gelosia delle dottrine. S’egli è sensibile in tutte le parti dello scibile ebraico, egli è sommo e cospicuo per ciò che riguarda la parte più riservata di quelle dottrine, la riposta teologia che si chiama Essenato nella Storia, che ha nome tra i Rabbini di Cabbalismo. Dopo il trionfo del Cristianesimo il silenzio è completo intorno gli Esseni, non meno completo intorno la scuola i cui fasti sono contenuti nel Talmud sotto il nome di Pardes, Sitre tora Maase Mercaba. Se questo è il fatto, e fatto accertato, non meno ovvia riesce la spiegazione dopo le cose discorse. Ambi, Essenato e Cabbalismo, o per dir meglio il Cabbalismo sotto il duplice nome, non appena fatto avevano di sè mostra nel mondo, non appena ne furono alquanto divulgati i misterj, non appena si fe segno di voler deporre i veli opacissimi che il nascondevano, che il romore si levò grande tra gli Ebrei e fuori, che i dogmi ne furono fraintesi, che gli insegnamenti abusati, che le teorie mischiate a teorie sconosciute e straniere, e che dallo strano mescuglio sorse un Pseudo-Essenato, un Pseudo-Cabbalismo che si disse Cristianesimo, e che non fu altro in origine che un Cabbalismo equivocato. Quando la lotta pubblica esteriore finì col trionfo del Cristianesimo, videro i Dottori nostri quali amari frutti raccolto avevano dalla non troppo gelosa custodia dei loro misteri, dalla non troppo gelosa scelta dei loro cultori. Quindi l’antico e vero Cabbalismo si ritira innanzi il più fortunato rivale, quindi un silenzio, un segreto più assoluto, e per cansare ogni contatto col Cristianesimo vittorioso, e per togliere ogni causa di nuovo abuso, di nuovi errori, di nuovi scismi e quindi quell’ecclissarsi instantaneo dal mondo rabbinico del Cabbalismo talmudico, che sarebbe il più difficile e insolubile problema se non avesse la più ovvia e natural spiegazione nei fatti e nei pensieri discorsi.

Ma non solo perdiamo il Cabbalismo di vista col trionfo del Cristianesimo, ma l’Essenato eziandio cessa di comparire sulla scena del mondo, nell’epoca istessa in cui l’altro scompare; grande insegnamento, e che sarebbe già per sè stesso fecondo, ove ancora ogni altra circostanza mancasse che nel tramontare delle due scuole nuovo segno non ci additasse d’identità. Ma questa circostanza esiste, ed esiste troppo eloquente perchè qui non si accenni. È il nome che narra la Storia aver recato gli Esseni sul declinare di loro esistenza, è il nome che unanimi gli assegnano gli ultimi storici della scuola, il nome di abitanti del cielo. Se gli Esseni si dissero abitanti del Cielo, se la Storia fedele registrava questo epiteto, ci pare che abbia voluto fornirci la più bella gemma con cui suggellare possiamo questo monumento di amore, di studio, di ammirazione ch’elevato abbiamo in onore della gran scuola. Non dirò del nome già abbastanza parlante di Angioli, Malahe Asciaret, recato indistintamente dai più dotti dei Farisei, e che veduto abbiamo usato eziandio dal Cristianesimo nascente, quando i suoi vescovi chiamavansi col nome di Angioli. Ma tacere non si deve di una più propria, più speciale, più decisiva appellazione; e più decisiva perchè unica in tutta la Biblioteca talmudica, e sopratutto perchè quell’unica volta è posta in bocca di quello, che se Esseni v’ha tra i Dottori, è l’Esseno per eccellenza, voglio dire R. Simone Ben Johai. Egli è là ove, deplorando lo scarso numero dei seguaci, le fila diradate del Pardes, il declinare sempre più sensibile della scuola, pronunziava la grande, la eloquente parola. Diceva R. Simone Ben Johai: Veggo gli abitanti del cielo in numero scarso. Se dieci sono, io e il figlio mio siamo tra i dieci. Se due sono, io e il figlio mio, siamo quei due. E questo nome di abitanti del cielo l’usa Ben Johai, l’Essena per eccellenza, l’usa allora appunto che vuol accennare alla decadenza della scuola, vale a dire allora appunto quando la Storia accenna averlo assunto lo Essenato, e l’usa nel Talmud, libro non dubbio, non controverso, e che autorevole favella agli amici come agli avversari della verità cabbalistica.

Ah! dopo questo prezioso trovato, possiamo chiudere contenti questa Storia dell’illustre Istituto; possiamo dire addio contenti a quegli spiriti beatissimi; possiamo togliere commiato da costoro che nel dipartirsi ci invitano a salutarli col titolo di abitanti del cielo; possiamo riconoscere in essi, i nostri Dottori più illustri e più santi; e col dolce nome salutarli di Padri e maestri del nostro popolo.

Ed a voi una parola ancora pria di separarci. Se fu bello ed onorevole, se fu soave all’animo mio il vedere i miei esordj incoraggiti con tanta affluenza di uditori; se titolo giusto si acquistarono pur essi alla mia gratitudine, egli è certo che l’onore più grande, che l’affetto più sentito spetta a coloro che perseverarono. Grazie vi sien rese, e grazie sincere. Voi muoveste costanti nella via in cui m’inoltrava; voi porgeste assidui l’orecchio alle mie Lezioni; voi comprendeste quanta importanza si nascondesse per entro a certi studj, che ai frivoli, ai semidotti, agli ameni anco nelle lettere e negli studj, potrebbero sembrare per avventura destituiti di ogni momento; voi toglieste a cuore l’onore di questa città che dopo essersi annunziata al mondo iniziatrice di nuovi studj, imitatrice della seria letteratura germanica, riscuotitrice del sonno che ne gravava le ciglia, sarebbe caduta senza di voi, in onta e in deriso presso l’Ebraismo universale. Imperciocchè, s’ella è vera sentenza per ogni culto, ella è verissima e santissima pel culto ebraico. Il vero Tempio, le vere glorie, le vere bellezze, il vero decoro meglio che nei marmi e nei fregi esteriori, sono nell’uomo interno, nel suo sapere, nella sua cultura, negli studj in cui si adopera, nel Tempio, a tutto dire, dell’animo suo, senza di cui ogni pompa esteriore è vana e ridicola ostentazione di Fede, di Religione bugiarda.

FINE
Возрастное ограничение:
12+
Дата выхода на Литрес:
07 июля 2017
Объем:
620 стр. 1 иллюстрация
Правообладатель:
Public Domain

С этой книгой читают