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Читать книгу: «Fra Tommaso Campanella, Vol. 2», страница 12

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Si produsse allora un primo incidente tra' parecchi che in questa causa si verificarono. Fra Pietro Ponzio, sulla cui persona era stata fatta una ricerca di corrispondenze provocata dal Lauriana, si pose con tanto maggiore accanimento, egli e fra Dionisio, a sorvegliare il Lauriana e il Pizzoni, che tenevano corrispondenza tra loro. Il Lauriana trovavasi nella carcere da basso con più di venti individui, ed il Pizzoni stava in una delle carceri superiori con Gio. Angelo Marrapodi, Geronimo Conia e Marcantonio Stanganella: Aquilio Marrapodi, giovanetto quattordicenne, figlio di Gio. Angelo, serviva questi ultimi ed anche il Lauriana, fra Pietro e fra Dionisio, ed eludendo la vigilanza de' carcerieri portava le corrispondenze; un giorno fra Dionisio lo sorprese, gli tolse una lettera che teneva nascosta in petto, lettera senza firma e senza indirizzo, ma scritta certamente dal Lauriana al Pizzoni. Con essa il Lauriana diceva di avere inviate prima altre lettere, raccomandando di lacerarle, e di aver fatto capitare a fra Francesco da Tiriolo (che ricordiamo aver visto carcerato per la causa della congiura e già liberato) alcuni memoriali da doversi presentare; infine raccontava minutamente l'ultimo esame cui era stato sottoposto. La lettera fu mandata da fra Dionisio, mediante lo stesso Aquilio, a fra Pietro Ponzio, e da costui fu presentata al Vescovo di Termoli, qualificandola «un concetto importante pel progresso della presente causa»; immediatamente, il 26 maggio, il tribunale venne ad occuparsene166. Fu interrogato fra Pietro, che disse avere avuta la lettera da quel servitorello, e crederla scritta dal Lauriana al Pizzoni. Fu interrogato in genere il Lauriana, che negò ogni cosa. Fu interrogato Aquilio, che affermò di servire suo padre ed anche que' monaci pei quali comprava cose da mangiare; affermò di aver portato lettere di secolari alla posta ma non di monaci, aggiungendo con grande disinvoltura, «se si trova che habbia portato pur un viglietto di questi monaci, voglio che mi sia tagliata la testa». Gli fu presentata allora la lettera, dimandandogli se sapeva leggere e scrivere; ed egli disse di saper «legere quando la lettera è bona et un poco scrivere», ma affermò di non conoscere quella scrittura. I Giudici, per convincerlo, fecero subito venire fra Pietro, il quale gli ricordò che avea portato biglietti e lettere del Lauriana e del Pizzoni, e n'era stato rimproverato da lui ed anche da un altro carcerato, Cesare Bianco; ed Aquilio dovè confessare ogni cosa, e licenziato fra Pietro, richiesto perchè non avesse detto prima la verità, con non minore disinvoltura rispose che non se n'era ricordato, aggiungendo di aver portato un'altra volta al Pizzoni un biglietto che il Lauriana gli avea detto essere memoriale, che non credeva di essere stato veduto ma che Cesare Bianco l'avea realmente rimproverato; e dietro altre dimande rispose che il Pizzoni non potea scrivere (aveva la spalla offesa), ma che con lui stavano suo padre e il Conia e lo Stanganella, i quali sapevano scrivere. I Giudici vollero ancora interrogare Cesare Bianco, che era di Nicastro e trovavasi carcerato per la congiura, e costui confermò di aver visto il Lauriana dare il biglietto pel Pizzoni e di averne mosso rimprovero ad Aquilio: e fatto venire il Lauriana lo confrontarono con costui, ed egli giunse a dire, «Dio mi mandi alle pene dell'inferno se mai hò fatto tal cosa», e licenziato il Bianco e richiamato Aquilio, confrontarono il Lauriana anche con lui, e il Lauriana continuò sempre a negare, e rimasto solo e presentatagli la lettera, disse che non avea fatta tale scrittura, che essa non era di mano sua ed egli non avea comunicato il suo esame ad alcuno. Ma le notizie dell'esame erano precise, e potevano essere state date solo o dai componenti il tribunale, o da lui, che aveva in tal guisa tradito pure il segreto solito ad imporsi dal tribunale ad ognuno che si esaminava: rimase quindi ben provato che il Pizzoni e il Lauriana si concertavano tra loro, per esimersi dalla responsabilità che più o meno aveano comune con gli altri frati da loro accusati; erano perciò sospetti, ed anzi falsi, se non in quanto agli altri, certamente in quanto alle persone proprie.

