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Читать книгу: «Naja tripudians», страница 4

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XIII

La Villa delle Acacie si chiuse quasi improvvisamente pochi giorni dopo – era la fine di settembre – e la bella e benefica dama sparì da Wild-Forest, lasciando dietro a sè una scia di rimpianto in chi l'aveva conosciuta, e di rancori in chi non l'aveva potuta avvicinare. Si seppe che era andata in Iscozia per la stagione delle caccie.

Prima di partire aveva chiesto al dottor Harding se le sue figliole, o almeno una di esse – forse la piccola Leslie? – avrebbe potuto essere della partita. Ma questa proposta aveva gettato un tale panico nel tranquillo ambiente di Rose Cottage, che Lady Randolph aveva trovato prudente non insistere.

Ella si limitò allora a rammentare al dottore la promessa più d'una volta ripetuta, che, al di lei ritorno a Londra in dicembre, egli le avrebbe concesso di avere ospiti in casa sua le due care fanciulle.

– Me le confiderà per qualche settimana; meglio ancora per qualche mese, – aveva detto, col suo scintillante sorriso, la gentildonna, – Impareranno a conoscere un poco il mondo, la vita.... Passeranno dei giorni lieti....

Se il pensiero di un'immediata separazione e, più ancora, della partenza d'una di loro aveva spaventato le due sorelle, altrettanto le deliziò l'idea della progettata visita a Londra, ancora abbastanza remota per non essere temibile. C'era tutto il tempo per pensarci, per parlarne, per preparare l'anima e il vestiario all'importante avvenimento.

Fu quest'ultimo il problema più arduo: poichè, se Myosotis trovava che i loro abiti dell'anno precedente e la biancheria che possedevano poteva perfettamente bastare, la vecchia Jessie asseriva sdegnata che ci voleva tutto un corredo nuovo.

– Guardale se è mai possibile, – esclamava, ciondolando sdegnosamente davanti ai loro ceruli occhi un po' trasognati, delle informi calze nere assai rattoppate e degli altri indumenti di forma imprecisata, da cui pendevano molte fettuccie: – guardate se è possibile andare a stare in un palazzo come sarà quello, infagottate di simili orrori!

Nessuno osò discutere davanti a quegli oggetti penzolanti come corpi rei e giustiziati.

– Poi – continuò con severità Jessie, che era in arretrato di vent'anni sulla moda attuale – avete qui dei copribusti, – e sollevava per la manica disadorna uno degli indumenti in questione. – A che serve il copribusto se il busto non l'avete? Bisogna averlo.

Myosotis protestò. Non poteva portare il busto; le faceva male. E quanto a Leslie, inutile pensarci.

– Già – fece Jessie, con disapprovazione, – grasse non siete. – E percorse con occhio severo le due esili figurette. – Ma il busto si deve portare lo stesso. E a Londra, – concluse, – senza un corredo decente, finchè sono viva io, non andrete.

Myosotis e Leslie furono esterrefatte a tale annuncio; allora fu chiamato il dottor Harding a dare il suo giudizio.

Egli si trovò assai perplesso davanti alla fila di indumenti femminili ordinatamente stesi sui due letti in attesa del suo verdetto; e, a vero dire, le sue osservazioni non servirono affatto a schiarire la situazione.

– Potreste domandar consiglio a Mrs Russel o alla maestra, – disse egli infine, dopo essersi schermito alla meglio da un fuoco di fila di domande sulla maggiore o minore convenienza di portar giacca e sottana piuttosto che costumi «princesse» e se a passeggio era meglio portare le scarpe alte coi tacchi bassi o le scarpe basse coi tacchi alti.

– Sì, sì, domanderemo a Miss Jones, – dissero le fanciulle, riconfortate.

E Miss Jones fu pregata di venire a dare il suo autorevole parere su ciò che a Londra si poteva e non si poteva portare.

Miss Jones fu da prima un poco acidula e sprezzante, non essendo ella stata invitata al concerto di Lady Randolph. Ma poscia, più che il rancore potè il piacere di occuparsi di fronzoli, e Miss Jones s'interessò, si appassionò, consigliò, ordinò, vietò, e finì col passare tutte le ore che la scuola le lasciava libere, a Rose Cottage preparando le due fanciulle, materialmente e spiritualmente, alla loro gita a Londra.

