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Читать книгу: «Fra Tommaso Campanella, Vol. 2», страница 13

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Subito dopo furono esaminati Geronimo padre e Gio. Pietro fratello del Campanella178. Geronimo si dichiarò di Stignano, dell'età di circa 65 anni, e dovè rispondere intorno alla causa della carcerazione di suo figlio, intorno a un libro che costui avea scritto ed egli avea lodato come superiore anche a quello degli Apostoli, intorno alle divinazioni fattegli sull'avvenire degli altri figli, intorno al rifiuto di predicare espressogli da fra Tommaso e motivato col non voler fare l'ufficio di saltimbanco, intorno al pranzo di Stignano in casa Grillo, dove egli avea fornite vivande ed avea dovuto udire eresie da fra Dionisio. Il povero vecchio disse di sapere solamente che suo figlio era stato carcerato da Carlo Spinelli, o per detto d'altri che avea scritto un libro in Napoli, mentre quanto a sè egli non sapea leggere nè scrivere, soggiungendo, «alhora tutti mi dicevano beato et hora tutti mi dicono sfortunato». Quanto alle divinazioni, disse che suo figlio era stato quattordici anni fuori di Calabria, ed al ritorno appena lo riconosceva per padre, trattando solo con Principi e Signori, come il Principe della Roccella e il Marchese di Arena; quanto poi al rifiuto della predicazione, disse che veramente avea pregato fra Tommaso di accettare l'offerta fattane da que' di Stilo col compenso di 200 ducati, «per aiutare alcune figlie femine che hò è sono pezzenti», ma fra Tommaso non volle, dicendogli che sapeva quel che si faceva. Accettò di aver visitato fra Dionisio in casa Grillo, ma negò di aver fornite vivande, aggiungendo, «non hò per me, et hò nove tra figlie et nipote femine»; negò pure energicamente di avere udito discorsi eretici, ed aggiunse, «si fra Dominico (Petrolo) lo dice, fatime mettere un chiappo al collo et impendere». Da ultimo s'inginocchiò innanzi a' Giudici e disse, «Signori, siamo tutti spersi per povero regno, et si questi monaci hanno fatto male, vi prego, castigateli per amore di Dio»: con ciò, s'intende, egli volea dire che facessero presto, perchè così sarebbe presto tornato a casa sua ove l'attendeva una frotta di giovani donne rimaste nell'abbandono e nella miseria; e il suo desiderio era naturalissimo, ma faceva dimenticargli che tra' monaci i quali avrebbero dovuto essere gastigati, e non lievemente, c'era anche il migliore de' suoi figliuoli. – Molto più breve fu l'esame di Gio. Pietro Campanella, che si dichiarò di 28 anni in circa e di mestiere calzolaio. Gli chiesero se avesse mai udito suo fratello fra Tommaso parlare di rivoluzioni da dover accadere nel 1600; ed egli rispose che poche volte gli avea parlato e non mai di tali cose. Al pari di suo padre, non sapendo scrivere, segnò con una croce il processo verbale dell'esame.

Il 20 luglio venne il Campanella ricondotto innanzi a' Giudici, e continuò a mostrarsi pazzo179. Non voleva rimanere nella sala di udienza, si tirava indietro, e poi cominciò a baciare certe figure disegnate nel foglio del Calendario. Gli si fecero dimande strane; quante sorelle aveva, dove trovavasi il suo padre carnale e da quanto tempo non l'aveva veduto, se possedeva il breviario etc. poi lo si avvertì di cessare dal fingersi pazzo. Ed egli nominò più sorelle, Costanza che era Badessa, Emilia maritata, Giulia da doversi maritare con Michele Castellano; parlò del padre in modo incoerente, ricordò che gli aveano presi tutti i suoi libri, accennò ad una «Signora grande», a soldati che l'aveano perseguitato, ad una sua fuga di 20 miglia. Lamentavasi per avere le braccia addolorate in sèguito della tortura, e da ultimo disse, «dammi da bere frate, quattro confortini (confortatori) negri negri vengono ogni sera et mi ammazzano…». Dal processo verbale si rileva che avrebbe sottoscritto l'esame, se non avesse avuto le braccia debilitate.

