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Читать книгу: «I misteri del castello d'Udolfo, vol. 3», страница 8

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CAPITOLO XXXIV

Passarono alcuni giorni nell'incertezza. Lodovico aveva potuto sapere solamente che c'era un prigioniero nel luogo indicato da Emilia, un Francese, stato preso in una scaramuccia. Nell'intervallo, Emilia sfuggì alle persecuzioni di Verrezzi e Bertolini, confinandosi nella sua camera. Talvolta passeggiava la sera nel corridoio. Montoni pareva rispettar l'ultima sua promessa, sebbene avesse violata la prima; ed ella non poteva attribuire il suo riposo che al favore della di lui protezione. Erane allora così persuasa, che non desiderava partire dal castello se non dopo aver ottenuto qualche certezza a proposito di Valancourt. L'aspettava adunque, senza che ciò le costasse verun sacrifizio, non essendosi presentata fin allora nessuna occasione propizia di fuggire.

Finalmente, Lodovico venne ad avvertirla che sperava di vedere il prigioniero, dovendo questi avere per guardia la notte seguente un soldato di cui erasi fatto amico. La di lui speranza non fu vana, giacchè potè entrare nella prigione col pretesto di portargli acqua. La prudenza però gl'impose di non confidare alla sentinella il vero motivo di quella visita, che fu molto breve.

Emilia stette impaziente ad aspettarne il risultato; infine vide ricomparire il giovano con Annetta. « Il prigioniero, signorina, » diss'egli, « non ha voluto confidarmi il suo nome. Quando pronunziai il vostro, si mostrò meno sorpreso di quel ch'io m'immaginassi.

– Come sta egli? Dev'essere molto abbattuto dopo una sì lunga prigionia… – Oh no! mi parve che stesse bene, quantunque non glie l'abbia domandato. – Non vi ha consegnato nulla per me? » disse Emilia. – Mi ha dato questo, dicendo che vi avrebbe scritto se avesse avuto l'occorrente. Prendete. » E le consegnò una miniatura. Emilia riconobbe il suo proprio ritratto, lo stesso che aveva perduto sua madre in modo così singolare alla peschiera della valle. Pianse allora di gioia e tenerezza, e Lodovico continuò: « Mi ha scongiurato a procurargli un abboccamento con voi. Gli rappresentai quanto mi paresse difficile farvi acconsentire il suo custode; mi rispose ciò esser più facile che non immaginassi, e che se ne gli avessi portata la vostra risposta, si sarebbe spiegato meglio. – Quando potrete rivedere il cavaliere, ditegli che acconsento a vederlo. – Ma quando, signora, in qual luogo? – Ciò dipenderà dalle circostanze; desse fisseranno l'ora ed il luogo. »

Il giovane le augurò la buona notte, e se ne andò.

Passò una settimana prima che Lodovico potesse rientrare nella prigione. Nell'intervallo, comunicò ad Emilia rapporti spaventosi di quanto accadeva nel castello: il di lei nome era spesso pronunziato ne' discorsi di Bertolini e Verrezzi, e diveniva sempre soggetto di alterchi. Montoni aveva perduto al giuoco somme enormi con Verrezzi, e c'era tutta la probabilità che gliela destinasse in isposa per isdebitarsi, ad onta dell'opposizione di Bertolini. A tai notizie, la meschina scongiurava Lodovico a riveder tosto il prigioniero, ed a favorire la loro fuga.

Finalmente Lodovico le disse d'aver riveduto il cavaliere, il quale avealo indotto a fidar nel carceriere, di cui aveva già esperimentata la condiscendenza, e che avevagli promesso di uscire per mezz'ora la notte seguente, quando Montoni ed i suoi compagni stessero gozzovigliando. « È una bella cosa per certo, » soggiunse il giovane; « ma Sebastiano sa bene che non corre alcun rischio, lasciando uscire il prigioniero, poichè se potrà scappare dalle porte di ferro sarà molto destro. Il cavaliere mi manda da voi, o signora, per supplicarvi in nome suo di permettergli che vi veda stanotte, quando pur fosse per un momento solo, non potendo più vivere sotto il medesimo tetto senza vedervi; circa all'ora, non può precisarla, giacchè dipende dalle circostanze, come voi diceste, e vi prega di scegliere il luogo che crederete il più sicuro. »

