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Читать книгу: «Naja tripudians», страница 5

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XVI

Un silenzio esterreffatto seguì questa dichiarazione. Gli occhi di Myosotis, fissi su quel viso barbuto, si allargavano smisuratamente.... Egli vide quelle iridi balenare azzurrissime, poi con un rapido battere delle palpebre, velarsi subitamente di lagrime.

Erano lagrime di bruciante umiliazione. In un lampo tornarono alla mente di Myosotis le lettere ch'ella aveva scritto a quest'uomo, lettere puerili in cui gli aveva svelata tutta se stessa, in cui aveva descritto le sue intime sensazioni, in cui aveva persino descritto il colore dei suoi occhi e dei suoi capelli.... Tutti, tutti i suoi pensieri aveva detto a questo sconosciuto, credendo, di parlare ad un'amica, a una dolce donna dagli occhi profondi, dalla fronte serena sotto i capelli bianchi....

Un immenso rancore, quasi un senso d'odio, la invase; e colui che la guardava vide un pallore latteo salire lentamente a sbiancarle il viso delicato. E vedendola così pallida, colle sue rose in mano, un improvviso rimorso gli strinse il cuore.

Frattanto Miss Jones aveva ritrovato la favella.

– Ma come, – esclamava stupita, – è lei la persona che firma «zia Marianna?» Ma è possibile!… E come fa lei, un uomo, a intendersi di fronzoli e di fiocchi, di regole d'etichetta e di cosmetici?

Egli cessò di guardare Myosotis e si volse con cortesia verso Miss Jones. – Voglia accomodarsi, signora. – E additava una poltrona accanto al suo scrittoio; indi andò a prendere dal vano della finestra una seggiola e l'offerse a Myosotis. – La prego.... segga.

La fanciulla obbedì, come in sogno.

E come in sogno contemplò quell'uomo, alto, largo di spalle, dai folti, capelli ricciuti e un po' grigi, la fronte alta e sbarrata dalle sopracciglia dritte e nere come una spennellata d'inchiostro della china; e sotto a quelle nerissime sopracciglia due occhi chiari, infossati, taglienti....

Myosotis non udì nulla di ciò che Miss Jones gli diceva; la udì che rideva d'un riso un po' stridulo e affettato; finalmente vide che si alzava, che quell'uomo si alzava anch'egli; allora come un'automa ella pure si alzò. L'uomo le si avvicinò e chinando il capo dalla sua grande altezza le parlò.

– Lei deve perdonarmi – disse. – È da vent'anni che faccio la «zia Marianna», e, al principio, rispondendo alle sue lettere non pensavo affatto all'inganno. Poi le sue lettere mi piacquero tanto che.... non volevo che cessassero. Mi comprende? Mi perdona?

Ella non potè alzare gli occhi nè rispondere. Finalmente trovò un filo di voce per dire sommesso, con amaro rimprovero:

– Quella fotografia!…

Egli si avvicinò d'un passo. – È la fotografia di mia madre, – disse.

Un suono, una vibrazione nella sua voce, toccò qualche cosa nel cuore della fanciulla. Con subitaneo impulso ella tese verso lui la mano che teneva le rose.

– Allora… è quella la mia amica! Porti le rose a lei.

Egli accettò il mazzo fragrante, senza rispondere, senza neppur ringraziare.

Miss Jones era già sulla porta e Myosotis la raggiunse.

Le due donne si ritrovarono nell'oscuro corridoio. Passarono davanti al ragazzo che leggeva e che non si mosse.

– Mio Dio! – esclamò Miss Jones appena furono in istrada, – che cosa fantastica! La zia Marianna, un uomo!… Chi mai l'avrebbe pensato! Probabilmente – soggiunse, – sarà molto povero, e non avrà trovato altro da fare.

– Già, – fece Myosotis ad occhi bassi.

E non disse altro.

D'improvviso Miss Jones si fermò.

– Giusto cielo! – esclamò, – abbiamo dimenticato di chiedergli come si deve salutare la dama d'onore della regina d'Olanda!

XVII

«Signorina Myosotis,

«Lei deve perdonarmi. Non pensavo di vederla mai. Già, tra pochi giorni dovevo partire per la Scozia.... e, come ha detto lei, la Scozia è lontana....

