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CAPITOLO QUATTRO

Lucio fece roteare la lama sopra alla spalla, esultando per come luccicava alla fioca luce un istante prima di andare a trafiggere il vecchio che aveva osato metterglisi davanti. Attorno a lui altri paesani morivano per mano dei suoi uomini: quelli che avevano osato opporre resistenza, e abbastanza stupidi da trovarsi nel posto sbagliato nel momento sbagliato.

Sorrideva mentre le grida riecheggiavano attorno a lui. Gli piaceva quando i contadini cercavano di combattere, perché dava ai suoi uomini la scusa di mostrare loro quanto deboli fossero veramente in confronto ai loro superiori. Quanti ne aveva uccisi ormai in assalti come quello? Non si era preoccupato di tenerne il conto. Perché avrebbe dovuto sprecare anche un briciolo di attenzione per una cosa del genere?

Lucio si guardò attorno mentre i paesani iniziavano a scappare e fece cenno a qualcuno dei suoi uomini che si misero ad inseguirli. Correre era quasi meglio che combattere, perché c’era una sfida nel dare loro la caccia come fossero delle prede.

“Il vostro cavallo, vostra altezza?” chiese uno degli uomini conducendo lo stallone di Lucio.

Lucio scosse la testa. “L’arco direi.”

L’uomo annuì e passò a Lucio un elegante arco ricurvo di frassino bianco misto a corno e decorato d’argento. Mise in posizione una freccia, tirò la corda e scoccò il colpo. In lontananza uno dei contadini in fuga cadde a terra.

Non ci furono altri combattimenti, ma questo non significava che avessero ancora finito. Non per un po’. Aveva scoperto che i contadini che si nascondevano potevano essere divertenti come quelli da rincorrere e combattere. C’erano così tanti modi diversi di torturare quelli che sembravano avere dell’oro, e molti altri di uccidere coloro che potevano avere delle simpatie per i ribelli. La ruota ardente, la forca, il cappio… quale avrebbe usato oggi?

Lucio fece cenno a un paio dei suoi uomini di buttare giù le porte a calci. Di tanto in tanto gli piaceva dare fuoco a quelli che si nascondevano, ma le case valevano più dei loro abitanti. Una donna uscì correndo e Lucio la prese, gettandola a caso verso uno dei mercanti di schiavi che avevano iniziato a seguirlo da un po’, come gabbiani dietro a un peschereccio.

Entrò nel tempio del villaggio. Il sacerdote era già a terra con il naso rotto, mentre gli uomini di Lucio raccoglievano oggetti d’oro e d’argento mettendoli in un sacco. Una donna vestita da sacerdotessa si portò davanti a lui. Lucio notò una ciocca di capelli biondi uscire da sotto il cappuccio e un certo aspetto raffinato che lo fece esitare.

“Non puoi fare questo,” insistette la donna. “Siamo in un tempio!”

Lucio la afferrò e le tolse il cappuccio per poterla guardare. Non era bella come Stefania – nessuna donna di basso rango avrebbe mai potuto esserlo – ma lo era abbastanza da poter essere tenuta per un po’. Almeno fino a che non si fosse stufato.

“Mi manda il vostro re,” disse Lucio. “Non cercare di dirmi cosa non posso fare!”

Troppe persone avevano tentato di farlo nella sua vita. Avevano cercato di imporgli dei limiti, quando lui invece era la persona dell’Impero sulla quale non avrebbero dovuto esserci limitazioni. Ci avevano provato i suoi genitori, ma un giorno lui sarebbe stato re. Sarebbe stato re, nonostante quello che aveva trovato nella biblioteca quando il vecchio Cosma pensava fosse troppo stupido per capire. Tano avrebbe imparato qual era il suo posto.

