Читать книгу: «Il nome e la lingua», страница 51

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1.2.1. La lingua italiana

1

Cf. TOMASIN 2011: 121.

2

LURATI 1976: 107.

3

MARTINI 1970: 79.

1.3. La percezione del vicino svizzero

1

BARTHES 1966: 60 e FALOPPA 2009: 521.

2

VSI, 5: 294, s.v. cinciau.

3

Cf. SALVIONI 1904: 701n.

4

Cf. MIGLIORINI 1968: 68.

5

GADDA 2012: 296.

6

BOERIO 1856, s.v. toni.

7

Cf. SALVIONI 1896: 51.

8

BERCHET 1962, 1: 149-150.

9

Cf. TRIFONE 2010: 163. Cf. CHERUBINI 1839-1856, 2: 243: «Gnucca e Gnucch. Gnucca. Nuca. Zucca. Coccia. Cocciola. Occipite. Occipizio. Testa, capo» e 4: 374: «Tegnón. Gnucca. Zucca. Capo. Testa. Forma del cappello»; AURELI 1851: 119: «Gnûcca. Nuca ed anche testa».

10

Tuttavia SANT’ALBINO 1859 (1150, s. v. testa) raccoglie una connotazione positiva del termine, opposto all’impiego più diffuso: «Testa quadra. Uomo di gran senno, e di grande ingegno»; così come ANGIOLINI 1897: 850, s. v. têsta: «Testa quadra, bona = testa quadra: uomo di molto acume, e sodo sapere»; coerentemente agli altri casi osservati, l’uso svizzero-italiano è invece marcatamente negativo.

11

FALOPPA 2009: 513.

12

HEMINGWAY 1953: 124.

13

Cf. SALVIONI 1917b: 1154: «Žlìfer arrotino, detto soprattutto dei matlośan [Cf. LSI, 3: 371-372: «Vagabondo, zingaro, straniero»] che esercitano quel mestiere; svizz. šlifer arrotino».

14

PORTA 1975: 427.

15

Ivi: 589.

16

Ivi: 428.

17

A questo breve catalogo andrà aggiunta anche la voce Toeùtet o Toeutèt d’indent censita nel Dizionariuccio Ticinese-luganese-italiano di Cheubini, con la definizione «Soprannome schernevole che gli Svizzeri italiani danno agli Svizzeri tedeschi» (cf. l’edizione in appendice).

18

ARRIGHI 1988: 821 (s.v.). Sul termine si vd. inoltre SALVIONI 1917b: 1154: «lomb., trent. zurùk ze- indietro (detto per lo più ludicamente), lomb. id. valses. sorùch, mant. siròch, bol. zaròkk, tedesco, babbeo, ottuso; ted. zurück».

19

Cf. REW 945 e LEI, 4: 1292-95 (s.v. barbarus).

1.3.1. Le lingue confederate

1

Per Svizzera lanterna e Canton strascin si vd. LURATI 1976: 163 e 28. Per Svizzer con la cùa cf. TOMASIN 2011: 145-147.

2

WEINBERG 1970-1974, 1: 64.

3

LEOPARDI 1988: 89.

4

ARRIGHI 1988: 255 (s.v. forloccà).

5

PASOLINI 1998, 1: 680, si veda inoltre il lessico a 1189.

1.4. Blasoni nella Svizzera italiana

1

CESCHI 1986: 23.

2

BERTONI, CHIESA 1994: 125.

1.5. La Svizzera italiana nella prospettiva confederata

1

Sulla voce si vd. TRIFONE 2008.

2

ALBORGHETTI 2017.

3

BIGLER 2013.

4

Cito da CASAGRANDE 1991: 117.

1.2. A Francesco Cherubini, da Bodio il 5 agosto 1824

1

A riprova dell’operosità ma anche del disordine del lessicografo, nello spazio bianco situato sul lato sinistro della firma è appuntato, di pugno di Cherubini, un lemma nel dialetto trentino, estraneo alla corrispondenza con Franscini: «Somasso | trentino | il terrazzo di calcestruzzo». Nel catalogo di voci annesso alla lettera è presente un ulteriore appunto di Cherubini che rimanda alla varietà dialettale trentina.