Fu di poi, nella stessa seduta, interrogato nuovamente il Soldaniero, quindi Giuseppe Grillo; inoltre furono richiamati fra Dionisio ed il Pizzoni, per dare qualche chiarimento180. Al Soldaniero si fecero molte dimande; come mai fra Dionisio avesse cominciato a parlare con lui contro la fede mentre non c'era mai stata familiarità tra loro, se fra Dionisio fosse venuto a Soriano egli solo o in compagnia di qualcuno, come si fosse comportato il Pizzoni in quella circostanza, in quale giorno si fosse mangiato carne, a quale scopo que' frati gli avessero dette tante eresie. E il Soldaniero narrò di nuovo i particolari della venuta di fra Dionisio a Soriano, ed affermò che questa accadde di martedì, nel quale giorno, avendo precedentemente riportata una ferita di archibugio, egli non mangiava carne per divozione alla Madonna dell'Idria (cioè di Costantinopoli), ma fra Dionisio mangiò carne ed eccitò lui a mangiarne; non potè poi ricordarsi se il Pizzoni fosse presente, ma dichiarò che gli pareva di sì, e che costui confermava le opinioni di fra Dionisio, dicendo che erano opinioni del Campanella. I Giudici gli fecero notare che nella prima deposizione avea detto non essere stato presente il Pizzoni, essere avvenuto il fatto in giorno di venerdì, non avere fra Dionisio mangiato carne (l'aveva solamente desiderata per mangiarla), e che badasse quindi a non dire menzogne: egli rispose più volte che non se ne poteva ricordare e si rimetteva al suo primo esame, conchiudendo che le eresie gli erano state raccontate perchè le credesse. – Giuseppe Grillo, fatto venire dal Castello dell'ovo in cui era rinchiuso, dietro dimande, dichiarò di aver conosciuto anteriormente fra Dionisio e gli altri frati che poi vennero a pranzo in casa sua in Stignano, e di averne buonissima opinione, ma non così Cesare Pisano che vide allora per la prima volta; dichiarò che durante il pranzo fra Dionisio avea detto doversi «rengratiar Dio di tante gracie che ci fà e cose simile», ma non avea detto nulla contro la fede, perchè egli «saria ricorso da superiori», ed anzi lo stesso fra Dionisio fece poi un sermone in Chiesa, in Stignano, presenti tre dottori e moltitudine di popolo, e fu lodato assai. Avvertito di non dir bugie, il Grillo soggiunse che avea detto la verità; che dal Petrolo, per mezzo del figlio di Desiderio Lucane, gli era stato raccomandato di volersi esaminare in favor suo; che da Mario Flaccavento come pure da Felice Gagliardo e Camillo Ademari, prima di venire dal Castello dell'ovo, gli era stato raccomandato di voler dire che in Stignano si era mangiato carne in giorno di venerdì o sabato, e che egli stesso l'avea mangiata inavvertentemente, poichè così trovavasi affermato in processo, e non dicendo così anche lui, avrebbe avuto la corda, ma egli avea risposto di non voler dire la bugia (tanti erano impegnati a non far alleviare la posizione degl'inquisiti, o invece tanto era furbo questo giovanotto che inventava sollecitazioni per procurarsi credito). – Si fece poi venire fra Dionisio, per sapere in che giorno fosse stato in Soriano, e se il Pizzoni vi fosse stato con lui. Dietro varii tentennamenti di reminiscenze, egli conchiuse che vi fu col Pizzoni il mercoledì, e il Pizzoni si partì subito pel suo conventino poco distante da Soriano, che in quella sera si mangiò co' frati, e l'indomani, giovedì, si mangiò nel dormitorio col Priore, col Lettore, con alcuni spagnuoli, ed anche con Giulio Soldaniero. – Da ultimo si fece venire il Pizzoni per udirlo sullo stesso fatto, ed egli lo negò assolutamente (senza dubbio a torto); e dietro dimande disse che non era mai stato a Soriano con fra Dionisio, che non aveva mai confermato eresie nè biasimata l'astinenza dal mangiar carne per divozione, e che questa era un'infamia in suo danno da parte di fra Dionisio e del Campanella conformemente alle loro minacce!

