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CAPITOLO 8

«Mamma continua ad essere preoccupata» confessa Jake, interrompendo il nostro silenzio particolare.

Se non abbiamo compiti, saliamo sulla casa sull’albero, lui suona qualche accordo qui e là ed io scrivo con la sua musica come colonna sonora. Ma da un po’ di tempo sento le sue note agitate e so che qualcosa non va.

«Tua madre sta ancora male?»

«Sì, e so che è preoccupata per l’aspetto economico. Non so come ha potuto sprecare del denaro per il portatile per il mio compleanno.»

Davvero non so cosa dire, c’è poco che entrambi possiamo fare o … forse no.

«Forse potresti aiutarla con un po’ di soldi?»

«Soldi da dove?» alza le sopracciglia e allontana le dita dalle corde.

Non sapevo se gli sarebbe piaciuta la mia idea, ma non avevo niente da perdere a provarci.

«Potresti cantare … cantare per la gente.»

«Assolutamente no!» rifiuta quasi immediatamente «Io non canto in pubblico, Joce.»

«Ma potresti. Canti davvero bene e potresti fare un po’ di soldi con questo dono.»

Lui fa di no con la testa guardando la vecchia chitarra che tiene tra le mani.

«Io non canto per le persone, canto solo per me» si ferma imbarazzato per quello che sta per dire «ed ora anche per te.»

«Dovresti provare, pensaci, hai una voce troppo bella per nasconderla» e arrossisco per come mi guarda.

«Ci penserò, d’accordo» concede non molto convinto e reticente ad accettare, ma ho la certezza che alla fine lo farà.

All’improvviso ho un’idea pazza, ma decido di dirgliela in ogni caso.

«Aspetta, ho un’altra idea.»

«Oh, no!» si lamenta Jake.

«Non dire di no prima di sentirla.»

Non so che sguardo mi lancerà ora, ma voglio verificarlo.

«E se fai un’audizione per qualcuno di quei programmi per giovani talenti? Hai 15 anni, puoi farlo.»

«Cosa?! Sei pazza?!»

«Ehi!» mi risento.

«Scusami, non sei pazza, solo che quello che stai dicendo è una pazzia. Non potrei mai farlo.»

All’improvviso sento che mi ha fraintesa, la sua voce riflette una profonda tristezza e non so come rimangiarmi le parole.

«È solo un’idea, non fare così.»

«Hai visto quei programmi, Joce?» annuisco «Dovrei cantare per centinaia di persone sul set e milioni che mi guarderanno alla televisione, ma questa non sarebbe la cosa peggiore …» fa una pausa significativa «la parte peggiore sarebbe vedere che, tra tutte quelle persone, la mia famiglia non c’è.»

Ora capisco tutto. La sua famiglia non lo appoggerebbe mai, perché il signor Johnson non approverebbe mai che uno dei suoi figli partecipasse a qualcosa così banale come un programma televisivo che cerca la prossima star musicale, non sa nemmeno che Jake suona la chitarra, ancora meno che canta. Sua madre non andrebbe mai contro il marito, e su fratello ovviamente sarebbe costretto a schierarsi. Tutte quelle persone avevano le loro famiglie tra il pubblico, orgogliose di loro, lui no, perlomeno non la sua famiglia e credo che ci avesse già pensato prima che io parlassi.

«Io starei lì» sussurro appoggiando la testa sulla sua spalla. «Io appoggerò i tuoi sogni.»

«Lo so …» sorride tristemente.

Restiamo lì appoggiati l’uno all’altra, tenendoci per mano come se fosse il nostro unico salvavita. So che negli ultimi anni per lui non ci sono stata, ma sono anche sicura che a partire da adesso lo appoggerò in ogni strada che vorrà prendere.

«Jake …» sussurro di nuovo e alzo la testa per guardarlo negli occhi «Io sono la tua fan numero uno a partire da adesso.»

«Ci contavo» dice stavolta sorridendo davvero e così so di aver trovato le parole giuste.

«Possiamo anche caricare dei video su Youtube, sai … come Justin Bieber, potresti essere meglio di lui.»

«Stai zitta, Joce» continua a ridere «Semplicemente non sai quando smettere. Ci penserò, va bene? Ma non oggi.»

«Okay» gli faccio l’occhiolino e torniamo alle nostre occupazioni. Lui suona, io scrivo.