Emilia era sì agitata dalla prossima speranza di rivedere Valancourt, che passarono alcuni minuti prima di poter rispondere. Finalmente, non seppe indicare un luogo più sicuro del corridoio. Fu dunque stabilito che il cavaliere sarebbe venuto quella notte nel corridoio, e che Lodovico avrebbe pensato a scegliere l'ora. Emilia, come può credersi, passò quest'intervallo in un tumulto di speranza, di gioia e d'ansiosa impazienza. Dopo il suo arrivo al castello non aveva mai osservato con tanto piacere il tramonto del sole. Contava le ore, e le parea che il tempo non passasse mai.

Finalmente suonò mezzanotte. Aprì la porta del corridoio per ascoltare se vi fosse rumore nel castello, e udì solo l'eco delle risa smoderate che partivano dalla sala grande. S'immaginò che Montoni ed i suoi ospiti fossero a tavola. « Essi sono occupati per tutta la notte, » disse fra sè, « e Valancourt sarà presto qui. » Chiuse la porta, e passeggiò per la camera coll'agitazione dell'impazienza. Si affacciava alla finestra, lusingandosi di sentir suonare il liuto; ma tutto era silenzio, e la sua emozione cresceva. Annetta, che aveva fatto restare in sua compagnia, ciarlava secondo il solito; ma Emilia non intendeva sillaba de' suoi discorsi. Tornando alla finestra, sentì alfine la solita voce cantare accompagnata dal liuto. Non potè astenersi dal piangere per la tenerezza. Finita la romanza, Emilia la considerò come un segnale che le indicasse l'uscita di Valancourt. Poco dopo udì camminare nel corridoio, aprì la porta, corse incontro all'amante, e si trovò fra le braccia d'un uomo che non aveva mai veduto. La faccia ed il suono della voce dell'incognito la disingannarono sul momento, e svenne.

Allorchè risensò, trovossi sostenuta da quest'uomo, il quale la considerava con viva espressione di tenerezza e d'inquietudine. Non ebbe la forza per interrogare, nè per rispondere: proruppe in dirotto pianto, e si sciolse dalle di lui braccia. L'incognito impallidì. Sorpreso, guardava Lodovico come per domandargli qualche schiarimento; ma Annetta gli spiegò il mistero che non intendeva neppur Lodovico. « Signore, » gridò ella singhiozzando, « voi non siete l'altro cavaliere. Noi aspettavamo il signor Valancourt, e non siete voi quello. Ah! Lodovico, come avete potuto ingannarci così? la mia povera padrona se ne risentirà per molto tempo. » L'incognito, il quale pareva agitatissimo, voleva parlare, ma gli spirarono le parole sul labbro, e battendosi colla mano la fronte, come preso da improvvisa disperazione, si ritirò dalla parte opposta del corridoio.

Annetta si terse le lagrime, e disse a Lodovico: « Può darsi che l'altro cavaliere, cioè il signor Valancourt, sia tuttora dabbasso. » Emilia alzò la testa. « No, » replicò Lodovico, « il signor Valancourt non c'è stato mai, se questo cavaliere non è lui. Se aveste avuta la bontà di confidarmi il vostro nome, signore, » diss'egli all'incognito, « quest'equivoco non avrebbe avuto luogo. – È verissimo, » rispos'egli in cattivo italiano; « ma m'importava molto che Montoni lo ignorasse. Signora, » soggiunse quindi, volgendosi in francese a Emilia, « permettetemi due parole. Soffrite che spieghi a voi sola il mio nome e le circostanze che m'indussero nell'errore. Io sono vostro compatriotta, e ci troviamo ambidue in una terra straniera. »