2

A lato di questa entrata si legge una nota di pugno di Cherubini, che scrive: «Lo stesso che panera (Val di None trentino) | mesa (riva di Trento). Se non isbaglio domandarglielo».

2.1. Le correzioni autografe al Prospetto nominativo (M 68 suss., c. 222)

1

L’inclusione tra parentesi segnala l’esitazione del lessicografo in merito alla classificazione di una varietà considerata probabilmente tra le «affini» – secondo l’aggiunta autografa al nome della sottovarietà – a quelle della Svizzera italiana. Benché appartenga alle varietà lombarde, il bregagliotto è infatti collocato anche fra i dialetti dell’Engadina.

3. Il Dizionariuccio Ticinese-luganese-italiano (Così di città come verso la Tresa e il Mendrisiotto) di Cherubini con alcuni materiali preparatori

1

Il secondo e il quarto capoverso, come indicato con il segno anteposto alla numerazione da Cherubini, ripetono la stessa informazione.

2

Il breve saggio di verbi, come segnalato, è tratto da ZUCCAGNI-ORLANDINI 1840: 37. La fonte di Zuccagni-Orlandini è la Svizzera italiana di Stefano Franscini, nella quale si leggono l’osservazione e la lista di verbi (1: 309).

3

Quest’ultimo punto è inserito nel ’46, accogliendo un suggerimento proposto nella lista dell’Abate Rossi: «A manget tu? Mangi tu? È assai comune il mettere il pronome infine nel modo interrogativo».

4

Segue la nota di Cherubini: «Così scrivono i più de’ Ticinesi; a me pare errato; credo si abbia a scrivere A c’ som. Io ci sono». Questa postilla lascia supporre che, oltre all’indagine orale in prima persona, il lessicografo abbia vagliato anche delle fonti scritte.

5

La voce sbrója in questa accezione non è presente nel vocabolario comasco del Monti.

6

CHERUBINI 1839-1856, 3: 420-421 (s.v. quaccin): «Quaccin. Quacciroeù. Quacciroeùla che altri dicono Dàrbia, Darbioeù, Fasséra. Cascino. Cassino. Forma (fiorentino) o Cascina (valdarnese superiore). Differiscono però alquanto perché i nostri sono cerchielli integri, e i cascini assicine di faggio tenute ferme con una cordicella al punto di farne più o men lato cerchio) […]».

7

In questo caso il lessicografo riceve con alcune perplessità le informazioni trasmesse da Rossi nella lista del ’49, che riporta i traducenti ‘Doppia, Sessitura’. La ragione va probabilmente cercata nel diverso significato assunto dalla voce nella varietà milanese, nella quale indica «Quel legaccio che mettesi alle gambe de’ polli vaganti per riconoscerli» (CHERUBINI 1839-1856, 1: 65, s.v.).

8

CHERUBINI 1839-1856, 1: 40 (s.v. asa): «Bandella. Lastra di ferro, inchiodata o invitata nelle imposte degli usci e delle finestre, la quale finisce in un anello che, impernato mobile sul ganghero, dà modo all’uscio di sostentarsi e girare».

9

CHERUBINI 1839-1856, 1: 345 (s.v. cornitt): «Fagioletti. Le silique de’ fagiuoli tenerine che i Tedeschi dicono Fisolen, i Francesi Haricots-verts, alcuni Fior. Fagiuoli in bacca. Quando sono invecchiati noi li diciamo Cornón; in tale stato i cittadini li ricusano, ai contadini sono delizia, spregiandoli essi novellini».

10

Rossi nella lista del 1847 indica i traducenti «Cattivello, Forchetta» nel caso la voce sia impiegata per un ragazzo, mentre «Fastidioso, Capriccioso» per l’«uom fatto».

