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I DUE SPAGNUOLI

NOVELLA SESTA
DI UN MAESTRO DI SCUOLA

[Pubblicata la prima volta nel Mondo illustrato (Torino, per Giuseppe Pomba e C., 1847).]

I

«Narrereteci voi una novella, maestro?» disse una gentildonna che era con noi in una di quelle ultime lunghe sere di novembre, che quando s'ha buona compagnia io le conto per uno de' migliori piaceri della villa. «Narrereteci voi una novella? Io ho lette quell'altre scritte dall'amico nostro che è qui; ma dicono che narrate da voi sieno troppo più piacevoli, ed io, dopo che vi ho conosciuto, volentieri lo credo. Se non che, ei mi pare vi dilettiate soverchio cogli spiriti e colle apparizioni; che io ben vi posso dire non mi danno paura, ma troppo ripetute forse mi darebbero noia. Oltrechè dei tempi antichi abbiamo novelle che ne avanzano; e se molte sono sconce, molte pure sono da leggersi per tutti; e il novellare di quelle cose e que' costumi, è proprio un portar acqua al mare, o chiocciole in Astigiana.» «Signora,» disse il maestro, «io novello a modo mio, come mi viene il destro, di cose vecchie o nuove senza distinzione, e senza intenzione di far novelle nè all'antica nè alla moderna. E certo, dette così come le dico io, nel nostro dialetto piemontese, anzi nel mio tra astigiano e langaruolo, ben credo che elle non possano nè olezzare nè putire mai d'imitazione del Lasca, o di messer Giovanni Boccacci. Che se poi l'amico volendole scrivere, e nol sapendo fare, come pur dovrebbe, nel dialetto in che son dette, le scrive in italiano, egli ci pensi; purchè non le scriva io; chè fuor della scuola io non intingo mai penna in calamaio.» «Non so» disse la gentildonna «chi s'abbia a dir più pigro dei due; o voi, maestro, che avete votato odio alla penna, o voi, amico, che avendo il vizio di tôrla in mano, la usate poi così scioperatamente in baie di questa sorta. E quasi direi che voi siate il peggiore dei due; perchè niun uomo ha l'obbligo di scrivere; sì bene, volendo pur iscrivere, di farlo, o tentar di farlo almeno, sopra qualche cosa che serva.» «E' mi pare» diss'io «che voi non v'abbiate il torto; e già me n'ero avvisato da me, che che io dicessi a' miei leggitori sull'utile di passar meco un'ora d'ozio; ond'io mi vo' pur correggere, e più non iscriverò.» «Ecco,» disse la gentildonna, «conclusione a rovescio: io vi diceva, scrivete qualche cosa utile; e voi concludete, non iscriverò.» «Perchè» ripresi io «per iscrivere qualche cosa utile, e' si vuol avere, primo, qualche cosa utile in capo; secondo, scienza di scriverla; terzo, volontà; quarto, agio; quinto, stampatore; sesto, libraio; settimo, leggitori. Vedete quante cose, oltre forse le dimenticate.» «Or certo, eccovi al solito degli autori, a lagnarvi di stampatori, librai, e leggitori; dovreste vergognarvene, voi principalmente autor dilettante, principiante…» «Or principian elleno le ingiurie?» «Signor no, ma senza ingiuria io vi dico che non mancano stampatori nè leggitori agli autori, ma più sovente…» «Bene, bene, mancherammi altro, mancherammi altro. Ma io non entro in dispute, e vi rispondo, o novelle o nulla. Non novelle? dunque nulla.» «Ma volete voi la mia?» interruppe il maestro che da mezz'ora dimenava la lingua in bocca, «volete la mia? Dirovvene una modestissima che ce la disse un ufficiale amico di Toniotto, una volta che lo venne a vedere al paese, e incominciarono a parlare della guerra di Napoleone contro alla Spagna ch'egli avean fatta amendue, ma più lungamente l'ufficiale, ed ambi erano come innamorati de' lor nemici spagnuoli. E dicendo io che ce n'era de' buoni e de' cattivi, l'ufficiale rispondeva, che anzi ce n'era di quelli buonissimi e cattivissimi a vicenda, od anche a un tempo. Ed osservando io che tutti i popoli meridionali sono così, l'ufficiale mi rispondeva che non tutti, e poi ci disse questa storia, che l'aveva udita da una delle persone interessate. Onde, avendola io udita da lui, e voi da me, l'avrete passata per tre bocche solamente. Vedete perciò quanta credenza le dobbiate dare. Or la volete voi?» «Sì» disse la gentildonna.