A questo punto si erano già raccolti esami sufficienti per poter passare dal processo informativo, che dicevasi pure offensivo, al processo ripetitivo: difatti il 31 luglio, sull'istanza del Procuratore fiscale, la Corte emanò i suoi Decreti in questo senso, ed abbiamo ragione di credere che non poco v'influì Mons.r Nunzio, il quale era spesso sollecitato dal Vicerè a terminare la causa dell'eresia, acciò si potesse procedere alla spedizione di quella della congiura. Ma il Vescovo di Termoli, che avea realmente studiata la causa ed era abituato alla ricerca della verità senza transazioni, scorgendo un cumulo di circostanze poco atte a rassicurare la sua coscienza, volle che fossero interrogati dal tribunale il Priore e il Lettore di Soriano, fra Domenico da Polistina e così pure Valerio Bruno, inoltre fra Gio. Battista di Placanica e fra Francesco Merlino già interrogati dal Vescovo di Squillace in Calabria: e però fin dal 18 luglio avea con una sua lettera commesso a quel Vescovo di mandare tutti que' frati in Napoli, e di chiarire con nuovi esami alcuni punti del processo già da lui fatto nell'anno precedente; ed il Vescovo eseguì la commissione con ogni sollecitudine, procurando la comparsa de' frati al tribunale di Napoli ed inviando poi anche l'Informazione supplementare da lui presa, che per tal modo trovasi inserta nel processo di Napoli. Come si rileva dai documenti che fanno parte di questa Informazione, il Priore di Soriano era già venuto in Napoli chiamatovi dal P.e Generale, e fra Domenico da Polistina, funzionante da compagno del Provinciale di Calabria, fu da costui immediatamente inviato; a fra Gio. Battista da Placanica e a fra Francesco Merlino fu fatto dal Vescovo di Squillace, con la comminatoria di molte e gravi pene, precetto di presentarsi al tribunale in Napoli, l'uno nel termine di 20, l'altro nel termine di 25 giorni; al Lettore di Soriano fu fatto un uguale precetto, col termine di 30 giorni. – Si ebbe quindi una serie di altri esami, alcuni de' quali si compirono mentre già il processo ripetitivo faceva il suo corso: noi li poniamo tutti qui in continuazione degli esami precedenti, senza attenerci con rigore assoluto alla cronologia de' diversi atti processuali, per non intralciare di troppo il corso della nostra narrazione.

Ed in prima l'8 e l'11 agosto, nel convento di S. Luigi ove risedeva il Vescovo di Termoli, furono esaminati e riesaminati fra Giuseppe d'Amico Priore di Soriano e fra Domenico di Polistina181. L'esame del giorno 8 fu fatto innanzi all'intero tribunale. Fra Giuseppe d'Amico, dietro dimande, disse che fra Dionisio e il Pizzoni vennero insieme a Soriano, un giorno di giovedì al tardi, ed allora nel convento trovavasi pure il Soldaniero, uomo di mala vita, che Mons.r di Mileto non voleva fosse cacciato, come anche Valerio Bruno, servitore del Soldaniero ed egualmente fuoruscito; che il Pizzoni l'indomani se n'andò al suo convento di Pizzoni, d'onde tornò il sabato con Claudio Crispo e si diresse tosto ad Arena ove trovavasi il Campanella; che fra Dionisio, rimasto il venerdì a Soriano, partì egli pure il sabato per Arena, poco dopo ch'era partito il Pizzoni, dicendo di temere che costui conducesse il Campanella a Pizzoni mentre egli volea condurlo a Soriano, e poi l'istesso giorno tornò a Soriano e vi rimase la domenica per farvi una predica, dopo la quale definitivamente se ne partì. Disse che, appena giunto, fra Dionisio dimandò del Soldaniero, e si recò in camera di lui e vi si trattenne un pezzo in colloquio, e ciò accadde nel giugno o luglio 99; che da otto a quindici giorni dopo, il Soldaniero parlò ad esso fra Giuseppe della ribellione, ma solo nel mese di agosto gli raccontò diverse eresie dette da fra Dionisio; che poi, trovandosi esso fra Giuseppe presso il Visitatore in Monteleone, quando già la congiura era scoverta e fra Dionisio era fuggito con una cavalla presa nel convento, riferì ogni cosa al Visitatore ed al Provinciale, ed avvertì al suo ritorno il Soldaniero di quanto avea fatto; che il Soldaniero allora gli rispose di dover essere esaminato, perchè avrebbe deposto anche di più, ma non aveva mai pregato lui che cacciasse fra Dionisio dal convento. Aggiunse che il Soldaniero non gli aveva mai discorso del Pizzoni come fautore di eresie, bensì come sollecitatore perchè «si havesse voluto trovare con l'intentione loro», e solo di fra Dionisio gli raccontò le diverse eresie, che egli si fece a ripetere; (così era certo l'armeggio per la ribellione da parte di tutti costoro