Emilia procurò di calmarsi, ed esitava ad accordargli la sua domanda; in fine, pregò Lodovico di andar ad aspettarla in fondo al corridoio, trattenne Annetta, e disse all'incognito che quella fanciulla intendendo pochissimo l'italiano, ei poteva favellarle in questa lingua. Si ritirarono in un angolo, e l'incognito le disse, dopo un lungo sospiro: « Signora, la mia famiglia non dev'esservi ignota. Io mi chiamo Dupont; i miei parenti vivevano a qualche distanza dal vostro castello della valle, ed io ebbi la fortuna d'incontrarvi qualche volta, visitando il vicinato. Non vi offenderò certo ripetendovi quanto sapeste interessarmi, quanto mi compiaceva di errare nei luoghi che voi frequentavate, quante volte ho visitato la vostra peschiera favorita, e quanto gemeva allora delle circostanze che m'impedivano di dichiararvi la mia passione! Non vi spiegherò come potei cedere alla tentazione, ed in qual modo divenni possessore d'un tesoro inestimabile per me, che affidai, pochi giorni sono, al vostro messaggero, con una speranza ben diversa da quella che or mi resta. Non mi estenderò di più. Lasciate ch'io implori il vostro perdono, e circa a quel ritratto che restituii così male a proposito, la vostra generosità ne scuserà il furto, e vorrà rendermelo. Il mio delitto stesso è divenuto il mio castigo; e quel ritratto che involai alimentò una passione che dev'essere sempre il mio tormento. »

Emilia, interrompendolo, disse: « Lascio alla vostra coscienza, o signore, il decidere se, dopo tutto quant'è accaduto a proposito del signor Valancourt, io debba rendervi il ritratto. Non sarebbe un'azione generosa: dovete convenirne voi stesso, e mi permetterete di aggiungere che mi fareste un'ingiuria insistendo per ottenerlo. Mi trovo onorata della favorevole opinione che concepiste di me; ma… l'equivoco di questa sera mi dispensa dal dirvi di più.

– Sì, signora, oimè! sì, » replicò Dupont; « accordatemi almeno di farvi conoscere il mio disinteresse, se non il mio amore. Accettate i servigi d'un amico, il quale, benchè prigioniero, giura di fare ogni tentativo per togliervi da quest'orribile soggiorno, e non mi negate la ricompensa d'aver tentato almeno di meritare la vostra gratitudine.

– Voi la meritate già, signore, » disse Emilia, « ed il voto che esprimete merita tutti i miei ringraziamenti. Scusatemi se vi rammento il pericolo a cui siamo esposti, prolungando questo abboccamento. Sarà per me una gran consolazione, sia che i vostri tentativi vadano a vuoto, od abbiano un esito felice, di avere un generoso compatriotta disposto a proteggermi. »

Dupont prese la mano di Emilia, che voleva ritirarla, e se l'appressò rispettosamente alle labbra.

« Permettetemi, » le disse, « di sospirare vivamente per la vostra felicità, e lodarmi d'una passione che m'è impossibile di vincere. » In quel punto Emilia udì rumore nella sua camera, e voltandosi da quella parte, vide un uomo il quale, precipitandosi nel corridoio brandendo uno stile, gridò: « v'insegnerò io a vincere questa passione! » E corse incontro a Dupont ch'era inerme. Questi scansò il colpo, si gettò su colui, nel quale Emilia riconobbe Verrezzi e lo disarmò. Durante la lotta, Emilia e Annetta corsero a chiamar Lodovico, ma era sparito. Tornando indietro, il rumore della lotta le fece sovvenire del pericolo. Annetta andò a cercar Lodovico; la fanciulla s'affrettò dove Dupont e Verrezzi erano sempre alle prese, e li scongiurò a separarsi. Il primo finalmente gettò in terra l'avversario e ve lo lasciò sbalordito dalla caduta. Emilia lo pregò di fuggire, prima che comparisse Montoni, o qualcun altro: ei ricusò di lasciarla così senza difesa, e mentr'ella, più spaventata per lui che per sè medesima, raddoppiava le sue premurose istanze, udirono salire la scala segreta.

« Siete perduto, » diss'ella; « è la gente di Montoni. » Dupont non rispose, e sostenendo Emilia, che stentava a reggersi, aspettò di piè fermo gli avversari. Poco dopo entrò Lodovico solo, e gettando un'occhiata dappertutto: « Seguitemi, » disse loro, « se vi è cara la vita; non abbiamo un momento da perdere. »

Emilia domandò cosa fosse accaduto, e dove convenisse andare.

