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CAPITOLO TREDICI

Sofia camminava accanto a Sebastian, addentrandosi sempre più nel palazzo insieme a lui. Trovò la propria mano a scivolare nella sua mentre avanzavano, le proprie dita delicate che si intrecciavano alle sue, molto più forti. Non avrebbe mai pensato che un così semplice momento di contatto umano potesse sembrare così importante.

“Perché hai accettato di danzare con me?” chiese Sofia.

Sebastian la guardò come se non avesse capito. “Mi sembri sorpresa.”

“Non dovrei esserlo?” gli disse lei inclinando la testa. “Intendo dire, non sono nessuno, davvero. E tu sei… beh, sei tu.”

Forse quell’affermazione la portava vicino alla realtà più di quanto Sofia avrebbe dovuto osare, ma in quel momento le risultava difficile trattenersi dal non dire tutto. Sarebbe dovuto andare al ballo con l’intenzione di fare una cosa del genere, ma il pensiero di poter avere successo con qualcuno di gentile e buono e bello come Sebastian era molto più di quanto avrebbe mai potuto sperare.

È più spettacolare di chiunque altra abbia mai conosciuto, e si sta pure chiedendo perché ho voluto ballare con lei?

Sofia sorrise cogliendo quel pensiero, anche se non disse nulla. Immaginava che niente avrebbe rovinato l’umore così rapidamente come far sapere a Sebastian chi lei fosse veramente.

“Sono solo contento che tu abbia accettato di ballare con me,” disse Sebastian, come se non fosse un principe, né un bel ragazzo, né niente di tutti ciò che Sofia potesse immaginare desiderabile. Davvero non lo sapeva? No, Sofia poteva vedere che non lo sapeva, e questo in un certo modo lo rendeva ancora più desiderabile.

Sofia era andata lì con l’intenzione di sedurre qualcuno, ma ora stava iniziando a pensare che quelle cose colpissero entrambi i poli.

Quel pensiero portava con sé un senso di nervosismo che Sofia non si era aspettata di provare, neanche mentre guardava Sebastian immaginando il gioco di muscoli sotto ai suoi abiti. Si sentiva anche un po’ in colpa, perché tutto ciò che lei era in quel momento era una bugia, e per tutto quello che era andata lì a fare.

Le sembrava così cinico adesso, andare a corte a catturare le attenzioni di un qualche riccone, o entrare nelle grazie di qualche nobile amica. Confronto a come si stava sentendo adesso, tutto questo le appariva misero e dozzinale.

“A cosa stai pensando?” le chiese Sebastian, allungando una mano e accarezzandole il volto. Sofia ebbe un breve momento per pensare che doveva essere strano, vivere la propria vita dovendo chiederlo. Ma per lo più pensò che la sua pelle fosse perfetta contro la sua.

“Solo che ancora non riesco bene a credere che questo stia accadendo,” disse Sofia. “Intendo dire… non ho niente. Non sono niente.”

Vide Sebastian scuotere la testa. “Non dirlo neanche. La guerra ti avrà anche portato via la casa, ma sei sempre… sei fantastica, Sofia. Ti ho vista alla festa, e sembrava che tu fossi il sole in mezzo a fioche stelle.”

“Non era tuo fratello che doveva fare il sole?” scherzò Sofia, ma poi mise una mano su braccio di Sebastian per fermarlo prima che rispondesse. In parte perché non voleva toccare quell’argomento, e in parte perché sentiva che neanche Sebastian voleva. “No. Non farlo. Non voglio parlare del principe Rupert. Preferisco sentire di te.”

Sebastian allora si mise a ridere. “Normalmente è il contrario. Per il numero di volte che ho avuto donne che mi ronzavano attorno solo perché volevano arrivare più vicine a mio fratello, avresti detto che ero il suo paggetto o procuratore.”

Sofia poté sentire la nota di amarezza nella sua voce. Immaginò che fosse difficile essere il fratello a cui nessuno prestava attenzione. Continuarono a camminare lungo i corridoi decorati da pannelli di legno e trofei di caccia, ogni nicchia arricchita da arazzi e dipinti che facevano venire a Sofia voglia di fermarsi a guardare la loro qualità di opere d’arte.