11

Il punto di domanda segnala l’incertezza del lessicografo in merito alla scelta del traducente italiano adeguato. Il significato della voce è invece chiaro, lo documenta la definizione del sinonimo milanese nel Vocabolario milanese-italiano. CHERUBINI 1839-1856, 4: 524 (s.v. vit a ghirlanda o a perteghetta): «Così chiamasi quando, prese due viti, si piantano apparigliate a poca distanza fra loro, e quindi per mezzo di pali e staggi si fanno salire in alto e assumere foggia di ghirlanda o filare scempio continuo».

12

CHERUBINI 1839-1856, 4: 157 (s.v. scirón): «(fig.) dicesi anche Sciròtt. Chiodo. Debito».

13

CHERUBINI 1839-1856, 4: 150 (s.v. scimbiòcch): «Succhio. L’umido radicale delle piante. Umore proprio delle piante le quali per virtù di quello cominciano a muovere, generando le foglie e i fiori; e quindi Avegh dent el scimbiocch. ‘Essere in succhio’ dicesi quando l’umore vien alla corteccia delle piante, e rendela agevole ad essere staccata dal legno. La nostra voce pare grave corruzione di Sangue bianco».

14

CHERUBINI 1839-1856, 1: 135 (s.v. bordoeù): «Baco. Befana. Biliorsa. Versiera. Tregenda. Trentovecchia. Aversiera. Trentacanna. Vèrola. Orco. Breusse. Lupo mannaro. Ebreusse. Fa bordoeu. Far baco o far baco baco. È un certo scherzo che si fa coi bambini coprendosi il volto e dicendo “Baco baco” o “bau bau”, e fra noi: Bordoeu, sett, e ciò perché n’abbiano un po’ di pauriccia da burla.

15

La voce non è registrata in Cherubini, per il significato della stessa si veda la nota seguente.

16

CHERUBINI 1839-1856, 1: 156 (s.v. bròssola): «Bruzza. Bolla. Brozza, e più spesso Brozze nel numero del più. Cosso. Piccolo enfiatello cagionato per lo più da umori acri. Fa d’ona brossola on bugnon. fig. ‘Fare di una bolla acquaiola o di una bolla un canchero o un fistolo’. Vale di un picciolo disordine farne uno grandissimo».

17

CHERUBINI 1839-1856, 4: 8 (s.v. rampìn): «Rampino. Arpino. Uncino. Appiccagnolo».

18

CHERUBINI 1839-1856, 4: 143 (s.v. sciampa): «Sciampa de gaijnna o de gatt. Piè di gallina. Gangheri. Lo stesso Fagiuoli nelle Differenze aggiustate ha: Pajon uncini (quei caratteri) da stadera di strascino, e nell’Amante esperimentato (at. 1, sc. 1) fa dire a Ciapo: Egghi è uno scritto fatto co’ graffi e cogghi oncini – è un contadino fiorentino che parla; e anche altrove fa dire: E’ son uncini da ripescar le secchie. Carattere cattivissimo, scrittura pessima, inintelleggibie […]».

19

CHERUBINI 1839-1856, 3: 127 (s.v. Mollitt): «Molitt de formenton che diconsi anche, secondo i varj paesi del Milanese, Lovìtt, Borlìtt, Cochìtt, Mollascioeù, Mollazzoeù, Manòquar, Morsón, Gravasin, Gnòcch, Monij. Cornocchi. Stamponi. Torsi. Le spighe del grano turco spogliate che siano de’ granelli; si adoprano quali combustibili […]».

20

CHERUBINI 1839-1856, 3: 394 (s.v. portaquàder): «che anche chiamasi Portaspècc. … Asse che i facchini si addossano nello stesso modo che portano una gerla, ed alla quale appoggiano gli specchi e i quadri per trasportarli sicuramente. È il Pouertovitro de’ Provenzali e il Fleaux de’ Francesi».

21

La voce è scempiata con una cassatura seriore: «Cia›p‹péra».