La mano di Lucio si strinse attorno ai capelli della sacerdotessa. Anche Stefania avrebbe capito qual era il suo posto. Come aveva osato sposare Tano a quel modo, come se fosse il principe più desiderabile? No, Lucio avrebbe trovato un modo di sistemare tutto. Avrebbe diviso Tano e Stefania allo stesso modo in cui apriva in due le teste di coloro che gli si mettevano tra i piedi. Avrebbe ottenuto Stefania in sposa, sia perché era di Tano, sia perché sarebbe stata un ottimo decoro per qualcuno del suo rango. Avrebbe goduto di questa cosa, e fino a quel momento la sacerdotessa che aveva catturato sarebbe stata una degna sostituta.

La spinse verso uno dei suoi uomini perché la sorvegliasse e uscì a vedere quali altri divertimenti ci potessero essere nel villaggio. Quando fu all’esterno vide due dei suoi uomini che legavano uno degli abitanti in fuga a un albero con le braccia allargate.

“Perché l’avete lasciato in vita?” chiese Lucio.

Uno di loro sorrise. “Tor qui mi stava raccontando di una cosa che fanno quelli del nord. Lo chiamano l’aquila di sangue.”

A Lucio piacque quel suono. Stava per chiedere di cosa si trattasse quando udì il grido di una delle vedette che sorvegliava i ribelli. Lucio si girò, ma invece di vedere un’orda di gentaglia in avvicinamento, scorse una singola figura a cavallo che aveva a grandi linee la sua stazza. Lucio riconobbe l’armatura all’istante.

“Tano,” disse. Schioccò le dita. “Bene, pare che oggi sarà una giornata ancora più interessante di quanto pensassi. Ridatemi il mio arco.”

***

Tano spronò il suo cavallo quando vide Lucio e ciò che stava facendo. Qualsiasi dubbio sospeso riguardo l’abbandonare Stefania a letto si dissolse nel calore della sua rabbia quando vide gli abitanti morti, i mercanti di schiavi, l’uomo legato all’albero.

Vide Lucio fare un passo e sollevare l’arco. Per un momento Tano non poté credere che l’avrebbe fatto, ma del resto perché no? Lucio aveva già tentato di ucciderlo prima.

Vide la freccia partire dall’arco e sollevò lo scudo giusto in tempo. La punta colpì il metallo dello scudo prima di cadere a terra. Seguì una seconda freccia, e questa volta gli passò accanto a pochi centimetri dal viso.

Tano spronò il cavallo a galoppare più veloce mentre una terza freccia lo sfiorava. Vide Lucio e i suoi uomini tuffarsi di lato mentre lui sfrecciava in mezzo a loro. Si girò e sguainò la spada proprio mentre Lucio si rimetteva in piedi.

“Tano, così veloce. Si direbbe che non vedevi l’ora di vedermi.”

Tano puntò la spada contro il cuore di Lucio. “Adesso falla finita, Lucio. Non ti permetterò di uccidere altre persone del nostro popolo.”

“Il nostro popolo?” ribatté Lucio. “Questo è il mio popolo, Tano. E posso farci quello che voglio. Permetti che te lo dimostri.”

Tano lo vide sguainare la spada e dirigersi verso l’uomo legato all’albero. Tano si rese conto di ciò che il suo fratellastro aveva intenzione di fare e mise in moto il suo cavallo.

“Fermatelo,” ordinò Lucio.

I suoi uomini ubbidirono e scattarono. Uno andò verso Tano puntandogli una lancia in faccia. Tano la deviò con lo scudo tagliando la punta dell’arma con la sua spada e poi dando un calcio all’uomo, facendolo cadere in terra. Ne trafisse un altro che correva verso di lui, colpendolo sulle spalle, tra le lamine dell’armatura, ed estraendo poi di nuovo la sua spada.

Si costrinse ad avanzare attraverso i pressanti avversari. Lucio stava ancora avanzando verso la vittima prescelta. Tano fece roteare la spada contro uno dei malviventi di Lucio e avanzò poi velocemente mentre il colpo sprigionava un suono metallico.