«Le sue lettere, fin dalla prima, erano così deliziose! Non potevo non rispondere. E dopo, non ho più trovato il coraggio di disilluderla, nè di allontanare da me il suo affetto così dolce e fidente. E perchè avrei dovuto farlo?

«Non fu che ieri, vedendola impallidire, vedendo i suoi occhi riempirsi di lagrime, che ho capito di aver avuto torto, e mi sono pentito e vergognato come di una mala azione.

«Le ho detto che da vent'anni – cioè, dacchè dovetti lasciare l'accademia di pittura a Parigi per la morte di mio padre – lavoro per questo giornale. Vi compio le mansioni più svariate: sono il critico letterario e teatrale; sono il critico d'arte; e – dal giorno lontano in cui la prima ed autentica zia Marianna scappò col proto e con la cassa della redazione – sono la zia Marianna. Molte volte sono anche «Un fedele lettore», «Un abbonato che protesta», o «Un cittadino sdegnato», spinto a queste svariate attività dal buono ma tirannico direttore del giornale.

«Egli oggi assai si rammarica di veder partire nella mia persona quasi l'intero personale della sua redazione. Anche a me dispiace; ma faccio un passo avanti nel giornalismo: divento redattore-capo della Gazzetta d'Edimburgo.

«Mia madre, che è nativa di quella città, è felice di tornarvi.

«Ecco, signorina Myosotis, tutta la mia semplice biografia.

«Ed ora, se osassi, le chiederei un grande favore. – Oserò, tremando.

«Parto tra otto giorni. Vorrei prima di partire vederla ancora una volta; e vorrei che mi fosse concesso di scorgere per un solo istante la sorellina, la piccola Leslie, dai capelli biondi «come i raggi del sole e della luna misti insieme».... Vorrei portar via con me l'immagine sua accanto a quella di Myosotis....

«Non è la zia Marianna che lo chiede; è il critico d'arte – il pittore mancato – che vorrebbe portarvi via entrambe nella sua memoria come vi ha vedute nei suoi sogni: bionde come il miele, bionde come le primule, aureolate della vostra bianca giovinezza!…

«Il treno che mi porta verso la gelida Scozia passa dalla stazione di Westham – non lontano da Wild-Forest. Se scendessi, fra un treno e l'altro, potrei traversare le brughiere e giungere a Rose Cottage verso il mezzogiorno.

«Me lo permettete?

«Vedrò Leslie; saluterò vostro padre; dirò buon giorno alla vecchia Jessie.... (Come li conosco tutti traverso le vostre lettere!…)

«E dirò addio – addio per sempre! – a Myosotis».

«Laurence Wilmer».

XVIII

Gli andarono incontro, le due sorelle, scendendo per la collina; le pallide luci autunnali avvolgevano il mondo di vaporosa bellezza.

Laurence Wilmer saliva dalla valle immersa nelle nebbie e nel grigiore; le due fanciulle scendevano a capo scoperto, tenendosi per mano, e sorridendogli da lungi. Intorno alle loro teste il sole del meriggio metteva una sfumatura di luce, un pulviscolo d'oro....

Egli le ricordò sempre così.

XIX

Il dottor Harding fece assai buona accoglienza a Laurence Wilmer, e anche la temibile Jessie, messa al corrente di tutto, lo salutò con molti sorrisi.

Il dottore non volle che si parlasse di lasciarlo ripartire quella sera stessa, e gli fu preparata una cameretta gaia e imbiancata alla calce, da cui, per fargli posto, Jessie portò via molte provvigioni di mele, di pere e di cipolle.

La colazione fu assai allegra. La zia Marianna, come le fanciulle continuarono a chiamare il loro ospite, aveva molte cose divertenti da narrare riguardo alle sue molteplici attività giornalistiche. Parlò brevemente della sua giovinezza, dei suoi sogni d'arte troncati dalla morte di suo padre – tragica ed improvvisa morte che lasciava senza risorse la madre delicata e sofferente. Parlò delle sue speranze per l'avvenire.... quell'avvenire di cui, ormai, poteva dirsi sicuro....

Dati questi brevi ragguagli biografici, la zia Marianna non parlò più di sè, ma riuscì a far parlare tutti: la timida Myosotis, il riservato dottore, e Leslie, ridente e ritrosa. Anche la bisbetica Jessie, portando il caffè, si attardò a prender parte alla conversazione generale.