Vado bene a scuola, e questo mi lascia del tempo per scrivere di più. Ho già scritto vari racconti e sto terminando il mio primo romanzo. Il mio blog va a meraviglia, scrivo recensioni e condivido i miei racconti con chi vuole leggerli. Ho molti amici blogger, ma pochi a scuola. Davvero non mi sono disturbata a cercare di entrare in qualcuno di questi gruppi e dalla mia piccola lite con Gina non mi si avvicina più nessuno, o meglio, solo Meryl e Jake. Ah, e Bryan perché non ha altra scelta.

Non sono andata al ballo di benvenuto, Jake ha capito che non mi vanno i balli, né Halloween, non ci è andato nemmeno lui anche se gli ho detto che avrebbe dovuto, ha risposto che non gli interessavano. Ho saputo da Meryl che Bryan l’aveva invitata ad andare con lui, ma lei gli ha detto di no, pensando ai genitori, non è entrata nei dettagli ma ho supposto che siano dei bianchi razzisti. Anche se Bryan ed io non andiamo molto d’accordo, questo non ha nulla a che vedere con il colore della sua pelle. Da allora le cose tra loro sono imbarazzanti, dato che Meryl ci è andata con un altro ragazzo e Bryan ha tratto le proprie conclusioni. Lui alla fine aveva trovato con chi andare, ma tra loro l’atmosfera era ancora tesa.

«Bene …» inizio. «La prossima settimana è il mio compleanno e vorrei invitarvi. Verrà mia zia e preparerà il pranzo, se poteste venire sarebbe fantastico, è di sabato.»

«Mi dispiace, ragazza» dice Bryan, mi chiama di nuovo “ragazza”, «ma sarò fuori per una visita di cortesia andrò a casa dei miei nonni.»

«Oh, Jocelyn! Perché il tuo compleanno deve essere proprio in questi giorni!» si lamenta Meryl. «Anche i miei genitori ed io saremo in viaggio, ma ti prometto che appena torno faremo qualcosa tra ragazze.»

«Io ci sarò» mi rassicura Jake, ignorando gli altri e guardando solo me.

«Lo so, grazie.»

E così è stato. Mia zia Kerry arrivò a casa mia con Kevin, non lo vedevo da appena un paio di mesi e lo trovai molto cresciuto. Sapevo che lei non voleva stare in questa casa, ma sapevo anche che mi amava tanto da sopportarlo e anche papà dovette accettarlo. E quando la ringraziai per essere presente nella mia vita, so che papà si accorse di non essere stato nominato. Eppure, con tutto il dolore per la mancanza di mia madre, oggi ricordai le sue parole e cercai il sole per quella giornata, il mio sole fu mia zia.

«Come stai, Lyn?» chiede mia zia mentre mi siedo sul letto dopo aver pulito la cucina.

«Bene, zia.»

«Non te lo sto chiedendo così, tanto per chiedere, Jocelyn. In realtà voglio sapere come stai. Mi puoi mentire per telefono, ma voglio che mi guardi negli occhi e mi dici davvero come stai.»

Lei sa come ottenere la verità, non puoi nasconderti davanti ai suoi occhi, lei ti vede attraverso.

«Odio questa casa, zia. Davvero, la odio. Odio che un’altra donna, che non è la mamma si creda la padrona, odio papà per aver permesso a questa donna di entrare qui, odio che tutti i bei ricordi di mamma in questa casa svaniscano sempre di più e temo di non riuscire a ricordare il suo viso tra alcuni anni» termino singhiozzando e lei mi abbraccia.

«E cosa ti piace, Lyn? Devi concentrarti su ciò che ami, affinché le cose che odi siano più sopportabili.»

Continuo a singhiozzare mentre penso alle sue parole. Cosa amo?

«Amo scrivere …» continuo a pensare. «Amo avere un amico che mi ha perdonato dopo che me ne sono andata senza salutare e che mi ha aspettato come se nulla fosse cambiato, amo svegliarmi la mattina perché so che lui mi aspetta sul marciapiede per andare a scuola, amo scrivere mentre lui suona la chitarra.»

Zia Kerry sospira, non so se di sollievo, ma lo interpreto così.

«Questo è bello, tesoro. Jake mi è sempre piaciuto, lui si è sempre occupato di te e sono contenta che siate tanto uniti di nuovo. Ma fai attenzione, non puntare tutte le tue fiches in un’unica partita, potresti restare senza niente.