insieme col Campanella, ma la faccenda dell'eresia era imputabile solo a fra Dionisio, che veramente ne faceva professione almeno come di un'arma di guerra). – Quanto a fra Domenico di Polistina, costui confermò che agli 8 o 9 di agosto dell'anno precedente, dopo l'incontro avuto col Campanella in Davoli, la sua fuga da quel posto per minacce di banditi e il suo arrivo in Soriano, seppe dal Soldaniero che fra Dionisio gli aveva esposto un gran numero di eresie, il fatto osceno contro l'ostia etc., eresie che fra Dionisio e il Campanella doveano predicare al tempo della ribellione, ed egli poi ne parlò a fra Cornelio del Monte; che del Campanella non seppe al di là delle cose dette, e con fra Cornelio non parlò del Campanella per conto dell'ostia consacrata (così fra Cornelio risultava falso, ma rimaneva pure a vedere se non era falso in ciò fra Domenico, e fino a qual punto costui fosse stato informato dal Soldaniero o viceversa). Aggiunse poi, spontaneamente, che il Campanella molti anni prima avea voluto uscire dalla Religione, e si era detto pubblicamente che avea lasciato la Calabria in compagnia di un certo Abramo ebreo o caldeo; (era sempre lui fra Domenico che evocava tale fatto, e questa volta per detto altrui, non per propria scienza). – Il nuovo esame di costoro, l'11 agosto, fu fatto innanzi al solo Vescovo di Termoli. Fra Domenico da Polistina narrò qualche circostanza di poco valore relativamente al suo incontro col Soldaniero. Fra Giuseppe d'Amico aggiunse che, parlando della ribellione col Soldaniero nell'agosto, ebbe a vedere nelle mani di lui una lettera del Campanella scritta di suo pugno, giacchè ne conosceva il carattere, la quale finiva col dire al Soldaniero che su quanto gli avea discorso fra Dionisio, se ne rimetteva al suo luogotenente fra Gio. Battista di Pizzoni; (così fra Giuseppe parlava sempre de' soli fatti della ribellione, ma è pur vero che non avrebbe potuto parlare de' fatti di eresia laddove fossero stati a sua notizia fin da principio, mentre non si era curato di denunziarli per tanto tempo). Infine, dietro dimanda, depose che il Campanella, quando si partì dalla Calabria, diceva di partirsene per la persecuzione che soffriva dal Provinciale di quel tempo P.e Pietro Ponzio, e si disse che era partito con un Abramo, ebreo molto scienziato ma che esso fra Giuseppe non avea veduto; (nessuno dunque avea veduto questo ebreo, ma è pur vero che a nessuno conveniva ammettere di averlo veduto).

Di poi, il 21 agosto, fu interrogato in Castel nuovo Valerio Bruno182. Costui disse che era stato per circa un anno col Soldaniero nel convento di Soriano, che avea là veduto fra Dionisio rimastovi due giorni, durante i quali venne pure il Pizzoni, e che li avea veduti cacciare entrambi dal Priore a richiesta del Soldaniero, scandalizzato perchè gli avevano palesate molte eresie, le quali egli si fece a ripetere. Disse che fra Dionisio e il Soldaniero aveano mangiato insieme un giorno di martedì o venerdì; giorno in cui il Soldaniero si asteneva dalla carne per voto fatto in sèguito di un colpo di archibugio ricevuto, ed egli avea udito fra Dionisio maravigliarsene; che non seppe altro di ciò, ma poi l'indomani, essendo venuto il Pizzoni ed avendo confermato le eresie dette da fra Dionisio, ad un'ora o due in circa di giorno udì il Soldaniero che «comminciò a gridare che cose son queste che mi dite, à par mio dite queste cose, è comminciò à chiamare il Priore, Padre Priore venite, cacciati questi»; che il Priore il quale nella sera precedente avea cercato di scusare fra Dionisio dicendo che era briaco, ed avea raccomandato al Soldaniero, per amore di Dio, l'onore della Religione, finì per accorrere insieme col Lettore ed altri e così cacciarono que' due frati. Insomma, accumulando circostanze in modo abbastanza comico, questo furfante procurò di rendere sempre più credibile il suo racconto, ma avvertito da' Giudici che era caduto in qualche contradizione e che badasse di non dire bugie, cominciò lui a turbarsi veramente e ad esclamare «misericordia Signore, per l'amor di Dio, che questa cosa hà un anno che è passata che non mene ricordo;… io non son dottore, facilmente si può pigliare et errare una parola, habbiatimi compassione Signore». Infine dichiarò di non avere udito egli stesso, nè da altri all'infuori del Soldaniero, cose contrarie alla fede provenienti da fra Dionisio e dal Pizzoni; (evidentemente Valerio Bruno si era messo anche questa volta d'accordo col Soldaniero, per appoggiarne le deposizioni).