Nella stessa seduta fu esaminato di nuovo il Pizzoni167; e prima di tutto gli si dimandò se avesse mai ricevuto lettere e memoriali dal Lauriana, ed egli rispose negativamente. Si volle allora che ripetesse le circostanze in cui il Campanella gli avea parlato delle profezie e delle rivoluzioni che dovevano accadere, e dicesse come e perchè fra Dionisio gli avea già parlato prima dell'eresie medesime ripetutegli in seguito dal Campanella, opponendo essere inverosimile che, mentre il Campanella indignato di non poter avere da lui fuorusciti a sua divozione aveva esclamato «ben mi fu detto da M.o Gio. Battista (Polistina) che tu sei un traditore», si era tuttavia lasciato andare a rivelargli tante eresie e tante empietà; inoltre gli si dimandò se conoscesse complici degli errori del Campanella e di fra Dionisio. Evidentemente si voleva cogliere il Pizzoni in qualche contraddizione, ma egli imperturbato ripetè le circostanze di que' discorsi, e l'occasione avutane dall'essere stati ricordati i travagli patiti in Roma dal Campanella, e le opere composte da lui; disse che la qualificazione di traditore, secondo l'avviso di M.o Gio. Battista di Polistina, gli fu data dal Campanella dopo i discorsi della ribellione e dell'eresia e non già prima; infine dichiarò di non conoscere complici.

Il 29 maggio si ritornò ad esaminare il Lauriana ed il Petrolo168. Al Lauriana si dimandò dapprima se si fosse risoluto a dire la verità sulla faccenda della lettera mandata al Pizzoni, ed egli rispose di averla detta la verità. Poi gli si dimandò una quantità di circostanze in cui avea dovuto udire le eresie del Campanella e di fra Dionisio, e se le avesse udite anche da altri, e come si fosse accorto che il Pizzoni vi partecipava, e se veramente fosse stato dal Pizzoni esortato a credere le eresie del Campanella, secondochè avea dichiarato nel primo esame sostenuto in Monteleone e ratificato in Gerace. Ed egli ripetè soltanto la scusa già data altra volta su quest'ultimo fatto, ma per tutto il resto disse sempre di non potersene rammentare, e si riportò costantemente al suo primo esame; «vedete llà ala mia esamina che llà lo trovareti». – Quanto al Petrolo, gli si dimandarono diversi chiarimenti sulle cose dette negli esami sostenuti in Calabria, e massime come e dove il Campanella dicesse le sue eresie a frati e secolari, come fosse egli venuto a conoscere la cifra che il Campanella e il Pizzoni adoperavano tra loro, come e dove ed a chi il Campanella esponesse le rivoluzioni che doveano accadere e le profezie che vi si riferivano, e quando ed a chi dicesse di voler predicare la libertà. E il Petrolo ripeteva le cose già deposte, conformando sempre che il Campanella non parlava di eresie agli altri così liberamente come faceva con lui, ma per motti e in diversi luoghi; che alla Roccella avea vista la cifra in una scrittura, la quale il Campanella gli disse essere una lettera del Pizzoni; che le profezie e le rivoluzioni erano state esposte dal Campanella dapprima nella Chiesa di Stilo, predicando all'altare sopra una sedia, ed a lui solamente il Campanella avea detto, «par che queste profezie parlino di me»; infine che non ricordava dove, e quando, e con chi il Campanella avesse detto voler predicare la libertà.

