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Читать книгу: «Giuramento Fraterno », страница 3

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Riuscì a bloccarne due a terra, con le costole che gli dolevano per il colpo contro terra mentre rotolava con loro. Sollevò lo sguardo e vide Merek che seguiva il suo esempio e ne bloccava un altro. Akorth fece un salto e ne bloccò al suolo un altro e Fulton balzò addosso all’ultimo, il più piccoletto del gruppo. Ma Godfrey fu seccato di vedere che Fulton mancava il colpo, cadendo ansimante a terra.

Godfrey ne eliminò uno tenendo l’altro fermo a terra, ma si spaventò vedendo che il piccoletto correva, libero, e stava per svoltare all’angolo. Vide poi Ario con la coda dell’occhio che si faceva tranquillamente avanti, raccoglieva una pietra, la esaminava e la lanciava.

Con un tiro perfetto colpì il Finiano alla tempia mentre stava svoltando all’angolo, mandandolo al tappeto. Ario gli corse accanto e lo spogliò della tunica iniziando a indossarla, capendo le intenzioni di Godfrey.

Godfrey, che ancora lottava con l’altro Finiano, alla fine riuscì a dargli una gomitata in faccia e ad annientarlo. Alla fine anche Akorth afferrò il suo Finiano per la camicia e gli sbatté la testa contro il pavimento di pietra, eliminando anche lui. Merek strinse il collo del suo abbastanza a lungo da fargli perdere conoscenza. Poi Godfrey vide Merek rotolare sull’ultimo Finiano puntandogli il pugnale alla gola.

Godfrey stava per gridargli di smettere, ma una voce squarciò l’aria anticipandolo.

“No!” disse la voce seccamente.

Godfrey sollevò lo sguardo e vide Ario davanti a Merek, guardandolo torvo.

“Non ucciderlo!” gli ordinò.

Merek lo guardò accigliato.

“Gli uomini morti non parlano,” disse Merek. “Se lo lascio andare moriremo tutti.”

“Non mi interessa,” rispose Ario. “Non ti ha fatto nulla. Non devi ucciderlo.”

Merek, sprezzante, si alzò in piedi e si portò di fronte ad Ario, fissandolo in volto.

“Sei la metà di me, ragazzino,” gli sibilò contro. “E il ho il pugnale dalla parte del manico. Non tentarmi.”

“Sarò anche la metà di te,” rispose Ario con calma, “ma sono doppiamente veloce. Vienimi vicino e ti strapperò il pugnale dalle mani e ti taglierò la gola prima che tu te ne possa rendere conto.”

Godfrey era stupito da quello scambio di battute, tanto più vedendo quanto calmo fosse Ario. Era una situazione surreale. Non batté ciglio né mosse un muscolo: parlava come se stesse avendo al conversazione più calma al mondo. Questo rendeva le sue parole ancora più convincenti.

Probabilmente Merek la pensò allo stesso modo perché non si mosse. Godfrey capì che doveva separarli, e presto.

“Il nemico non è qui,” disse correndo avanti e abbassando il polso di Merek. “È là fuori. Se litighiamo fra di noi non abbiamo alcuna possibilità.”

Fortunatamente Merek gli premise di abbassargli il braccio e rinfoderò il pugnale.

“Svelti ora,” aggiunse Godfrey. “Tutti voi. Togliete loro i vestiti e infilateveli. Ora siamo Finiani.”

Tutti tolsero gli abiti ai Finiani e indossarono i loro mantelli e cappucci rosso brillante.

“È ridicolo,” disse Akorth.

Godfrey lo esaminò e vide che aveva la pancia troppo grossa ed era troppo alto. Il mantello gli stava corto e gli lasciava le caviglie scoperte.

Merek ridacchiò.

“Avresti dovuto bere un boccale di meno,” gli disse.

“Io questa cosa non me la metto,” disse Akorth.

“Non si tratta di una sfilata di moda,” ribatté Godfrey. “Vuoi che ti scoprano?”

Akorth cedette con riluttanza.

Godfrey rimase a guardare, tutti e cinque con indosso le tuniche rosse, in quella città ostile, circondati dal nemico. Sapeva che le loro possibilità erano ben magre.