« Non ho tempo di dirvelo, » rispose Lodovico. « Fuggite, fuggite. »

Essa lo seguì all'istante, sostenuta da Dupont. Scesero la scala, e mentre traversavano un andito segreto, si ricordò di Annetta, e chiese dove fosse, « Ci aspetta, » le rispose Lodovico sottovoce. « Poco fa furono aperte le porte per un distaccamento che arriva, e temo che vengano chiuse nuovamente, prima che noi vi giungiamo. » Emilia tremava sempre più dopo aver saputo che la sua fuga dipendeva da un solo istante. Dupont le dava braccio, e procurava, camminando, di rianimare il suo coraggio.

Lodovico aprì un'altra porta, dietro la quale trovarono Annetta, e scesero alcuni gradini. Il giovane disse che quel passaggio conduceva al secondo cortile, e comunicava col primo. A misura che si avanzavano, un tumulto confuso, che pareva venire dal secondo cortile, spaventò Emilia.

« Non temete, signora, » disse Lodovico, « la nostra sola speranza è riposta in questo tumulto: mentre la gente del castello è occupata di quelli che giungono, potremo forse uscir dalle porte inosservati. Ma zitto, » soggiunse avvicinandosi ad una porticella che metteva sul primo cortile; « restate qui un momento: io vado a vedere se le porte sono aperte, e se c'è qualcuno per via. Vi prego, signore, di spegnere il lume se mi sentirete parlare, » aggiunse consegnando la lampada a Dupont, « ed in tal caso restate in silenzio. »

Uscì, e chiuse la porta. « Noi saremo in breve fuori di queste mura, » disse Dupont a Emilia; « fatevi coraggio, e tutto andrà bene. »

Poco dopo udirono Lodovico parlar forte, e distinsero anche un'altra voce. Dupont spense subito il lume. « Gran Dio! È troppo tardi, » esclamò Emilia; « che sarà di noi? » Ascoltarono attenti, e si accorsero che Lodovico parlava colla sentinella. Il cane di Emilia, che l'aveva seguita, cominciò a latrare. Dupont lo prese in braccio per farlo tacere, e sentirono che il giovane diceva alla sentinella: « Intanto farò io la guardia per voi. – Aspettiamo un momento, » replicò la sentinella, « e non avrete questo incomodo. I cavalli devono esser mandati alle stalle vicine, si chiuderanno le porte, e potrò assentarmi per un minuto – Oibò! Per me non è un incomodo, caro camerata, » disse Lodovico; « farete a me lo stesso servizio un'altra volta. Andate, andate ad assaggiare quel vino, altrimenti la truppa arrivata lo berrà tutto, e non ve ne rimarrà più. »

Il soldato esitò, e chiamò nel secondo cortile, per sapere se i cavalli dovevano esser condotti fuori, e se potevano chiudersi le porte. Erano tutti troppo occupati per rispondergli, quand'anco l'avessero inteso.

« Sì, sì, » disse Lodovico, « non son così gonzi, si dividono tutto fra loro. Se aspettate quando partono i cavalli, troverete il vino bevuto tutto. Io ne ebbi la mia parte, ma giacchè non ne volete, andrò io in vece vostra.

– Alto là, camerata, » soggiunse la sentinella, « prendete il mio posto per pochi minuti, che torno subito. »

E andossene correndo.

Lodovico, vedendosi in libertà, si affrettò di aprire la porta dell'andito. Emilia soccombea quasi all'ansietà cagionatagli dal lungo colloquio. Egli disse loro che il cortile era libero: lo seguirono senza perder tempo, e menarono seco due cavalli che trovarono isolati.

Usciti senza ostacolo dalle formidabili porte, corsero ai boschi. Emilia, Dupont e Annetta erano a piedi; Lodovico sopra un cavallo, conduceva l'altro. Giunti nella selva, le due fanciulle salirono in groppa coi loro protettori. Lodovico serviva di guida, e fuggirono tanto presto quanto lo permetteva una strada rovinata, ed il fioco chiaror di luna traverso gli alberi.