Continuarono gli esami nel giugno seguente, e in essi potè intervenire il Nunzio, essendo tornato in Napoli dalla sua Chiesa di Troia; ma dopo quattro sole sedute egli mandò di nuovo in sua vece l'Auditore Antonio Peri, che lo sostituì per tutto il rimanente dell'anno, sicchè nella più gran parte del processo offensivo, in tutto il ripetitivo, ed anche in quasi tutto il difensivo, il Nunzio non assistè menomamente. Dal suo Carteggio rilevasi che in questo ritorno da Troia egli potè vedere quale fosse la sicurezza delle strade, ed essere informato sopra i luoghi intorno alle criminose relazioni tra banditi ed ecclesiastici: non sarà inutile riportare qui un brano di lettera da lui scritta al Card.l S. Giorgio su tale argomento, poichè interessa conoscere pienamente i tempi e farsi un concetto giusto di quella abominevole miscela di frati, clerici e banditi, la quale non era propria della Calabria a' tempi del Campanella, ma comune a tutto il Regno anzi a tutto il mondo che diceasi civile, venendo dalle autorità ecclesiastiche riguardata in un modo per lo meno singolare169. «Le replicarò che quanto alla ricettatione de' banditi et al commercio che tengono con loro molti Clerici, et tutti i religiosi che stanno in certi Conventi, dove per il poco numero non si osserva regola alcuna, è necessario provedervi in qualche modo acciò non segua così spesso che le Chiese et i Conventi sieno violate da questi Ministri Regii (ecco il vero e proprio inconveniente agli occhi del Nunzio), che gridono alle stelle che dette Chiese et Conventi sieno ricetto di tristi et d'assassini come riscontro pur troppo vero, et al ritorno di Troia è bisognato che mi proveda di chi mi assicuri la strada, poichè la sera che arrivai ad Ariano intesi che poco avanti erano stati rubati due mercanti Raugei et menati via da una truppa di Banditi per farne ricatti, onde scrissi al Vicerè della Provincia che è il Conte del Sacco, il quale non solo mi mandò 20 Archibusieri ma venne ancora lui su la strada per aboccarsi con me, et mi fece gran querela di quanto hò detto, con soggiugnere che fra gli altri certi Monaci di M.te Vergine che stanno à S. Guglielmo, luogo in quelle campagne170, non solo raccettano, ma partecipano i loro furti, portano ambasciate fra di loro, et sono mezi alli ricatti» etc. etc. – Continuarono dunque gli esami coll'intervento del Nunzio, e il 7 giugno si udì per la 3a volta il Pizzoni, rimanendo dal suo esame occupata l'intera seduta171. Diremo in breve che, sempre dietro dimande, egli dichiarò di avere udito una volta sola parlare di eresie e di ribellione tanto il Campanella quanto fra Dionisio; e redarguito, perchè nel primo esame avea detto di avere udito eresie dal Campanella in Stilo ed in Pizzoni, dichiarò che in Gerace non gli era stato letto il primo esame, e che il processo del Visitatore conteneva falsità. Addusse un altro motivo della sua andata a Stilo, un pagamento che dovea fare ad un frate, e ne fu redarguito da' Giudici. Narrò la sua andata a Stilo, seguita dall'altra ad Arena, insieme col Campanella accompagnato da' parenti armati. Disse di aver conosciuto già prima il Soldaniero, capo di banditi, che gli avea mandato una lettera minatoria, e di averlo poi visto passeggiare col Visitatore e fra Cornelio nel convento di Soriano il 28 agosto, ma di non sapere se egli fosse informato delle eresie del Campanella, sapere bensì che avea parlato con fra Dionisio; e redarguito, perchè nel primo esame avea detto che il Soldaniero era informato di tutto, dichiarò che fra Cornelio lo scrisse di sua volontà e poi non glie lo lesse. Negò di avere usato mai cifre col Campanella; confermò di avere scritto al P.e Generale e di aver dettata la lettera al Lauriana; stretto dalle dimande dovè negare che il Campanella e fra Dionisio gli avessero in Pizzoni parlato di eresie alla presenza d'altri, e dichiarare che fra Dionisio non si trovò mai in Pizzoni in compagnia del Campanella (dovè quindi dare una grave smentita al Lauriana). Accettò di avere ordinato al Lauriana che suonasse le campane all'armi nel tempo della loro cattura, ma aggiunse di averglielo subito vietato quando seppe che trattavasi della venuta de' soldati del Battaglione. Confermò di aver prima parlato al Visitatore delle eresie udite, notando che vi era andato egli solo: ma i Giudici gli obiettarono che se avesse davvero parlato prima al Visitatore di quelle eresie estragiudizialmente, non gli sarebbe stato possibile il volerle poi occultare, quando fu tratto in giudizio innanzi al medesimo Visitatore; ed egli si scusò adducendo il terrore avuto perchè ognuno gli annunciava la morte, l'essergli stato quindi necessario che il Visitatore e fra Cornelio gli ricordassero ogni cosa con una nota scritta che tenevano nelle mani, aggiungendo pure che aveva fin d'allora avuto minacce dal Campanella per mezzo di Gio. Tommaso Caccia. Nè dopo tutto questo i Giudici ritennero esaurito l'esame del Pizzoni.