“E adesso?” chiese Akorth.

Godfrey si voltò e guardò verso l’estremità del vicolo che portava alla città. Sapeva che era giunto il momento.

“Andiamo a vedere com’è fatta Volusia.”

CAPITOLO CINQUE

Thor si trovava a prua nella piccola imbarcazione, Reece, Selese, Elden, Indra, Mati e O’Connor seduti accanto a lui. Nessuno di loro remava: un misterioso vento e la corrente rendevano vano ogni sforzo. Li trasportava dove voleva e Thor si era reso conto che ogni tentativo di remare o muovere le vele non avrebbe sortito alcuna differenza. Thor si guardò alle spalle, guardando l’enorme scogliera nera che demarcava l’ingresso alla Terra dei Morti farsi sempre più lontana. Si sentiva sollevato. Era ora di guardare avanti, di trovare Guwayne, di dare inizio a un nuovo capitolo della sua vita.

Thor si guardò accanto e notò Selese seduta nella barca accanto a Reece, tenendogli la mano. Doveva ammettere che quell’immagine era sconcertante. Era felice di rivederla tra loro, di nuovo nella terra dei vivi, e felice di vedere il suo migliore amico così contento. Però doveva anche ammettere che gli trasmetteva una sensazione di inquietudine. Selese ora era lì, una volta morta e ora di nuovo in vita. Sembrava che avessero in qualche modo cambiato l’ordine naturale delle cose. Mentre la guardava, notò che aveva delle caratteristiche translucide, eteree: anche se era veramente lì, in carne e ossa, non poteva fare a meno di vederla come morta; non riusciva a fare a meno di chiedersi, nonostante tutto, se fosse veramente tornata tra loro e quanto tempo sarebbe passato prima che se ne tornasse nel regno dei morti.

Ma Reece, d’altro canto, non la vedeva a quel modo. Era totalmente innamorato di lei, felice per la prima volta dopo tempo immemore. Thor lo capiva: dopotutto chi non avrebbe voluto rettificare i torti, riparare gli errori passati e rivedere qualcuno che si era certi di non incontrare mai più? Reece le stringeva la mano guardandola negli occhi e lei gli carezzava il viso mentre lui la baciava.

Notò che gli altri apparivano persi, come se fossero stati nelle profondità dell’inferno, un luogo che non si sarebbero facilmente scrollati dalla mente. Le ragnatele pendevano pesanti su di loro e anche Thor le sentiva, come ricordi che gli lampeggiavano in testa. C’era un’aura di tenebra mentre tutti piangevano la perdita di Conven. Soprattutto Thor rivedeva continuamente tra i propri ricordi la scena, pensando e ripensando se avrebbe mai potuto rifare qualcosa per fermarlo. Guardò verso il mare, scrutando il grigio orizzonte, l’oceano sconfinato, chiedendosi come avesse potuto Conven prendere una decisione del genere. Capiva la sua profonda pena per il fratello, ma lui non avrebbe mai fatto una scelta del genere. Thor sentiva una sensazione di dolore per la perdita di Conven, la cui presenza era sempre stata sentita, che era sempre sembrato essere al suo fianco fin dai primi giorni della Legione. Thor ricordò quando gli aveva fatto visita in prigione, quando gli aveva parlato spingendolo verso una seconda possibilità nella sua vita. Ricordava tutti i suoi tentativi di tirargli su il morale, di risvegliarlo, di farlo tornare quello di un tempo.

Ora si rendeva conto che non importava quanto avesse fatto: niente avrebbe potuto riportare completamente indietro il Conven di un tempo. La miglior parte di Conven era sempre con suo fratello. Thor riportò alla memoria l’espressine di Conven quando era rimato indietro e gli altri se n’erano andati. Non era un’espressione pentita, ma di pura gioia. Thor sentiva che era felice. E sapeva che non poteva avere grandi rimpianti. Conven aveva preso la sua decisione e questo era ben più di quanto la maggior parte della gente otteneva nel mondo. Dopotutto Thor sapeva che si sarebbero incontrati di nuovo. Infatti forse ci sarebbe stato proprio Conven a dargli il benvenuto quando fosse morto. Thor sapeva bene che la morte sarebbe giunta per tutti loro. Forse non oggi o domani. Ma sicuramente un giorno.

