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1.3. Il Grigioni italiano

Almeno in parte diverso fu invece il caso delle valli grigioni oggi di lingua italiana.1 Anzitutto, nel basso Medioevo non vi erano relazioni dirette tra le terre di Mesolcina, Calanca e Bregaglia e il ducato e la città di Milano, queste comunità vivevano in relativa autonomia e con ampio diritto di libertà. Poschiavo, in seguito all’assoggettamento di Como a Milano nel 1335, passò nel 1350 sotto la sovranità dei Visconti. Il dominio milanese si concluse in seguito alla ribellione suscitata dalla cessione del feudo poschiavino a Giovanni MalacridaMalacridaGiovanni di Musso nel 1406, che portò due anni dopo alla sottomissione del Comune grande di Poschiavo al vescovo di Coira, e di conseguenza la valle divenne parte della Lega Caddea (ovvero ‘Casa di Dio’).2 Alla Lega Caddea, la valle Bregaglia si era già unita nel 1367.3 La Mesolcina (con la Calanca), entrò a far parte della Lega Grigia più di un secolo dopo, nel 1496. La signoria della Mesolcina era tenuta, dal secolo XII fino al 1480, dai nobili de Sacco del castello di Mesocco, finché nel 1480 il Conte Pietro de Sacco vendette la signoria e i relativi diritti e possedimenti a Gian Giacomo TrivulzioTrivulzioGian Giacomo detto il Magno (1442-1518). La signoria dei Trivulzio, di Gian Giacomo e del suo successore Gian FrancescoTrivulzioGian Francesco (1509-1573), durò fino al 1549, quando gli abitanti della Mesolcina riscattarono i loro diritti e ottennero la libertà. Tuttavia, la presenza dei Trivulzio non impedì a Mesocco e Soazza di entrare motu proprio nella Lega Grigia già nel 1480. Così come un quindicennio più tardi, nel 1496, i Trivulzio non ostacolarono l’annessione alla Lega del resto della Mesolcina e della Calanca.4

Prima della coalizione con la Lega Grigia, oltre al consueto sentimento di appartenenza alla patria comunale, nella Mesolcina è frequente il riferimento geografico alla valle di provenienza, alla quale di fatto erano legate le vicende storiche di queste comunità. A questo proposito, è significativo un passo di un testamento della famiglia Sacco di Grono riportato nei regesti dell’archivio familiare compilati da Emilio MottaMottaEmilio nei primi anni del Novecento e pubblicati nel 1983 da Cesare SantiSantiCesare. Il documento, rogato il 5 febbraio 1435 dal notaio Zanetto d’AiraZanetto d’Aira, riporta l’investitura di tale «Giov.[anni] fil.[ium] q[uonda]m Enrico de Sabetina de darvicho [Arvigo] valis chalanchasche de Calancha qui stat in calancham vallis misolzine e fratelli suoi Antonio e Martino».5

Il riferimento geonimico alla valle di origine risulta centrale nella denominazione dei suoi abitanti anche dalla prospettiva esterna. È esemplare a tale riguardo il processo istruito nel 1457 per l’incendio della casa di Pellegrina vedova di Antonio Orello di Locarno, avvenuto nei primi mesi di quell’anno. Una notte a Locarno alcuni individui provenienti dalla Mesolcina, per malizia o in preda agli effetti del vino, incendiarono la casa nella quale alloggiavano («[…] nocte quadum, aut malitia, aut somno vel vino sepulti domum ipsa incenderunt») e si diedero alla fuga («[…] ij omes inde aufugerunt»). Fra le carte della famiglia Orello custodite all’Archivio di Stato di Milano si conserva l’indice delle persone responsabili dell’incendio, identificate con il nome sommato a vari elementi identitari (la patria comunale, il patronimico, il soprannome o il riferimento geografico alla valle d’origine) impiegati in combinazioni sempre diverse. I presunti incendiari sono però tutti comunemente ricondotti alla valle Mesolcina:

Zanetus Alberti, Zanes Martini de Castanedo de Calancha, Antonius Johannis Nagij, Tognius q[uonda]m Antonij dicti pedagij, Antonius dictus solaterius, Johannes q[uonda]m Albertoli Susane de Agrono [Grono], Bertola q[uonda]m Petri dicti sonatoris de Rovoledo [Roveredo], Henrichus fil. Johannis dicti guerzii et Guertius filius martini del Judice de Agrono, omnes ex valle Mexolcina.6