Emilia era così stordita dall'inattesa partenza, che osava credere appena di essere sveglia: dubitava però molto che l'avventura potesse andar a finir bene, ed il dubbio era pur troppo ragionevole. Prima di uscire dal bosco udirono alte grida, e videro molti lumi nelle vicinanze del castello. Dupont spronò il cavallo, e con molta pena lo costrinse a correr più presto.

« Povera bestia, » disse Lodovico, « dev'essere ben stanca, essendo stata fuori tutto il giorno. Ma signore, andiamo da questa parte, perchè i lumi vengono per di qua. » E spronati i cavalli, si misero a galoppare. Dopo una lunga corsa, guardarono indietro: i lumi erano tanto lontani, che a mala pena potevano distinguersi; le grida avean fatto luogo a profondo silenzio. I viaggiatori allora moderarono il passo, e tennero consiglio sulla direzione da prendere. Decisero di andare in Toscana per guadagnare il Mediterraneo, e cercar d'imbarcarsi prontamente per la Francia. Dupont aveva progettato di accompagnarvi Emilia, se avesse potuto sapere che il suo reggimento vi fosse tornato.

Erano allora sulla strada già percorsa da Emilia con Ugo e Bertrando. Lodovico, il solo di essi che conoscesse i tortuosi sentieri di que' monti, assicurò che a poca distanza ne avrebbero trovato uno pel quale sarebbesi potuto scender facilmente in Toscana, e che alle falde degli Appennini c'era una piccola città, dove avrebbero potuto procacciarsi le cose necessarie pel viaggio.

Emilia pensava a Valancourt ed alla Francia con gioia; ma intanto essa sola era l'oggetto delle riflessioni malinconiche di Dupont. L'affanno però ch'ei provava pel suo equivoco, veniva addolcito dal piacere di vederla, Annetta pensava alla lor fuga sorprendente, e al susurro che avrebber fatto Montoni ed i suoi. Tornata in patria, voleva sposare il suo liberatore per gratitudine e per inclinazione. Lodovico, per parte sua, si compiaceva di avere strappato Annetta ed Emilia al pericolo che le minacciava, lieto di fuggire egli stesso da quella gente che gli faceva orrore. Aveva resa la libertà a Dupont, e sperava di viver felice coll'oggetto del suo amore.

Occupati dai loro pensieri, i viaggiatori restarono in silenzio per più di un'ora, meno qualche domanda che faceva tratto tratto Dupont sulla direzione della strada, o qualche esclamazione di Annetta sugli oggetti che il crepuscolo lasciava vedere imperfettamente. Infine scorsero lumi alle falde di un monte, e Lodovico non dubitò più non fosse la desiata città. Soddisfatti di questa certezza, i suoi compagni si abbandonarono di nuovo ai loro pensieri; Annetta fu quindi la prima a parlare.

« Dio buono, » diss'ella, « dove troveremo noi denaro? So che nè la mia padrona, nè io non abbiamo un soldo. Il signor Montoni ci provvedeva egli! » L'osservazione produsse un esame che terminò in un imbarazzo seriissimo. Dupont era stato spogliato di quasi tutti i suoi denari allorchè cadde prigioniero; il resto l'aveva regalato alla sentinella, che avevagli permesso di uscire dal carcere. Lodovico, che da molto tempo non poteva ottenere il pagamento del suo salario, aveva appena di che supplire al primo rinfresco nella città in cui dovean giungere.

La loro povertà li affliggeva tanto più, perchè poteva trattenerli in cammino, e, sebbene in una città, temevano sempre il potere di Montoni. I viaggiatori adunque non ebbero altro partito che quello di andare avanti a tentar la fortuna. Passarono per luoghi deserti; finalmente udirono da lontano i campanelli di un armento, e poco dopo il belato delle pecore, e riconobbero le tracce di qualche abitazione umana. I lumi veduti da Lodovico erano spariti da molto tempo, nascosti dagli alti monti. Rianimati da questa speranza, accelerarono il passo, e scopersero alfine una delle valli pastorali degli Appennini, fatta per dare l'idea della felice Arcadia. La sua freschezza e bella semplicità contrastavano maestosamente colle nevose montagne circostanti.