Thor cercò di cacciare i pensieri tristi e guardò avanti sforzandosi di concentrarsi sull’oceano, scrutando le acque da ogni parte, cercando un qualsiasi segno di Guwayne. Sapeva che era piuttosto inutile cercarlo lì, in mare aperto, ma si sentiva in moto, pieno di un nuovo ottimismo. Ora almeno sapeva che Guwayne era vivo e questo era tutto ciò che gli bastava sapere. Non si sarebbe fermato davanti a nulla per ritrovarlo.

“Dove pensi che la corrente ci stia portando?” chiese O’Connor sporgendosi oltre il bordo della barca e accarezzando l’acqua con la punta delle dita.

Anche Thor si allungò a toccare l’acqua calda. Scorreva troppo veloce, come se l’oceano non potesse portarli da nessuna parte se non così rapidamente.

“Fintanto che è lontano da qui, non mi interessa,” disse Elden guardandosi alle spalle, ancora impaurito dalla scogliera.

Thor udì il verso di un uccello venire dall’alto e sollevò lo sguardo, felice di vedere la vecchia amica Estofele che volava in cerchio sopra le loro teste. Estofele scese verso di loro disegnando un ampio cerchio, poi si risollevò in aria. Thor sentiva che li stava guidando, incoraggiandoli a seguirla.

“Estofele, amica mia,” sussurrò Thor rivolto verso il cielo. “Facci da occhi. Portaci da Guwayne.”

Estofele gracchiò di nuovo, come a rispondere, e allargò le ali. Si voltò e volò verso l’orizzonte, nella stessa direzione verso cui la corrente li stava spingendo. Thor si sentì certo che si stavano avvicinando.

Voltandosi sentì un lieve tintinnio al suo fianco e abbassando lo sguardo vide la spada della morte appesa alla cintura: fu scioccato dal vederla lì. Questo faceva sembrare ancora più reale il suo viaggio nella terra dei morti. Thor la toccò, sentendo l’elsa d’avorio attraversata da teschi e ossa. Strinse il pugno su di essa percependone l’energia. La lama era decorata da piccoli diamanti neri e mentre la reggeva per osservarla, li vide luccicare alla luce.

Mentre la teneva la sentiva giusta nella sua mano. Non si era sentito in quel modo con un arma dai tempi della Spada della Dinastia. Quest’arma significava per lui ben più di quanto potesse dire: dopotutto era riuscito a fuggire da quel mondo e così aveva fatto quella spada. Erano entrambi sopravvissuti a una guerra orribile. L’avevano attraversata insieme. Entrare nella Terra dei Morti e uscirne era stato come camminare attraverso un’immensa ragnatela per poi scrollarsela di dosso. Non c’era più, Thor lo sapeva, eppure se la sentiva ancora appiccicosa addosso. Almeno ora aveva quella spada per eliminarla.

Thor rifletteva sulla sua uscita, sul prezzo che aveva pagato, sui demoni che aveva liberato nel mondo. Provò una fitta allo stomaco, sentendo di aver scatenato una forza oscura nel mondo, una forza non facile da contenere. Sentiva che aveva lanciato qualcosa che come un boomerang un giorno in qualche modo gli sarebbe tornato contro. Forse anche prima di quanto si aspettasse.

Strinse la spada, pronto. Qualsiasi cosa fosse l’avrebbe affrontata temerariamente in battaglia, l’avrebbe uccisa non appena si fosse messa sulla sua strada.

Ma ciò che realmente temeva erano le cose che non poteva vedere, il caos invisibile che i demoni avrebbero potuto scatenare. Ciò che temeva di più erano gli spiriti che non conosceva, gli spiriti che combattevano di nascosto.

Thor udì dei passi e sentì la barca che dondolava. Si voltò e vide Mati che gli si avvicinava. Mati rimase lì triste, guardando l’orizzonte di fronte a loro. Era una giornata oscura e cupa e mentre guardavano ciò che avevano attorno era difficile dire se fosse mattina o pomeriggio. Il cielo era uniforme, come se tutta quella parte del mondo fosse in lutto.