«Cosa vuoi dire? Parli come mamma.»

«Ricordalo soltanto, va bene? E voglio vedere Jake al tuo compleanno. Buona notte, tesoro.»

«Buona notte, zia.»

CAPITOLO 9

Mi sveglio con il profumo di hotcakes e i miei sensi si mettono in allerta, mi alzo rapidamente – ancora in pigiama – scendo al piano di sotto e trovo tutti ad aspettarmi.

«Buon compleanno, bambina mia» la zia si avvicina per essere la prima a farmi gli auguri.

«Buon compleanno, cugina pestifera» questo è Kevin, fa del suo meglio per essere gentile.

«Buon compleanno, figlia mia» questo è mio padre che mi abbraccia forte, ma io non contraccambio.

Elena ci pensa bene e mi augura solo buon compleanno da lontano, non è così stupida dopotutto.

Stiamo facendo colazione relativamente con calma quando mia zia dice che mi darà il suo regalo in questo momento e mi porge una scatola rettangolare, di media grandezza. Sono curiosa, strappo la carta regalo ed i miei occhi si spalancano per la sorpresa.

«Tu sei la zia migliore di tutte! Non posso credere che mi hai comprato un Kindle» mio padre sembra sorpreso, anche se sa che ho sempre un libro in mano.

«Di niente, tesoro. Spero che ti piaccia, ma per favore socializza un po’» entrambe sorridiamo.

«Adesso il mio!» grida Kevin.

Davvero i suoi regali mi sorprendevano sempre, lo lasciavo incartare quello che voleva darmi, così che mi aspettavo qualsiasi cosa. Mi aveva già regalato un disegno di noi due sulla spiaggia con scritto “Kevin e la cugina pestifera”. Lo aveva fatto a sette anni, così lo perdonai. Quando apro il regalo di oggi e lo alzo davanti agli occhi, so che Kevin può dimostrare il suo affetto in modi particolari, ma è sempre sincero.

È una maglietta gialla che dice: “La migliore cugina del mondo”. Davvero quel topino mi arriva al cuore.

«Grazie, Kevin. È … stupenda.»

«Grazie, è vero.» sorride.

«E lo dici perché sono la tua unica cugina, non è così?»

«È vero, ma anch’io sono il tuo unico cugino, così siamo pari» e torna alla sua colazione come niente fosse.

Papà mi regala un nuovo cellulare, davvero pratico, ma niente di personale. E sorprendentemente anche Elena ha qualcosa per me, nel momento in cui lo prendo tra le mani so cos’è e mi mortifica che lei mi conosca meglio del mio stesso padre.

È un libro. Ma non un libro qualunque. Una copia di Il Piccolo Principe di Antoine De Saint-Exupéry. Il libro che mia madre mi leggeva sempre da bambina e che porto sempre con me, anche se diventa ogni giorno più vecchio.

«Questo puoi usarlo tutti i giorni e conservare l’altro come un tesoro» dice con naturalezza mentre io continuo a guardare il libro senza sapere cosa dire. «Puoi rovinare questo e fare tesoro dell’altro.»

Alzo lo sguardo e mi rifiuto di provare qualunque tipo di simpatia per questa donna. Non so se lo fa per darmi fastidio o per farmi piacere. Ma mi secca dubitarne, non devo avere dubbi, lei non può amarmi, come io non posso amarla.

«Grazie …» è l’unica parola che riesco a pronunciare.

Dopo colazione salgo nella mia stanza a cambiarmi e a rendermi più presentabile per il pranzo, ma resto a guardare i due volumi di Il Piccolo Principe, uno vecchio e l’altro nuovo. Elena ha ragione, voglio conservare a lungo quello di mia madre e non ci riuscirò se continuo a portarlo con me dappertutto e a sfogliarlo varie volte al giorno. È una buona idea averne una copia che non mi interessa perdere o rovinare. Non so come lo ha saputo e non voglio pensarci, così prendo solo il libro di mamma e lo avvolgo nella plastica di quello nuovo finché saprò dove e come conservarlo. Terrò con me quello di Elena, per ora.

Sì, ho pianto un po’ nella mia stanza, ma mi mancava mia madre. Così ho indossato uno dei vestiti che ho portato da Tampa e che non ho mai usato. Era rosso vino, con le spalline, vita stretta e gonna a campana. La casa era riscaldata così potevo sfoggiarlo.