– Dunque, – sentenziava lei, – appena arriverete.... – Ma, secondo una sua abitudine s'interrompeva tosto con un nuovo ammonimento. – Farete in modo di arrivare nel pomeriggio, dopo l'ora del thè, per non aver l'aria di venir subito a mangiare....

– Ma.... questo dipende dal treno, – osservò Myosotis.

– Non importa il treno. Se arrivate troppo presto a Liverpool-Street, rimarrete ad aspettare alla stazione, quindi prenderete una carrozza e giungerete in quella casa a un'ora corretta e conveniente. A proposito – e Miss Jones aprì un'altra parentesi – badate di pagare lautamente, anche eccessivamente, il cocchiere, perchè non vi faccia una scena disaggradevole davanti alla porta. Io conosco i cocchieri di Londra, e....

Myosotis la ricondusse in carreggiata.

– E allora? Quando saremo arrivate?…

– Entrerete in casa con tranquilla compostezza, vi toglierete i mantelli nell'anticamera, e poi, nè troppo timide, nè troppo audaci, entrerete nel salotto, dove....

– E il cappello? – interruppe Myosotis, – lo teniamo in testa? O lo togliamo anche quello in anticamera?

– E i guanti? – chiese Leslie.

– I guanti si debbono sempre tenere, – sentenziò Miss Jones. – Quanto al cappello.... Oh, a proposito badate che a colazione si deve sempre avere il cappello in testa.

– E perchè? – chiese Leslie.

– Perchè è così, – disse con grande sicurezza Miss Jones. – Una mia amica, Flora Bates, è stata invitata a colazione dalla contessa di Marlbury, e tutte le signore, compresa la padrona di casa, portavano il cappello. Anzi, lei fu molto mortificata perchè, visto il cattivo tempo, s'era messa in testa una vecchia toque di sua zia che....

Myosotis e Leslie si scambiarono un'occhiata di disperazione.

– Ma volete dire che quando si è in casa e che la colazione è annunciata, si va disopra a mettersi il cappello?

Miss Jones diede una risposta evasiva, basata sulle dolorose esperienze di Flora Bates.

Myosotis che cominciava a sentire un po' di nervosismo riguardo alla progettata visita, chiese: – Dobbiamo essere noi le prime a parlare, o aspettare che ci parlino gli altri?

– E a tavola – interruppe Leslie – si deve mangiare finchè si ha appetito? o un po' meno?

– È più moderno mangiar molto che poco, – dichiarò Miss Jones. – Dimostra salute e disinvoltura. Mentre all'epoca della regina Vittoria....

– Oh, non importa la regina Vittoria, – esclamò con lieve impazienza Myosotis; – proseguiamo con ciò che vi è di più importante.

Ma più proseguivano e più si trovavano davanti a problemi, di maggiore o di minore importanza, che nè loro nè Miss Jones erano in grado di sciogliere. Per esempio: parlando con persone titolate (certo se ne incontrerebbero molte in quella casa!) si doveva dire «Sì, contessa» «sì, signora contessa?», o semplicemente: «Sissignore» e «nossignore»?… E parlando con qualcuno che aveva il titolo di «Sir» si diceva: «Sir Ottavio Tottenham»? «Sir Tottenham»? o «Sir Ottavio»?

Erano problemi senza scioglimento.

Allora Miss Jones ebbe una felice idea.

– Bisognerebbe domandare tutto questo alla Zia Marianna, – disse.

– Chi è la zia Marianna? – chiese, un poco scettica, Myosotis.

– È quella che scrive la rubrica dei consigli mondani nel giornale settimanale di Leeds: «Il Mondo e il Focolare». Dà consigli su tutto ciò che riguarda la vita di società. Consiglia sul modo di pettinarsi e di vestirsi; dice quali cosmetici bisogna usare per la carnagione e i migliori rimedi per la caduta dei capelli....

– Ma a noi non cadono i capelli, – disse con impazienza Myosotis.

– Insegna come si deve entrare in una sala, – continuò imperterrita Miss Jones, – e il modo corretto di salutare....