22

CHERUBINI 1839-1856, 4: 311 (s.v. stoiroeù): «Buccellato del pajuolo. Cestino? Quella corona, per dir così, tessuta di sala o d’alga, su cui si posano i caldai o simili vasi di cucina per non insudiciare il tavolino […]». Nel ms. a lato della voce è tracciato un disegno che raffigura un cerchio tratteggiato all’interno di un altro cerchio.

23

In questo caso, a causa d’un erronea informazione dell’abate Rossi, Cherubini confonde i passeracei. Nel Dizionario milanese il Morett (3: 139, s.v.) è infatti indicato come nome per il saltimpalo (motacilla rubicola).

24

CHERUBINI 1839-1856, 2: 332 (s.v. lacción): «Lacción del part o Lacc giald. … Quel primo latte che concorre nelle poppe subito dopo il parto; il latte puerperale detto dottr. Colòstro».

25

La voce è scempiata con una cassatura seriore: «Cop›p‹ett».

26

CHERUBINI 1839-1856, 3: 117 (s.v. mitàa): «Metadella. Misura che dovendo misurar grani, biade o cose non liquide, tiene la sedicesima parte dello stajo o sia la quarta parte del quarto nostrale da grano (quartee) equivalente a poco più d’undici coppi della nuova soma decimale. La metà di questa chiamasi Mezza-mitaa, e corrisponde ad una Mezza metadella toscana».

27

CHERUBINI 1839-1856, 4: 58 (s.v. riva): «Erta. In riva. Erto».

28

Questa voce non è registrata nel Dizionario milanese-italiano di Cherubini, il suo significato è facilmente comprensibile, cf. la nota seguente.

29

CHERUBINI 1839-1856, 3: 386 (s.v. poporàa): «Careggiato. Vezzeggiato».

30

CHERUBINI 1839-1856, 1: 160 (s.v. Brusàda): «(e secondo paesi anche Brusava o Chizzoeù). v. cont. Stiacciata. Schiacciata. Pane soccenericcio. Pane fatto di pasta di grano turco abbrustolata in pochi minuti e le più volte mal cotta. Nella pasta intridono spesso, finocchio, cipolle, uva o simili. La Brusada di grano è detta con particolar nome Fugàscia o Fugascìnna in campagna, e in città Carsenza».

31

La voce è scempiata con una cassatura: «Fàf›f‹i».

32

Idem: «Faf›f‹ión».

33

CHERUBINI 1839-1856, 4: 9 (s.v. rampinettón): «voce dell’Alto Milanese. Roncone. Roncolone. Falcione».

34

Ibidem (s.v. rampinètt): «Uncinello. Rampinetto».

35

In questa entrata Cherubini accoglie l’informazione di Rossi ma trascrive erroneamente rasdis in luogo di rasdiv, senza segnalare la provenienza romanza del termine documentata dalla Svizzera italiana di Franscini (1837-1840, 1: 312), fonte di Rossi in questo caso.

36

CHERUBINI 1839-1856, 4: 304 (s.v. Stàsgia de vit): «Cornicello».

37

Una biffatura elimina la doppia s: «Gnós gnós›s‹».

38

Una cassatura modifica: «Gor›a‹ion de tola».

39

CHERUBINI 1839-1856, 1: 207 (s.v. cànola): «Doccia. Scarpello a doccia. Sgorbia da bottaj. Ferro, quasi simile a un tassel grande da caciaj, con cui il bottajo fa nei tini e nelle botti que’ fori nei quali s’ha da intromettere le cannelle. È il Perçoir dei Francesi».

40

CHERUBINI 1839-1856, 1: 80 (s.v. bastì): «Bastare. Fare. Serbarsi. Parlandosi di carni, frutta o simili, vale Conservarsi, mantenersi, durar lungamente».

41

CHERUBINI 1839-1856, 3: 173 (s.v. ninzà): «che dicesi anche Inzà e Inninzà. Incignare. Manomettere. Intaccare. Cominciare a far uso di checchessia togliendone una parte […]».