«Ma voi questa non la scriverete, spero?» disse rivolto a me. Ed io: «Chi sa?»

Raccoltosi allora alquanto in sè il maestro: «Io cercava» riprese «onde principiar la novella che l'ufficiale principiò, e poi intarsiò con tante descrizioni ed ammirazioni di Spagna, Spagnuoli, e principalmente della bella Andalusia, che il volerlo seguire a questo modo sarebbe un non finire mai più. Ma il fatto sta che il bello della storia incomincia solamente da una certa sera, non mi ricordo se di luglio o d'agosto dell'anno 1806, in casa d'una cittadina benestante di Siviglia, chiamata Donna Ramona. Nella qual città, capitale de' quattro regni d'Andalusia, e bella poi, diceva l'ufficiale, quasi tanto come Firenze, usasi, da chi può, avere in mezzo alla casa un cortiletto molto pulito, lastricato a bei quadretti di marmo bianco e nero che vengono di Carrara, con sovente una fontana in mezzo, e sempre un portico che ricorre per li quattro lati all'intorno, ed è sorretto da colonne molto sottili, su cui posano gli archi leggermente, contra le regole, il so, del Vignola e del Palladio, ma secondo quelle rimaste là dell'architettura moresca, che ad ogni modo fa bella ed elegantissima vista. Sogliono poi ogni mattina le serve largamente inaffiare e lavar bene con ispugne i pavimenti; operazione che con parola araba chiamasi tuttavia aljofifar, e ch'elle rinnovano talora nel giorno e alla sera. E aggiuntavi la precauzione di tener, durante il sole, coperto il cortile con una spessa tenda che si ritrae all'imbrunire, ben vedete che in tutti i climi, le genti civilizzate, o molli che si voglian dire, hanno saputo trovar modo di viver benino, anzi di rivolgere in comodi e piaceri gli stessi inconvenienti naturali. E certo è che pochi piaceri al mondo sono da pareggiare a quello, dopo una giornata calda, di prender il fresco una sera d'estate. Sì credo che sia piacere pericolosissimo per ogni verso; e ci abbia sovente scapitato la severità non solamente dei costumi privati, ma quella delle intiere nazioni. A Siviglia è come un incanto passeggiar per le vie buie della città, e veder per li cancelli delle case questi bei cortili eleganti, puliti, rinfrescati, illuminati e addobbati qua e là di vasi e fiori, e tra' fiori alla rinfusa le molli avvenenti Andaluse. Perchè là è il salotto dove s'aduna la famiglia, e la conversazione ch'essi dicono tertullia; e non usano averne, come altrove, di quelle che empiano, anzi non possano capire negli intieri palazzi; ma sono per lo più tra dieci o venti persone tutte amiche, e vi vengono e ci stanno senza soggezione; e il maggior vanto di che ci si pregino è la «franchezza castigliana» così franca, che a certi svenevoli stranieri par anzi grossa ed incivile. Eravi dunque tertullia quella sera in casa da Donna Ramona; e s'io vi facessi un romanzo, sarebbe una bella occasione, descrivendovi le persone adunate là, quattro mamme, due fanciulle, tre giovani maritate, sette uomini ed un frate; sarebbe, dico, una bella occasione di farvi un abbozzo di costumi nazionali, che è oramai un accompagnamento obbligato di qualunque romanzo, o una velatura per dargli, come dicono, la tinta locale. Ma io che fo una storia verissima, non mi voglio impacciare in questi particolari; e chi non conosce gli Spagnuoli, li vada a vedere: io descriverò quelli soli che importano a me; e se dirò alcuna cosa che non intendiate, mi ammonirete voi, ed io tornerò addietro.