– Va bene, va bene, – esclamò Leslie, per tagliar corto. – Scrivete alla zia Marianna!

– Ma, a dir vero, – disse Miss Jones un poco esitante, – sarebbe meglio che le scriveste voi. Io le ho già chiesto tante cose, che alle mie ultime tre lettere non ha risposto.

Allora le sorelle passarono una serata di delizie componendo la lettera per la zia Marianna. Le narrarono brevemente e semplicemente il caso loro e le posarono tre o quattro soltanto delle mille domande che avrebbero voluto farle. Myosotis firmò la lettera, accluse un francobollo per la risposta e – dietro suggerimento di Miss Jones – vi mise anche un vaglia postale di due scellini.

E attesero la risposta.

XIV

«Signorina Myosotis,

«Arrivando non vi toglierete niente in anticamera. Vi sarà indicata la vostra camera da letto ed ivi farete la vostra toilette con tutta calma.

(Memento: In società non bisogna mai aver fretta).

«A pranzo porterete sempre il decolleté. Vostra sorella, se non ha che quindici anni, vestirà di bianco, accollato.

«Le signore sono sempre le prime a salutare un uomo; ciò che permette loro di non salutarlo se non ne hanno voglia.

«Il cappello non lo metterete al lunch, quando siete in casa, a meno che portiate la parrucca; ciò che dal tenore della vostra lettera non appare probabile.

La zia Marianna».

«P. S. – Se avete gli occhi celesti, come arguisco dal vostro nome, portate di preferenza il bleu Nattier, o ancora meglio il bleu Saxe».

* * *

Myosotis rispose a volta di corriere per ringraziare la gentile consigliera; e soggiunse:

«Ho potuto sapere che cos'è il bleu Saxe. È precisamente il colore degli occhi di Leslie. Forse anche dei miei....».

Indi, come casualmente, introdusse nella lettera qualche altra interrogazione.

* * *

La zia Marianna attese cinque giorni e poi rispose a tutte le domande.

* * *

E Myosotis le riscrisse:

«Poichè siete tanto buona, potreste forse suggerirmi anche qualche argomento di conversazione? So che in società si parla di teatri, di libri e della gente che si conosce; ma noi non conosciamo nessuno, non siamo mai state a teatro e non abbiamo letto che tre libri: «Jane Eyre»; le poesie di Mrs Hemans, e «Le Vipere dell'India e il loro Veleno».

«Miss Jones, la nostra maestra, dice che nessuno di questi argomenti è adatto alla conversazione mondana, e temo che in società ci troveranno molto sciocche e noiose. Pazienza Leslie, che è tanto bella che basta guardarla per essere felici! E poi non ha che quindici anni.... Ma io, che ne ho quasi diciannove!…

«Siamo tutt'e due così timide e silenziose che Miss Jones ci chiama «zucche villereccie»; d'altra parte una volta che per ubbidire a lei, a un thè dal Pastore, abbiamo voluto fare un poco le vivaci, papà ci ha detto che parevamo delle farfalle di legno.

«Secondo voi, zia Marianna, è meglio essere zucche villereccie o farfalle di legno?».

* * *

La zia Marianna rispose:

«Le persone che vi invitano avranno qualche ragione per invitarvi o non vi inviterebbero. Forse la vostra ignoranza è piacevole. O forse siete bella quanto Leslie? Potete dirlo alla vostra

vecchia zia Marianna».

«(Per la carnagione usate cipria Rachel e crema Freya)».

* * *

«O cara zia Marianna! Dunque siete «vecchia»?… Non lo credevo.

«È strano, sapendovi vecchia, mi pare di amarvi di più. Ed ho anche più fiducia in ciò che mi dite. Se sapeste quanto mi piace scrivervi e ricevere le vostre lettere! Non abbiamo nessuno che ci scriva; e la sera, quando mio padre sonnecchia sulle sue riviste di medicina tropicale, e Leslie china la testa, bionda come il miele, sul suo lavoro, io vi scrivo e sono felice.

«Bella io? come Leslie? Ma nessuno al mondo è bello come Leslie. Talvolta a guardarla la trovo così bella, così bella, che a me viene da piangere senza sapere perchè.