“Mi risulta difficile credere che le donne ti ignorino,” disse Sofia. “Sono cieche?”

Forse era troppo, ma in quel momento non riusciva a farne a meno.

“Ce ne sono alcune,” ammise Sebastian. “A volte mi si stringono attorno, e le vedo che programmano chi farà la prossima mossa.”

“Milady d’Angelica?” chiese Sofia.

Questo portò un sorriso. “Tra le altre.”

Sofia allora non poté trattenersi. “È molto bella. E mi hanno detto che abbia gran gusto nei vestiti.”

Questo le guadagnò una piccola occhiata di stupore, che però presto scomparve.

“Immagino di cercare più di questo,” disse Sebastian. “E… beh, ho la sensazione che vogliano incastrarmi in un matrimonio. Voglio essere più per qualcuno che il mero oggetto di un gioco.”

Il senso di colpa provato prima allora lampeggiò nuovamente in Sofia, perché a modo suo lei era cattiva proprio come le altre. Beh, magari non cattiva come una ragazza che aveva avuto in programma di drogare Sebastian e approfittare della situazione, ma di certo non era onesta con lui.

“Vorrei poter dire che le mie intenzioni erano completamente pure,” disse Sofia. Non avrebbe dovuto mettere in guardia il principe, ma in quel momento si sentiva come se glielo dovesse. Poteva vedere che genere di uomo lui fosse. Esattamente il tipo di cortesia e onestà che lo rendeva attraente per lei e che significava farla sentire come se non avesse dovuto per niente comportarsi a quel modo. “Vorrei che questo accadesse solo perché mi sei piaciuto.”

“Ma ti piaccio?” disse Sebastian.

Non c’era nessun altro in giro in quel momento, quindi Sofia si concesse di fare quello che aveva voluto fare fin dal ballo, e lo baciò.

Fu una strana esperienza. L’unica volta che era successo nell’orfanotrofio era stato quando un ragazzo più grande l’aveva spinta contro un muro, premendo la propria bocca contro la sua fino a che le suore non erano arrivate. Sofia era stata picchiata, come se avesse avuto scelta a proposito. Era stato breve, rude e disgustoso.

Questo bacio era qualcosa di completamente diverso. Sebastian si rivelò essere un baciatore delicato e la sua bocca incontrò quella di Sofia in quella che parve l’unione perfetta di due metà in un intero. Sofia poté sentire la preoccupazione in lui: non voleva distaccarsi da lei e anzi desiderava baciarla più a fondo. Lei gli strinse le braccia attorno al corpo, incoraggiandolo, e per un momento o due Sofia si lasciò trasportare da quell’attimo.

“Spero che questo risponda alla tua domanda,” disse Sofia. “Io solo…”

“Che sei senza casa, e hai bisogno di fare quello che serve a una nobildonna per sopravvivere?” suggerì Sebastian. “Capisco, Sofia. Guardiamo le cose in faccia, Sofia. La maggior parte delle ragazze là dentro non sarebbero state oneste la metà.”

Probabilmente no, immaginò Sofia, ma in quel momento non voleva che Sebastian pensasse alle altre ragazze che c’erano state nella sala da ballo.

“Tutto bene allora?” chiese. Non aveva pensato che sarebbe stata così dura portarsi a sedurre qualcuno. Magari sarebbe dovuta andare con qualcun altro. Qualcuno con cui non si sarebbe sentita così in colpa nel fare una cosa del genere.

La verità era che Sofia non voleva nessun altro.

“Direi più che bene,” disse Sebastian, offrendole il braccio.

Sofia lo prese, godendosi quel momento di vicinanza. Le faceva battere il cuore un po’ più forte solo il fatto di essere lì, e si trovò a perdersi la metà delle bellissime cose cui passavano accanto nel palazzo, semplicemente perché se ne stava invece a fissare Sebastian.

Il palazzo però era impressionante. Sembrava allungarsi all’infinito, in ondate di marmo e oro che dovevano essere costate una fortuna per essere costruite.