L’identità e l’autonomia dei grigioni, secondo un’incerta tradizione così chiamati per il colore grigiastro dei panni di lana grezza indossati dagli abitanti della regione (da Lega Grigia a Grigioni; in modo analogo al passaggio da Svitto a Svizzera), emerge da subito nel quadro geografico del tempo, senza sensibili differenze nel periodo precedente e successivo alla coalizione delle Tre Leghe con la Confederazione (1524).7

Oltre ai riferimenti alla Lega e alle sue alleate, sui quali si tornerà più avanti, per indicare il territorio della Rezia curiense e i suoi abitanti era in uso il geonimico cruala e il relativo deonomastico crualoni (ovviamente, anche in forme alternative). Questo appellativo resiste nelle varietà prealpine della Svizzera italiana, dove si registra l’uso di croara per indicare la regione della Surselva, ossia la parte occidentale della valle del Reno anteriore nel Canton Grigioni, o, più genericamente, i Grigioni stessi (ad esempio ra Crüèera a Olivone). Di conseguenza, il sostantivato croaron (o croarina) indica il ‘grigione’.8 Il termine trae origine dalla denominazione che le popolazione germaniche hanno assegnato alla parte del territorio dell’odierno Canton Grigioni di lingua neolatina (Churwalha), e successivamente ha indicato i parlanti di lingua romanza dell’episcopato di Coira. Già attestato alla fine del secolo IX, Churwalha è analizzabile negli elementi di Chur (Coira) e Walha, ovvero ‘territorio dei walh’, una parola alto-tedesca indicante le aree romanizzate.9

Le attestazioni in merito sono numerose. Ad esempio, il termine Cruala si ritrova con riferimento specifico alla Surselva nella lettera del 25 maggio 1498 spedita a Milano dal commissario ducale di Bellinzona Cesare PorroPorroCesare. La missiva comunica le preoccupazioni di quest’ultimo relative ai casi di peste verificatisi in quel giro d’anni a Lugano e del pericolo di contagio dovuto alla mobilità delle genti: con particolare riferimento ai traffici tenuti da luganesi nella bassa valle del Ticino e ai commerci degli abitanti delle valli alpine di Leventina, Surselva e Blenio, che regolarmente si spostavano sul Ceresio transitando da Bellinzona. Nel documento, oltre alle denominazioni geografiche delle tre valli citate, è interessante l’uso degli aggettivi etnici luganeschi e leventinoni:

Illustrissimo principe et Excellentissimo Signore mio. Per essere certificato che in Lugano sonno morti alchune persone de peste, io et li homini di questa terra si siamo ritrouati molto malcontenti, sì perché essi Lughaneschi vanno et veneno pratichando in questa terra: similmente li homini di Leuentina, Cruala et Blegno ogni giorno vanno cum le mercantie sue a Lugano et doue li pare ritornando poy al piacere suo per questa terra per andare al camino suo, cum vino toglieno et altre robe in dicta terra di Lugano et valle. Per questo mè parso ante deuengha a fare inhibitione alchuna a dicti Leuentinoni et complici sui, prima darne aduiso alla Illustrissima Signoria Vostra […].10

Questa serie di geonimi è impiegata da Cesare PorroPorroCesare anche in una lettera scritta a Ludovico il MoroSforza (detto il Moro)Ludovico il 26 agosto 1496, nella quale il commissario descrive un episodio di violenza avvenuto alla fiera di Bellinzona in seguito al furto di una forma di formaggio. Nella missiva è documentato il peculiare uso dell’etnico todeschi riferito agli individui provenienti dalla Leventina, da Blenio e dalla Surselva, che oltre all’evidente tono spregiativo è forse rivelatore per le prime due di una percezione già mutata dopo il recente passaggio dei territori agli Svizzeri. Nel 1441 la Leventina fu data in pegno a Uri e nel 1495 le truppe mercenarie di quest’ultimo e dei cantoni vicini occuparono la Valle di Blenio:

[…] Heri de sira volendo li datiari de Vostra Excellentia astringere uno Antonello de Misocho al pagamento d’una soma de formagio fraudata per luy, il dicto Antonello con uno suo fiolo et con il brazio de certi altri leventinaschi, crualoni et blegnioni volseno presumptuosamente tumultuare questa terra, et da poy che io con resone li ebe alquanto pacificati et non sapendo che rispondere, elati [sic] de superbia et bestialmente misseno mane ale arme senza altro mio rispecto né dalcuno altro de la terra, li quali vedendo tanta desonestà et dubitando che altro non fusse, armati tutti fu dato repulso ali dicti todeschi con più onesto modo possibile, et facendo salire le robe et le persone loro, aciò non havesseno iusta causa de querelare, salvo uno chiamato Pedrota, cruvalono, quale nel mesedare e nel partire, hè stato punto un pocho ne la panza et senza periculo […].11

La denominazione cruala (o croara) resiste nel tempo ed è impiegata per indicare un carattere stabile della regione, non sostituibile con i riferimenti alle coalizioni politico-amministrative che si formano nel basso Medioevo. Così, da prospettiva milanese, l’orientalista e dottore della Biblioteca Ambrosiana Francesco RivolaRivolaFrancesco nella sua Vita di Francesco Borromeo, nei paragrafi relativi a una sua visita pastorale nelle pievi ambrosiane dei baliaggi comuni, per definire il territorio della Surselva impiega il termine Croara, al quale fa seguire il riferimento alla sovranità politica grigionese:

Riferisce Domenico Girardello ObblatoObblatoDomenico Girardello, e Vicario foraneo, che ’l Cardinal FedericoBorromeoFederico, dopo hauer l’anno 1608 visitata gran parte della pieue di Biasca, si condusse nella valle di Bregno; e che dispostosi di visitar nella valle detta Ghirone, confinante con la Croara, paese de’ Signori Grigioni, quella parrochial Chiesa, per andar’ alla quale passasi per un luogo detto sosto, di fattamente pericoloso che da’ sassi indi cadenti rimangon ben souente opressi i passeggeri, fu del manifesto pericolo ammonito: e con tutto ciò intrepidamente egli vi si condusse passando con gran fiducia in Dio […].12

La geografia politica delle terre grigioni e di quelle dei baliaggi doveva però risultare confusa, anche a pochi chilometri di distanza. A riprova di ciò, nella stessa opera, alcune pagine più avanti, l’autore indica la Valle di Lugano come dominio grigione: «uno ne mandò egli in Canonica nella Valle Mesolcina, due nella Valle Luganeza dominio de’ Grigioni, ed uno in Furtimborg dell’Arciduca d’Austria».13

Il termine Cruala (o Croara) convive da subito con il più generico Grigioni, comunemente impiegato nella lingua presente. Ad esempio, l’uso della denominazione etnica si legge, nella più consueta forma Grigiani (sul calco di «Lega Grixa»), in una lettera spedita dai commissari di Bellinzona al duca Ludovico il MoroSforza (detto il MoroLudovico in data 6 maggio 1498.14 Nella missiva, i bellinzonesi chiedono di non concedere l’esenzione dei dazi alla Mesolcina, allora soggetta al potere di Gian Giacomo TrivulzioTrivulzioGian Giacomo:

[…] Pertanto preghamo la Ex.tia V.a che alquanto voya differire ad concedere cossa alchuna a dicti Grixani fin a martedì che saremo da quella, ala quale exponeremo talmente, cognoscità noy esser quilli fidelissimi servitori di quella ala quale humilmente se recomendiamo.15

L’etnico grigioni (o grigiani) è prevalentemente impiegato per indicare la signoria politico-amministrativa del territorio. Ad esempio, nel processo di beatificazione e canonizzazione di S. Carlo BorromeoBorromeoCarlo del 1579, il teste Ambrogio ForneraForneraAmbrogio dopo aver parlato del Collegio Elvetico di Milano e del Seminario di Pollegio, entrambi fondati dal BorromeoBorromeoCarlo nell’ambito dei programmi educativi elaborati dalla Controriforma, prosegue con queste parole:

[…] come ne diede principio ad un altro nella Valle Mesolcina nella terra di Rogoredo paese de’ sig.ri Grisoni per il medesimo effetto se bene poi sopragiunto dalla morte non ha potuto far perfetione a questi Suoi ultimi come era suo disegno. Nel Collegio Elvetico fondato in Milano volle il B. Carlo che vi entrassero chierici non solamente de tutti i Cantoni de’ Sig.ri Svizzeri ma ancora de tutte e tre le Leghe grise et ancora quelli de Valtellina e di Val Chiavena loro sudditi ecc.16

La fonte documenta inoltre la situazione della Valtellina e del chiavennasco, differenziati dalle vallate italofone del Grigioni loro confinanti per la diversa modalità d’annessione alle Leghe. Le due furono infatti conquistate con le armi nel 1512 e non entrarono motu proprio nella coalizione.