Il 17 giugno furono esaminati nuovamente il Lauriana, il Petrolo, fra Pietro di Stilo; il 20 giugno fu esaminato per la 4a volta il Pizzoni. Stretto dalle dimande, il Lauriana confermò che quando il Campanella si fece a parlare di eresie c'era anche fra Dionisio oltre il Pizzoni (ed in ciò per lo meno la memoria non l'assisteva bene). Citò due occasioni per le quali il Campanella avea manifestato eresie: l'una, l'essere stata condotta dal Casale di Vazzano a Pizzoni una donna spiritata, e il Campanella la giudicò pazza, e nel dopo pranzo disse, «mi portano innanzi queste donne spiritate e matte, et io non tengo che ci siano ne spiriti, ne diaboli, ne inferno, e ne paradiso»; l'altra, l'avere il Campanella letto un capitolo di Plinio in cui parlavasi della natura, onde disse che Dio era la natura con tutte le altre proposizioni altra volta deposte (singolare raffronto con ciò che avea pure già dichiarato il Caccia, ma attribuendolo al Pizzoni). Disse che fra Dionisio gli avea solamente parlato contro l'eucaristia, ma presente il Campanella e il Pizzoni; e che il Pizzoni non avea mostrato di credere all'eresie, ma di approvare alcune opinioni scritte dal Campanella in un suo libro, aggiungendo che in quel libro trattavasi di opinioni contro S. Tommaso. – Il Petrolo poi dovè rispondere ancora una volta intorno a' complici del Campanella; e continuò a dire che non ne conosceva, e che il Campanella non avea manifestato mai eresie formali in presenza di altri, sibbene si esprimeva per motti, de' quali fornì qualche esempio. – Infine fra Pietro di Stilo dovè dare chiarimenti intorno a ciò che il Campanella avea detto della elezione del Papa e de' miracoli; e fattosi leggere il primo esame cercò di attenuarne la misura, dolendosi anche di fra Cornelio che scriveva troppo diffusamente, ma conchiuse che confermava quanto nell'esame trovavasi scritto. – Ben più lungo fu l'esame del Pizzoni, che di nuovo occupò l'intera seduta. Sempre dietro dimande, dovè dichiarare in qual luogo fosse stato ammalato negli ultimi tre anni, e se in Stilo (che egli aveva taciuto nella sua rassegna) avesse avuto stanza anche il Campanella al tempo della sua malattia. Dovè dichiarare di nuovo se in Pizzoni, quando il Campanella parlò di eresie, fosse stato presente fra Dionisio; e dettogli che un testimone suo amico affermava che fra Dionisio c'era, fu costretto a smentirlo definitivamente, dicendo che quel testimone (il Lauriana) sapeva di tali cose quanto il muro della stanza, che quel testimone, alla presenza di quasi tutti i frati ed altri secolari, aveva in Monteleone confessato che non sapeva addirittura nulla nè di ribellione nè di cose di eresia, e che avea parlato per paura e per subornazione del Visitatore, di fra Cornelio ed anche di D. Carlo Ruffo, con la speranza di essere subito liberato anzi premiato, e la paura era stata tale che avrebbe deposto perfino contro suo padre; che quanto avea deposto eragli noto solamente per la lettera al P.e Generale scritta di sua mano sotto la dettatura di esso Pizzoni. Intorno a tutte le altre citazioni di deposizioni testimoniali contrarie (riferibili segnatamente al Caccìa, senza che il nome di lui fosse pronunziato), egli dichiarò che doveano provenire da persone infami e bugiarde, o inimiche, o sedotte, ovvero anche da falsità di scrittura, dando per sospetto il Visitatore e fra Cornelio, ed affermando che in Monteleone il Pisano e il Caccìa se n'erano lamentati con gli altri prigioni, perchè gli aveano carpiti 100 scudi per uno ed altri donativi, con la promessa di sottrarli alla Corte secolare, e così gli aveano fatto dire quello che aveano voluto; inoltre il Caccìa avea dimandato perdono ad esso Pizzoni, per aver deposto dietro insinuazione di que' due frati, che gli dicevano essersi avute deposizioni del Pizzoni contro di lui, e poi anche dietro gli atroci tormenti sofferti mentre era travagliato dalla febbre. Negò di nuovo la cifra; confermò che il Lauriana gli avea detto essere rimasto scandalizzato, perchè il Campanella in una predica in Stilo aveva esclamato, «oh si mi fusse lecito estendermi in questa materia», parlando del governo de' Principi e Prelati, non già di eresia; infine ripudiò ad una ad una tutte le eresie che gli erano state addebitate.