Lucio afferrò il suo scudo.

“Sei prevedibile, Tano,” gli disse. “La compassione è sempre stata la tua debolezza.”

Tirò con forza tale che Tano si trovò trascinato giù dalla sella. Rotolò in tempo per evitare un colpo di spada e liberò il braccio dallo scudo. Prese la propria spada con due mani mentre gli uomini di Lucio lo accerchiavano di nuovo. Vide il suo cavallo scappare, e questo significava che ora aveva perso il vantaggio dell’altezza.

“Uccidetelo,” disse Lucio. “Diremo che sono stati i ribelli.”

“Sei bravo a provarci, vero?” ribatté Tano. “È un peccato che tu non sia abbastanza bravo a finire il tuo lavoro.”

Uno degli uomini di Lucio lo attaccò facendo roteare una mazza chiodata. Tano avanzò nell’arco del tiro tagliando diagonalmente, poi ruotò con la spada tesa per tenere a bada gli altri.

Arrivarono rapidi, come se sapessero che nessuno di loro poteva sperare di sconfiggerlo singolarmente. Tano lasciò loro terreno mettendo la schiena contro il muro della casa più vicina in modo che i suoi nemici non potessero circondarlo. Ora c’erano tre uomini vicino a lui, uno con un’ascia, uno con una spada corta e uno con una lama curva simile a una falce.

Tano teneva vicina la sua spada, guardandoli e non volendo dare a nessuno di quei mercenari la possibilità di colpire la sua spada in modo che gli altri scivolassero avanti.

L’uomo alla destra di Tano cercò di colpire con la sua spada corta. Tano lo parò in parte, sentendo il tintinnio della sua armatura. Un certo istinto lo fece ruotare e abbassare, giusto in tempo perché l’ascia dell’uomo alla sua sinistra gli passasse sopra alla testa. Tano colpì ad altezza di caviglia per far cadere l’avversario, poi girò la lama e colpì all’indietro, sentendo il grido del primo uomo che vi finiva contro.

Quello con la lama curva attaccò con maggior cautela.

“Attaccatelo! Uccidetelo!” gridava Lucio, ovviamente impaziente. “Oh, lo faccio da me.”

Tano parò il colpo del principe quando si unì al combattimento. Dubitava che Lucio l’avrebbe fatto se non ci fosse stato un altro uomo lì ad aiutarlo, e forse ce ne sarebbero stati altri nel corso della lotta. A dire il vero tutto ciò che Lucio doveva fare era tardare le cose, e Tano avrebbe potuto trovarsi sommerso da un considerevole numero di soldati.

Quindi Tano non aspettò. Invece attaccò. Tirò un colpo dopo l’altro, alternandosi tra Lucio e il mascalzone che Lucio si era portato dietro, costruendo così una sorta di ritmo. Poi improvvisamente fece una pausa. L’uomo con la falce parò un colpo inesistente. Tano si lanciò nello spazio rimasto e la testa dell’uomo volò.

Fu addosso a Lucio in un istante, lama contro lama. Lucio gli tirò un calcio, ma Tano si spostò di lato allungandosi verso l’elsa della spada di Lucio e afferrandola. Tano tirò verso l’alto e strappò la spada dalla mano di Lucio, poi colpì lateralmente. La sua spada andò a sbattere contro il pettorale di Lucio. Lucio sguainò un pugnale e Tano spostò la spada nell’altra mano facendola roteare in basso con dalla parte dell’elsa in modo che la guardia si impigliasse dietro al ginocchio di Lucio.

Tano tirò e Lucio cadde a terra. Tano diede un calcio al pugnale che teneva in mano facendolo volare con forza.

“Dimmi di nuovo questa storia della compassione che è la mia debolezza,” disse Tano tenendo la punta della sua spada sospesa sulla gola di Lucio.

“Non lo farai,” disse Lucio. “Stai solo cercando di spaventarmi.”