Vennero in sèguito da Calabria fra Gio. Battista da Placanica e fra Francesco Merlino, e il 30 agosto e il 2 7bre, quando già il processo ripetitivo faceva il suo corso, e furono sottoposti al primo esame e all'esame ripetitivo nel solito convento di S. Luigi presso Palazzo: venne egualmente fra Vincenzo di Lungro Lettore di Soriano, e poco dopo, il 7 7bre, fu egli pure esaminato nel medesimo convento innanzi all'intero tribunale183. I due primi riuscirono di speciale interesse circa la persona del Campanella, l'altro circa la persona di fra Dionisio e i fatti di costui in Soriano. Fra Gio. Battista di Placanica disse di stare «di mal cervello, ciò e, di mal memoria», e si riferì costantemente all'esame già fatto dieci mesi innanzi in Squillace; fu interrogato su' concetti che il Campanella aveva espressi intorno all'immortalità dell'anima, alla fornicazione, alla scomunica, alle cerimonie de' turchi, alle religioni claustrali, e in genere non se ne seppe più di quanto se n'era saputo prima; può dirsi che fu esplicito solamente nell'attestare che il Campanella parlava della fornicazione in modo da sembrare che quasi dicesse non esser peccato, ed oltracciò nell'attestare che non potè avere nè dal Vescovo di Squillace nè dal P.e Provinciale la licenza di confessare e predicare in Monasterace. Nell'esame ripetitivo in sostanza disse di aver conosciuto il Campanella quando esso era novizio in Placanica, non aver mai udito direttamente da lui cose di eresie, aver solamente udito da lui dire «che inferno, che inferno» nel parlare a' suoi discepoli e segnatamente a Fulvio Vua e Giulio Contestabile, come pure che gli atti carnali non erano peccati tanto grandi quanto si ritenevano, poichè «Dio havea fatto il membro genitale…» per usarne. – Fra Francesco Merlino, nel primo esame, riferendosi lui pure all'esame sostenuto in Calabria, disse di avere solamente udito dire che il Campanella negava i miracoli fatti da Mosè, che avea mangiato più volte carne in giorni proibiti e segnatamente una porchetta insieme co' banditi in Pizzoni, che teneva con sè il demonio, e per arte diabolica conosceva tutto quello che sapeva; disse pure, a proposito del disprezzo della scomunica, che egli si trovava studente in S. Domenico di Napoli, quando il Campanella dimorava pure in questa città presso Mario del Tufo, e che venuto un giorno in S. Domenico il Campanella fu preso e tradotto nelle carceri del Nunzio, essendosi allora dato per motivo della carcerazione che aveva spiriti, ma essendosi poi saputo che ci erano altri motivi, e in ispecie che parlando della scomunica per coloro i quali estraevano libri dalla libreria avea detto, «come è questa scomunica, che, si mangia»? Nell'esame ripetitivo poi dichiarò, che avea cominciato a conoscere di vista il Campanella nel convento di Placanica, di cui esso Campanella era figlio, che in sèguito l'avea conosciuto in Napoli, quindi di nuovo l'avea visto in Calabria, essendosi più volte visitati, che non sapeva che avesse detto eresie, che altri aveano palesate più cose contro la fede da lui dette o fatte, le quali egli si diè a ripetere; che in Stilo passava per uomo onesto, che si era detto essere partito dalla Calabria coll'ebreo Abramo, ed avere la sua scienza per arte diabolica, ma egli non credeva questo, avendo conosciuto «che hà bello ingegno et