Adunque, in poche parole, erano in un angolo del cortile le quattro mamme che parlavano a voce bassa non so di che, forse delle tertullie vicine, e due o tre uomini, che, ascoltandole, fumavano gli uni un lungo nero sigarrodell'Avana, e gli altri una gialla pajita di Guatimala, e gli uni sbuffavano il fumo francamente sulla faccia a chiunque avessero innanzi, gli altri il tenevano riposto lunga pezza in bocca, e vel dimenticavano, finchè parlando usciva bel bello dalle labbra socchiuse. Quasi in mezzo al cortile, incontro alla fontana, era un altro crocchio delle tre giovani donne e delle due fanciulle; e al centro quasi preciso del cerchio, dove per ciò capitavano dalla periferia tutti i raggi visuali, era un giovane solo, seduto, con una chitarra in mano che cantava. I rimanenti uomini ivan venendo ora all'un cerchio, or all'altro, quasi che più vaghi dell'uno, ma più vagheggiati dall'altro, non sapessero risolversi a nissuno. Il vero è che tutta l'attenzione del cerchio di mezzo era usurpata dal sonator di chitarra. Nè tuttavia la musica e il metodo di lui eran tali da farsi dir bravo da un maestro italiano, o peggio anche da un dilettante francese o tedesco. La musica era una di quelle canzoni che gli Spagnuoli chiamano tiranas, e sono appunto al solito un lamento della tirannia della loro bella con parole monotone, ed una melodia anche più monotona; quasi una specie d'improviso e di cantilena, che pur quando è ben maneggiata dal cantore ella s'adatta a varie espressioni, e non è certo senza grazia. Il metodo poi dell'accompagnamento di chitarra era anche più rozzo; accordi semplicissimi, meno pizzicati che non istrappati a un tratto con un graffiar di tutte le dita, o tutte l'ugne su tutte le corde insieme; graffi o busse replicate or rade or prestissime, or interotte con altre busse sul legno dello strumento.

E qui, mia cara gente, vi dirò che l'ufficiale mi cantò la canzona o tirana, spagnuola, che è graziosissima; ma voi non intendete lo spagnuolo;… e quanto a tradurla… io non voglio più intarsiar versi italiani nella mia prosa piemontese, per paura che questo mio benedetto editore non istampi poi di nuovo ogni cosa insieme, e non mi faccia scorgere come ha già fatto una volta.

Ad ogni modo, finita la canzone, il giovane prese la chitarra per la cassa, e la presentò, senza far parola, ad una delle giovani che gli erano intorno; quella fra esse che, caso od arte, erasi trovata più direttamente innanzi a lui durante la canzone, epperciò pareva averne avuta come la dedica. Supponendo vera la qual congettura, e mettendo insieme le parole cantate e l'atto di presentar così la chitarra, come un tacito invito a rispondere, ben potete indovinare che il giovane doveva essere antecedentemente innamorato della giovane, e che avendo avuta qualche disputa, e sendo guastati, era nella buona intenzione di rifar pace, nè isdegnava perciò far i primi passi. Ma la giovane, che se volete sapere si chiamava Marichita, era figliuola della padrona di casa, aveva un sedici o diciasette anni, piccola, ben fattina, con mani e piè già rinomati per bellezza in Andalusia, dove son tutti belli, viso bruno, capelli neri, occhi nerissimi, duri e dolci a vicenda da fare spiritare; la Marichita, dico, s'alzò senza rispondere, con un certo strigner del labbro inferiore contro il superiore, che volgarizzato dalla lingua muta alla parlata voleva dire: non me n'importa, ovvero, lasciatemi stare. Certo è, che il giovane l'interpretò così, e alzatosi, e posata la chitarra sulla sua sedia con sì poco garbo che quella ne rimbombò e questa ne gemette, si rivolse per le logge del cortile a cercare la cappa e il cappello che v'aveva lasciati, non sapeva più dove, come parve dal tempo che fu a trovarli; e trovatili finalmente, senza complimenti, o forse senza creanza, se n'andò.

Ora duolmi così al principio della vostra conoscenza con Marichita, d'avervene a dar un'impressione men buona, o come di persona leggeri e cattivuccia. Ma forza è dire il vero; e il vero è che non solo ella non si dolse del dolore del suo innamorato, ma nemmeno non s'indispettì del suo dispetto; ed anzi, appena uscito esso, ella parve rasserenarsi tutta, come se s'allegrasse d'averlo fatto partire. Gliene fu fatto il grugno dalle compagne, quasi che dicessero: – peccato trattar così un così bel giovine. – Una delle vecchie chiamò il frate, e disse: «Peccato che quel giovane abbia sì poca flemma, e si precipiti sempre per non saper tollerare.» Altre all'incontro, fra cui Donna Ramona, la madre di Marichita, s'allegrarono evidentemente di questo caso; e Donna Ramona avanzatasi verso la figliuola, propose alle giovani che andassero a far un passeggio al chiaro della luna fino al ponte di Triana.