Thor pensò a come Mati fosse rapidamente diventato un caro amico. Soprattutto ora che Reece era insieme a Selese. Thor sentiva la parziale perdita di un amico e l’acquisto di un altro. Ricordò come Mati l’avesse salvato più di una volta là sotto e si sentiva già completamente leale a lui, come se fosse sempre stato uno dei suo fratelli.

“Questa barca,” disse Mati sottovoce, “non è adatta al mare aperto. Una buona tempesta e saremo tutti morti. È solo una scialuppa di una nave di Gwendolyn, non è fatta per attraversare l’oceano. Dobbiamo trovare una barca più grande.”

“E terra,” si intromise O’Connor avvicinandosi dall’altra parte. “E provviste.”

“E una mappa,” aggiunse Elden.

“E comunque dove siamo diretti?” chiese Indra. “Dove stiamo andando? Hai idea di dove possa essere tuo figlio?”

Thor esaminò l’orizzonte, come aveva già fatto migliaia di volte, e rifletté su quella domanda. Sapeva che avevano tutti ragione e lui stesso stava pensando la stessa cosa. Di fronte a loro c’era un vasto mare e loro avevano una barchetta, senza provviste. Erano vivi ed era riconoscente per questo, ma la loro situazione era precaria.

Thor scosse la testa lentamente. Mentre stava lì, immerso nei suoi pensieri, iniziò a vedere qualcosa all’orizzonte. Mentre si avvicinavano iniziò a vedersi in modo più distinto e si sentì certo che non si trattasse di uno scherzo giocato dai suoi occhi. Il cuore iniziò a battergli più forte per la trepidazione.

Il sole fece irruzione tra le nuvole e un raggio di luce scese sull’orizzonte illuminando una piccola isola. Era una piccola massa di terra nel mezzo del vasto oceano, con nient’altro attorno.

Thor sbatté le palpebre chiedendosi se fosse reale.

“Che cos’è?” chiese Mati ponendo la domanda che era nella mente di tutti, mentre stavano in piedi a guardare.

Quando furono più vicini Thor vide la nebbia che circondava l’isola, brillando alla luce, e percepì un’energia magica provenire da quel luogo. Sollevò lo sguardo e vide che si trattava di un posto brullo, con scogliere che si innalzavano in aria per decine di metri. Era un’isola ripida e spietata, con le onde che si infrangevano contro gli scogli che la circondavano, emergendo dall’oceano come bestie antiche. Thor sentiva in ogni parte del suo essere che era lì che dovevano andare.

“È una bella arrampicata,” disse O’Connor. “Se mai ce la faremo.”

“E non sappiamo cosa ci sia là sopra,” aggiunse Elden. “Potrebbe essere ostile. Siamo senza armi, eccetto che per la tua spada. Non possiamo permetterci una battaglia lì.”

Ma Thor stava studiando il posto e pensava, percependo che lì c’era qualcosa di forte. Sollevò lo sguardo in alto e guardò Estofele che volava in cerchio, sentendosi sempre più certo che quello era il posto giusto.

“Nessuna pietra deve essere lasciata al suo posto nella nostra ricerca di Guwayne,” disse. “Nessun posto è troppo remoto. L’isola sarà la nostra prima tappa.” Strinse la presa attorno all’elsa della spada. “Ostile o no.”

CAPITOLO SEI

Alistair si ritrovò nel mezzo di uno strano paesaggio che non conosceva. Era una sorta di deserto e mentre guardava in basso il suolo desertico si trasformò da nero a rosso, seccandosi e screpolandosi sotto i suoi piedi. Sollevò lo sguardo e i lontananza scorse Gwendolyn di fronte a un esercito messo insieme alla buona, solo poche decine di soldati, membri dell’Argento che Alistair ricordava, tutti con le facce insanguinate e le armature mezze rotte. Gwendolyn aveva tra le braccia un neonato e Alistair sentì che si tratta di suo nipote Guwayne.