«E poi, è così soave!… E ancora così bambina che, la sera, non si addormenta se io non le seggo vicino e le tengo la mano. E vuole sapere che anche papà è nella stanza vicina.

«Capirete, è venuta al mondo quando la mamma è morta; e noi le diamo tutti i vizi....

«Ma se comincio a parlarvi di lei, non smetto più.

«La cipria Rachel non la posso adoperare; ho la pelle tanto chiara che quella polveretta gialla non mi sta affatto bene. L'altro giorno quando l'ho provata, tutti hanno riso: e abbiamo finito col metterla a papà e alla nostra vecchia cuoca Jessie.

«Quanto alla crema Freya, per disgrazia l'ha trovata il nostro cane, Soda. E l'ha mangiata. (Se ne è anche pentito.... in salotto.... mezz'ora dopo)....

Vostra Myosotis».

«P. S. – Oh Dio! In tutte queste lettere ho sempre dimenticato di accludere i francobolli.

«E voi mi avete scritto lo stesso! Quanto siete buona!…

«Sarei molto felice di avere una vostra fotografia».

* * *

«Grazie, grazie! Che cara fotografia! Siete proprio come io vi pensavo. Che bei capelli bianchi, che bella fronte aperta, e che cari dolci occhi!… Vi guardo, e vi amo molto.

«Mi pare strano, guardandovi, che voi vi occupiate dei vestiti e delle maniere di gente che non conoscete, e di creme e di cosmetici. Mi sembrate lontana e al disopra di tutte quelle cose un po' vane.

«Se un giorno papà dovrà andare a Leeds andrò con lui e vi verrò a trovare. Me lo permettete, zia Marianna? Entrerò nel vostro piccolo ufficio che mi descrivete così buio e triste colla finestra che guarda sulla muraglia alta e nera, e col rumore costante della rotativa che vi assorda e stordisce....

«Metterò, per venirvi a trovare, tutto ciò che mi avete consigliato voi: la veste grigio-argento, e la sciarpa «bleu Nattier».

«E con voi non sarò nè «zucca villereccia» nè «farfalla di legno»; ma così quale sono – la vostra Myosotis, che senza conoscervi vi ama.

«Se permettete vi mando un bacio».

* * *

«Grazie, zia Marianna, del bacio che mi rendete.

«Capisco perfettamente ciò che voi mi dite riguardo alla necessità di guadagnarvi la vita; e non è un male che lo facciate dando i migliori consigli che potete, e aiutando tante povere piccole anime frivole che vi chiedono consiglio.

«A me certo avete fatto un gran bene. Mi pare di potervi dire e chiedere tutto. E la visita a Londra, che mi faceva tanta paura, adesso me ne fa assai meno.

«Vorrei seguire in tutto i vostri consigli, ma non posso pettinarmi come dite voi, a sbuffi e a polpette; ho i capelli troppo lunghi. Faccio due grosse treccie, e quando esco o quando viene qualcuno me li avvolgo intorno alla testa. No; non me li arriccio col ferro; si arricciano da sè. Quando li sciolgo, mi ondeggiano tutt'intorno come incandescenti, perchè sono quasi rossi. Non come quelli di Leslie che hanno un colore.... un colore che non vi so descrivere!… come raggi di sole e di luna misti insieme. È bionda, Leslie, come il sole quando filtra traverso un bosco d'abeti; è bionda come le primule, bionda d'un biondo tenue che manda chiarore....

«Per oggi vi lascio. Papà mi chiama per aiutarlo nel suo laboratorio. Mi fanno tanta tristezza i suoi poveri porcellini d'India!… Ma se salveranno la vita a quei poveri indigeni laggiù, nei terribili tropici, non bisogna rammaricarsene. Papà dice che è forse una di queste bestiole che porterà la luce e salverà migliaia di vite umane.

«Se penso a ciò, quasi quasi avrei il coraggio anch'io di farmi inchiodare su quel terribile asse dove ho veduto spasimare tante piccole creature....».

* * *

«Cara zia Marianna,

«Leslie ha un po' di febbre; e noi siamo inquieti e angosciati.