Nei secoli successivi aumentano poi le attestazioni relative all’italianità delle valli di Poschiavo, di Bregaglia e di Mesolcina. La percezione culturale della regione risulta molto più complessa, ad esempio, rispetto a quanto si verifica per il territorio dei baliaggi italiani, che in ragione del principio di territorialità rispettato dai sovrani confederati non modificò le proprie abitudini linguistiche e confessionali. Nelle terre grigioni il processo di italianizzazione prese avvio solo verso la metà del secolo XVI; ad esempio, il bilinguismo in Bregaglia era già praticato e accettato sin dal Cinquecento.17 Oltre a ciò, l’identità culturale di queste terre è plasmata da influenze contrastanti: da un lato dai rapporti con il mondo germanico, consolidati in seguito all’annessione politico-amministrativa alle Leghe Grigie; dall’altro dalla naturale continuità geografica ed etnica con i territori di lingua italiana. A questo proposito mi sembra significativa la testimonianza contenuta nei diari autografi, relativi ad alcuni viaggi in Italia e nelle terre svizzere, redatti da un tale Henningus FrommelingFrommelingHenningus di Colonia nei primi anni del secolo XVII. I quaderni, acquistati per soli settantasette centesimi dallo storico Charles Louis RuelenRuelensCharles Louis per conto della Bibliothéque royale de Bruxelles sono stati da quest’ultimo parzialmente editi nel 1861.18 Al nostro proposito, è particolarmente interessante la Grisonœ brevis descriptio presente nella cronaca. In queste poche righe FrommelingFrommelingHenningus tratteggia un approssimativo ritratto del popolo grigionese:

Incolæ italicam callent linguam, cultu tamen seu vestitu cum Helvetiis magis quam Italis conveniunt. Confederati sunt hi populi cum Helvetis et Rhetis, habentque sub se Vulturenos quibus satrapas præficiunt legesque præscribunt. Utramque in hac regione colunt religionem lutheranam nimirum et catholicam, gravi autem pœna cautum est, ne de articulis fidei fiant disputationes.19

Il rapido diffondersi e poi il radicarsi degli ideali della Riforma, pur se provenienti dal sud, ovvero dai riformati italiani che trovarono in queste terre rifugio e protezione, segnano una rottura confessionale che allontana le valli italofone del Grigioni dall’Italia, e conseguentemente anche dai baliaggi italiani. Già secondo quanto annotato nella relazione del 1570 sul viaggio nei cantoni svizzeri di Carlo BorromeoBorromeoCarlo, che condusse in Mesolcina una spedizione apostolica extraterritoriale, fuori dalla podestà vescovile milanese, nel «paese di Grisoni» gli abitanti «sono per la maggior parte heretici», cioè riformati.20

L’elemento confessionale, che di fatto legittima l’assenza del riferimento alla giurisdizione diocesana nelle denominazioni geonimiche in uso nel Grigioni di lingua italiana, e la vicenda storica distinta, sommati a una cultura e a dei costumi orientati da secoli verso il nord, sono i principali fattori di differenziazione di queste vallate rispetto alla Lombardia svizzera. Lo scarto culturale dev’essersi poi consolidato nei secoli seguenti, se ancora nella Svizzera italiana di Stefano FransciniFransciniStefano (1796-1857) sono ribadite considerazioni analoghe, sulle quali si tornerà nel secondo capitolo.