L'alba faceva biancheggiare l'orizzonte. A poca distanza, e sul fianco di un colle, i viaggiatori distinsero la città che cercavano, e vi giunsero in breve. Con molta difficoltà poterono trovarvi un asilo momentaneo. Emilia domandò di non fermarsi più del tempo strettamente necessario per rinfrescare i cavalli; la di lei vista eccitava sorpresa, essendo senza cappello, ed avendo appena avuto il tempo di prendere un velo. Le rincresceva perciò la mancanza di denaro, che non permettevale di procacciarsi quest'articolo essenziale.

Lodovico esaminò la sua borsa, e trovò che non bastava neppur a pagare il rinfresco. Dupont si arrischiò di confidarsi all'oste, che gli pareva umano ed onesto; gli narrò la loro posizione, pregandolo d'aiutarli a continuare il viaggio. Colui promise di far tutto il possibile, tanto più essendo essi prigionieri fuggiti dalle mani di Montoni, cui egli aveva ragioni personali per odiare: acconsentì a somministrar loro i cavalli freschi per partire immediatamente, ma non era ricco abbastanza per fornirli anche di denaro. Stavano lamentandosi, lorchè Lodovico, dopo aver condotto i cavalli in istalla, ritornò tutto allegro, e le mise tosto a parte della sua gioia: nel levare la sella ad un cavallo, vi avea trovata una borsa piena di monete d'oro, porzione senza dubbio del bottino fatto dai condottieri. Tornavano essi dal saccheggio allorchè Lodovico era fuggito, ed il cavallo essendo uscito dal secondo cortile, ove stava a bere il suo padrone, aveva portato via il tesoro, sul quale per certo contava quel birbante.

Dupont trovò questa somma sufficientissima per ricondurli tutti in Francia, e risolse allora di accompagnarvi Emilia. Si fidava di Lodovico quanto poteva permetterglielo una conoscenza sì breve, eppure non reggeva all'idea di confidargli Emilia per un sì lungo viaggio. D'altronde, non aveva forse il coraggio di privarsi del pericoloso piacere di vederla.

Tennero consiglio sulla direzione da prendere. Lodovico avendo assicurato che Livorno era il porto più vicino ed accreditato, decisero d'incamminarvisi.

Emilia comprò un cappello e qualche altro piccolo oggetto indispensabile. I viaggiatori cambiarono i cavalli stanchi con altri migliori, e si rimisero lietamente in cammino al sorger del sole. Dopo qualche ora di viaggio attraverso un paese pittoresco, cominciarono a scendere nella valle dell'Arno. Emilia contemplò tutte le bellezze di quei luoghi pastorali e montuosi, unite al lusso delle ville dei nobili fiorentini, e alle ricchezze di una svariata coltura. Verso mezzogiorno scoprirono Firenze, le cui torri s'innalzavano superbe sullo splendido orizzonte.

Il caldo era eccessivo, e la comitiva cercò riposo all'ombra. Fermatisi sotto alcuni alberi, i cui folti rami li difendevano dai raggi del sole, fecero una refezione frugale, contemplando il magnifico paese con entusiasmo.

Emilia e Dupont ridiventarono a poco a poco taciturni e pensierosi, Annetta era giuliva, e non si stancava mai di ciarlare, Lodovico era molto allegro, senza obliare però i riguardi dovuti ai suoi compagni di viaggio. Finito il pasto, Dupont persuase Emilia a procurare di gustar un'ora di sonno, mentre Lodovico avrebbe vegliato. Le due fanciulle, stanche dal viaggio, si addormentarono.

Quando Emilia svegliossi, trovò la sentinella addormentata al suo posto, e Dupont desto, ma immerso ne' suoi tristi pensieri. Il sole era ancora troppo alto per continuare il viaggio, e giustizia volea che Lodovico, stanco dalle tante fatiche, potesse finire in pace il suo sonno. Emilia profittò di questo momento onde sapere per qual caso Dupont fosse caduto prigioniero di Montoni. Lusingato dall'interesse che dimostravagli questa domanda, e dell'occasione che gli somministrava di parlare di sè medesimo, Dupont la soddisfece immediatamente.