«Ho passato tutta la giornata seduta accanto al suo letto nella penombra della camera silenziosa, guardando quella testolina bionda sul guanciale; finchè papà mi ha ordinato di andar fuori un poco.

«Per obbedirgli sono uscita nel pallido sole autunnale.

«Come è triste il mondo quando si esce dalla camera d'un malato! Come tutto sembra inutile e desolato e desolante!

«L'aria era dolce e tiepida quasi fosse di Aprile.... ma io provavo un senso di spavento e di solitudine, come se il buon Dio fosse lontano, e il cielo vuoto.

«Come mai, come mai quando tutti quelli che amiamo stanno bene, non siamo più felici? molto più felici?…»

* * *

«Non posso scrivervi oggi.

«Oh, zia Marianna, pregate per noi!»

* * *

«No; non sta meglio ancora. Ha la febbre sempre alta.

«Papà sembra pazzo; è invecchiato di dieci anni. Pregate, pregate, zia Marianna!… Andate in una chiesa in cui non siete mai stata (vi sarà pure a Leeds una chiesa che non conoscete?) ed entrando, pregate subito per Leslie.

«Dicono che la prima preghiera che si fa in una chiesa in cui si entra per la prima volta, è sempre esaudita.

«Vi bacio le mani, le mani congiunte nella preghiera per la piccola Leslie....»

* * *

«Grazie! grazie! grazie!… Leslie sta meglio.

«Chissà, chissà che non siate stata voi, zia Marianna, che colle vostre preghiere avete salvato la vita a Leslie?… E anche a papà – perchè se le accadeva qualche cosa, egli certo moriva! E anche a me, poichè senza di loro due io non vorrei nè potrei esistere.

«Sapete che cos'è Leslie per noi? È tutta la nostra vita. Noi tre esistiamo – papà, Jessie ed io – per la piccola Leslie soltanto. Quando parliamo di lei non diciamo neppure il suo nome. Diciamo: «Dov'è?… Cosa fa?…» È sottinteso che si parla sempre di lei.

«Ella cresce e fiorisce così pura, così radiosa e traslucente, così lattea e luminosa, da parer quasi evanescente.... E noi pensiamo: Non è possibile che sia nostra, proprio nostra, una creatura così eterea, così vaporosa!… E non si osa mai dirle il bene che le si vuole. Non so perchè.... come per una specie di timidezza.

«D'altronde, come dirglielo? Come andare da lei a dirle: – Leslie! Io ti amo tanto che vorrei morire per te? – Che impressione le farebbe? Rimarrebbe spaurita, sbigottita.... non comprenderebbe....

«Già, queste cose non si dicono mai alla gente colla quale si vive. Una specie di pudore vi trattiene, vi disperde sulle labbra le parole troppo dolci, le espressioni troppo appassionate.... E così si vive insieme, e l'uno non sa che cosa l'altro abbia nel cuore.

«La piccola Leslie non saprà mai che noi tre – noi tre così diversi: il papà, la vecchia Jessie ed io – l'abbiamo amata con questo indicibile, questo struggente e doloroso amore.

«Io penso che un giorno, quando saremo più vecchie, troverò il coraggio di dirglielo; ma so che mai, mai, troverò le parole che glielo potranno esprimere, che le potranno far comprendere quest'atmosfera di tremante, trepida adorazione che ha circondato la sua puerizia.

«.... Zia Marianna, essa è qui, accanto a me, mentre vi scrivo queste cose. È sdraiata nella poltroncina a dondolo, cogli occhi chiusi; è ancora debole dalla recente malattia; sulle sue guancie pallide come un petalo d'eglantina le sue ciglie lunghe e bionde mettono una lieve ombra semilunare, e una delle sue mani – così piccoletta e infantile! – pende dal bracciolo, a pochi centimetri da me.

«Che voglia ho io di chinare la faccia e di baciargliela, quella piccola mano inerte! Potrei farlo; ne ho il diritto; è la mia sorellina.... che ci sarebbe di strano? Ma non oso; no; sono timida davanti a quel visetto soave, a quei chiusi occhi.... E il bacio ch'è già suo, non glielo dò.