“Spaventarti?” chiese Tano. “Se pensassi che spaventarti funzionasse, ti avrei spaventato a morte anni fa. No, ho intenzione di mettere fine a questa faccenda.”

“Mettere fine?” disse Lucio. “Questa faccenda non può finire, Tano. Non fino a che non avrò vinto.”

“Dovrai aspettare un sacco allora,” gli assicurò Tano.

Sollevò la spada. Doveva farlo. Lucio doveva essere fermato.

“Tano!”

Tano si girò sentendo la voce di Stefania. Con suo stupore la vide avvicinarsi, avanzando a rapido galoppo. Era vestita da amazzone, in modo ben diverso dal suo stile solitamente così elegante, e da come gli abiti apparivano stropicciati si intuiva che doveva esserseli messi addosso in fretta e furia.

“Tano, no!” gridò mentre si avvicinava.

Tano strinse la spada con maggior forza. “Dopo tutto quello che ha fatto, non pensi che lo meriti?”

“Non si tratta di cosa meriti o meno,” disse Stefania smontando da cavallo e portandosi acanto a lui. “Qui parliamo di cosa meriti tu. Se lo uccidi, ti faranno fuori per questo. Funziona così, e io non ho intenzione di perderti a questo modo.”

“Ascoltala Tano,” disse Lucio, sempre steso a terra.

“Taci,” disse Stefania. “O vuoi incitarlo ad ucciderti?”

“Bisogna fermarlo,” disse Tano.

“Non così,” insistette Stefania. Tano sentì la sua mano sul proprio braccio che spingeva via la spada. “Non facendoti ammazzare tu stesso. Hai giurato che saresti stato mio per il resto della nostra vita insieme. Pensavi davvero che potesse essere così breve?”

“Stefania,” iniziò Tano, ma lei non gli permise di concludere il discorso.

“E io?” gli chiese. “In che pericoli mi troverò se mio marito uccide l’erede al trono? No, Tano. Fermati. Fallo per me.”

Se qualsiasi altra persona gliel’avesse chiesto, Tano avrebbe potuto anche andare avanti con la sua intenzione. C’era troppo in ballo. Ma non poteva mettere a rischio Stefania. Conficcò la spada in terra, mancando la testa di Lucio di un centimetro. Lucio stava già rotolando via e si mise subito a correre verso un cavallo.

“Te ne pentirai!” gridò Lucio. “Ti prometto che te ne pentirai!”

CAPITOLO CINQUE

Tano vide le guardie che lo attendevano lungo la strada che conduceva alle porte della città quando lui e Stefania tornarono a casa. Sollevò il mento e continuò ad avanzare a cavallo. Se l’era aspettato. E non sarebbe scappato.

Ovviamente anche Stefania li notò. Tano la vide irrigidirsi sulla sella, passando da rilassata a misurata e formale in un attimo. Era come se una maschera fosse scivolata a ricoprile i tratti del viso e Tano si trovò automaticamente ad allungarsi facendo scivolare una mano sopra alla sua mentre teneva le redini.

Le guardie incrociarono le alabarde per sbarrare il passaggio mentre si avvicinavano e Tano fermò il cavallo. Lo tenne tra Stefania e le guardie, in caso Lucio avesse in qualche modo istruito gli uomini perché lo attaccassero. Vide un ufficiale farsi avanti uscendo dal gruppo di guardie e salutare.

“Principe Tano, bentornato a Delo. Io e i miei uomini abbiamo avuto ordine di accompagnarvi dal re.”

“E se mio marito non volesse venire con voi?” chiese Stefania con tono che avrebbe potuto comandare l’intero Impero.

“Mi perdoni mia signora,” disse l’ufficiale, “ma il re ci ha dato chiari ordini.”

Tano sollevò una mano prima che Stefania potesse discutere.

“Capisco,” disse. “Vengo con voi.”