Dopo colazione le fanciulle lo condussero sull'aia a far conoscenza delle otto galline – gonfie e immobili pel freddo – e dei tre conigli bianchi e neri scampati alla truculenza di Whisky e di Soda e alla ferocia culinaria di Jessie....

Quindi gli venne presentato anche un piccolo maiale, convalescente dall'influenza, sdraiato sotto un mucchio di paglia dorata.

– È stato molto male, poverino, – sospirò Leslie colla sua dolce voce di colombella; – bisognava vederlo! Era tutto rosso per la febbre!… allora papà ha ordinato che gli si facessero due tagli nella coda, per cavargli il sangue.

– Sventurato! – disse Wilmer scotendo il capo con gravità.

– Sì, era terribile, – disse Leslie. – Figuratevi che i tagli glieli ha fatti Jessie, colle forbici. E lui gridava tanto che faceva star male tutti. Allora papà ha pregato Myosotis di suonare il pianoforte, perchè non si udissero quegli strilli.

La zia Marianna rise. – E che cosa ha suonato, signorina? – chiese, rivolto a Myosotis.

– L'inno reale, – disse Myosotis, tutta arrossente; e rise anche lei.

– Con molto pedale! – soggiunse Leslie.

Allora tutti risero; e il convalescente grugnì, rallegrato da quel piacevole suono.

In quell'istante passò accanto all'orecchio di Wilmer un insetto, volando con sonoro ronzio.

– Oh, guarda! un «fioralato!» – esclamò Leslie.

– Che cos'è? – domandò Wilmer.

– Ma, veramente, – spiegò Myosotis, – il loro nome giusto non lo sappiamo. Sono delle strane bestiole, che quando sono ferme sembrano dei fiorellini verdi. Perciò le chiamiamo così.

– Pensate, – disse Leslie, congiungendo infantilmente le mani in atto di pietà, – che non possono fare che un volo, uno solo! in tutta la loro vita! Appena hanno volato, muoiono.

– Già. – soggiunse Myosotis, volgendo a Wilmer gli sguardi luminosi: – le abbiamo tanto osservate: stanno dei giorni e dei giorni ferme, o quasi ferme, su un sasso o sul muro, come se pensassero: «Adesso.... dove volerò?», E si muovono appena, adagio, adagio, come piccoli bruchi senz'ali. Poi, d'improvviso si decidono e spiccano un gran volo!… E appena si posano, sono morte.

– Strano destino, – osservò Wilmer.

– Voi, – chiese Leslie, col suo dolce sorriso di bambina, – al loro posto che cosa fareste? Volereste? O stareste fermo per non morire?

Wilmer riflettè un istante.

– Credo che volerei subito, – dichiarò.

– Anche noi! – dissero insieme le due chiare voci giulive....

Oh, dolci, miti discorsi! A Wilmer pareva di tuffare lo spirito in una fresca fonte d'acqua montanina....

Il dottor Harding, da tanti anni esule volontario da ogni consorzio sociale, udendo quelle voci allegre uscì e si accompagnò a loro.

Un po' più tardi le fanciulle rientrarono in casa, chiamate dalla severa Jessie per qualche faccenduola domestica; ma i due uomini rimasero insieme a discorrere su molti e svariati argomenti.

Il dottore condusse Wilmer nel suo laboratorio e, lieto di avere un ascoltatore intelligente, gli espose ampiamente le sue teorie sulla profilassi e la cura della lebbra. L'enciclopedico giornalista che aveva una conoscenza superficiale anche degli argomenti prediletti dallo scienziato, s'interessò vivamente agli studi e alle esperienze di lui.

Con anche maggiore curiosità ascoltò le drammatiche narrazioni che il dottor Harding gli fece riguardo ai temibili serpenti velenosi dei tropici.

– Guardi – diceva il vecchio scienziato, curvo sopra una grande boccia di spirito che una enorme cobra riempiva dei suoi sinuosi avvolgimenti: – è questa la più formidabile e la più funesta delle colubridi; questa, la subdola e silente apportatrice di morte, dal bel nome femmineo: «Naja Tripudians!». Guardi che meravigliosa grazia sinuosa, che forma simmetrica, pura nelle sue curve come la voluta di un violino.... «Naja Tripudians....» – E la voce del dottore si attardò quasi con voluttà sulle sillabe che, nei ricordi, lo riportavano alla sua giovinezza nelle Indie, allorquando, invocato e adorato dagli indigeni come un dio, aveva creduto alla sua missione, aveva sognato di poter alleviare tante sofferenze, aveva sperato di liberare l'umanità da un mostruoso flagello....