«Dove vanno, zia Marianna, i baci non dati? I baci creati nel pensiero, fioriti sulle labbra e non giunti al loro destino?…

«Dove vanno, zia Marianna, i baci non dati?»

* * *

«Ma come? Voi partite? Quanto me ne addoloro.

«E credete che in quella fredda e nordica Edimburgo starete meglio di qui? La Scozia è lontana; e ci piove ancora più spesso che a Leeds.

«E alla vostra età un viaggio così lungo non vi fa paura? Chi vi accompagna? Chi ha cura di voi? E il vostro giornale come farà senza la vostra rubrica così interessante?

«Io mi sentirò sola e sperduta, sapendovi lontana. Mi era dolce sapervi a Leeds, non tanto lontana da noi; pensarvi, coi vostri bei capelli bianchi divisi sulla fronte calma, seduta nel vostro piccolo ufficio nero e malinconico, a scrivere di profumi, di fronzoli e di frivolezze che, in fondo, io credo siano lontane da voi e dal vostro pensiero....

«È strano che abbiate permesso a me, piccola sconosciuta, di diventare la vostra amica.

«Zia Marianna, cara zia Marianna, mi addolora la vostra partenza.»

XV

Negli ultimi giorni di novembre arrivò l'invito da Londra. Era scritto su carta molto grande, color viola pallido, e fortemente profumata. Anche la calligrafia era assai grande, perpendicolare, con molti ghirigori e svolazzi.

Lady Randolph Grey invitava formalmente le signorine Harding a passare a Londra qualche settimana in casa sua. Erano attese per i primi giorni di dicembre; vi sarebbe qualcuno alla stazione di Liverpool-Street a riceverle. Mandava i suoi più distinti saluti all'esimio scienziato, professor Harding, e si protestava la loro affettuosa e sincera amica. Miranda Randolph Grey.

Seguiva un P. S. – «Sarà mia ospite in quei giorni anche la dama d'onore della Regina d'Olanda. Senza dubbio le signorine Harding saranno liete di fare la conoscenza di quella illustre gentildonna e delle sue due graziosissime figlie».

La dama d'onore della Regina d'Olanda! L'agitazione a Rose Cottage crebbe fino al parossismo. Anche il dottor Harding ne fu blandamente commosso. Il dolore amarissimo di separarsi anche per breve tempo dalle sue figliole fu un poco lenito dal pensiero delle conoscenze illustri che le sue piccole dilette farebbero nella casa patrizia della bella dama, la cui affabilità non gli era mai uscita dalla memoria.

La dama d'onore della Regina di Olanda!… Myosotis corse colla lettera da Miss Jones.

Miss Jones ne fu assai impressionata.

– In tal caso, – dichiarò, – vi dovrete far fare dei vestiti nuovi da Miss Knox.

– Già, già! – esclamarono le fanciulle.

– Ed è impossibile che arriviate a Londra coi vostri cappelli dell'inverno scorso.

– Impossibile! – fecero in coro le due.

– Bisognerà comperare qualche cosa di moderno ed elegante. Una piccola toque da viaggio con bordo di pelliccia per Myosotis; un cappellino con ghirlanda di rose per Leslie.

Le fanciulle furono perfettamente d'accordo; ma dove trovare quelle eleganti creazioni? I copricapi esposti nella vetrina dell'unica modista di Wild-Forest non erano soverchiamente pittoreschi.

Non c'era che un partito da prendere: andare a Leeds, dove secondo Miss Jones i negozi potevano stare a pari con quelli di Londra.

Dopo molte discussioni e riflessioni e indecisioni fu stabilito che Myosotis andrebbe a Leeds il lunedì seguente; e Miss Jones, da buona amica, consentì ad accompagnarla.

Passarono l'indomani, che era domenica, a fare delle lunghe liste di ciò che dovevano comperare, e il lunedì mattina prestissimo partirono.... dimenticando a casa le liste.

Durante tutto il viaggio Miss Jones si alambiccò il cervello per rifarle, guardando dal finestrino con occhi distratti e la punta della matita in bocca; mentre Myosotis fantasticava intorno a un suo progetto da tanti giorni silenziosamente vagheggiato: – una visita alla zia Marianna!