L'indomani, 21 giugno, fu esaminato di nuovo il Bitonto, e poi, per la prima volta, fra Dionisio172. Il Bitonto dovè dar conto di ciascuno di que' molti fatti che avea deposti il Pisano, e che direttamente o indirettamente lo riguardavano (senza che il nome del Pisano fosse mai pronunziato): ed egli rispose costantemente «non ho mai inteso tal cosa», qualche volta anche «l'ho inteso da che son qua carcerato», ovvero «l'ho inteso quando so stato esaminato dalli giudici et in particolare in hierace», aggiungendo che quivi fu esaminato dal Vescovo e dal Visitatore, essendo presente anche Carlo Spinelli; e conchiuse che tutte quelle cose avevano dovuto esser deposte da qualche infame o nemico suo. – Si passò quindi a fra Dionisio. Costui, sempre dietro dimande, disse di aver saputo dal Sances e dal carceriere che era stato imputato in cose di S.to Officio insieme col Campanella, e negò con la più grande energia di aver peccato nella fede. Diè una lunga lista de' suoi nemici, a cominciare da' Polistina e dagl'inquisiti per la morte dello zio M.o Pietro, e venendo sino a fra Pietro di Stilo che disse creatura del Polistina, al Pizzoni finto amico nelle sue liti col Polistina e ladro di molti suoi scritti predicabili onde dovè infamarlo, al Lauriana partecipe del furto degli scritti ed incaricato della vendita di essi, oltrechè legato in nefande relazioni col nipote del Pizzoni, fra Fabio, e col Pizzoni medesimo, onde dovè scacciarlo dal convento di Nicastro dove esso fra Dionisio trovavasi Priore. Negò di aver mai trattato con qualche ebreo in Cosenza, dichiarando spontaneamente che a tempo di quell'ebreo, allorchè venne eletto il P.e Generale Beccaria (cioè nel 1588), egli trovavasi in Napoli, nel convento di S.ta Caterina a formello, e che seppe in Napoli da una lettera di suo zio M.o Pietro avere il Campanella avuto conversazione con quell'ebreo di cattiva fama in Cosenza, essere fuggito in compagnia di lui da Calabria ed avere arrecato questa fuga grande scandalo, onde gl'ingiungeva di non avere più relazione col Campanella; dichiarò anche, dietro dimande, di non avere mai più avuta notizia di quell'ebreo, nè occasione di parlare col Campanella, che non vide più per 7 od 8 anni dopo quel tempo. Negò assolutamente di avere mai avuto scandalo dal Campanella per cose di fede, mentre pure avea cercato di chiarirsene, poichè dicevasi che avea diavoli, comandava diavoli e credeva poco: aggiunse di aver saputo da lui che era stato inquisito nel S.to Officio per un Sonetto bruttissimo contro la fede e contro Cristo, quale Sonetto gli recitò, che l'accusatore era stato condannato in galera ed esso Campanella liberato senza abiura, non avendo mai voluto accettare di avere abiurato, mentre di poi in Napoli ebbe a sapere che l'abiura c'era stata (onde dovrebbe dirsi che pure tra loro amici intimi si manteneva l'equivoco, confondendo l'esito di processi diversi). Tale fu la prima deposizione di fra Dionisio, che egli non potè sottoscrivere per la tortura avuta nel tribunale della congiura, e che crocesegnò tenendo la penna stretta tra' denti.