– Ah! è questa la famosa Naja egiziana! – esclamò Wilmer chinandosi per meglio osservarla.

– Si, Naja Tripudians, – ripetè il dottore, – quel nome getta il panico nelle popolazioni dei tropici. Ricordo il caso di un negro ch'era stato morsicato da un rettile perfettamente innocuo, ma che, udendo pronunciare da un mio marinaio quel nome, morì quasi istantaneamente di terrore.

Wilmer Laurence, chino accanto al dottore, contemplava il sinistro rettile.

– Il primo effetto del veleno, – continuò Harding, – è uno strano senso di ubbriachezza; la vittima inciampa e traballa come se fosse ebbra. Poi ammutolisce, per paralisi della lingua e della laringe.... Finalmente cessa il respiro. E lo sventurato è morto. È morto; ma il suo cuore, strano a dirsi, batte ancora....

E il dottore prese allora a parlare degli studi e delle ricerche che da trent'anni gli riempivano spiritualmente l'esistenza; e quand'ebbe finito di parlare dei veleni ofidici, tornò ad enumerare i suoi esperimenti sui lebbrosi del Malabar.

D'un tratto si accorse che il suo interlocutore, pensieroso, non gli rispondeva.

– Forse l'annoio con queste disquisizioni, – fece il dottore con un piccolo sospiro. – È naturale che lei non si interessi soverchiamente a questi argomenti.

E si accinse a rimettere a posto ogni cosa per lasciare il laboratorio.

– No – protestò Wilmer, – non è questo. Non è questo che pensavo....

Il dottore chiuse a chiave la porta del laboratorio e si avviò, a fianco del suo ospite, per il viale del giardino, verso la casa. Davanti a loro Whisky e Soda si rincorrevano traverso le sfiorite aiuole stellate soltanto qua e là da margherite invernali, da asteri viola e pallidi crisantemi.

– Che cosa pensava? – chiese finalmente il dottore sostando a guardare i rami brulli e melanconici contro il grigiore del cielo.

– Pensavo, – disse Wilmer volgendo sul volto fine e stanco dello scienziato i suoi occhi vividi, – pensavo che mentre noi cerchiamo i rimedi alla lebbra e ai veleni di vipere in terre lontane, qui, nel nostro paese, qui, nelle nostre città, infierisce un morbo psichico, dilaga una infezione morale che contamina e corrompe tutto ciò che ci sta intorno. Pensavo, mentre lei parlava della Naja egiziana, alle vipere umane che amano mordere nelle carni pure, avvelenare le anime innocenti! Pensavo alle «naie» sociali delle nostre grandi città, di cui è tripudio il contaminare e corrompere ciò che ancora di candido, di sano e di sacro è nel mondo....

Il dottore si era fermato in mezzo al viale e contemplava il compagno cogli occhi ceruli un poco appannati; i suoi capelli bianchi e fini ondeggiavano, mossi dal freddo vento autunnale.

– Noi, – continuò Wilmer, – noi viviamo oggi in mezzo a questa lebbra morale e non ne temiamo il contagio; noi, ad ogni passo, sfioriamo un rettile umano che sprizza il tossico e la morte, e non lo distruggiamo, non gli schiacciamo la testa col piede. No. Passiamo oltre, cercando rimedio a tutti gli altri mali: alle infermità fisiche, alla miseria, alle rivoluzioni sociali, ad ogni guaio fisico e materiale.... Ma alla contaminazione dello spirito, alla cancrena dell'anima che in quest'epoca nefanda ci invade – chi porrà rimedio?… Questo io pensavo, dottore.

Si erano fermati in fondo al viale; il vento dell'est, freddo e rabbioso, faceva turbinare ai loro piedi le foglie morte dei roveri e degli ontani.

Il vecchio dottore ebbe un brivido.

– È triste ciò che voi dite, – mormorò.

Poi, rivolto verso il ponente (e giù, lontano, in fondo alla valle la nebbia si stendeva come una coltre sudicia sulle lontane città):

– Fa freddo, – disse. – Entriamo.