“Deve essere stato incredibile crescere in un posto come questo,” disse Sofia, pensando a quanto fosse tutto così diverso dall’orfanotrofio. C’era la cosa più preziosa in assoluto lì: lo spazio. Spazio senza gente che gridava o le impartiva ordini. Spazio senza cento altre ragazze tutte costrette a odiarsi tra loro perché dovevano competere per ogni briciolo di gentilezza e di cibo.

“È un edificio impressionante,” disse Sofia, “ma onestamente, non è il posto dove ho trascorso la maggior parte della mia infanzia. Mia madre mi ha fatto crescere in una delle più piccole magioni di campagna che possediamo, perché ci sono stati tempi in cui la città pareva essere più pericolosa.”

Sofia non ci aveva pensato. Per forza la vedova aveva una dozzina di castelli e case sparpagliate per il regno.

“Solo tu?” chiese Sofia. “Non tu e tuo fratello, o tu con tua madre?” Colse un cenno di tristezza nei pensieri di Sebastian e si tese ad accarezzargli la guancia con le dita. “Mi spiace, non volevo rovinare l’atmosfera.”

“No, va tutto bene,” rispose Sebastian. “A dire il vero è bello avere qualcuno che vuole sapere. Ma no, sono stato per lo più tenuto separato da Rupert, e da mia madre. L’idea era che non saremmo dovuti stare tutti nello stesso posto se qualcosa… fosse successo.”

In altre parole, così che uno di loro potesse sopravvivere se ci fosse stato un attacco, o un incendio, o la peste, o qualche altro disastro. Sofia poteva capirlo in un certo senso, ma lo stesso le appariva come un modo duro di vivere. Kate era stata l’unica che le aveva dato la forza di andare avanti quando erano state più giovani.

“Beh, sono felice che ora tu sia qui,” disse Sofia.

“Anche io,” la rassicurò Sebastian.

Si diressero verso una suite di camere tagliate fuori dal resto del palazzo da una solida porta di legno di quercia. Sofia si era aspettata che al di là ci fosse una stanza, ma si trovò invece in una casa completa di tutto, incastrata in quello spazio. C’era una sala da ricevimento arredata con divani vecchi ma comodi, e tappeti, e c’erano porte che conducevano fuori verso quelle che Sofia immaginò fossero le camere da letto o i camerini per cambiarsi.

Sebastian la spinse a distanza di un braccio. “Sofia, c’è una seconda camera da letto qui, se vuoi. Io… non voglio che tu ti senta in dovere di fare niente, solo per avere il mio aiuto.”

Quella era una delle cose più cortesi che qualcuno avesse mai fatto per Sofia. Aveva dato per scontato che tutti volessero qualcosa. Aveva pensato che anche per i nobili la sicurezza fosse una sorta di transazione. Eppure ecco qui il principe che le dava la possibilità di avere tutto quello che voleva senza doversi mai neanche avvicinare al suo letto.

“Sei un buon uomo, Sebastian,” gli disse prendendogli le mani. “E un uomo gentile.”

Gli baciò le mani e poi lo tirò a sé.

“E questo è il motivo per cui non voglio dormire nella stanza accanto.”

Allora si baciarono di nuovo, e ci fu decisamente più passione in quel tentativo rispetto al precedente. Forse parte di questo era dovuto al fatto che Sofia aveva più sicurezza sul da farsi, adesso. E forse era in parte perché Sebastian non aveva la sensazione di doversi trattenere.

Rimasero appesi l’uno all’altro, baciandosi mentre le loro mani iniziavano ad esplorarsi a vicenda. Sofia provò allora un momento di nervosismo, e Sebastian la guardò.

“Stai bene?” le chiese.

Lei annuì. “È solo che… non ho mai…”

“Capisco,” disse Sebastian. “Ma non devi avere paura di me.”

Sofia lo baciò di nuovo. “Non ne ho.”

In qualche modo, insieme, attraversarono la sala da ricevimento senza lasciarsi un solo secondo. Sofia trafficava con i fermagli del suo vestito, poi sussultò quando Sebastian iniziò a slacciarli al posto suo.