Le guardie fecero strada e, a loro credito, riuscirono a far apparire il corteo come una semplice scorta. Fecero strada attraverso Delo e Tano notò che la strada scelta era in mezzo a una delle parti più belle della città, con viali alberati e case nobiliari, lontano dai quartieri peggiori. Forse stavano solo cercando di restare nella zona più sicura. O forse pensavano che nobili come Tano e Stefania non avrebbero gradito di vedere la miseria.

Presto si trovarono davanti le torreggianti mura del castello. Le guardie fecero strada attraverso i cancelli e gli artieri presero i loro cavalli. La passeggiata all’interno del castello apparve più confinata e circoscritta, con un sacco di guardie che li circondavano negli spazi angusti dei corridoi del castello. Stefania prese la mano di Tano e lui la strinse con delicatezza per rassicurarla.

Quando raggiunsero gli appartamenti reali, i membri della guardia del corpo del re sbarrarono loro la porta.

“Il re desidera parlare con il principe Tano da solo,” disse una delle guardie.

“Sono sua moglie,” disse Stefania con tono così freddo che secondo Tano avrebbe fatto spostare da parte all’istante la maggior parte delle persone.

La cosa però non sembrò avere alcun effetto sulle guardie. “Non se ne parla.”

“Andrà tutto bene,” disse Tano.

Quando entrò, il re lo stava aspettando. Re Claudio stava in piedi appoggiato a una spada la cui elsa aveva la forma dei tentacoli sinuosi di un mostro marino. Gli arrivava quasi al petto e Tano non aveva alcun dubbio che la lama fosse affilata come un rasoio. Udì lo scatto della porta che si chiudeva alle sue spalle.

“Lucio mi ha raccontato ciò che hai fatto,” disse il re.

“Ero certo che sarebbe venuto di corsa da te,” rispose Tano. “Ha anche detto cosa stava facendo lui quando sono arrivato?”

“Stava facendo ciò che gli era stato ordinato,” rispose seccamente il re, “in modo da gestire la ribellione. Eppure tu sei andato lì ad attaccarlo. Hai ucciso i suoi uomini. Dice che l’hai sconfitto con l’inganno e che l’avresti anche ucciso se Stefania non fosse intervenuta.”

“Come può il massacro dei paesani fermare la ribellione?” ribatté Tano.

“Sei più interessato ai paesani che alle tue stesse azioni,” disse re Claudio. Sollevò la spada come a volerla soppesare. “Attaccare il figlio del re è un atto di tradimento.”

“Sono io il figlio del re,” gli ricordò Tano. “Non hai fatto uccidere Lucio quando ha tentato di farmi fuori.”

“La tua nascita è l’unico motivo per cui sei ancora in vita,” rispose re Claudio. “Sei mio figlio, ma lo è anche Lucio. Non ti è concesso di minacciarlo.”

La rabbia allora crebbe in Tano. “Non ho nulla che si veda. Neanche il riconoscimento di chi sono.”

C’erano delle statue in un angolo della stanza, raffiguranti famosi antenati della linea reale. Erano in disparte, quasi nascoste, come se il re non volesse ricordarsi di loro. Ad ogni modo, Tano le indicò.”

“Lucio può guardare quelle statue e può proclamare la sua autorità facendola risalire ai tempi in cui l’Impero è sorto,” disse. “Può arrogarsi i diritti di tutti coloro che hanno avuto il trono quando gli Antichi se ne sono andati da Delo. E io cosa ho? Dei vaghi pettegolezzi riguardo alla mia nascita? Immagini distorte di genitori che non sono neanche sicuro siano reali?”

Re Claudio andò fino al punto della sua stanza dove si trovava il suo trono. Vi si sedette posandosi la spada che teneva in mano sulle ginocchia.

“Hai un posto di tutto rispetto a corte,” disse.

“Un posto di tutto rispetto?” rispose Tano. “Ho il posto da principe avanzato che nessuno vuole. Lucio può anche aver tentato di uccidermi ad Haylon, ma sei stato tu a mandarmi lì.”