L'indomani all'alba Laurence Wilmer partì. Come egli stesso aveva messo per condizione, nessuno – eccetto la vecchia Jessie, che sempre si alzava all'alba – scese per salutarlo. Quando uscì dall'aia, pronto alla partenza, vide che le finestre della casetta erano ancora tutte chiuse.

Whisky e Soda sbucarono da sotto un gran mucchio di fieno, stirandosi, cogli occhi rossi, gli vennero incontro, scodinzolando, e lo accompagnarono per un tratto di strada, giù per la ripida discesa. Indi sparirono nella brughiera.

Ai suoi piedi il mondo dormiva, avviluppato nella nebbia.

Giunto all'ultima svolta, Wilmer si fermò e si volse indietro a guardare Rose Cottage, addossato alla collina. Il cancello era aperto sul giardino autunnale, coi suoi rosai spogli, i cespugli nudi, gli asteri e i crisantemi.

E Wilmer pensò che in primavera vi sarebbero le rose....

Sorrise a quel pensiero.

Indi si volse e riprese la strada ripida che scendeva nella vallata.

XX

Era la vigilia della partenza per Londra.

La stanza raccolta e famigliare era illuminata dalla blanda luce della lampada e dagli sprazzi vividi del fuoco che ardeva nel caminetto.

Sul tavolo giacevano, negletti, i libri del dottore; i lavori delle fanciulle erano già piegati e riposti in un cassetto per rimanervi fino al giorno del loro ritorno.

Myosotis moveva silenziosa per la stanza aiutando Jessie a preparare il thè; ma Leslie sedeva languida e oziosa accanto al padre e poggiava la testolina lucente al braccio di lui, guardando muta nelle fiamme.

Pensava all'indomani; alle giornate di svago, alle serate di divertimento che l'attendevano nella lieta e immensa capitale; pensava anche al babbo, che sarebbe rimasto qui, solo, per tante lunghe giornate e tante malinconiche sere.... A quel pensiero strinse più forte al braccio paterno la guancia accaldata.

Il babbo non si mosse. Allora Leslie volse il viso e premette sulla manica della vecchia giacca color tabacco un bacio.

– Pensa, papà, – disse piano, – che per Natale saremo di nuovo qui.

– Sì, sì, – confermò Myosotis avvicinandosi anch'essa e cingendo col braccio il collo di suo padre; – per Natale saremo qui. – E si chinò a baciargli i capelli troppo presto imbiancati. – Staremo a Londra tutt'al più quindici giorni.

Il chiarore della lampada illuminava quella testa argentea tra le due testoline dorate; e la vecchia Jessie, nell'ombra, col vassoio da thè tra le mani, le guardò e sentì nel suo rigido petto fondersi di tenerezza il cuore.

– Sicuro! staremo tutt'al più quindici giorni, – fece eco Leslie.

– Sono anche troppi, – brontolò d'improvviso Jessie dal fondo della stanza. E con una nota spezzata nella voce, soggiunse: – La vostra mamma, se fosse qui, non vi lascerebbe andare.

A quella frase tutti e tre trasalirono e volsero alla vecchia i loro visi sbigottiti.

– Perchè dici questo? – chiese il dottor Harding con voce turbata. Il nome della morta era sacro, nè si pronunciava mai che nelle più rare e gravi occasioni.

– E perchè lo dici solo adesso? – soggiunse Myosotis in tono di rimprovero. – Sai bene che non faremmo mai una cosa che la mamma non avrebbe voluto.

– Non so.... mi è venuto in mente così, – mormorò la donna. – Mi pareva di vederla qui....

E tutt'a un tratto Jessie si mise a piangere.

Subito le furono tutt'e tre d'attorno, carezzandola e confortandola; ma ci volle del tempo prima che cessassero i suoi singhiozzi. Finalmente la vecchia si asciugò gli occhi col suo grembiale azzurro, e uscì.

Gli altri si strinsero più vicini l'uno all'altro accanto al fuoco, senza parlare.

XXI

L'indomani la casa fu tutta in trambusto di buon'ora; il dottore, colle fanciulle e Miss Jones, salirono nel calesse ordinato la sera precedente all'alberghetto di Wild-Forest, e Jessie andò a cassetta col vetturino e la cappelliera e la valigia.

Faceva ciò che d'inverno in Inghilterra si chiama «bel tempo»; cioè, non diluviava e non soffiava una bufera; c'era semplicemente una nebbiolina grigia e umida diffusa su tutto, e in un punto del cielo si scorgeva un piccolo cerchio scialbamente rossastro, che, con molto ottimismo e fantasia, si poteva anche chiamare il sole.