hà studiato assai». Inoltre che si era detto «che esso si voleva fare nominare il Messia della verità», ma di questa, come di altre cose, si parlò dopo la carcerazione, e più di una volta fece notare tale circostanza, dicendo, «molte cose sono state dette subito che questi fratri furono presi, et non so come uscessero», (ben si vede che in fondo il Campanella non riusciva aggravato di troppo da tali deposizioni). – Quanto a fra Vincenzo, Lettore di Soriano, egli narrò la venuta di fra Dionisio e del Pizzoni in Soriano con lievissime differenze dal modo in cui l'avea narrata il Priore fra Giuseppe: soltanto aggiunse di più, che quando fra Dionisio andò momentaneamente ad Arena per condurre il Campanella a Soriano, il Campanella non volle venirvi; inoltre che veramente, 4 o 5 giorni dopo la dipartita di fra Dionisio, il Soldaniero gli disse che fra Dionisio era venuto a trattare della ribellione contro il Re, avendo molti Signori per lui, e gli disse pure che fra Dionisio non credeva a nulla, comunicandogli il fatto del pugno dato al crocifisso e il fatto osceno contro l'ostia perpetrato da fra Dionisio medesimo, cose «approbate da fra Dionisio come cose del Campanella». Negò assolutamente che il Soldaniero avesse comunicato al Priore i detti e fatti contro la fede, se non dopo un mese o dieci giorni in circa; e per quanto i Giudici avessero insistito con le loro dimande, negò che il Soldaniero avesse mai parlato di tali cose mentre fra Dionisio era in Soriano per farlo cacciare dal convento, come pure che avesse attribuite le eresie anche al Pizzoni, dichiarando che il Soldaniero «ben diceva, che frà Thomaso Campanella, frà Dionisio Pontio, frà Gio. Battista di Pizzoni, frà Silvestro di Lauriana, frà Pietro de Stilo, et frà Dominico di Stignano erano tutto una cosa insiemi, mà non mi parlò di heresie contra frà Gio. Battista predetto». (Si sarebbe tentati di credere che il Pizzoni, per essersi stretto a fra Dionisio e al Campanella, dovea dapprima venire spietatamente involto nel medesimo destino loro, ma avendo poi fatto il suo orribile voltafaccia, questi frati di Soriano, appartenenti alla fazione del Polistina, doveano oramai proteggerlo: intanto per fra Vincenzo il Campanella riusciva egli pure imputabile delle peggiori cose contro la fede, e il Soldaniero rimaneva per entrambi que' frati scoperto).

Mentre in Napoli si facevano questi esami, in Squillace nello stesso tempo, dall'8 agosto all'8 7bre, il Vescovo esauriva la sua Informazione supplementare, la quale riguardava interamente la persona del Campanella. Mediante i diaconi selvaggi della sua Corte citò ciascun teste a comparire personalmente innanzi a lui, sotto le solite gravi pene ecclesiastiche, in brevissimi termini: ed egli medesimo nel suo Palazzo, col suo Vicario Sir Agazio Colobraro e coll' Auditore Andrea Mantegna, procedè a quasi tutti gli esami184. – Eccone un sunto. Vespasiano Vosco dottore di Girifalco dichiarò, che dopo la carcerazione del Campanella udì nella piazza di Squillace dire pubblicamente che costui riteneva Cristo essere un semplice eremita e Maria Maddalena sua concubina. – Gio. Battista Rinaldis dottore di Guardavalle dichiarò di aver saputo dalla sua suocera Dianora Santaguida, vedova di Ottavio Carnevale, che fra Scipione Politi le aveva detto che il Campanella «per stratiare et