“Gwendolyn!” gridò Alistair, sollevata di vederla. “Sorella mia!”

Ma mentre la guardava, improvvisamente sentì un suono orribile, il rumore di milioni di ali che sbattevano, sempre più forte, seguito da fortissimi squittii. L’orizzonte si fece nero ed emersero dal cielo un sacco di corvi che si dirigevano verso di lei.

Alistair guardò con orrore mentre i corvi arrivavano in un grosso stormo, un muro nero che calava su Gwendolyn e le strappava Guwayne dalle braccia. Gracchiando si levarono poi di nuovo in cielo.

“NO!” gridò Gwendolyn allungando le braccia verso il cielo mentre gli uccelli le tiravano i capelli.

Alistair guardò senza poter fare nulla, nient’altro che guardarli portare via il bimbo urlante. Il suolo del deserto di spaccò e seccò ancora di più e iniziò a dividersi fino a che uno alla volta tutti gli uomini di Gwen vi caddero dentro.

Rimase solo Gwendolyn, immobile a guardarla con gli occhi che mostravano un’espressione che Alistair non avrebbe voluto mai vedere.

Alistair sbatté le palpebre e si trovò in piedi in una grande nave nel mezzo dell’oceano, con le onde che si infrangevano attorno a lei. Si guardò in giro e vide che era sola nella nave. Davanti a lei c’era un’altra nave. A prua si trovava Erec che la guardava, insieme a centinaia di soldati delle Isole del Sud. Era avvilita di vederlo su un’altra barca mentre si allontanava da lei.

“Erec!” gridò.

Lui la guardò allungando le braccia verso di lei.

“Alistair!” le rispose lui. “Torna da me!”

Alistair guardò con orrore come le navi si allontanavano sempre più, l’imbarcazione di Erec trascinata dalla corrente: iniziò a ruotare nell’acqua prima lentamente poi sempre più veloce. Erec si allungava verso di lei, ma Alistair non poteva fare altro che guardare inerme mentre la nave di Erec veniva risucchiata in un vortice e sprofondava sempre più giù fino a scomparire alla vista.

“EREC!” gridò Alistair.

Si udì un altro gemito, simile al suo, ed Alistair abbassò lo sguardo vedendo che stava tenendo in braccio un bimbo, il figlio di Erec. Era un maschio e il suo vagito si levò fino al cielo coprendo il rumore del vento e della pioggia e le grida degli uomini.

Alistair si svegliò strillando. Si mise a sedere e si guardò attorno, chiedendosi dove si trovava e cosa fosse successo. Respirando affannosamente e riprendendosi lentamente le ci vollero diversi minuti per rendersi conto che si era trattato solo di un sogno.

Si alzò in piedi e guardò in basso verso i bordi screpolati del ponte, capendo che si trovava ancora sulla nave. Tutto le tornò alla mente: la loro partenza dalle Isole del Sud, la loro impresa per liberare Gwendolyn.

“Mia signora?” chiese una voce gentile.

Alistair si voltò e vide Erec in piedi accanto a lei che la guardava preoccupato. Fu sollevata di vederlo.

“Un altro incubo?” le chiese.

Lei annuì distogliendo lo sguardo imbarazzata.

“I sogni sono più vividi in mare,” disse un’altra voce.

Alistair si voltò e vide il fratello di Erec, Strom, vicino a loro. Si guardò meglio in giro e vide centinaia di abitanti delle Isole del Sud, tutti imbarcati su quella nave, e le tornò tutto alla mente. Ricordò la loro partenza, il loro abbandono di una sofferente Dauphine a cui avevano affidato, insieme alla madre, la cura dell’isola. Da quando avevano ricevuto quel messaggio tutti avevano sentito che non c’era altra scelta che salpare per raggiungere l’Impero, per cercare Gwendolyn e tutti gli altri dell’Anello, moralmente obbligati a salvarli. Sapevano che sarebbe stata una missione impossibile, ma non interessava a nessuno. Era un loro dovere.

Alistair si strofinò gli occhi e cercò di cacciare l’incubo dalla mente. Non sapeva quanti giorni fossero già passati in quel mare infinito e ora guardava verso l’orizzonte non vedendo molto. Era tutto oscurato dalla nebbia.