« Io venni in Italia, signora, al servizio del mio paese. Una mischia ne' monti colle bande di Montoni mise in rotta il mio distaccamento, e fui preso con alcuni altri. Quando seppi d'essere prigioniero di Montoni, questo nome mi colpì. Mi rammentai che vostra zia aveva sposato un Italiano di tal nome, e che voi li avevate seguiti in Italia. Non potei però sapere con certezza, se non molto dopo, che costui era quello stesso, e che voi abitavate sotto il medesimo tetto con me. Non vi stancherò dipingendovi la mia emozione allorchè seppi questa nuova, la quale mi fu data da una sentinella che potei sedurre fino al punto di accordarmi qualche ricreazione, una delle quali m'interessava assai, ed era pericolosissima per lui. Ma non fu possibile indurlo ad incaricarsi d'una lettera, e di farmi conoscere a voi. Temeva di essere scoperto, e provare tutta la vendetta di Montoni. Mi somministrò però l'occasione di vedervi parecchie volte. Ciò vi sorprende, ma vi spiegherò meglio. La mia salute soffriva molto per mancanza d'aria e d'esercizio, e potei finalmente ottenere, dalla pietà o dall'avarizia sua, di passeggiare la notte sul bastione. » Emilia divenne attenta, e Dupont continuò:

« Accordandomi questo permesso, la mia guardia sapeva bene ch'io non poteva fuggire. Il castello era custodito con vigilanza, ed il bastione sorgea sopra una rupe perpendicolare. M'insegnò egualmente una porta nascosta nella parete della stanza, ov'io era detenuto, ed imparai ad aprirla. Questa porta metteva in un andito stretto praticato nella grossezza del muro, che girava per tutto il castello, e veniva a riuscire all'angolo del bastione orientale. Ho saputo in seguito che ve ne sono altri consimili nelle muraglie enormi di quel prodigioso edifizio, destinati senza dubbio a facilitare la fuga in tempo di guerra. Per tal mezzo adunque io andava la notte sul bastione, e vi passeggiava con cautela onde non essere scoperto. Le sentinelle erano molto lontane, perchè le alte mura da quella parte supplivano ai soldati. In una di queste passeggiate notturne, osservai un lume alla finestra d'una stanza superiore alla mia prigione: mi venne in idea che quella fosse la vostra camera, e, sperando di vedervi, mi fermai in faccia alla finestra. »

Emilia, rammentandosi allora la figura veduta sul bastione, che l'aveva tenuta in tanta perplessità, esclamò: « Eravate dunque voi, signor Dupont, che mi cagionaste un terrore così ridicolo? La mia fantasia era tanto indebolita dai lunghi patimenti, che il più lieve incidente bastava a farmi tremare. »

Dupont le manifestò il suo rammarico d'averla spaventata, poi soggiunse: « Appoggiato al parapetto in faccia alla vostra finestra, il pensiero della vostra situazione malinconica e della mia mi strappò alcuni gemiti involontari che vi attrassero alla finestra, almeno così supposi. Vidi una persona, e credetti foste voi. Non vi dirò nulla della mia emozione in quel momento. Voleva parlare ma la prudenza mi trattenne, e l'avanzarsi della sentinella mi obbligò a fuggire.

« Passarono alcuni giorni prima ch'io potessi tentare una seconda passeggiata, poichè non poteva uscire se non quando era di guardia il milite da me guadagnato coi doni. Intanto mi persuasi della realtà delle mie congetture sulla situazione della vostra camera. Appena potei uscire, tornai sotto la vostra finestra, e vi vidi senza ardir di parlarvi. Vi salutai colla mano, e voi spariste. Obliando la mia prudenza, esalai un lungo sospiro. Voi tornaste e diceste qualcosa. Intesi la vostra voce, e stava per abbandonare ogni riguardo, quando udii venire una sentinella, e mi ritirai prontamente; ma quel soldato mi aveva veduto. Egli mi seguì, e mi avrebbe raggiunto, senza un ridicolo stratagemma che formò in quel momento la mia salvezza. Conoscendo la superstizione di quella gente, gettai un grido lugubre, sperando che avrebbe cessato d'inseguirmi, e fortunatamente riuscii. Quell'uomo pativa di mal caduco: il timore ch'io gl'incussi lo fece cadere a terra tramortito, ed io m'involai prontamente. Il sentimento del pericolo incorso, e che il raddoppiamento delle guardie, per questo motivo, rendeva maggiore, mi dissuase dal tornar a passeggiare sul bastione. Nel silenzio delle notti però mi divertiva con un vecchio liuto procuratomi dal mio custode, e talvolta cantava, ve lo confesso, sperando d'essere inteso da voi. Infatti poche sere fa, parvemi udire una voce che mi chiamasse, ma non volli rispondere per timore della sentinella. Ditemi, in grazia, signora, eravate voi?