burlare li patri cappoccini, mentre andavano in Chiesa, li dicia dove andati, ad adorare un appiccato». – Marcello Fonte di Stignano confermò di aver saputo da Geronimo padre del Campanella, che costui non volle predicare in Stilo dicendo di non voler fare l'officio di Cantimbanco. – Il Rev. Scipione Ciordo di Camini confermò di avere udito da alcune persone del suo paese che il Campanella diceva «che la buggera (la fornicazione) non era peccato». – Fabio Contestabile di Stilo confermò che gli era stato detto dal Campanella di pigliarsi spassi e piaceri quanto più poteva «che del resto è pensiero di chi è». – La Sig.ra Dianora Santaguida di S.ta Caterina (questa sola innanzi all'Auditore Mantegna espressamente inviato) dichiarò che da Luzio Paparo suo parente avea saputo di aver lui udito dire che il Campanella diceva, «non vi ca (int. non vedi che) adorano uno impiso»; dichiarò che non avea saputo questo fatto da fra Scipione Politi, poichè costui non era venuto in casa sua, ma nello studio di suo figlio, separato dalla casa sua; aggiunse che l'aveva poi comunicato a Marcello Contestabile suo nipote. – Marcello Contestabile di Guardavalle raccontò ne' seguenti termini un discorso avuto con sua zia la Sig.ra Santaguida, a tempo della persecuzione fatta da Carlo Spinelli e dall'Avvocato fiscale; essa disse, «o Marcello figlio mio, secondo si intende questo fra Thomaso che vene a S.to Nicola alli monaci è peccato non me e abrusciato, et io le disse S.ra zia che cosa passa, et la detta mi rispose dicendomi figlio mio io tremo de dirti questi paroli, et raggionandomi disse credi Marcello che uno homo da bene che sta sotto parte illoco, nominando il nome ma non mi si ricorda come lo nominò ma per quanto mi ricordo mi pare che lo chiamò mastro Jacopo, et disse che quello l'havea detto che lo detto fra thomaso solia venire in S.to Nicola monesterio de dominichini di detta terra, et illà con li monaci facia banchetti et dopo si faciano portare uno leuto et sonavano et detti monaci et altri seculari ballavano et che… (un luridume da non riportarsi)… et detta donna me lo dicia con gran modestia sugiungendo che lo detto pure li disse che lo detto fra Thomaso raggionando di Jesu Christo disse, dati credito ad uno che morio impiso, et di questa parola spaventati io et la detta mia zia dicendone Jesu Jesu Vergine maria mi levai» etc. – Jacopo Squillacioti di S.ta Caterina (il mastro Jacopo della Santaguida) negò assolutamente di aver mai saputo e detto alla Sig.ra il lurido fatto che la modesta e pia donna riferiva, e cosi pure qualche concetto eretico che il Campanella e suoi compagni avessero in qualunque modo espresso: unicamente attestò avere udito dire «che era venuto a S.to Nicola delli dominichini uno fra Thomaso, et diciano li genti di S.ta Catherina che non guardava hom' in faccia ma sempre si guardava la ungnia». – Fu questa l'Informazione supplementare di Squillace, dalla quale sicuramente non emerse nulla di nuovo, e se qualche aneddoto venne in luce, esso fu smentito sul nascere; può dirsi di più che rimase quasi sempre infruttuosa la ricerca della provenienza de' fatti in quistione, e sopratutto la ricerca delle persone presenti allorchè essi erano stati enunciati, oggetto principale dell'Informazione, per quanto dalle interrogazioni ivi registrate è lecito argomentare.