Accettata la proposizione, passò Marichita in uno stanzino a tor l'abito spagnuolo, senza il quale nessuna là esce per via, e così vestì prima un giuppone stretto e corto chiamato baschigna, che in regola dovrebbe esser nero sempre ma le giovanette il portavano allora, per vezzo, d'un calor quasi pavonazzo che chiamavan caciuccia; con una bella guarnizione di trina nera che facea risaltare le fine calze di seta, e le pulitissime scarpette di raso bianco, che si portano là per le vie, epperciò dalle ricche ed eleganti si mutano nuove più volte al dì. Sul capo già ornato d'una rosa fresca, non isbocciata e mezzo nascosta tra la ricca capigliatura, pose un velo di trine bianche, stretto sì che non arrivava a velare nè volto, nè capelli, nè rosa, ma lungo in modo, che, aprendosi giù per le guance, veniva a incrocicchiarsi innanzi al petto, e scendeva poi lungo la vita snella svolazzando. Chiamano questo velo mantiglia, e senza esso, o grosso o fino, da Bajona a Cadice non vedresti una donna fuor di casa mai. L'ufficiale, originario narrator della storia, estendevasi assai su tutta questa acconciatura delle Spagnuole, e principalmente delle Andaluse, e la metteva innanzi alla eleganza delle stesse Parigine; e paragonando in particolare la mantiglia al mesaro genovese, ne sapeva spiegare tutte le somiglianze e le differenze; e diceva che un pittore doveva anteporre il panneggiarsi del mesaro; ma ogni altro doveva lodar più l'aggraziato portarsi della mantiglia. Io poi non ne so niente; ma ho voluto dirvi che quantunque l'eleganza di quel paese non sia come quella dei nostri, Marichita era sempre, e si fece quella sera più che mai, alla moda loro elegantissima.