42

Secondo quanto riporta il LSI (3: 32, s.v. inscì) la voce regionalmente significa ‘Così, in questo modo’, ‘Tanto, talmente, troppo’, ‘Tale, siffatto’, ‘Da poco, mediocre, approssimativo’, ‘Semplice, naturale, essenziale, non alterato, non accompagnato, solo’ e giunge anche a significare ‘in stato di gravidanza’.

43

CHERUBINI 1839-1856, 2: 63 (s.v. elza): «Lucignolo […]».

44

CHERUBINI 1839-1856, 3: 5 (s.v. macarón): «Cannoncino. Sorta di pasta a foggia di cannoncino, la quale si suol cuocere in più maniere – Maccherone più propriamente fra i Toscani e Romani e così anche in tutti i diz. italiani, vale Pasta di farina di grano distesa sottilmente in falde, cioè a dire la nostre Lasagn largh. In gran parte d’Italia però i Cannoncini dei Toscani sono detti Maccheroni».

45

La voce va probabilmente ricondotta al sintagma fala magra registrato nel LSI (3: 248, s.v. magro) con il significato di ‘mangiare poco, miseramente’, ‘vivere stentamente, in miseria’ e ‘osservare l’astinenza dai cibi grassi prescritta dalla legge ecclesiastica’. A quest’ultimo significato si ricollega probabilmente anche il lemma successivo, che risulta dalla crasi di magro e sacramento.

46

CHERUBINI 1839-1856, 3: 167 (s.v. nàza): «(giugà a la) … Specie di giuoco che usa in qualche parte della campagna milanese (ov’è anche detto Giugà a la porcola), e che si fa come segue: Uno de’ giocatori tira una pallottola di legno in piana terra perché giunga a un dato punto dove stanno molti altri giocatori divisi in due partiti. Essi con certi bastoni, alquanto ricurvi in cima, danno alla pallottola con tutta forza de’ colpi, que’ d’un partito per allontanarla dalla meta, e que’ dell’altro per mandarvela; e così va in lungo il giuoco sino a tanto che non si tocchi la meta o sinché infervorati i giocatori, in luogo di dare alla palla, dandosi delle mazzate sorde fra loro, non convertano lo spassatempo in guai […]».

47

Non ci è dato modo di ricostruire la «curiosa accezione» del termine, che non si ritrova nei materiali lessicografici della regione.

48

La voce è preceduta nel manoscritto dal segno +.

49

CHERUBINI 1839-1856, 1: 94 (s.v. bernardón): «Baggèo. V. Badée».

50

CHERUBINI 1839-1856, 5: 107 (s.v. Mai-ma-dèss): «v. cont. brianz. sinon. del nostro milanese L’è lì bella o L’è aj-bella. Mai-ma-dess che l’è andaa in Turchia. Gli è quel poco che se n’è ito in Turchia.

51

Sulla stessa carta (c. 152v) è cassata la voce Mocciavacca: «Mocciavacca. Scialaquatore. Bevone. Mangione».

52

CHERUBINI 1839-1856, 1: 171 (s.v. bùtt): «V. cont. Motta».

53

Il punto di domanda segnala la possibilità di relazionare mossìna al toscano mozzina per ‘astuto, scaltrito’ (CESARI 1806-1811, 3: 301, s.v.).

54

Cf. s.v. inizà.

55

Nel ms. l’entrata è seguita da una parola illeggibile preceduta da un asterisco.

56

CHERUBINI 1839-1856, 3: 78 (s.v. mejànna): «Panicastrella. Panico salvatico (Panicum verticillatum). Fieno stellino. Fa nelle stoppie; ha spighetta come quella del panico; del seme, che si raccoglie con quella sacca a rete che diciamo Guàda (V.), sono ghiotti gli uccelli, i piccioni, le galline, ecc.».

57

CHERUBINI 1839-1856, 3: 259 (s.v. papà-grand): «Nonno. Anche i Francesi hanno Grand-papa e Grand-père, i Tedeschi Grossvater, e gl’Inglesi Grand-father».