Arrivate a Leeds fecero le loro compere, dimenticando sempre qualche cosa; ciò che – con grande mortificazione di Myosotis – le obbligava a ritornare due o tre volte nello stesso negozio per comperare altri oggetti o cercare involti e pacchi scordati sulle sedie e sul banco.

– È strano, – disse Miss Jones, ferma sotto un portone, contando per la decima volta i pacchi, – prima ce ne mancavano tre; adesso ne abbiamo due di troppo.

Dopo molti calcoli e riflessioni e un gran tastare e pigiare e riaprire di pacchi, si trovò che difatti, dal banco del «World's Emporium» ne avevano portati via due che probabilmente appartenevano ad una signora che stava facendo delle compere accanto a loro.

Bisognò tornare indietro ancora una volta a quel negozio e riportarli con molte scuse e spiegazioni.

Esauste e snervate entrarono per far colazione in un democratico e affollato ristorante chiamato «A. B. C.», dove delle imperiose damigelle, con pettinature piramidali sormontate da piccolissime cuffie inamidate, passavano avanti e indietro con piatti e vassoi. Sedettero in un angolo, ma le signorine continuarono a passare, davanti al loro tavolo senza degnarsi di guardarle nè di ascoltare i loro timidi appelli. Dopo circa mezz'ora una di esse, che pareva la regina di Saba, si fermò al loro tavolo, porse un elaborato menù e attese con sprezzante inarcar di sopracciglia e impaziente battito della punta d'un piede, la loro ordinazione. Questo le confuse a tal punto che finirono coll'ordinare in gran fretta dei cibi che detestavano; e Miss Jones rese vieppiù cupo ed affliggente il pasto con dettagliate e lugubri previsioni riguardanti il suo stomaco e la sua digestione.

Finito il lunch Miss Jones si accinse a raccogliere gli involti.

– Sarà ora di andare alla stazione, – disse. Ma Myosotis la trattenne. – No; lascieremo qui in consegna i pacchi. Abbiamo ancora una cosa da fare.

– Che cosa? – fece Miss Jones, ancora acidetta, ma alquanto placata da due tazze di thè e vari plumcakes.

– Adesso andiamo a fare una visita.

– Una visita? – esclamò Miss Jones. – Ma non conosciamo anima viva a Leeds!

– Si, sì, ne conosciamo una, – rise Myosotis, deliziosa sotto alla nuova «toque» con una ghirlandetta dei suoi fiori omonimi intorno al bordo, e con una cravatta «bleu Nattier» legata a fiocco sotto il largo colletto aperto. – Adesso andiamo a trovare.... la zia Marianna!

Miss Jones fece molte proteste ed obbiezioni. – Non le siamo state presentate.... non si può andare senza un permesso speciale in una redazione di giornale....

Ma Myosotis non si lasciò stornare dal suo proposito.

– È assolutamente indispensabile che io le domandi in che modo si deve salutare la dama d'onore di una regina. Vi saranno pure delle regole d'etichetta speciale!

Questo argomento convinse anche Miss Jones; e dopo aver consegnato, con raccomandazioni e mancia, i pacchi alla Regina di Saba, si informarono dell'indirizzo degli uffici del «Mondo e Focolare». Indi s'avviarono per le affollate vie di Leeds verso un alto e nero fabbricato torreggiante in fondo alla High Street.

– Non sappiamo neanche il vero nome di questa «zia Marianna», – brontolò Miss Jones. – E poi, andando così a domandar consiglio, certo bisognerà pagarla!

– Non credo, – fece Myosotis con un sorriso, pensando alla corrispondenza intima e tenera, scambiata tra lei e la buona amica sconosciuta.

Passando davanti ad un negozio di fiori Myosotis volle entrarvi; e ne uscì portando in mano un gran mazzo fragrante di delicate rose thee.

– Certo le farà piacere, – disse, volgendo a Miss Jones sopra le rose la dolce faccia ridente. – Forse, poverina, poichè è vecchia, nessuno pensa a regalarle dei fiori.

– Come fai a sapere che è vecchia? – chiese Miss Jones, con asprezza.

Ma Myosotis non rispose.