Finita la qual vestitura della giovinetta, e tornata fra le compagne, si presero due a due per le braccia, e seguite da tre o quattro degli uomini, uscirono a diporto per le vie e per le piazze della città, or dinanzi all'Alcazar e alla Giralda, ora all'Alameda, or al detto ponte sul Guadalquivir; senz'altro scopo nè con altro pensiero, come pareva, che di prender il fresco, e passar due ore all'aperto sereno, ridendo, parlando, e talor cantando accompagnati dalla chitarra che uno degli uomini avea tolta, riaccordata e portata seco. Dico che la brigata, in generale, non avea disegno nè scopo fisso; non già che una ad una ogni persona di essa non avesse, e non proseguisse forse nascostamente qualche pensiero suo. E di Marichita in particolare, volendovela più e più ritrarre, dirovvi schiettamente: che ella aveva uno di questi pensieri, e che le male grazie fatte aposta a Perico, quel primo sonator di chitarra che voi sapete, e l'incollerirlo per farlo partire, il farsi poi con una occhiata alla mamma proporre il passeggio, la particolar attenzione nello abbigliarsi, e l'andar ora per una e un'altra via della città, tutto aveva uno scopo. E lo scopo era di veder d'incontrare quella sera Don Luis, un grande di Spagna ricchissimo, che essendo oltre a ciò anche giovane, anche bello, anche amabile, pareva alla scellerata Donna Ramona ed alla perfida Marichita un innamorato da preferirsi al povero Perico; il quale aveva sì in grado eccelso le tre ultime virtù, ma in quanto a nobile e ricco, benchè si credesse l'uno e l'altro, non poteva certo competere col suo fortunato rivale. Gli è vero che invece avrebbe potuto addurre il diritto d'anzianità, e dire: che erano oramai sei mesi che egli era apertamente innamorato, e gli si davano non dubbie speranze; mentre il rivale s'andava mostrando alla sfuggita e di soppiatto solamente da pochi giorni. Ancora, in una discussione fatta a sangue freddo su questo punto, avrebbe potuto addurre come un vantaggio la sua stessa mediocrità più proporzionata alla fortuna anche mediocre di Marichita. Avrebbe potuto dire che suo padre era Castigliano vecchio e di sangue azzurro, che vuol dire non misto con sangue ebreo nè arabo, e non degenere per niun esercizio di mestieri disonoranti; e suo nonno era Asturiano, epperciò nobile come sono tutti i naturali di quella provincia, in memoria dell'essersi soli difesi e non lasciati mai conquistare dai Mori undici secoli fa. Egli stesso era impresario e come affittaiuolo de' ricchi pascoli che sono nelle isole alla bocca del Guadalquivir; e avvezzo a vivere in sella fra que' numerosissimi armenti, non era giovane in Andalusia che stesse meglio a cavallo, e maneggiasse meglio la picca e i dardi, od anche la spada contro a un toro furibondo; onde avea nome di cavalcatore e toreadore eccellente, e majo, che è come noi Piemontesi diciamo bulo, e vuol dire bravo e bello in ogni cosa. Finalmente, comparando la propria fortuna a quella di Marichita, avrebbe potuto farle intendere che dei due egli era che faceva onore a lei, anzi che ella a lui. Perciocchè Donna Ramona era vedova, e Marichita era figliuola unica d'uno che era stato sì annoverato nella tabelle dei notari o procuratori esercitanti nel fôro dinnanzi alla Real Udienza di Siviglia; ma le male lingue dicevano di lui, che i suoi padri aveano solamente scorticati cavalli ed animali; volendo far intendere che egli, benchè vivesse da cittadino onorato e pari ad ogni altro, fosse tuttavia, orrendo a dire, di quella razza poco onorata ogni dove, e maledetta in Ispagna dov'è pur numerosa; razza detta in Italia degli zingari, in Francia de' boemi, e in Ispagna de' gitanos. Benchè questa era forse voce di maligni. Ma tant'è; all'orgoglio di Perico sarebbe bastata non solamente la certezza, ma anche il dubbio, anche il menomo sospetto di tal macchia, per non volerne deturpare il puro azzurro del proprio sangue di cui tanto si gloriava. Se non che, povero Perico, erano, come v'ho detto, da sei mesi che toreando egli per diporto una sera ad Alcalà de los Panaderos, e sendo già in mezzo alla piazza od arena in ricco abito tutto seta ed oro, in qualità di matador dilettante, per affrontar la spada in mano un toro furibondo, alzati per sua disgrazia gli occhi e veduta a un balcone, bella e briosa oltre ogni credere, la Marichita, e, benchè non sapesse chi era, vedendosene adocchiato, gli entrò il mal pensiero di dedicarle il colpo che egli stava per fare. Ondechè, senza badare all'animale che ora scavando la rena coi piè furibondo minacciava colle corna, ora mugghiando e sbuffando correva per la piazza, con intorno tutti i ciurlos e banderilleros o toreadori minori a trattenerlo; fattosi innanzi tranquillo il giovane davanti al balcone, e tratta la montera o berretto che avea sul capo, e messo un ginocchio in terra, ed abbassata la enorme spada, le domandò licenza di ammazzar quel toro per amor di lei. È galanteria là molto usata, e perchè tutti gli spettatori rivolgendo gli occhi videro belissimi e guapi, come dicono essi, tanto il giovane come la bella, ci fu uno scoppio grandissimo d'applausi che assordò l'aria, e infuriò il toro più che mai. Il quale, quasi conscio di ciò che offeriva il bello inginocchiato, fece a un tratto una punta contra lui che quasi lo arrivò, e fu un nuovo grido universale di timore per tutta la piazza. Ma il giovane balzato destrissimamente in piè, tenendo nascosta la spada, e tolta di mano ad uno de' serventi della piazza una muleta, che è un gran panno di scarlatta pendente da un bastoncino di forse un braccio e mezzo, incominciò con gran posa a mostrarla da lungi al toro; e il toro ad investirla capo basso con ambe le corna; ed egli ad alzar la muleta a un tratto, lasciando passar il toro, e a mostrargliela di nuovo poi; e il toro a rivolgersi ed investir di nuovo; ed egli di nuovo ad alzare, quattro o cinque volte al medesimo modo; finchè, veduto come entrava il toro, e che entrava benissimo, dato un crollo del capo come un segno agli spettatori, e principalmente alla bella spettatrice, tenendo colla manca la muleta la mostrò un'ultima volta al toro; ma, investito, non la levò; e dietro e sopra la muleta presentava colla destra la punta della larga e doppiamente affilatissima spada; onde il toro furibondo investendo s'accecò a un tempo avvolgendosi il capo nel panno, e s'infilzò nella spada così forte, così destramente diretta, che s'inguaino fino all'elsa per la nuca; e il toro, senza far un passo, senza spargere una stilla di sangue, morto, secondo tutte le regole, cadè. S'alzò un nuovo grido universale de' contentissimi spettatori. Perico passò portato quasi in trionfo sotto il balcone; sorrise ella, meno che non arrossì e non si turbò; dieci e venti persone s'offrirono a portar il vincitore nel palco; ed ei vi fu; e da quel punto s'erano innamorati disperati l'un dell'altro, ma con troppo più abbandono e più sincerità, anzi più innocenza, per parte di lui che non di lei. E dico dunque che questi, vedendola frascheggiare con altri, avrebbe potuto e dovuto ricordare a lei e a sua madre queste e molte altre cose; ma, come aveva osservato quella vecchia, Perico precipitava sempre ogni cosa per troppa furia e troppo orgoglio; e invece di domandare subito una spiegazione che sovente fa finir bene una disputa amorosa, o se no almeno fa finir l'amore, racchiuse in sè il suo dolore, e così incominciò a patir inutilmente; e quando si risolvette a parlare, era poi troppo tardi.