Fu poi fra Dionisio esaminato di nuovo tre altre volte successivamente, il 20 e 28 giugno, ed il 13 luglio, continuando sempre ad intervenire agli esami non il Nunzio, ma l'Auditore di lui Antonio Peri. Il 26 giugno fra Dionisio cominciò dal dire spontaneamente che avea ricevute dal Lauriana due lettere, con le quali gli narrava l'esame sostenuto in Calabria e gli chiedeva perdono, avendolo a torto accusato di proposizioni eretiche contro l'eucaristia, a suggestione del Pizzoni e per uscire dalle mani de' secolari; che queste lettere gli erano state tolte da' carcerieri, ed egli riteneva dovessero trovarsi nell'altro processo; che da esse rilevavasi essere stato deposto dal Lauriana di avere udite le eresie in un discorso tenuto dal Campanella in Pizzoni con lui, fra Dionisio, e con fra Gio. Battista di Pizzoni, e tale fatto era la più grande menzogna, non essendosi lui fra Dionisio mai trovato in Pizzoni contemporaneamente al Campanella (il fatto era fondamentale, e il vederlo a notizia di fra Dionisio mostrava che le lettere c'erano state, salva la quistione di sapere se in esse si parlava realmente di accuse ingiuste e di domanda di perdono). Narrò poi, interrogato, le circostanze della sua cattura e di quanto gli era avvenuto ne' giorni consecutivi (ciò che fu da noi esposto a suo tempo). Fornì spiegazioni sulla sua lettera trovata presso fra Vincenzo Rodino, sulla sua conoscenza col Pisano, sull'andata con costui a Messina e sull'andata successiva col Campanella e col Bitonto a Castelvetere, dove il Pisano trovavasi carcerato pel furto di una giumenta del Principe, riconoscendo di aver voluto aiutarne la liberazione, ma semplicemente per l'onore della famiglia di esso. Fornì spiegazioni sul fatto dell'inglese che in Roma avea dato un pugno all'ostia consacrata, dicendo di averlo veramente narrato perfino dal pulpito «etiam cum lachrimis», per dimostrare la gran bontà e tolleranza di Dio: dichiarò di non aver mai conosciuto l'avvenimento del prete annegatosi con l'ostia, e ripudiò assolutamente il fatto osceno commesso con l'ostia, facendone rilevare l'inverosimiglianza. Infine negò di aver mai parlato in dispregio dell'eucaristia, e disse che le precise parole, con le quali gli si faceva tale dimanda, si trovavano nelle lettere del Lauriana (altra prova che tali lettere c'erano state); notando che in Pizzoni egli non potea dire tali cose, poichè c'erano soltanto suoi nemici e un vigliacco fuoruscito (certamente il Caccìa), il quale poi si disdisse nell'atto di essere giustiziato. – Il 28 giugno, esaminato per la 3a volta, fra Dionisio negò ad una ad una tutte le eresie e tutte le accuse che gli erano state apposte (dal Soldaniero, dal Lauriana, dal Pisano etc.) e che i Giudici gli vennero successivamente formolando, non senza dare qualche spiegazione in sua difesa. Così, a proposito del pugno da lui dato a un'immagine del crocifisso in Soriano, dichiarò che il Priore e Lettore di quel convento erano suoi nemici, che vi si trovava anche un gran fuoruscito a nome Giulio Soldaniero stato per tutta la quaresima in relazione con fra Gio. Battista di Polistina, ed egli avea temuto di essere ucciso o almeno bastonato da lui, e gli avea parlato sempre in pubblico. A proposito di altre eresie che si era deposto aver lui udite dal Campanella e lodate ed insinuate ad altri, dichiarò che il Petrolo, già da circa un mese, passando innanzi alla sua prigione si era avvicinato alla finestrina di essa e gli avea dimandato perdono, facendogli sapere che avea deposto essere stato detto dal Campanella, in presenza di lui fra Dionisio, che non c'era purgatorio nè inferno; onde temeva che questo potesse nuocergli, sebbene avesse pure aggiunto alla deposizione che il Campanella prima diceva le eresie a lui e poi le diceva anche agli altri, ma in modo che esso Petrolo non sapeva se gli altri le intendessero (e questo mostrava che veramente il Petrolo avea dovuto parlargliene). Infine negò di aver mai saputo che il Campanella si fosse proposto di predicare, e che egli medesimo dovesse predicare contro la Chiesa. – Il 13 luglio, esaminato per la 4a volta, dovè dar conto di altre eresie ed accuse, sulle quali non era stato ancora interrogato (quelle deposte da Maurizio per propria scienza o per detto del Vitale, come pure quelle raccolte nel processo di Squillace). Ed egli negò egualmente ogni cosa; ed a proposito del fatto dell'ostia che pretendevasi avere una volta consacrata e poi gettata a terra, disse di aver saputo da Maurizio, nel venire a Napoli, che tale fatto era stato deposto da Gio. Battista Vitale «credendosi schifare la morte almeno per alcuno giorno», e fece rilevare che il Vitale prima di essere squartato avea revocata quella deposizione (c'era quindi stato ad ogni modo un colloquio con Maurizio su tale fatto, salva rimanendo la quistione di sapere se Maurizio avesse realmente attribuito il motivo suddetto alla deposizione, ed anzi se vi fosse stata realmente una deposizione del fatto innanzi a' Giudici da parte del Vitale). Potè poi questa volta dopo cinque mesi, stando meglio co' suoi polsi, sottoscrivere il processo verbale dell'esame sostenuto.