1.4. Verso la Svizzera italiana

Come si è provato a dimostrare con questa rassegna di esempi, le denominazioni etniche e geonimiche impiegate per identificare una persona sono suscettibili di variazioni a seconda dello scrivente e del contesto. All’interno di abitudini perlopiù eterogenee si ritrovano tuttavia alcune tendenze stabili, che possono suggerire delle informazioni sul sentimento identitario delle comunità prealpine lombarde e grigioni, e del suo sviluppo nel tempo. L’identità di una popolazione non è infatti definita da caratteri originali immutabili ma è il risultato di esperienze storiche e culturali condivise. Con i ritmi lenti della storia, lo spirito comunitario è continuamente rinegoziato, come rinegoziate e in continua evoluzione sono le gerarchie dei valori aggreganti che lo formano.1

Questo vale ovviamente anche per le terre che oggi compongono la Svizzera italiana. Per quanto concerne il territorio della Lombardia svizzera, come si è osservato, il principale elemento etnonimico era costituito dalla “piccola patria”, ossia dal borgo di origine. L’impiego stesso del termine patria era solitamente ricondotto alla patria comunale (o l’antica vicinanza), che rappresentava un punto di riferimento di grande valore nella società del tempo. Oltre che per una questione affettiva, il comune patriziale garantiva i doveri e i diritti politici dell’individuo, regolati sulla base di statuti di origini medievale, ed era il centro della solidarietà economica e sociale della comunità. La comproprietà di terre o il diritto di decisione, inter alia, erano privilegi aviti, di discendenza familiare, oppure ottenuti per mezzo di grandi fatiche.2

Al riferimento comunale, come visto, segue quello alla giurisdizione ecclesiastica, alla pieve o alla diocesi, cioè a «coordinate che dovevano apparire antiche, stabili ed essenziali».3 L’importanza della diocesi sul piano identitario, e quindi congregativo e comunitario, in alcuni casi si misura anche sulle peculiarità linguistiche delle varietà dialettali.4 Ad esempio, Carlo SalvioniSalvioniCarlo, nel suo articolo Lingua e dialetti della Svizzera italiana stabilisce che l’isoglossa del passaggio di ū latina a ü e di l intervocalica a r, che caratterizza le varietà bellinzonesi-lombarde, coincide con il confine diocesano-politico:

Una divisione abbastanza netta la si riscontra pure tra la Mesolcina e il finitimo territorio bellinzonese; e che sia determinata dal confine diocesano-politico, è dimostrato dal fatto che a Lumino, l’ultimo villaggio bellinzonese, geograficamente spettante alla Mesolcina e non diviso da nessun ostacolo naturale dal prossimo villaggio grigione di S. Vittore, – che a Lumino, dico, si abbiano i due nel caso nostro importantissimi fenomeni bellinzonese-lombardi di ü (è veramente a Lumino un ü più aperto, leggermente più vicino a u che non l’ü lombardo) per u lungo latino, e di l intervocalico in r, mentre a S. Vittore si ha u e l.5

In secondo luogo, l’identità culturale e l’appartenenza allo spazio geografico lombardo e italiano era naturale e accettata dalle comunità, nonché condivisa nella percezione maggioritaria al nord delle Alpi. Anche negli anni o nei decenni successivi all’atto di mediazione napoleonico (1803), con il quale è istituito lo Stato del Cantone Ticino, gli abitanti di queste terre si riconoscevano come etnicamente lombardi. La formazione e l’assestamento di un’identità ticinese è stata problematica e ha richiesto molto tempo anche in ragione dei secoli di autonomia comunale che hanno preceduto l’istituzione cantonale; nelle prossime pagine si tornerà anche su questo aspetto.6

Non sorprende dunque che, come osservato, la menzione della sovranità svizzera si manifesti con crescente intensità solo dal secolo XVIII, spesso assumendo le forme di un riferimento politico-amministrativo più che etnico-identitario.

La situazione delle valli italofone del Grigioni è sostanzialmente la stessa. Anche in questo caso la patria comunale rappresenta il principale elemento identitario, seguito con una certa frequenza dal riferimento geografico alla vallata di origine; una caratteristica impiegata, come abbiamo visto, anche nella Lombardia svizzera. E se l’italianità di queste terre è percepita come ambigua, o quantomeno sensibilmente contaminata dall’influenza romancia e tedesca, il riferimento diocesano è infrequente in ragione dell’orientamento confessionale di queste terre. Infine, dagli esempi analizzati sopra, sembra che per i territori italiani del Grigioni l’assetto politico-amministrativo sia più sentito sul piano identitario rispetto a quanto osservato per la Lombardia svizzera. La modalità di annessione e lo statuto paritario di queste comunità nella coalizione delle Tre Leghe avranno avuto un peso certo maggiore a tale proposito rispetto alla sovranità elvetica imposta nella Lombardia svizzera.