«Io vado» dico appena suona il campanello. So che è Jake, non ho invitato nessun altro.

Non so perché, ma il mio cuore batte un po’ più forte, è soltanto Jake, ma non posso farne a meno. E quando apro la porta mi manca il respiro per la sorpresa vedendo un enorme mazzo di girasoli tra le sue mani. I miei occhi si riempiono di lacrime e lui perde il sorriso.

«Ehi, volevo solo vederti felice, ma se non ti piacciono li restituirò.»

«NO!» sbotto. «Mi piacciono moltissimo. Grazie.» Lo abbraccio quasi troppo forte, «Prego, accomodati.»

Faccio un addobbo per la tavola con i girasoli proprio come faceva mia madre e in qualche modo la sento vicina, con mia nonna, che mi aiuta, accogliendo di nuovo Jake nella mia vita per non soffocare. Lui è la mia aria.

Mangiamo. È piacevole vedere mia zia e Jake che si aggiornano a vicenda. Non lo ha visto per anni e Kevin non ricorda.

«Ehi Jake, ti piace mia cugina?» chiede Kevin a Jake che arrossisce, mentre io resto immobile in mezzo alla sala da pranzo. Gli adulti sono in cucina.

«Siamo solo amici» chiarisce il mio amico.

«Non era questa la mia domanda» insiste mio cugino.

«Perché non ti stai zitto, cuginetto?» dico a quel topolino, e arrossisco anch’io.

«Ho qualcos’altro da dire» Kevin si rivolge a Jake «Se fai del male a mia cugina dovrò io fare del male a te.»

«Lo terrò a mente» risponde tentando di nascondere un sorriso, come me.

Mio cugino a volte può essere una spina nel fianco, ma in fondo è un bravo ragazzino e so che a modo suo mi vuole bene.

«Può essere pestifera, ma è l’unica cugina che ho» aggiunge prima di dirigersi in cucina per una seconda fetta di dolce.

Non riusciamo più a trattenerci e scoppiamo a ridere. Kevin finisce sempre per rovinare un bel discorso, ma a modo suo è adorabile, con i suoi riccioli biondi sembra uno di quegli angeli dipinti nelle chiese, ovviamente finché non lo conosci per più di cinque minuti.

«Dai, credo che farò attenzione» scherza Jake.

«Dovresti, Kevin è cintura nera.»

«Davvero?» si sorprende.

«No, ma ha una cintura di qualche colore e si sta impegnando per quella nera, quindi fai attenzione.»

Chiacchieriamo ancora un po’ finché chiede il permesso a mio padre di portarmi a prendere un gelato. Kevin vuole intrufolarsi, ma per fortuna mia zia interviene rendendosi conto che vogliamo stare un po’ da soli.

Prendo il mio cappotto, non so a che ora torneremo e cammino con Jake fino a casa sua; lui mi dice che Scott ci porterà dove vogliamo. Dopo gli auguri dei suoi genitori, saliamo sull’auto di Scott e immediatamente mi accorgo della chitarra sul sedile anteriore e sono curiosa.

«Bene … In questa bella serata sono stato assunto come vostro autista» dice Scott cerimonioso, «vi porterò ovunque desideriate, la prima destinazione è stata già decisa, quindi mettetevi le cinture perché andiamo là.»

Jake si siede dietro con me e la chitarra dalla parte del passeggero. Scott accende lo stereo e canta senza nessun ritmo, cambiando le parole. Jake mi sembra un po’ nervoso.

«Dove andiamo?» chiedo.

«Beh … ti darò il tuo vero regalo.»

Attraversiamo il Ponte di Brooklyn verso Manhattan e sono doppiamente curiosa.

«La chitarra ha qualcosa a che vedere con questo?»

«Un po’ di pazienza, principessa» mi interrompe Scott.

Quando arriviamo a Central Park, non so come andrà a finire. Cosa ci facciamo qui?

«Bene, siamo arrivati» conferma Scott. «Jake hai un’ora, non voglio che si faccia troppo tardi per riportare la principessa al suo castello.»

Jake annuisce mentre apre la sua portiera e la tiene aperta per lasciarmi scendere, prende la chitarra dal posto davanti, se la appoggia su una spalla e chiude la porta.

