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3.1. Le Sopraggiunte al Vocabolario della Diocesi di Como di Rossi

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È difficile stabilire se l’impiego del grafema h dopo g corrisponda a una realizzazione fonetica o se sia un semplice residuo grafico impiegato per distinguere i due lemmi omografi e sinonimici.

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CHERUBINI 1839-1856, 1: 40 (s.v.): «Asa. Bandella. Lastra di ferro, inchiodata o invitata nelle imposte degli usci e delle finestre, la quale finisce in un anello che, impernato mobile sul ganghero, dà modo all’uscio di sostentarsi e girare».

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CHERUBINI 1839-1856, 1: 345 (s.v.): «Cornitt. s.m. pl. Fagioletti. Le silique de’ fagiuoli tenerine che i Tedeschi dicon Fisolen, i Francesi Haricots-verts, alcuni Fiorentini Fagiuoli in bacca. Quando sono invecchiati noi li diciamo Cornón; in tale stato i cittadini li ricusano, ai contadini sono delizia, spregiandoli essi novellini».

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CHERUBINI 1839-1856, 4: 8 (s.v. rampìn): «Rampìn che anche diciamo Rampón. Contrafforte. Ferro che serve a tenere fortemente serrate le porte o le finestre».

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CHERUBINI 1839-1856, 1: 165 (s.v. bùlo): «Bravo, cagnotto, lancia».

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CHERUBINI 1839-1856, 4: 31 (vajrón): «Scàlbatra? Pesciolino di fiume, listato d’oro, d’argento di rosso e di turchino, del genere de’ ghiozzi. Corrisponde al fr. ed al provenzale Vairon o Veron, ed è il Cyprinus phoxinus o il Varius o il Phoxinus levis degl’ittiologi».

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CHERUBINI 1839-1856, 1: 182 (s.v. caggiàda): «Latte quagliato. Latte dei pentolini? Felciata? Fra i nostri contadini dell’Alto Mil. vale non già il latte quagliato ad arte, ma quello che si lascia tanto in riposo quanto basti perché cagli da sé e sfiorato per averne il burro lasci il mero latte inacidito a pietanza per essi molto gradita. È l’Oxygala dei Latini – In Brianza danno talora lo stesso nome anche al Latte sfiorato, ancorché non sia per ancora quagliato».

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MONTI 1845: 36-37 (s.v. càdora): «Arnese di legno, che si porta alle spalle, a guisa di gerla, con due cinghie; formato d’un asse lungo quanto la schiena d’un uomo, con due piuoli nel suo mezzo, ora orizzontali, ora in su rivolti come uncino, su’ quali si adagia il carico. Presso Como serve a portar pietre; in Val Verzasca e altrove a portare schiappe, ceppi e altra legna».

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DIODATI 1830, XXXVIII 3: «Fece eziandìo tutti gli strumenti dell’Altare, i calderoni, e le palette, ed i bacini, e le forcelle, e le cazze: egli fece tutti gli strumenti dell’Altare di rame».

10

CHERUBINI 1839-1856, 4: 106 (s.v. sartàgna): «Lodola o Allodola di prato. Uccello che è l’Alauda calandrella Linneana».

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Cf. Dizionariuccio, s.v. collòssora.

12

Il lemmario pubblicato da Cossa legge erroneamente «(e largo)».

13

CHERUBINI 1839-1856, 4: 147 (s.v. schigéra): «Nebbia. Annebbiamento».

14

Nel Dizionariuccio (s.v.) Cherubini riconduce correttamente gardelìn a ‘cardellino’.

15

MONTI 1845: 113 (s.v. incallà): «Tacere? Scemare?».

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CHERUBINI 1839-1856, 2: 310 (s.v. ìnguen): «Dicono i Brianzoli, con voce che trae dal greco, per Èrgna». Ivi, 2: 71 (s.v. èrgna): «(che nell’Alto Mil. dicono anche Erga o Inguen). Edera. Ellera. Edra. L’Hedera helix dei botanici».

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CHERUBINI 1839-1856, 4: 343 (s.v. sussì): «che i contadini dicono Pasmà. Spirare. Ustolare. Ustrolare. Far lappe lappe. Fermarsi a guardare alcuna cosa con vivo desiderio di conseguirla, come fa uno che avendo fame grandissima, stia a vedere uno che mangi, il quale abbia davanti molte vivande […]»

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THOUAR 1844, 74: «Costui mutando in veleno per gli altri i doni buttati nelle sue mani dalla fortuna, conduceva seco per istrascico una ciurma di mangiapani, un branco di bestie e di servitori d’ogni razza e d’ogni paese, come quando il tramontano mena seco la spazzatura a mulinello ne’ crocicchi delle strade».