Ma lasciamolo stare; che degli amanti infelici è come dei maestri di cappella fischiati, o de' generali battuti, che quanto meno se ne parla, tanto meglio è. E seguiamo invece per le vie di Siviglia l'allegra brigata delle giovani, che girando e rigirando, e dando coi canti e coi suoni non dubbi cenni della via percorsa, finalmente riescirono a quello a che tendeva la conduttrice; a chiamar l'attenzione e in breve poi la presenza di Don Luis. Furono all'accostarsi di lui sospesi un momento suoni e canti ed anche il ridere e conversare; come succede ogni volta che s'aggiugne alla brigata una persona straniera e superiore. Ma Don Luis era di quelli, che in breve ora si fanno famigliari con tutti, e in pochi istanti non che restituire, accrescono l'allegria di qualunque più allegra brigata. Insomma Don Luis era un giovane signore, che avendo avuto dal cielo tutte le più belle qualità del corpo e dell'animo e della fortuna, ma non essendo stato allevato a usarle in nulla di buono, le usava a ciò che il tempo, il paese e l'ozio gl'insegnavano, cioè a divertirsi; e aciò riusciva più che uomo non che di Siviglia o de' quattro regni d'Andalusia, ma di tutta Spagna o del mondo. Solo, senza parenti, egli aveva palazzi, egli ville, gran servitori, tiri di mule e cavalli da sella senza fine; egli cacciava un dì e banchettava l'altro, e talora anch'egli combatteva i tori, e dava festini e balli e villeggiature, ed aveva poi quadri e libri e facea versi benino, e riceveva forestieri ed esercitava nobilmente l'ospitalità; mostrando così ogni buona qualità compatibile colla educazione avuta, e colla scapataggine che ne era seguita. Aggiuntosi egli dunque alla brigata, raddoppiarono in breve i piacevoli discorsi e i canti, prima nelle vie, e in breve poi tornando alla casa e nel fresco cortile di Donna Ramona. Dove fatti venire da Don Luis alcuni sonatori che ei teneva sempre all'uopo in casa, e confetti, e gelati, e bevande, così in festa si passò tutta la notte. E allora la perfida Marichita, la quale poco innanzi aveva al suo primo amatore negata una sola canzone, allora si diè ella a cantare e ballare in modo da innamorare non solamente Don Luis, sempre ed or più particolarmente disposto a ciò, ma qualunque più fredda e più grave persona fosse là per sua disgrazia capitata. Cantò tiranas, boleri, seguidiglie, caciuccie, con quella grazia e quel brio che vi sa mettere ogni donna e peggio una Spagnuola, e più che mai una Andalusa, anzi una Gitanuccia, quando vuol far la musica tramezzatrice d'amore; poi, mentre Don Luis quasi fuor di sè andava facendone le lodi alla mamma, ella inavvertita uscì dal cortile, e in brevissimo tempo rientrò con un nuovo abbigliamento che s'usa apposta per li balli spagnuoli ed è per la forma quella medesima baschigna portata nelle vie: ma non più nera: è allora color di rosa o celeste o di qualunque altro gaio colore, e s'adorna di trine e frange d'oro a più file, che non c'è più bel vedere. E così cominciò col rapito Don Luis un fandango, e poi da sola una caciuccia, che è un ballo che chi ha veduto la tarantella n'ha veduto appena un cenno ed un'ombra, secondo che narrava l'ufficiale, il quale ne faceva una descrizione, che io assolutamente non ve la voglio fare. E dicovi in una parola che albeggiava quando finì la festa, e Don Luis che non credeva poter dormire quel mattino fu a tuffarsi prima nel Guadalquivir e poi a correr per li campi su un allegrissimo e meraviglioso suo cavallo, il più bello della famosa razza della Certosa di Xeres. E intanto raccoglievasi al letticciuolo la vergine non innocente; nè dormiva pur ella, o si compiacesse nel pensiero del primo tradimento, o le rimordesse quello del primo amore.