Spinse la porta che conduceva a una delle stanze, aprendola, e Sofia vide con la coda dell’occhio un letto a baldacchino prima che Sebastian la sollevasse tra le sue braccia, adagiandovela sopra con la delicatezza di una piuma.

“Sì?” le chiese.

Sofia gli sorrise. “Sì, Sebastian. Veramente sì.”

***

Dopo, Sofia era stesa al buio, rannicchiata accanto a Sebastian e intenta ad ascoltare il suo respiro mentre dormiva. Poteva sentire la pressione dei suoi muscoli contro la propria schiena, e il movimento mentre si spostava nel sonno le faceva venire voglia di svegliarlo e iniziare da capo quello che avevano appena finito.

Ma non lo fece, anche se tutto quello che era successo prima era stato bellissimo, piacevolissimo, tanto… che non avrebbe mai potuto immaginarlo. Ora avrebbe voluto prendere tutto quello che poteva, ma la verità era che sperava di avere a disposizione tanto tempo da non dover godere di tutto subito. Sperava che ci potessero essere decine di notti come questa, centinaia.

Tutta una vita.

Sentì il peso del suo braccio attorno a sé nel sonno, e in quel momento si sentì come se possedesse tutto ciò che avrebbe mai potuto desiderare.

CAPITOLO QUATTORDICI

Arrivò il giorno, e quando accadde Kate non era sicura di aver mai lavorato tanto in vita sua. Mai a nessuna delle macine dell’orfanotrofio o ad altre commissioni, certamente non da allora. La cosa strana era che si sentiva più felice che mai. Felice di trovarsi a fare quel lavoro, a battere metallo e lavorare ai soffietti.

La aiutava il fatto che Thomas fosse un insegnante paziente. Dove all’orfanotrofio la picchiavano, lui la correggeva mostrandole modi migliori per fare le cose e ricordandole ciò che si dimenticava.

“Dobbiamo modellare di più il metallo,” disse. “Con la lama di una falce, bisogna renderla sottile e affilata. Deve tagliare, non colpire.”

Kate annuì aiutando a tenere ferma la billetta mentre lui la colpiva, poi schiacciando i soffietti per portare le fiamme alla giusta temperatura. C’era così tanto da imparare sulla forgia, così tante sottigliezze che si trovavano dietro al semplice scaldare e colpire il metallo. Già oggi aveva imparato l’arte di saldare il metallo nel forno, della scaglia che si formava quando c’era troppo lavoro sul ferro, e a giudicare la differenza tra ferro buono e non.

“Voglio coprire la parte retrostante della lama con l’argilla quando la induriamo,” disse Thomas, “perché…?”

“Perché questo significa che si raffredda più lentamente della punta?” ipotizzò Kate.

“Molto bene,” disse Thomas. “Questo significa che la punta sarà più dura, mentre il resto è meno friabile. Stai andando bene, Kate.”

Kate non era certa che qualcuno l’avesse mai incoraggiata prima. Nella sua vita fino a quel momento, c’erano state solo punizioni quando aveva fatto qualcosa di sbagliato.

Alcune lezioni erano più facili di altre. Il lavoro del metallo richiedeva pazienza che Kate non aveva. Voleva sempre fare la cosa dopo, quando a volte l’unica cosa da fare era aspettare mentre il metallo si scaldava o si raffreddava.

“Ci sono cose che non puoi fare di fretta,” le disse Thomas. “Hai tempo, Kate. Assapora la vita, non farti sfuggire i momenti.”

Kate faceva del suo meglio, ma lo stesso non era facile. Ora che aveva trovato qualcosa che le piaceva fare, non voleva sprecare un solo momento. C’erano un sacco di momenti sprecati però, per lo più trascorsi a guardare il forno o nel capanno accanto alla ricerca di cose che servivano. Nonostante gli ovvi talenti di Thomas come fabbro, l’organizzazione non era chiaramente il suo forte.

“Vado a prendere qualcosa per il pranzo,” disse Thomas. “Winifred ha fatto il pane. Non cercare di forgiare niente da sola mentre sono via.”