Dobbiamo aggiungere che nella seduta medesima fu esaminato ancora Giulio Contestabile, qualificato non solo teste, ma anche principale, senza dubbio per avere troppo conversato col Campanella173. Egli disse di conoscere il Campanella e fra Dionisio, e di stimarli uomini tristi mentre erano inquisiti di cose triste; disse di sapere che il Campanella ora stato già prima processato per eresia, ma non sapere altro, e di avere due volte sole parlato col Campanella in Stilo, in casa sua, per la conchiusione della pace tra la famiglia sua e quella de' Carnevali; ma Geronimo suo fratello scrisse da Napoli che non volea si trattasse con persona già processata per eresia, ed avendo lui divulgata la lettera, il Campanella gli divenne nemico. Dichiarò di non aver mai udito il Campanella parlare di Cristo nè di Mosè, e fece rilevare che in Stilo c'era un altro Giulio Contestabile figlio di Lucio, Maestro della confraternita del Rosario e perciò molto assiduo nel convento dei Domenicani (il fatto era vero174, ma rappresentava una scusa grossolana).

Il 1o luglio fu interrogato Giulio Soldaniero, testimone importante, che si dovè far venire dalla Provincia. Il Carteggio del Nunzio ci mostra che egli non trovavasi più in Calabria, ma in terra d'Otranto, e che lo si fece venire per mezzo del Vescovo di Nardò; parrebbe pure dall'esame suo che fosse stato tenuto in prigione fin dal marzo, sicuramente ad istanza del S.to Officio. Lo stesso Carteggio ci mostra che appunto per lui la trattazione della causa soffrì un ritardo nelle prime settimane di luglio; poichè alla sua venuta era stato rinchiuso in Castel dell'ovo, e quando si volle esaminarlo, si trovò il solito intoppo del non esserci ordine alcuno del Vicerè, onde il Nunzio ebbe a fare istanza che o si desse quest'ordine o si conducesse il prigione in Castel nuovo175. Vedremo in sèguito che si fece venire anche il suo fido Valerio Bruno, ed entrambi furono rinchiusi in Castel nuovo insieme co' frati inquisiti. Il Soldaniero, dietro dimande, disse che era stato esaminato da fra Cornelio, e successivamente dal Vescovo di Gerace, dopo di aver mandato il Priore di Soriano al Visitatore per rivelare le cose dettegli da fra Dionisio; e ripetè talune di queste cose, affermando che quando vennero dette o fatte, era presente e consenziente il Pizzoni, e tutto proveniva dal Campanella. Invitato ad esporre ciò che fra Dionisio gli avea detto di provenienza del Campanella, non seppe dire più nulla e si richiamò all'esame precedente, poichè non se ne poteva ricordare. Aggiunse di aver visto in sèguito fra Pietro di Stilo, che gli raccomandò di non dir nulla di quanto gli avea detto fra Dionisio, ma egli già avea raccontato tutto al Priore e Lettore di Soriano: non potè ricordarsi se fra Pietro gli avesse parlato di eresie, ma negò di aver ricevuto lettere del Campanella. Disse che avea raccontato pure ogni cosa a fra Domenico e fra Gio. Battista di Polistina e costoro se ne maravigliarono, che vide fra Dionisio una sola volta (prima avea detto due volte), e parlò al Priore ed al Lettore perchè lo cacciassero dal convento176.