I giorni che seguirono s'assomigliarono a quella notte. Or si pranzava in casa a Don Luis; or si merendava o si cenava in casa a Donna Ramona; or si facevano passeggi e serenate per le vie e sul Guadalquivir, di giorno e di notte; e sempre si cantava e ballava e rideva; e Don Luis sempre si trovava allato a Marichita, per quella sguaiata compiacenza che in Ispagna e in Italia si usa verso gl'innamorati, con danno d'ogni creanza, d'ogni buon costume, e perfino dei troppo facili piaceri. E il vero è che non pur la brigata o le brigate riunite di Donna Ramona e di Don Luis, ma tutta Siviglia oramai era conscia di quegli amori. Parlavasene come potete pensare in varii modi; e certo più male che bene. Il frate amico di Donna Ramona andò a discorrerne con lei stessa facendole intendere, badasse bene alla virtù di sua figliuola ed al suo proprio interesse; non era probabile, un così gran signore come Don Luis volesse sposar Marichita, e se non era per isposarla… Ma Donna Ramona interrompeva i consigli e i consiglieri, sclamando: – non sapeva ella, perchè supponessero Don Luis con sì cattive intenzioni, o sua figliuola indegna di un grande di Spagna, o chicchessia. – E qui citava le comedie e i romanzi, ed anche alcuni esempi attuali, su quali fondavansi le sue speranze.

Marichita lasciata a sè stessa avrebbe forse avuto più senno. Ma in fatto di senno noi altri vecchi diciamo così sovente a' giovani che n'abbiamo più di essi, e che ci lascino fare, che ei sono scusabili se se ne rimettono a noi, e si esentano d'averne per sè. Ma nè in giovani, nè in vecchi non è scusabile il mancar di buon cuore, e il maggior mancamento di tal sorta è l'incostanza in amore. E badate, io non parlo dell'incostanza unita coll'infedeltà tra sposi o promessi; che le leggi divine ed umane ne parlano e l'hanno chiamato delitto. Ma quell'altra incostanza più leggieri di appiccicare il fuoco del proprio amore ad altrui, e farnelo ardere tutto, e poi spegnerlo in sè o rinnegarlo, benchè non sia posta fra i peccati gravi, dico che è pur gravissimo per le conseguenze. E so che vogliono alcuni sia più danno contro a una fanciulla; perchè dicono che, avendo meno distrazioni e meno facilità a rifar un altro amore, ella s'accora più facilmente; e sovente n'ammala e langue e talor muore. Ma perchè peggio che morbo o morte sono i delitti che troppo sovente vengono dal disperarsi un giovane innamorato e tradito, io dico che è peggio disperar questo, che far languire ed anche morire una fanciulla. Nel caso presente gli è vero che Perico incominciò non come uomo e giovane a disperarsi: ma, non altrimenti che se donna o tenero fanciullo stato fosse, a languire. Quella prima notte da me descritta, il povero Perico, come potete pensare non andò a dormire; ma prima seguì da lungi la brigata nei suoi diporti, e poi tornò, e due o tre volte si fermò allo scuro rimpetto al cancello, onde non veduto vedeva quanto era o si faceva addentro. Più volte fu per entrare come un forsennato, e co' rimprocci, od anche colla sola presenza turbar i perfidi piaceri della traditrice. Più volte fu per avventarsi contro al fortunato rivale. Più volte all'incontro compose il suo volto e gli atti a dolcezza, e volle, entrare a prender sua parte della festa; e volle persuadersi che fosse tutta imaginazione propria quanto da alcuni giorni avea veduto, e quella sera peggio che mai, contrario al suo amore. Ma appressandosi al cancello, or vedeva Marichita sorridere al nuovo amatore o ballar con esso; or la udiva cantare con un'espressione, ch'ei ben conosceva, nè dubitava più del tradimento. Fuggivano allora sue risoluzioni di pace; e sentendosi gonfiare il petto, e batter precipitoso il cuore, ed infiammarsi il volto, e girare il capo, gli rimaneva tanto senno solamente da trattenersi da far una scena, e avendo talor già la mano alla spranga del cancello ritraevasi come un'ombra che sparisse nell'oscurità. Una volta, avendolo già aperto a mezzo, il buttò sì forte chiudendolo, che ne rimbombò il cortile, e tutti si rivolsero; ma non vedendo nulla, credettero fosse il vento o che so io, salvo una a cui balzò il cuore, riconoscendo bene l'atto dispettoso del tradito amatore.