“La ribellione deve essere schiacciata, ovunque si trovi,” ribatté il re. Tano lo vide accarezzare la lama della spada con il pollice. “Dovevi impararlo.”

“Oh, l’ho imparato,” disse Tano avanzando e portandosi di fronte a suo padre. “Ho imparato che preferiresti sbarazzarti di me che riconoscermi. Sono il tuo figlio primogenito. Secondo la legge del regno, dovrei essere il tuo erede. Il figlio primogenito è sempre stato l’erede fin dalla nascita di Delo.”

“Il primogenito sopravvissuto,” disse il re sottovoce. “Pensi che saresti vissuto se la gente avesse saputo?”

“Non fingere di avermi protetto,” rispose Tano. “Stavi proteggendo te stesso.”

“Meglio che passare il tempo a combattere per conto della gente che neanche se lo merita,” disse il re. “Sai cosa dai a vedere quando te ne vai in giro a proteggere paesani che dovrebbero sapere qual è il loro posto?”

“Do a vedere che qualcuno si preoccupa per loro!” gridò Tano. Non poté trattenersi dall’alzare la voce, perché sembrava l’unico modo di impressionare suo padre. Forse se fosse riuscito a farglielo capire, allora l’Impero sarebbe finalmente potuto cambiare in meglio. “Do a vedere che i loro governatori non sono dopotutto dei nemici mandati ad ucciderli, ma gente da rispettare. Come se le loro vite contassero qualcosa per noi, piuttosto che essere qualcosa da gettare da parte mentre ce la spassiamo in feste scintillanti!”

Il re rimase in silenzio a lungo. Tano poteva vedere la furia nei suoi occhi. Andava bene. Combaciava con la rabbia che lui stesso provava.

“Inginocchiati!” disse re Claudio alla fine.

Tano esitò solo per un secondo, ma apparentemente fu sufficiente.

“Inginocchiati!” tuonò il re. “O vuoi che te lo faccia fare io? Sono sempre il re, qui!”

Tano si inginocchiò sul duro pavimento di pietra davanti al trono del re. Vide il re sollevare la spada che teneva con difficoltà, come se non facesse quel gesto da lungo tempo.

I pensieri di Tano andarono alla spada che portava al fianco. Non aveva dubbio che se fossero giunti a uno scontro, il vincitore sarebbe stato lui. Era più giovane, più forte e si era allenato con il meglio che l’arena avesse da offrire. Ma questo avrebbe significato uccidere suo padre. Più di tutto il resto, sarebbe stato quello il vero tradimento.

“Ho imparato molte cose nella mia vita,” disse il re tenendo alta la spada. “Quando avevo la tua età ero come te, ero giovane, ero forte, combattevo, e combattevo bene. Ho ucciso molti uomini in battaglia e in duelli nell’arena. Ho cercato di combattere per tutto ciò che credevo essere giusto.”

“Cosa ti è successo?” chiese Tano.

Le labbra del re si incurvarono in un ghigno. “Ho imparato qualcosa di meglio. Ho imparato che se dai loro una possibilità, la gente non si unisce per sostenerti. Cercano invece di farti a pezzi. Ho tentato di mostrare compassione, e la verità è che non è altro che follia. Se un uomo si oppone a te, allora distruggilo, perché se non lo fai, sarà lui ad eliminarti.”

“Oppure fallo tuo amico,” disse Tano, “e lui ti aiuterà a rendere le cose migliori.”

“Amici?” re Claudio alzò la spada ancor più. “Gli uomini potenti non hanno amici. Hanno alleati, servitori e parassiti, ma non pensare per un solo momento che non ti si rivolteranno contro. Un uomo ragionevole li tiene al loro posto, oppure li vede insorgere contro di lui.”

“Il popolo merita di meglio,” insistette Tano.