“La nebbia ci segue dalle Isole del Sud,” disse Erec osservando il suo sguardo.

“Speriamo non sia un presagio,” aggiunse Strom.

Alistair si accarezzò delicatamente la pancia, rassicurata di stare bene e che anche il bambino stesse bene. Il suo sogno le era sembrato troppo reale. Fece il gesto velocemente e discretamente non volendo che Erec sapesse. Non gliel’aveva ancora detto. Una parte di lei voleva, ma un’altra parte preferiva aspettare il momento perfetto, quando tutto fosse a posto.

Prese la mano di Erec, sollevata di vederlo vivo.

“Sono felice che tu stia bene,” gli disse.

Lui le sorrise, la strinse a sé e la baciò.

“E perché non dovrei esserlo?” le chiese. “I tuoi sogni sono solo illusioni della notte. Per ogni incubo c’è anche un uomo che è salvo. Sono al sicuro qui con te e con il mio leale fratello e tutti gli uomini più di quanto potrei mai sperare di essere.”

“Almeno fino a quando raggiungeremo l’Impero,” aggiunse Strom con un sorriso. “Poi saremo tanto al sicuro come saremmo con una piccola flotta contro diecimila navi.”

Strom sorrideva mentre parlava, apparentemente in gioiosa attesa della lotta che ci sarebbe stata.

Erec scrollò le spalle, serio.

“Con gli dei dalla nostra parte,” disse, “non possiamo perdere. Qualsiasi siano le probabilità.”

Alistair si ritrasse e si accigliò, cercando di trovare un senso in tutto ciò.

“Ho visto che tu e la tua nave venivate risucchiati nel profondo dell’oceano. Ti ci ho visto a bordo,” gli disse. Avrebbe voluto aggiungere la parte che riguardava il bambino, ma si trattenne.

“I sogni non sono sempre ciò che appaiono,” rispose lui. Ma nel profondo dei suoi occhi lei vide un lampo di preoccupazione. Sapeva che lei vedeva le cose e rispettava le sue visioni.

Alistair fece un respiro profondo, guardò verso l’acqua e seppe che aveva ragione. Erano tutti lì, vivi dopotutto. Eppure era sembrato così vero.

Mentre stava lì Alistair provò ancora la tentazione di portarsi la mano al ventre, di sentire la pancia e rassicurare se stessa e il bambino che stava crescendo dentro di lei. Ma con Erec e Strom lì vicino non voleva essere smascherata.

Il suono basso e sommesso di un corno si sentiva nell’aria, a intermittenza a distanza di pochi minuti, avvisando le altre navi della flotta della presenza della nebbia.

“Il corno potrebbe farci scoprire,” disse Strom ad Erec.

“Da chi?” chiese Erec.

“Non sappiamo cosa ci sia in agguato dietro la nebbia,” disse Strom.

Erec scosse la testa.

“Sarà,” rispose. “Ma il nostro più grande nemico non è il nemico, ma noi stessi. Se andiamo a sbattere l’uno contro l’altro possiamo far affondare l’intera flotta. Dobbiamo continuare a far risuonare il corno fino a che la nebbia non si solleverà. Tutta la flotta più comunicare in questo modo e, cosa più importante, le navi non rischiano di allontanarsi troppo dal gruppo.”

Nella nebbia i corni da ogni nave della flotta riecheggiavano, confermando la posizione delle navi.

Alistair guardò nella nebbia e pensò. Sapeva che dovevano percorrere molta strada, che erano ancora dall’altra parte del mondo rispetto all’Impero, e si chiese come avrebbero mai potuto raggiungere Gwendolyn e suo fratello in tempo. Si chiedeva quanto tempo ci avessero messo i falchi per portare il messaggio e si chiedeva pure se fossero ancora vivi, si chiedeva cosa ne fosse stato del suo amato Anello. Che modo orribile di morire per tutti loro, pensò, su un lido straniero, lontani dalla loro madrepatria.