Rabbrividendo un poco, la piccola Leslie, sullo scanno mobile accanto a suo padre, gli si strinse vicino e gli prese e tenne stretta la mano. Di fronte a loro sedevano Miss Jones e Myosotis; questa taceva, pallidina, cogli occhi rossi. Ma Miss Jones si diffondeva in un verboso soliloquio che nessuno ascoltava. Rievocava i suoi ricordi di Londra; alternando alla narrazione delle sue passate esperienze molte considerazioni di ordine generale e raccomandazioni svariate alle due fanciulle.

– Meno male che avete fatto fare da Miss Knox quei due vestiti di mussola rigata.... Badate di non metterli che la sera; e non mai sotto ai mantelli quando uscite di casa!.... A proposito – s'interruppe d'un tratto – non so precisamente in quale quartiere di Londra sia la casa di Lady Randolph Grey: non mi avete mai fatto vedere la sua lettera. Starà certamente nel West End; è vero?… In Park Lane, o Pont Street, dove abita tutta l'alta aristocrazia londinese.... potrebbe anche stare nel South Kensington, che è divenuto estremamente fashionable, dacchè la duchessa di Marlborough....

A questo punto Miss Jones si accorse che nessuno l'ascoltava. Ma non per questo si scoraggiò. Diede una scrollatina al braccio della silenziosa Myosotis:

– Sulla sua lettera che indirizzo c'era?

– Sulla lettera di chi? – chiese Myosotis, trasognata.

– Ma sulla lettera di Lady Randolph Grey!

– Non so.... Argyle Square – rispose la fanciulla.

– Argyle Square.... Dev'essere vicino a Bond-Street, se non erro – fece Miss Jones, sopra pensiero. – È nel centro della città; non è proprio nel West End. Mi pare strano.... Tuttavia, potrebbe essere l'indirizzo di un Club aristocratico; ce n'è molti nei dintorni di Bond-Street e di Duke Street....

Ma siccome nessuno la seguiva in queste sue considerazioni, nè pareva soverchiamente interessarsene, finì col tacere anche Miss Jones; e la lunga discesa alla piccola città di Westham fu fatta quasi in silenzio.

Arrivarono alla stazione appena a tempo; il treno era già annunciato. Lasciando Jessie e Miss Jones a guardia delle valigie, il dottore prese a braccetto una di qua, una di là, le sue due figliole e camminarono in su e in giù per la piattaforma.

Non si parlarono. Pareva non avessero nulla a dirsi nel momento di questa loro prima separazione.

– .... E non mi prendete freddo, – disse il padre alla fine, come se tutti gli altri suoi pensieri li avesse già detti ad alta voce.

Entrambe le tepide e fragili braccia strinsero il suo braccio, ed ambo le giovanili voci dissero:

– Stai tranquillo!

Ma ecco arrivare il treno; e ritornarono correndo presso Miss Jones e Jessie che già da un pezzo, brandendo valigia e cappelliera, li chiamavano con gesti agitati.

Allora, con un rapido bacio alle due donne e un lungo bacio al padre, le due sorelle salirono nel vagone; indi si affacciarono subito al finestrino.

– Mi raccomando, – ansò Miss Jones, levando verso di loro il viso magro e nervoso, – in società non siate nè timide nè stupidelle; spero, in qualità di vostra maestra, che non mi farete sfigurare!

Jessie si avvicinò cogli occhi rossi.

– Mangiate tutto ciò che vi ho messo nel cestino, – disse, tendendo la mano ossuta, che le fanciulle strinsero sporgendosi dal finestrino. E soggiunse con voce un po' tremante: – E dite ogni sera le vostre preghiere.

Il padre non disse nulla. Teneva fissi gli occhi su loro; e quando il treno si mise in moto anch'esse lo guardarono fisso e a lungo… finchè non lo videro più.

Poi sedettero al loro posto e per un pezzo non parlarono.

Ma a poco a poco, come il treno si affrettava pulsando e palpitando, anche nei loro giovani cuori tornò, con affrettato palpito, la gioia.

Возрастное ограничение:
12+
Дата выхода на Литрес:
30 июня 2018
Объем:
130 стр. 1 иллюстрация
Правообладатель:
Public Domain

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