58

CHERUBINI 1839-1856, 3: 290 (s.v. pattèll): «e più comune al plur. Pattij. Pezze. Que’ pannilini onde ravvolgonsi i fanciulli in fasce».

59

CHERUBINI 1839-1856, 2: 185 (s.v. gabbioeù): «(A). T. d’Agric. … Si dice di quella disposizione delle viti che si eseguisce tirando i tralci per ogni verso e raccomandandoli a paletti che formino circolo alla pianta».

60

CHERUBINI 1839-1856, 4: 459 (s.v. uga): «Corbéra. Corbina? Somiglia la Crova piacentina».

61

CHERUBINI 1839-1856, 2: 269 (s.v. guèja): «… Edifizio da pesca consistente in una vasta travatura in forma d’un lungo triangolo non chiuso nella estremità. Incomincia acuminato, e va dilatando due grandi alie aperte a ritroso alle quali danno fermezza grossi rami intrecciati alle palizzate. Usanza dei pescatori comaschi e briviensi».

62

Il punto di domanda segnala l’incertezza di Cherubini nella scelta del traducente. Nel LSI (3: 875) alla voce piantèla è registrato il più generico ‘arbusto’. Più vicina al significato accolto dubbiosamente nel Dizionariuccio è la forma maschile (ivi, s.v. piantéll), che indica nel Sopraceneri la ‘giovane pianta di castagno’ o di ‘rovere’.

63

ZAPPETTINI 1861: 516 (s.v. tis): «Sazio, satollo, pieno».

64

L’entrata è seguita da una parola illeggibile preceduta da un asterisco.

65

CHERUBINI 1839-1856, 3: 376 (s.v. pomèll): «Pomo o Pome. Ogni cosa rotonda a guisa di palla o di meluzza».

66

Nel ms. è registrato anche il termine «Ponsgeràtt. Lauro spinoso. (Invece il pugnitopo lo chiamano …». Quest’ultimo è cassato, e una freccia lo ricollega all’entrata a testo.

67

CHERUBINI 1839-1856, 3: 395 (s.v. portèja): «v. cont. Callaja. Callare. Chiudenda. Intreccio di vimini, stecconi, pruni, ecc. che si fa in luogo di cancello alle callaje de’ campi per darvi o impedirvi il passo a piacere. Sul Parmigiano, sul Reggiano, ecc. alcuni la dicono Curda, altri Portuzza o Portuzzón».

68

CHERUBINI 1839-1856, 1: 182 (s.v. Caggiada): «Quagliamento. Quagliatura. Rappigliamento. Per es. i Cont ona bonna caggiada el formaggin l’è a cà. Buona quagliatura, e la caciuola è fatta».

69

Secondo l’abate Rossi, por querela è una «frase spesso usata dal Davanzati».

70

CHERUBINI 1839-1856, 4: 476 (s.v. varisélla): «Carpinese? Carrarese? Sp. di castagna di color rossellino lustro, e di sapore dolcissimo».

71

CHERUBINI 1839-1856, 4: 36 (s.v. Rescïon): «o Rescïott. Frati, ed anche con idiotismo nostro poco ben tradotto Riccioni».

72

CHERUBINI 1839-1856, 4: 70 (s.v. rolètta): «Rollìna (tosc.). Ruota posta a giacere sur un banco da giuoco. Ha in sé trentotto caselline, due delle quali segnate con zeri l’uno rosso l’altro nero, e le rimanenti noverate dal numero 1 al 36. Fatta girare questa ruota con una spinta data al suo asse, le si aggira intorno con moto inverso una pallottoletta d’avorio la quale va a morire in una delle dette caselline, e dà vinta la posta a quei giocatori che la mandarono su quella data casellina».

73

CHERUBINI 1839-1856, 1: 128 (s.v. bolgirón): «sost. m. Scaltritaccio, e anche Lamaccia. Lieta spesa. Cavezza. Forca».

74

CHERUBINI 1839-1856, 2: 184 (s.v. Gabà): «o Gabbà. […] Svettare. Scapezzare. Scoronare. Scapitozzare. Tagliar a corona. Tagliare i rami agli alberi fino alla forcatura del tronco, o Spogliare tutto il tronco della ramatura […]».