“Pensi che il popolo ottenga ciò che si merita?” gridò re Claudio. “Ottengono quello che si prendono! Stai parlando come se pensassi che le persone del popolo sono tutte nostri pari. Non lo sono. Noi siamo cresciuti fin dalla nascita per governarli. Siamo più educati, più forti, migliori in ogni aspetto. Vuoi mettere gli allevatori di maiali nei castelli accanto a te, e io invece voglio mostrati quanto appartengano al loro porcile. Lucio capisce.”

“Lucio capisce solo la crudeltà,” disse Tano.

“E la crudeltà è quello che serve per governare!”

Tano allora vide il re brandire la spada. Forse avrebbe potuto abbassarsi. Forse avrebbe addirittura potuto afferrare la propria lama. Invece rimase lì in ginocchio a guardare mentre la spada scendeva verso la sua gola, disegnando un arco di acciaio brillante alla luce del sole.

Si fermò un attimo prima di tagliargli la gola, ma non di tanto. Tano sentì la lama tagliente che gli pungeva la pelle, ma non reagì, per quanto avrebbe voluto farlo.

“Non ti sei mosso di un millimetro,” disse re Claudio. “Quasi non hai battuto ciglio. Lucio l’avrebbe fatto. Probabilmente mi avrebbe implorato per la sua vita. Questa è la sua debolezza. Ma Lucio ha la forza di fare ciò di cui c’è bisogno per governare. È per questo che è il mio erede. Fino a che non riuscirai ad estirpare questa debolezza dal tuo cuore, non ti riconoscerò. Non ti dichiarerò mio. E se attaccherai di nuovo il mio figlio legittimo, ti farò tagliare la testa. Hai capito?”

Tano si alzò in piedi. Ne aveva abbastanza di stare in ginocchio davanti a quell’uomo. “Ho capito, padre. Ho capito perfettamente.”

Si girò e si diresse verso la porta, senza aspettare il permesso di farlo. Cosa poteva fare suo padre? Sarebbe stato un atto di debolezza richiamarlo indietro. Tano uscì e Stefania lo stava aspettando. Pareva che avesse mantenuto la sua immagine di compostezza davanti alle guardie lì presenti, ma nel momento in cui Tano venne fuori, corse da lui.

“Stai bene?” gli chiese accarezzandogli una guancia. La abbassò e Tano vide che era macchiata di sangue. “Tano, stai sanguinando!”

“È solo un graffito,” la rassicurò Tano. “Ho probabilmente ferite peggiori per il combattimento di prima.”

“Cos’è successo là dentro?” gli chiese.

Tano fece un sorriso forzato, ma gli risultò più teso di quanto avrebbe voluto. “Sua maestà ha deciso di ricordarmi che, principe o no, non valgo tanto per lui quanto Lucio.”

Stefania gli mise le mani sulle spalle. “Te l’ho detto, Tano. Non è stata la cosa giusta da fare. Non puoi metterti a rischio a questo modo. Devi promettermi che ti fiderai di me e che non rifarai mai più una cosa così sciocca. Promettimelo.”

Tano annuì.

“Per te amore mio. Te lo prometto.”

E lo diceva anche sul serio. Uscire così allo scoperto a combattere contro Lucio non era la strategia corretta, perché non gli consentiva abbastanza risultato. Non era Lucio il problema. L’intero Impero era il problema. Per un breve momento aveva pensato di essere capace di convincere il re a cambiare le cose, ma la verità era che suo padre non voleva che le cose cambiassero.

No, l’unica cosa da fare adesso era trovare dei modi per aiutare la ribellione. Non solo i ribelli ad Haylon, ma tutti quanti. Da solo Tano non avrebbe potuto fare molto, ma insieme poteva forse abbattere l’Impero.

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299 ₽
Возрастное ограничение:
16+
Дата выхода на Литрес:
10 октября 2019
Объем:
233 стр. 6 иллюстраций
ISBN:
9781632919267
Правообладатель:
Lukeman Literary Management Ltd
Формат скачивания:
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