Uscì per andare in casa, e Kate si trovò ad annoiarsi sotto al peso della sua raccomandazione. Se non le avesse detto di non farlo, probabilmente sarebbe saltata su di corsa e avrebbe iniziato a lavorare a un coltello o a un pezzo di ferro battuto. Probabilmente un coltello, perché Kate ne poteva vedere l’utilità, diversamente da ciò che pensava di una sbarra decorativa o del pezzo di un cancello.

Ma non poteva starsene ferma, non poteva riposare e basta, nonostante il calore e la vicinanza alla forgia. Nella mancanza di qualcosa di meglio da fare, Kate si trovò a risistemare le cose. Le pinze non avevano senso in un intrico casuale di pezzi di ferro, quindi Kate le appese a un gancio. I pezzi di metallo erano buttati in un mucchio senza distinzione tra ottone e ferro, acciaio duro e dolce.

Kate iniziò a separarli, sistemandoli in gruppi ordinati. Mise gli attrezzi in posti che le sembravano avere senso, in base a dove Thomas ne avrebbe probabilmente avuto bisogno. Dalla forgia andò al capanno, con i sui barili e rastrelliere, mettendo tutto al suo posto, cercando di dare una sorta di ordine a quel caos generale.

Le ci volle un po’, ma Kate sapeva come farlo. Immaginò se stessa che si muoveva nel capanno e nella forgia, raccogliendo cose che le servivano. Poi mise semplicemente le cose dove dovevano essere perché potessero funzionare. Spazzò il pavimento, buttando via i frammenti di metallo che erano caduti, e la sabbia che si era riversata dalle colate di ottone e bronzo.

“Pare che tu abbia avuto il tuo bel da fare,” disse Thomas quando tornò.

In quel momento la paura si insinuò nel cuore di Kate. E se aveva fatto la cosa sbagliata? E se l’avesse punita per questo? E se le avesse detto di andarsene, e lei si fosse trovata a girovagare di nuovo tra le strade di Ashton? Non era sicura di poter tornare a quella vita, così presto dopo aver trovato un posto dove stare al sicuro.

“Non sei arrabbiato, vero?” gli chiese.

“Arrabbiato?” disse Thomas ridendo. “Sono anni che voglio riordinare questo posto. Winifred continua a dirmi di farlo, ma fra una cosa e l’altra… beh, non ci ho mai messo mano. E pare che tu abbia anche fatto un bel lavoro!”

Thomas le porse allora mezza fetta di pane ripiena di formaggio e prosciutto. Era più cibo di quanto Kate fosse abituata a ricevere all’orfanotrofio, e di certo più di quanto fosse riuscita a rubare per sé nelle strade. Voleva pensare che ci fosse stato un tempo da bambina in cui era stata ben curata e nutrita, ma la verità era che non poteva ricordarsene. Era difficile credere che potesse veramente essere tutto per lei.

Lo stesso mangiò, perché non aveva intenzione di sprecare il cibo. Soprattutto non considerato il fatto che stava morendo di fame dopo aver lavorato così a lungo alla forgia. Divorò il pane a una velocità che fece inarcare le sopracciglia a Thomas.

“Non mi ero reso conto che eri così affamata, altrimenti ci saremmo fermati prima.”

Kate si pulì la bocca, rendendosi conto che probabilmente non aveva un aspetto molto civile in quel momento, ma non le importava. Era una cosa di cui sua sorella forse si sarebbe preoccupata, ma non era di certo un problema per lei.

Si guardò attorno e si trovò a desiderare che Sofia avesse trovato qualcosa di buono come questo, per sé. Kate non era certa che sarebbe durata per sempre, perché in quel momento semplicemente non poteva immaginare qualcosa di eterno, ma se fosse successo non sarebbe stato un problema. Questa situazione era vicina alla perfezione più di quanto avrebbe mai potuto sperare.

Quando ebbe finito il suo pranzo, sembrava che Thomas avesse altre cose da insegnarle.

“Vuoi sapere più che altro delle armi, vero?” le chiese.

Kate annuì.

“Prima di poterle forgiare, è necessario conoscerne le differenze. Vieni con me.”