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CHERUBINI 1839-1856, 3: 167 (s.v. nàza): «Specie di gioco che usa in qualche parte della campagna milanese (ov’è anche detto Giugà a la porcola), e che si fa come siegue: uno de’ giocatori tira una pallottola di legno in piana terra perché giunga a un dato punto dove stanno molti altri giocatori divisi in due partiti. Essi con certi bastoni, alquanto ricurvi in cima, danno alla pallottola con tutta forza de’ colpi, que’ d’un partito per allontanarla dalla meta, e que’ dell’altro per mandarvela; e così va in lungo il giuoco sino a tanto che non si tocchi la meta o sinché infervorati i giocatori, in luogo di dare alla palla, dandosi delle mezzate sorde fra loro, non convertano lo spassatempo in guai. Corrisponde esattamente alla Póma de’ Mantovani, ed anche ha parentela col giuoco toscano della Pentolaccia, mutata la pentola in palla».

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CHERUBINI 1839-1856, 4: 384 (s.v. tèppa): «che altri del contado dicono Piùma, Piumìnna, Momìnna, Rùfa. Borraccina. Musco. Mustio. Moscolo. Muschio. Sp. d’erba crittogama».

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CHERUBINI 1839-1856, 3: 78 (s.v. mejànna): «Panicastrella. Panico salvatico. Fieno stellino. Fa nelle stoppie; ha spighetta come quella del panico; del seme, che si raccoglie con quella sacca a rete che diciamo Guàda, sono ghiotti gli uccelli, i piccioni, le galline, ecc.».

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MONTI 1845: 112 (s.v. impatojàs): «Impillaccherarsi. In. Bespatter, impillaccherare, spruzzolare».

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CHERUBINI 1839-1856, 3: 290 (s.v. pattèll): «e più comune al plurale Pattij. Pezze. Que’ pannolini onde ravvolgonsi i fanciulli in fasce».

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CHERUBINI 1839-1856, 3: 219 (s.v. órdin): «Dà vorden. Far la masserizia della casa».

25

CHERUBINI 1839-1856, 3: 344 (s.v. piccètt): «che altri dicono Pincètt, verso il Pavese Petróss, verso il Lodigiano Gossróss, verso il Novarese come a Soma Barbaróss; al pl. Piccìtt. Pettirosso. Pettiere. Uccello che è la Motacilla rubecola degli ornitologi.

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CHERUBINI 1839-1856, 4: 95 (s.v. saltamartìn): «e secondo paesi del contado Martin, Sajòcc, Sajòttola, Saltamàrt, ecc. Cavalletta. Locusta. Grillo verde. Grillocentauro. Ragnolocusta. Cavalletta verde. Il Saltamartino de’ dizionari italiani vale solo per altri oggetti. Noi in città confondiamo sotto al nome generico di Saltamartìn tutti i grilli, dall’acheta campestre in fuori […]».

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La voce in romagnolo ha in realtà un altro significato cf. MORRI 1840: 672 (s.v. scafa): «Pila dell’acquajo, Pietra quadrangolare con risalti intorno ai lati, sulla quale si governano le stoviglie. Acquajo, dicesi al Luogo, o Armadio dov’è la pila».

28

CHERUBINI 1839-1856, 2: 183 (s.v fustón): «Torso. Tórsolo. Fusto d’alcuna pianta, e si dice più comunemente di quello de’ cavoli».

29

Vd. Dizionariuccio, s.v. sgarabotta.

30

MONTI 1845: 236 (s.v. sbavìcc): «Instrumento rustico da sgusciare le castagne seccate al fumo su graticci, formato d’un’assicella di un due piedi in lungo e in largo, tonda, o quadra, od oblunga, un po’ convessa, che ha nel mezzo impiantata per manico una mazza alquanto curva. Il contadino alzandolo a due mani con essa batte di forza sopra il suolo delle castagne distese sul terreno. Questa operazione dicesi Sbavigià, forse lo stesso etimologicamente di Sbacchiare, percuotere con bacchio».

31

MONTI 1845: 325 (s.v. teramàt): «Sorta di castagno d’innesto, di mezzana grossezza. Fa nelle selve e al monte, e produce frutto piccolo e buono».

3.2.1. Alcune voci del Dialetto Ticinese derivate dal romanzo o dal tedesco. Altre voci proprie del Malcantone (M 67 suss., c. 227rv)