Cinque o sei giorni dopo, una sera che o per riposarsi o perchè era sabbato, e quel giorno s'osserva in Ispagna come in Italia il venerdì, non vi erano stati canti nè balli, e le donne erano ite a letto più per tempo; Perico, che non era capitato in casa loro più mai, deliberò aver pure una spiegazione con Marichita. Tolto un largo cappello, e la cappa o mantello, che là si porta, benchè più leggeri, di state come di verno, ed avviluppatovisi addentro, verso la mezzanotte quando rimasero solitarie le vie, provò ad ire sotto la finestra di Marichita, come più volte era andato già. È usanza là di qualunque innamorato ir così all'inferriate della casa della sua bella; e questa scende e vien dietro, e parlano e stanno insieme lunga ora: nè è tenuto per atto disonesto, se non quanto sia meno onesto l'amore. Avea Perico un segno accordato colla bella che era canticchiar la prima strofa di una sua favorita canzonetta detta il Polo del contrabbandiero, ed interrompendosi ad un tratto batter le mani tre volte poi. Nè per immersa che fosse in profondo sonno la fanciulla, era succeduto mai che, rinnovato al più una volta il segno, ella non l'avesse udito, e non avesse in breve l'impazienza di lui soddisfatta, comparendo desiderata dietro le sbarre. Ma ora troppo mutata era ella; e dormisse sognando del novello amore, o svegliata udisse ma temesse i rimprocci, o ad ogni modo fosse deliberata rompere con Perico; tre volte e quattro e sei passò questi e ripassò inutilmente, e diè i segni, e ultimamente anche un grido di furore. Invano fu ogni cosa. Chiusa inesorabilmente mirò gran tempo la finestra, nè gli rimase altra alternativa che o far uno scandalo che il sapesse tutta la città, o tornarsene addietro più che mai umiliato, beffato e disperato. Ed ebbe pur anche questa volta pazienza. Dico che l'ebbe in quanto al non far pubblicità; che del resto, rivolgendo l'ira contro a sè, mordeva sue dita, e battevasi il capo e faceva gesti da spiritato; che incontrato a quell'ora da alcuni sereni, che son quelli che van gridando nelle vie il tempo che fa, e facendo da polizia notturna, gli furono addosso e gli volser le lanterne negli occhi per prenderlo, credendolo qualche fuggito da' pazzarelli; se non che, uno di coloro, oltre al suo mestiere notturno, avendo nel giorno qualche ufficio nella piazza de' tori, conosceva molto bene Perico; e domandatolo che fosse questo, e indovinatolo da sue rotte parole, e fattogli far largo, seco a casa l'accompagnò; aggiungendo le consolazioni solite darsi da tal gente in tali casi: che perduta una donna se ne trovan cento, che egli non s'era mai disperato per siffatte cose, che chi non ti vuol non ti merita; ed altre ragioni, ragionevolissime a giudizio di chi le dà e non è innamorato, inutilissime per lo più a coloro cui si danno.

Возрастное ограничение:
12+
Дата выхода на Литрес:
25 июня 2017
Объем:
360 стр. 1 иллюстрация
Правообладатель:
Public Domain

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