“L’Impero è dall’altra parte del mondo, mio signore,” disse Alistair ad Erec. “Sarà un lungo viaggio. Perché rimani qui sul ponte? Perché non andare sottocoperta, al sicuro, e dormire? Non dormi da giorni,” gli disse, osservando i cerchi scuri che aveva sotto gli occhi.

Erec scosse la testa.

“Un comandante non dorme mai,” le disse. “Inoltre siamo quasi a destinazione.”

“A destinazione?” chiese confusa.

Erec annuì e guardò nella nebbia.

Lei seguì il suo sguardo ma non vide nulla.

“L’Isola del Masso,” le rispose. “La nostra prima tappa.”

“Ma perché?” gli chiese. “Perché fermarsi prima di raggiungere l’Impero?”

“Abbiamo bisogno di una flotta più grande,” si intromise Strom rispondendo per lui. “Non possiamo affrontare l’Impero con poche decine di navi.”

“E troveremo questa flotta nell’Isola del Masso?” chiese Alistair.

Erec annuì.

“Può darsi,” rispose. “Gli uomini di quell’isola hanno navi e uomini. Più di quanti ne abbiamo noi. Odiano l’Impero. E hanno servito mio padre in passato.”

“Ma perché dovrebbero aiutarci ora?” chiese Alistair confusa. “Chi sono questi uomini?”

“Mercenari,” si intromise Strom. “Uomini rozzi, forgiati da un’isola rozza e da mari rozzi. Combattono per chi offre di più.”

“Pirati,” disse Alistair con tono di disapprovazione, capendo.

“Non proprio,” rispose Strom. “I pirati si danno da fare per un bottino. Gli uomini del masso vivono per uccidere.”

Alistair guardò attentamente Erec in viso e vide dalla sua espressione che era tutto vero.

“È nobile combattere per una giusta causa insieme ai pirati?” chiese. “Mercenari?”

“È nobile vincere una guerra,” rispose Erec, “e combattere per un giusta causa come la nostra. I mezzi per pagare una guerra del genere non sono sempre nobili come dovrebbero.”

“Non è nobile morire,” aggiunse Strom. “E il giudizio sulla nobiltà viene deciso dai vincitori, non dai perdenti.”

Alistair si accigliò ed Erec si voltò verso di lei.

“Non tutti sono nobili come te, mia signora,” le disse. “O come me. Che non è così che il mondo funziona. Che non e il modo in cui si vincono le guerre.”

“Puoi fidarti di uomini del genere?” chiese alla fine Alistair.

Erec sospirò e si girò nuovamente verso l’orizzonte, con le mani sui fianchi, guardandolo come se si stesse chiedendo la stessa cosa.

“Nostro padre si fidava di loro,” disse alla fine “E suo padre prima di lui. Non sono mai stati traditi.”

“E questo significa che non tradiranno neanche voi adesso?” chiese Alistair.

Erec scrutò l’orizzonte e improvvisamente la nebbia si sollevò e il sole fece irruzione. Il panorama cambiò drasticamente, improvvisamente si riusciva a vedere e in lontananza apparve la terra e il cuore di Alistair le balzò in gola. Lì all’orizzonte sorgeva un’isola fatta di solide scogliere che si levavano dritte verso il cielo. Non sembrava esserci un posto dove attraccare, nessuna spiaggia, nessun ingresso. Ma quando Alistair guardò più in alto vide un arco, una sorta di porta ricavata nella montagna stessa, con l’oceano che vi sbatteva contro. Era un ingresso alto e imponente, chiuso da un cancello di ferro: un muro di solida roccia con una porta intagliata al centro. Una cosa mai vista.

Erec guardò l’orizzonte attentamente: la luce del sole colpiva l’ingresso come ad illuminare l’entrata di un altro mondo.

“La fiducia, mia signora,” rispose alla fine, “nasce dalla necessità, non dalla volontà. Ed è un concetto molto precario.”

399 ₽
Возрастное ограничение:
16+
Дата выхода на Литрес:
09 сентября 2019
Объем:
323 стр. 6 иллюстраций
ISBN:
9781632911995
Правообладатель:
Lukeman Literary Management Ltd
Формат скачивания:
epub, fb2, fb3, ios.epub, mobi, pdf, txt, zip

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