– Sì, » rispose Emilia, con un sospiro involontario, « avevate ragione. »

Dupont, osservando la penosa sensazione che tal soggetto le cagionava, cambiò discorso.

« In una delle mie gite nell'andito di cui vi ho parlato, intesi, » diss'egli, « un colloquio singolare che veniva da una stanza contigua al medesimo. Il muro era in quel luogo così sottile, che potei udire distintamente tutti i discorsi che si facevano. Montoni stava colà coi compagni. Egli cominciò il racconto dell'istoria straordinaria dell'antica padrona del castello. Descrisse circostanze strane; la sua coscienza però deve sapere fino a qual punto fossero credibili. Ma voi dovete conoscere, signorina, le notizie vaghe che si fanno circolare sul destino misterioso di quella dama.

– Le conosco, signore, » diss'Emilia, « e mi accorgo che voi non ci credete.

– Io ne dubitava, » replicò Dupont, « prima dell'epoca di cui vi parlo; ma il racconto di Montoni aggravò i miei sospetti, e restai quasi persuaso ch'ei fosse un assassino. Tremai per voi. Aveva udito pronunziare il vostro nome dai convitati in modo inquietante, e sapendo che gli uomini i più empi sogliono essere i più superstiziosi, mi decisi a spaventarli, per distoglierli dal nuovo delitto ch'io temeva. Ascoltai attentamente Montoni, e nel luogo più interessante del racconto, ripetei più volte le sue ultime parole.

– Non avevate timore di essere scoperto? » chiese Emilia.

– No, » rispose Dupont, « sapendo, che se Montoni avesse conosciuto il segreto dell'andito non mi avrebbe rinchiuso in quella stanza. La compagnia, per qualche momento, non badò alla mia voce, ma finalmente l'allarme fu sì grande, che fuggirono tutti. Montoni ordinò ai servi di fare attive ricerche, ed io tornai alla mia prigione. »

Dupont ed Emilia continuarono a discorrere di Montoni, della Francia, e del piano del loro viaggio. Ella gli disse che aveva intenzione di ritirarsi in un convento della Linguadoca; pensava di scrivere a Quesnel, per informarlo della sua condotta, ed aspettare la scadenza dell'affitto del suo castello della valle, per andare a stabilirvisi. Dupont la persuase che i beni, dei quali Montoni aveva voluto spogliarla, non erano perduti per sempre, e si rallegrò che fosse fuggita dalle mani di quel barbaro, il quale senza dubbio l'avrebbe tenuta prigioniera per tutta la vita. La probabilità di rivendicare i beni della zia, non tanto per sè medesima quanto per Valancourt, le fecero provare un senso di gioia ond'era stata priva per molto tempo.

Verso il declinar del sole, Dupont svegliò Lodovico per continuare il loro viaggio. Giunsero in Firenze a notte avanzata, ed avrebbero voluto rimanervi qualche giorno per rimirare le bellezze di quella famosa metropoli, ma l'impazienza di ritornare in patria li fece rinunziare a tal idea; ed il giorno seguente, di buonissim'ora, avviaronsi alla volta di Pisa, cui traversarono fermandosi appena il tempo necessario per rinfrescare i cavalli, e giunsero a Livorno verso la sera del giorno dipoi.

Возрастное ограничение:
12+
Дата выхода на Литрес:
03 августа 2018
Объем:
160 стр. 1 иллюстрация
Правообладатель:
Public Domain

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