75

CHERUBINI 1839-1856, 4: 121 (s.v. scalapèrtega): « … Specie di scala che alcuni chiamano anche Scala de pomm, la quale consiste in un palone o in un’alta e soda staggia attraversata da piuoli a guisa di rastrello. Corrisponde precisamente all’Échelier de’ Francesi».

76

CHERUBINI 1839-1856, 1: 369 (s.v. cròtt o cagaròtt): «… L’ultimo nato, lo scacanidio come dicono i Siciliani».

77

CHERUBINI 1839-1856, 4: 321 (s.v. stragàzza): «Gazza sparviera. Sp. di uccello noto».

78

CHERUBINI 1839-1856, 4: 128 (s.v. scarlìga): «Sdrùcciolo […]».

79

Nel manoscritto si legge «Mojà el canof», ma la collocazione dell’entrata, fra i lemmi in s-, congiunta con la fraseologia riportata alla voce Canof, ovvero Smojà el canof, legittima l’aggiunta della S iniziale.

80

CHERUBINI 1839-1856, 4: 263 (s.v. spavìggia): «s.f. … Specie di ceppo quadrato, nel cui centro è infitto un bastoncello elastico e lunghetto, col quale i Castagnai dell’Alto Varesino sgusciano le castagne già seccate nel metato. Talora se ne servono anche per diricciare, e in questo caso gli corrisponderebbe l’italiano Picchiotto che l’Alb. enc. definisce mazzapicchio manevole e diricciatojo. Molti, e specialmente in Brianza, usano diricciar le castagne pestandole nel riccio colla costola del sarchio, e sceverandone via via i ricci coi rebbj del medesimo. La Spaviggia de’ Varesini è simile in gran parte ad un ammostatojo di que’ grossolani, e solo ne dissimiglia per l’elasticità del manico».

81

CHERUBINI 1839-1856, 3: 303 (s.v. pelà): «Pelà el formenton. Diglumare».

82

CHERUBINI 1839-1856, 3: 343 (s.v. piattellinna): «dicesi anche Tazzìnna. Coppa. Ciòtola».

83

CHERUBINI 1839-1856, 4: 299 (s.v. stalla): «Trà-foeura la stalla. Levare la stalla. Levarne lo stabbio e rimettervi nuovo letto».

84

CHERUBINI 1839-1856, 3: 303 (s.v. peladèj o pelàd): «Tiglia? Tigliate? Castagne lessate monde».

85

La seconda parentetica «(Savj)» si riferisce al manuale ornitologico di riferimento per Cherubini, impiegato anche nella compilazione del Dizionario milanese-italiano: SAVI 1827-1831.

86

CHERUBINI 1839-1856, 4: 140 (s.v. Schènna o S’cènna): «Pezzo di catasta. Stecca. Pezzo da Catasta. Ognuno di que’ legni da bruciare che si hanno da un grosso ramo d’albero spaccato per lo mezzo o rifesso in quattro – ed anche nome collettivo delle legne così rifesse».

87

MONTI 1845: 325 (s.v. teramàt): «Sorta di castagno d’innesto, di mezzana grossezza. Fa nelle selve e al monte, e produce frutto piccolo e buono».

88

La parola «anche» si legge in uno sbrego della carta, è vergata dunque sul recto della c. 264. Questo fatto certifica che le schede furono assemblate, se non prima, probabilmente dopo la compilazione dell’ottobre 1845: quella che riordina le «varie note» appuntate dal lessicografo in occasione di escursioni nel luganese.

89

CHERUBINI 1839-1856, 2: 57 (s.v. dressìn): «Sassello. Tordo sassello. Tordo minore. Il Turdus minimus degli ornitologi».

90

CHERUBINI 1839-1856, 4: 31 (s.v. Regondin): «Querciolo tondo. Pedagnuolo. Parlando di legne da ardere.

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9783772001215
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