II. Possiamo ora occuparci del processo ripetitivo, per lo quale, come abbiamo fatto avvertire più sopra, la Corte fin dal 31 luglio 1600 aveva già emanati i suoi decreti. E gioverà innanzi tutto dire in che consistevano le ripetizioni, e in qual modo vi si procedeva secondo la giurisprudenza del tempo. Le ripetizioni concernevano essenzialmente i testimoni del fisco. Il Procuratore fiscale, che compariva in dati momenti senza assistere alle sedute della Corte, facendo lo spoglio degli esami raccolti compilava tanti Articoli, capi, o posizioni, esprimenti tanti fatti o detti incriminabili da' quali emergeva il delitto onde si intitolava la causa. Questi articoli egli redigeva ed esibiva per far constare chiaramente il delitto, e in ciascuno di essi poneva, offriva, e voleva e intendeva provare ciascun fatto o detto, ciò che per altro era stato ed era vero, pubblico, notorio, pubblica voce e fama, e però egli, il fiscale, protestava di non ritenersi costretto ad una prova superflua! Presentando gli articoli conditi di un simile noioso formulario, faceva istanza e chiedeva che si venisse alla ripetizione; e la Corte, veduti gli atti e l'istanza del fiscale, emanava un Decreto, col quale ordinava la consegna di una copia degli articoli all'imputato, e stabiliva un termine entro il quale l'imputato dovea formare e produrre gl'Interrogatorii da farsi a' testimoni del fisco sopra quegli articoli, ed anche dimandare un Avvocato e procuratore, dichiarando che in contrario si sarebbe proceduto alla ripetizione de' testimoni senza interrogatorii; per solito la Corte deputava pure fin d'allora, ex nunc prout ex tunc, un Avvocato e difensore di ufficio quando prevedeva che l'imputato non l'avrebbe chiesto da sè, ed infine ordinava di notificare ogni cosa all'imputato. Nello stesso giorno il Mastrodatti faceva la consegna degli articoli e la notificazione del termine con la deputazione dell'Avvocato, e ne redigeva un atto in presenza di quattro testimoni, ordinariamente carcerati e carcerieri. Quindi l'Avvocato presentava a nome dell'imputato gl'interrogatorii da rivolgersi a' testimoni contro gli articoli, e faceva istanza ed umilmente chiedeva che i testimoni prima di esaminarsi su ciascuno articolo rispondessero a quegl'interrogatorii, in contrario con riverenza protestava. Quest'interrogatorii erano preceduti rutinariamente da alcune ammonizioni che si doveano fare a ciascun testimonio, cioè, di essere obbligato a dire la pura e semplice verità, sotto pena di scomunica ed altre molte e gravi pene, di tener presente che si commetteva falsità non solo col proferire il falso ma anche col tacere il vero, e che commettendo, Dio non voglia, la falsità, era sempre tenuto a restituire la fama. E non meno rutinariamente esigevano che ciascun testimone dicesse il suo nome, cognome, padre, madre, patria, esercizio, a spese di chi vivesse, quanto possedesse, se fosse solito confessarsi e comunicarsi, e presso quale confessore e in quale chiesa e da quanto tempo l'avesse fatto, se fosse stato mai scomunicato, e da quanto tempo e per quale causa: e poi, se conoscesse l'imputato, da quanto tempo e per quale causa, se gli fosse amico o nemico e perchè, se ci avesse mai conversato intrinsecamente e quale opinione ne avesse circa le cose della fede; e poi, venendo a ciascuna imputazione, se avesse udito qualche volta parlare l'imputato del tale argomento e in che senso, e con quali parole, e in qual luogo, e in qual parte di quel luogo, e con quale occasione, e in presenza di chi, e quante volte, e in quale ora, giorno, mese ed anno, e se determinatamente o d'improvviso, e se con assenso o con dissenso del testimone, e in caso di dissenso, con quali parole questo fu espresso e quali risposte ebbe etc. etc. etc. Ci rimangono saggi d'interrogatorii che costituiscono veri monumenti di fecondità in sottigliezze, e sempre allo scopo di far trovare qualche contradizione ne' testimoni, o di stancare interroganti ed interrogati e prender tempo. Era poi anche in facoltà dell'Avvocato di aggiungere qualche speciale interrogatorio, oltre quelli calcati sugli articoli, e perfino d'indicare qualche persona speciale cui quell'interrogatorio aggiunto dovea rivolgersi: d'altra parte, è quasi superfluo il dirlo, i Giudici non mancavano quasi mai di rivolgere di tempo in tempo a ciascun testimone, oltre la detta doppia serie di dimande, qualche loro particolare dimanda d'ufficio.

178.Ved. Doc. 336 e 337, pag. 300 e 301.
179.Ved. Doc. 338, pag. 301.
180.Ved. la nostra Copia ms. de' proces. eccles. tom. 1.o fol. 130 e seg.ti
181.Pel D'Amico ved. la nostra Copia ms. de' processi tom. 1.o fol. 134 e 137; pel Polistina ved. Doc. 339 pag. 302.
182.Ved. Doc. 340, pag. 303.
183.Ved. Doc. 351 a 355, pag. 329 a 337.
184.Ved. la nostra Copia ms. de' proces. eccles. tom. 1o fol. 308 e seg.ti
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12+
Дата выхода на Литрес:
28 сентября 2017
Объем:
850 стр. 1 иллюстрация
Правообладатель:
Public Domain

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