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Le voci contenute in questo paragrafo sono presenti nella minuta (M 67 suss., c. 221v) in coda alla “libera” trascrizione di un estratto della Svizzera italiana di Franscini, opera dalla quale provengono i lemmi inclusi nella prima parte della lista. E proprio il libero adattamento del paragrafo fransciniano sul Linguaggio, spesso dubitativo e in alcuni casi anche interventista, testimonia la fiducia dell’abate nei propri mezzi e l’autonomia rispetto al giudizio di Franscini. Nella minuta si legge il testo che si trascrive di seguito: «L’emigrazione periodica assai praticata in quest’estrema parte dell’Italia influisce non poco sulla varietà del dialetto, e secondo che gli abitanti preferiscono la Lombardia, il Veneziano Roma la Toscana ne risente il parlare e nelle voci e nelle cadenze. In Leventina è sensibile in più parole lo svizzero tedesco e ciò per le frequenti comunicazioni che passano fra di questi valligiani coi Cantoni Svizzeri tedeschi. La dipendenza di pressoché a tre secoli dai Signori Svizzeri ci lasciò qualche reliquia di denominazione politica come Landamano, Cantone, ecc. | Difficilissima cosa ella è a voler distinguere e determinare il numero dei dialetti o almeno le varie modificazioni a cui va soggetto, essendo la varietà grandissima e quasi incredibile da luogo a luogo. Tuttavia pare che nove principali se ne possano in qualche modo distinguere. Degli abitanti delle Città o Borgate, del Mendrisiotto, del Locarnese, di Vallemaggia, del Bellinzonese, della Riviera, di Blenio e di Leventina. Quello del Mendrisiotto e del Luganese somiglia molto al Lombardo e soprattutto nelle cadenze e in alquante voci al Comense; ma in Pieve Capriasca e Val di Colla parlano un vernacolo assai strano e diverso dal restante paese. Nella Valle degli Onsernoni varia assai dal Locarnese. Nella Leventina poi si passa una assai notabile differenza tra gli abitanti della inferiore e superior contrada. Quanto più ci si addentra nella valle e si va avvicinando alle Alpi il dialetto si trova mischiato di frasi e voci romanze, che altro non sono che voci latine guaste e corrotte nei tempi di mezzo, come sono le seguenti ecc.». Il secondo esempio dei due tedeschismi dell’italiano regionale del Ticino citati da Rossi (landamano e cantone), non proveniente dallo scritto di Franscini, è improprio: la voce cantone, infatti, è giunta in Svizzera dall’Italia settentrionale durante il Medioevo ed è poi diventata un italianismo federale. Su questo fatto si vd. TOMASIN 2017.

2

Nella prima stesura del documento si legge: «quast è voce assai comune e usitata».

3

Il lemma non riporta un corrispettivo romanzo o tedesco poiché è tratto da una nota al capitolo sui Laghi, in FRANSCINI 1837-1840, 1: 117: «Nel dialetto ticinese lanca vale stagno).

4

Il vocabolo valdese è registrato diversamente rispetto a quanto si legge in Franscini (mattogn) e nella minuta (mattong). L’entrata semplifica una postilla redatta da Franscini in calce alla tabella Vocaboli ticinesi comuni col dialetto valdese, welsch e romanzo franzese (FRANSCINI 1837-1840, 1: 310), trascritta nel secondo capitolo § 2.3.

5

Il lemma non riporta un corrispettivo romanzo o tedesco poiché è desunto dalla lista di Alcuni curiosi vocaboli de’ dialetti Ticinesi, in FRANSCINI 1837-1840, 1: 312.

6

La voce è tratta dal paragrafo Spese de’ Comuni, in FRANSCINI 1837-1840, 2: 261: «ONORARI E SALARI. Vi sono le Municipalità e i loro uscieri, e i guarda-boschi o giurati, i campari (volgarmente saltei)».

7

Il vocabolo si legge in una nota del capitolo sull’Agricoltura, in FRANSCINI 1837-1840, 1: 225: «I Leventini chiaman brasch le prime [arrostite], farúd le seconde [bollite]».

8

L’informazione è tratta da una nota alla tabella Frasi nel dialetto Romansch e nel Ticinese della bassa Leventina in FRANSCINI 1837-1840, 1: 311: «A Bodio nell’inferior Leventina e in qualch’altro luogo è famigliare l’uso de’ nomi al superlativo come gambissima, testissima per grossa gamba o gambone ecc., omissim, vasissim per grosso uomo, gran vaso».

9

Nel Dizionariuccio sono inclusi unicamente i lemmi Lottàda (‘Zollata’) e Lòtta (‘Zolla erbosa’). Quest’ultimo si legge nella prima stesura della lista con il significato di ‘luogo avallato’.

10

La voce seguita dal traducente era infatti presente nella prima versione della lista, così viene riportata nel Dizionariuccio nel quale è successivamente cassata. Questo fatto testimonia che sia la minuta sia la bella copia furono impiegate nella redazione del repertorio ticinese.

11

Nella prima redazione del documento si legge: «Rangiaa o Carezza».

12

Rossi si riferisce alla poesia in dialetto bergamasco dell’abate Giuseppe Battista Rota pubblicata nel 1772 con il titolo Capitol prim contra i Spirigg e forgg.

13

Nella prima stesura si legge, più distesamente, «Por querela frase spesso usata dal Davanzati».

3.2.2. Parallelo di Voci Mantovane e Ticinesi. Alcune Voci Ticinesi (M 67 suss., cc. 47-51)

1

Il lemma è biffato con una riga verticale che ne segnala l’utilizzo.

2

Cf. supra.

3

Cf. supra.

4

Cf. supra.

5

Cf. supra.

6

Cf. supra.

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