Ma il fatto più importante della seduta del 18 luglio fu il tormento della corda dato al Campanella per un'ora, fatto ricordato poi da lui medesimo nella sua Narrazione, là dove dice: «el Campanella sendo impazzito hebbe un'hora di corda, e restò per pazzo quando era il Tragagliola». Già fin dal 12 maggio, dietro la richiesta del vescovo di Termoli, il Card.l di S.ta Severina avea scritto: «quanto al particolare che ella avvisa, che fra Tomaso Campanella si finge pazzo, et non vuol giurare ne rispondere à quello, che se gli domanda, le dico che S. S.tà rimette all'arbitrio di Monsignor Nuntio e di V. S., e del Generale Vicario Archiepiscopale di dargli la corda per havere da lui la precisa risposta, con avvertire di non interrogarlo de' capi del negotio principale per non debilitare le ragioni del Fisco». Adunque, dopo il Soldaniero, venne introdotto il Campanella177, e questa volta egli toccò il libro su cui fu invitato a giurare, ma fin dalla prima dimanda che gli venne diretta rispose in modo strano ed incoerente. «Volsero pigliare fratimo, et poi si concitorno tutti contra di me, et mi hanno spogliato, et mi ritrovo in questo modo, et hò fatto tanti libri, et poi me li hanno cambiati» etc. Era sempre vestito da secolare, col suo cappello nero tra mano, e diceva: «questo cappello è tutto stracciato, et tutte queste veste che hò sopra sono stracciate»; e volle coprirsi il capo ma l'aguzzino glie lo scoprì, onde egli si rizzò contro l'aguzzino dicendo, «guarda costui che mi vuol levare il cappello», e soggiunse «bisogna che venghi il Papa et sbroglia queste cose» etc. Fu quindi fatto condurre alla stanza del tormento e là venne spogliato e ligato alla corda, con le proteste che il S.ta Severina avea raccomandate: ed elevato in alto cominciò a dire «hoimè che moro, ah traditori, figlioli di cornuti, bagascie, mi hanno ammazzato, madonna santissima aiutami». Rinunziamo a continuare questa atroce rassegna di dolori, che d'altronde i lettori troveranno nel relativo Documento: solo diremo che il povero Campanella, talvolta furioso, talvolta abbattuto, ingiuriava o invece blandiva chiedendo pietà, e spesso invocava il Papa o a lui si appellava, nota dominante per tutto il tempo della sua pazzia; allorchè si rivolse a qualcuno de' Giudici in particolare, per muoverlo a misericordia, si rivolse sempre al «frate», cioè al Vescovo di Termoli. Tra le svariate dimande fattegli vanno notate le seguenti: quanto tempo fu carcerato in Roma, se era stato visitato da qualche medico nelle carceri, come si chiamava il Commissario del S.to Officio in Roma al tempo in cui fu carcerato, ed anche, con ludibrio indegno, cosa avrebbe avuto di buono a pranzo, e dopo di avergli due volte minacciato il polledro, che dimandasse qualche grazia. E il Campanella, obbligato allora appunto a soddisfare a' suoi bisogni naturali stando sospeso alla corda, replicò all'ultima domanda che lo lasciassero… fare; nè rispose mai a proposito, e tra' diversi suoi detti incoerenti nominò il Marchese d'Arena, dicendo che «se havesse fatto (sic), non pateria questo», nominò Paolo Campanella, che avea disegnato una figura di S. Rocco, nominò Cicco Vono, qualificandolo suo nemico. Infine, scorsa un'ora, venne definitivamente deposto e sciolto, e secondo l'uso gli aguzzini gli ricomposero le braccia, quindi lo rivestirono e lo ricondussero nella sua carcere.

166.Ved. Doc. 322 a 326, pag. 274 a 277.
167.Ved. Doc. 327, pag. 279.
168.Ved. la nostra copia ms. de' processi eccles. tom. 1.o fol. 96-1/2.
169.Ved. Lett. del Nunzio del 16 giugno 1600 filz. 230.
170.Cioè al Monastero di Monte Vergine propriamente detto, sul monte Partenio presso Avellino. Chi scrive questa narrazione serba dolorosissimi ricordi familiari di fatti dello stesso genere, avvenuti in questi nostri tempi sul detto monte.
171.Ved. la nostra Copia ms. de' processi eccles. tom. 1.o fol. 98-1/2; così pure per gli esami seguenti.
172.Ved. Doc. 332, pag. 284; quivi anche gli esami seguenti di fra Dionisio.
173.Ved. Doc. 333, pag. 295.
174.Nella Numerazione de' fuochi di Stilo (vol. 1385 della collez.) fasc. dell'anno 1636, l'elenco «veteris numerationis (1596) per comprobationem», oltre Giulio figlio di Paulo Contestabile di an. 26 sotto il n.o 200, reca anche: «n.o 256, Giulio Contestabile a. 35, Caterina uxor an. 20, Lucretia filia a. 2». Ne' Registri Partium vol. 1390 fol. 28 (an. 1596) si trova «Giulio Contestabile de Theseo»; invece nel processo leggesi «di Lucio».
175.Ved. Let. del Nunzio al Vescovo di Nardò, del 28 giugno, e Let. del Nunzio al Vicerè del 4 luglio; Doc. 103 e 104, pag. 67.
176.Ved. Doc. 334, pag. 296.
177.Per la lettera del S.ta Severina ved. Doc. già cit.to 330, pag. 284. Per l'atto del tormento del Campanella ved. Doc. 335, pag. 298.
Возрастное ограничение:
12+
Дата выхода на Литрес:
28 сентября 2017
Объем:
850 стр. 1 иллюстрация
Правообладатель:
Public Domain

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