Riassumendo, in entrambe le aree il riferimento comunale, o tutt’al più diocesano o geografico, era ben più presente rispetto al livello regionale la cui definizione lessicale si afferma, di fatto, in coincidenza con la maturazione di una coscienza nazionale tipica del secolo XIX. In conclusione, dunque, in epoca ducale e poi nei secoli successivi, era impiegato un sistema etnonimico non diverso da quello in uso nell’Italia geograficamente intesa, e non solo.

Come nei territori della Lombardia svizzera e delle valli italofone del Grigioni, nella penisola italiana in epoca illuminista, con il formarsi di un’ideologia protonazionalista, si attestano le prime resistenze alla segmentazione che sgretolava internamente l’ideale nazione italiana. Ne offre celebre esempio il racconto Della patria degli italiani di Gian Rinaldo CarliCarliGian Rinaldo, pubblicato in forma anonima sul secondo numero del «Caffè» di Pietro VerriVerriPietro nel 1765, nel quale la frammentazione identitaria è finemente criticata:

Guarda egli con un certo insultante sorriso di superiorità l’incognito, indi gli chiede s’egli era forestiere. Questi con un’occhiata da capo a’ piedi, come un baleno, squadra l’interrogante, e con aria, di composta e decente franchezza risponde: No signore. È dunque milanese? riprese quegli. No signore, non sono milanese: soggiunge questi […] Sono Italiano, rispose l’incognito, e un Italiano in Italia non è mai forestiere; come non lo è in Francia un Francese, in Inghilterra un Inglese, un Olandese in Olanda e così discorrendo.7

Una dinamica analoga dovette agire negli stessi anni, o poco più tardi, anche sui territori della Lombardia svizzera e del Grigioni, e sulla loro percezione interna ed esterna. Risale a questo periodo, come noto, una tra le prime attestazioni del sintagma Svizzera italiana («Italienische Schweiz»), impiegato dal pastore zurighese Hans Rudolf SchinzSchinzHans Rudolf (1745-1790) nella sua descrizione dei baliaggi intitolata Beyträge zur nähern Kenntniß des Schweizerlandes, sulla quale si tornerà nel secondo capitolo.8

Di poco precedente, e meno o per nulla conosciuta, è invece la testimonianza in lingua latina della locuzione che si trova in un passaporto redatto per l’architetto luganese Giuseppe QuadriQuadriGiuseppe da un notaio di nome «Ladislaum EgyEgyLadislaum» della città ungherese di Gyöngyös, nella quale abitava il capomastro. In questo salvacondotto, emesso il 23 ottobre 1779 per un viaggio di lavoro in Italia seguito da una visita al borgo natio, il territorio della Lombardia svizzera è definito una repubblica «Helvetico Italica»:

Praesentium ostensor, concivis noster dominus Cristophorus Quadrii, magister murarius et architector, proficiscitur ex oppido nostro privilegiato Gyöngyös, in comitatibus Hevesiensi et exteriori Szolnok, artificialiter unitis, ingremiato, loco videlicet per Dei gratiam sano et salubri, tum consanquineorum visitandi, tum etiam certorum negotiorum suorum pertractandi causa, in regnum Italice, et quidem, per urbes Mediolanum, Como reliquasque iter suum in ipsa republica Helvetico Italica contentas, in urben nomine Lugano, originis quippe suae locum […].9

Seppure lontani in termini identitari, geografici e culturali dalla rispettiva denominazione moderna, che sarà definita e connotata nel suo senso attuale principalmente dall’opera politico-culturale di FransciniFransciniStefano, lo sviluppo di questi sintagmi negli ultimi anni dell’ancien régime è il segnale di una progressiva evoluzione e del riassestamento della gerarchia dei riferimenti identitari nella Lombardia svizzera, conseguente la graduale stabilizzazione dell’amministrazione politica elvetica. Così, l’italianità di queste terre, un elemento fondamentale della denominazione geografica della regione e del carattere etnico delle sue comunità, diventa gradualmente un attributo: sono i primi segnali di un’evoluzione che porterà, nel giro di alcuni decenni, dalla Lombardia svizzera alla Svizzera lombarda, o italiana.

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