Arrivarono davanti al portone del giornale e, un pochino timide, entrarono nel cortile dove un autocarro stazionava, carico di enormi rotoli di carta. La macchina rotativa della stamperia faceva udire il suo rullo continuo ed assordante.

Spinsero una porta di vetro ed entrarono in un atrio. Miss Jones, affacciandosi a un finestrino dietro al quale lavoravano molte signorine, chiese:

– Si potrebbe parlare colla zia Marianna?

La signorina più vicina al finestrino rispose senza alzare gli occhi: – Redazione. Primo piano.

Salirono le scale oscure e strette e si trovarono davanti a un'altra porta di vetro: «Direzione e Redazione».

Seduto nell'anticamera un ragazzo con un berretto in testa portante la scritta: «Mondo e Focolare», stava leggendo un giornale illustrato e fumando un mozzicone di sigaretta. Anche lui, come la signorina, non alzò la testa al loro entrare.

Miss Jones ripetè la sua domanda:

– Si potrebbe parlare colla zia Marianna?

Soltanto allora il ragazzo – il tipico «messenger-boy» inglese – alzò la faccia pallida, sporca, e impertinente, e squadrò le visitatrici.

– Cosa volete? – chiese lui, senza togliersi di testa il berretto nè di bocca il mozzicone. – Non si lascia passar nessuno senza sapere che cosa vogliono.

Myosotis e Miss Jones si scambiarono uno sguardo. Impossibile dire a questo antipatico ragazzo: – Vogliamo sapere il modo corretto di salutare la dama d'onore della regina di Olanda.

Il ragazzo stette un poco a guardarle, poi guardò le rose in mano a Myosotis; indi, facendo a questa una smorfia che somigliava a una strizzatina d'occhio, disse:

– Potete scrivere qui i vostri nomi.... – E spinse verso di loro un foglietto di carta bianca non troppo pulita.

– Metterò io il mio nome, – disse la fanciulla. E china sul tavolo scrisse sul foglietto: – Myosotis. —

Indi, porgendolo al ragazzo, soggiunse:

– Dite alla signora che non la tratterremo che pochi istanti.

Stavolta non c'era da sbagliarsi; il ragazzo, con aria di burla, chiuse un occhio, poi gonfiò le guancie come se volesse scoppiare dalle risa.

– Lo dirò.... alla signora! – disse. E se ne andò sventolando il foglietto.

Rimase assente qualche minuto. Poi riapparve.

– Passate pure, – disse, e ancora facendo le viste di torcersi in silenziosa ilarità, riprese il suo posto e il suo giornale.

– Odiosa persona, – mormorò Miss Jones avviandosi per l'oscuro corridoio.

– Porta 7, – le gridò dietro il ragazzo.

Alla porta 7 Miss Jones bussò con molta decisione e risolutezza, poi entrò senza aspettare risposta.

Myosotis, timida, colle sue rose in mano, s'era fermata un poco indietro; ma d'un tratto pensò:

– La zia Marianna crederà che Miss Jones sia io! – Allora si avanzò rapida. Ed anche lei entrò dietro alla maestra.

Si trovò in un piccolo ufficio buio, colla finestra che dava su un muro annerito dal fumo e dagli anni. Ed ivi, davanti a una grande tavola ingombra di carte, sedeva un uomo.

Era un uomo sulla quarantina, largo di spalle, con una gran barba bruna. Egli teneva in mano il foglietto scritto da Myosotis, e contemplava Miss Jones con evidente stupefazione. Quella, traverso i suoi occhiali, lo contemplava con non minore sorpresa.

Dopo un momento di incertezza Miss Jones ripetè per la terza volta la sua domanda:

– Posso parlare colla zia Marianna?

Ora gli occhi di lui avevano oltrepassato Miss Jones, e si fermarono sulla figuretta nel vano della porta col suo mazzo di rose in mano. Un riso gli balenò negli occhi, e, alzandosi lentamente dal suo posto, disse:

– La zia Marianna sono io.

Возрастное ограничение:
12+
Дата выхода на Литрес:
30 июня 2018
Объем:
130 стр. 1 иллюстрация
Правообладатель:
Public Domain

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