Fece strada fino al capanno e vi entrarono. Grazie alla sua opera di riordino, non gli ci volle molto per trovare quello che stava cercando. Kate ne era effettivamente un po’ fiera.

“Non ci sono solo spade, pugnali e asce,” le disse sollevando sagome di lame e un paio di spade di legno che ovviamente servivano da modelli. “Uno stocco non è uno spadone. Un semplice pugnale non è uno stiletto. Devi imparare le differenze di equilibrio e di peso, il modo in cui vanno usate e i punti in cui devono essere forti.”

“Voglio imparare tutto,” assicurò Kate. Non voleva niente di più.

Thomas annuì. “Lo so. È per questo che voglio che tu trascorra il resto della giornata a provare lame e a intagliarne una che pensi possa andare bene per te. Quando l’avrai fatto, andremo a vedere cosa hai fatto giusto e su cosa devi ancora lavorare.”

“Perché intagliarla?” chiese Kate. “Perché non forgiarla direttamente?”

Thomas la guardò speranzoso. “Conosci già la risposta, Kate.”

“Perché il legno si muove più facilmente dell’acciaio,” disse lei.

“Esattamente.” Le porse un coltellino da intaglio. “Ora mettiti all’opera, e vediamo cosa ne tiri fuori. Se sarà abbastanza buono, te lo lascerò anche forgiare.”

Quella prospettiva eccitò Kate più del resto messo insieme. Avrebbe fatto un buon lavoro. Non poteva ricordare suo padre, ma in quel momento Thomas sembrava esserlo per lei.

Lo avrebbe reso fiero di lei.

***

Kate trascorse il resto del giorno imparando che il legno non si muoveva facilmente come aveva pensato. Di certo non come l’acciaio, e le abilità che stava imparando da Thomas non erano di grossa utilità quando si trattava di intagliare la sua arma di legno.

Il legno non scorreva come l’acqua quando lo scaldavi. Il legno non si piegava allo stesso modo. Non si allungava in nuove forme. Tutto quello che ci si poteva fare era tirare via da esso, eliminare materiale per vedere cosa restava. Questo richiedeva una certa abitudine, e Kate si trovò a considerare ogni colpo di coltello come se stesse cercando di costruire un’arma che fosse perfetta per lei.

Nell’angolo del cortile il suo cavallo rubato nitrì. A Kate parve che si stesse divertendo a guardarla.

“È facile per te,” disse. “Nessuno ti ha mai fatto progettare una spada.”

Doveva essere più slanciata e leggera, ovviamente, perché lei non era grande e grossa o forte come un ragazzo. Ma doveva pur sempre avere la forza verso l’elsa, in modo che Kate potesse usarla per parare senza che si spezzasse. Le serviva un’impugnatura che le proteggesse la mano, ma pur sempre tanto leggera da mantenere il giusto equilibrio. Non poteva essere troppo corta, perché Kate non voleva combattere contro avversari più alti con lo svantaggio aggiunto di una lama più corta della loro.

Tagliuzzava e pensava, modellava e rimodellava, fino a che finalmente ottenne una lama che pensò fosse abbastanza buona. Le faceva pensare più a uno stocco che ad altri tipi di lame, ma con le curve più delicate da permetterle di andare a segno con efficacia. Era il genere di arma che sarebbe venuta fuori se una sciabola fosse stata progettata per essere usata nei duelli piuttosto che attaccando da cavallo.

Kate la sollevò e la presa le risultò giusta in mano, formata perfettamente per le sue dita. Il peso della spada era esattamente quello che lei aveva sperato, tanto leggera da scorrere agilmente come il respiro mentre la usava per fendere l’aria.

Cercò di immaginare gli avversari davanti a lei, e di attaccarli, provando fendenti e colpi, parate e svolte. Nella sua mente combatteva contro i ragazzi dell’orfanotrofio e avversari di una decina di paesi. Colpiva e saltava indietro, mettendosi in guardia contro colpi immaginari.

Kate poteva sentire il bisogno di vendetta crescere in lei. Si trovò a figurarsi tutta la gente che voleva colpire con quella spada, dai ragazzi che l’avevano aggredita alle suore mascherate che avevano tenuto virtualmente prigioniera lei e gli altri. Se ne avesse avuta la possibilità, li avrebbe abbattuti tutti, uno per uno.

E nel mezzo si trovò a sognare ad occhi aperti di altri tempi. Di sua sorella che la sollevava e correva per la casa dove c’erano nemici che lei non capiva. Kate vide per un momento le fiamme…

Barcollò, inciampando nell’erba del piccolo cortile della forgia.

“Va tutto bene?” esclamò una voce, e Kate balzò in piedi, imbarazzata, guardandosi attorno con ostilità al pensiero che qualcuno avesse potuto vederla cadere. Quasi per istinto la sua spada si sollevò con lei, puntata contro il neoarrivato.

“Direi che sono contento che non sia una lama vera,” le disse.

Era più alto di Kate, con i capelli biondi tagliati in uno stile che suggeriva che fossero così sistemati per stare in ordine. Non poteva avere molti anni più di Kate, e il suo corpo stava appena iniziando a riempirsi con i primi muscoli che avrebbe avuto da grande. Per ora era magro, con un senso di tonicità addosso che a Kate piacque.

Indossava l’uniforme di una delle compagnie mercenarie, con un soprabito grigio che era stato ovviamente rattoppato dopo una qualche schermaglia. Kate non era certa se dovesse esserne preoccupata o meno.

Non era certa di cosa provare per lui in assoluto, perché in quel momento sembrò che il suo cuore stesse cercando di provare almeno dieci cose diverse tutte insieme. Per quella che doveva essere la prima volta nella sua vita, Kate si sentiva nervosa accanto a un ragazzo.

“Non hai l’aspetto di essere qui per derubare mio padre,” disse il ragazzo.

“No,” disse Kate. “Cioè… intendo dire… sono Kate.”

Cosa c’era che non andava in lei? Quella era la reazione che Kate si sarebbe aspettata da sua sorella vicino a un bel ragazzo. E solo il fatto che lei stesse pensando che questo ragazzo era bello diceva tutto quel genere di cose che Kate non era sicura di essere pronta a pensare.

Le suore nella Casa degli Indesiderati non avevano neanche provato a insegnare alle loro accudite l’amore, o il matrimonio, o qualsiasi cosa che vi avesse a che fare. Si dava per scontato che se le ragazze lì presenti finivano con un uomo, era perché venivano acquistate e niente di più.

“Io sono Will,” le disse porgendole la mano. Kate riuscì appena a non lasciar cadere la spada mentre gliela stringeva.

“Pensavo che fossi entrato in una delle compagnie mercenarie,” disse Kate. “Intendo dire, è ovvio che l’hai fatto. Hai addosso un’uniforme.”

Come era potuta diventare qualcosa di così sciocco? Kate non lo sapeva, e non le piaceva. Poteva vedere i pensieri di questo ragazzo, però, e non erano di aiuto.

Mi piace. È un po’… scontrosa.

“Mi sono arruolato,” disse Will, “ma siamo tornati ad esercitarci e a cercare nuove reclute. Le guerre oltre oceano si stanno facendo più serie. Piacere di conoscerti, Kate. Stai aiutando mio padre?”

Kate annuì. “Mi lascia stare qui mentre gli do una mano alla forgia. Sto imparando da lui.”

Vide Will sorridere.

“Buono a sentirsi,” disse. “Ero preoccupato quando mi sono arruolato. Pensavo che non sarebbe stato in grado di fare tutto. Dovrei andare dentro adesso, ma… sono felice che tu sia qui, Kate.”

“Sono contenta anche io,” ribatté Kate, e poi si maledisse per averlo detto. Chi diceva cose del genere? Fortunatamente Will si stava già dirigendo verso casa. Kate lo guardò andare, cercando di non ammettere a se stessa quanto le piacesse osservarlo, né cosa provava per lui in quel momento.

Le piaceva.

Возрастное ограничение:
16+
Дата выхода на Литрес:
10 октября 2019
Объем:
241 стр. 3 иллюстрации
ISBN:
9781640292710
Правообладатель:
Lukeman Literary Management Ltd
Формат скачивания:
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