«Andiamo?» mi offre il braccio e io mi appoggio.

«Ma … dove?»

«A trovare un posto tranquillo dove posso cantare per te»

Mi fermo di colpo, lasciando il suo braccio. Anche lui si ferma e mi guarda.

«Dai, andiamo» mi incoraggia e continuo a camminare senza dire niente.

Troviamo un posto tranquillo e ci sediamo sopra una coperta che era nascosta dentro la custodia della chitarra. Fa molto freddo, ma non vorrei essere da nessun altra parte.

«Io … voglio regalarti una canzone, la mia prima canzone originale. La prima di molte, spero» comincia ad imbracciare la chitarra mentre io osservo incantata ogni suo movimento.

«Davvero hai scritto una canzone per me?»

«Ehi, non ti emozionare troppo. In realtà è pessima, ma è tutto quello che ho per ora.»

«È bella» dico, mentre alza la testa dalle corde.

«Non l’ho ancora cantata» sorride.

«So che sarà bella perché l’hai scritta per me» e qui arrossisce di nuovo, è quasi impercettibile, ma io conosco molto bene la tonalità della sua pelle e noto il leggero cambiamento.

«Bene, vado.»

Appena inizia riconosco gli accordi che aveva suonato nella casa sull’albero mentre io scrivevo, cercava di trovare un suono da quando gli avevo chiesto di scrivere qualcosa per me. Questo mi riempie il cuore di un sentimento sconosciuto, ma caldo, come una coperta fatta dalla nonna.

Mentre ascolto la sua voce mi viene la pelle d’oca. Jake canta con gli occhi chiusi, dandomi la possibilità di osservare ogni dettaglio, le sue labbra che si muovono, come le sue parole accarezzano l’aria e arrivano alle mie orecchie.

Non è una canzone pretenziosa, parla di me che chiedo a lui di scrivermi una canzone e di lui che esprime il sentimento di non volersi separare da me un’altra volta. È una canzone triste, ma nonostante questo mi sento felice che lui voglia restare al mio fianco come dice la canzone, anche solo come amico.

L’ultima nota resta sospesa nell’aria, mentre lui apre gli occhi timoroso della mia risposta. Riesco a malapena a trattenere le lacrime, ma appena vedo i suoi occhi non ce la faccio più e mi butto tra le sue braccia, piangendo, la chitarra tra noi due.

«Mi piace molto» mi stacco da lui e lo guardo negli occhi, asciugandomi le lacrime. Lui è senza parole, ma alla fine sorride.

«Allora ne è valsa la pena» afferma, ritrovando la voce.

«La canteresti di nuovo?»

«Di nuovo?»

«Sì … ma aspetta» cerco nella mia borsetta il cellulare che papà mi ha appena regalato, fa delle belle foto e mi viene in mente un’idea. «Non ti da fastidio se ti registro, o sì?»

Jake sembra in imbarazzo vedendo le mie intenzioni, ma sa che non può dirmi di no. Canta di nuovo mentre io tengo in mano il telefono rivolto verso di lui. Le note e la sua voce mi avvolgono ancora e desidero solo che la telecamera possa captare anche le emozioni che fluttuano intorno a noi.

CAPITOLO 10

Avevo ascoltato la mia canzone fino a tardi, la canzone che Jake aveva scritto per me. Dopo che Scott ci riaccompagnò quel giorno, in realtà non parlammo molto, soprattutto ci furono sguardi e sorrisi di complicità.

Il giorno seguente andai a fare spese con mia zia, dato che tutti i miei vestiti mi servivano poco a New York; la temperatura sarebbe scesa ancora di più e non ero attrezzata. Non pensavo di chiedere ad Elena di accompagnarmi. Comprai varie cose, credo che mi entusiasmai troppo, ma sentivo la necessità di vedermi … bella. Sì, era così, volevo vedermi bella. Ovvio, questo non aveva niente a che fare con nessun ragazzo, fu ciò che risposi a mia zia quando me lo chiese, ma lei mi rivolse un sorriso del tipo sì-certo-come-no, che mi confuse.

La odiai davvero quando dovette andarsene, mi ricordava tanto mia madre, ma dovevo ricordarmi che non lo era e che aveva un’altra vita, purtroppo lontana da me. Rimasi giù di morale per giorni. Jake tentava di rallegrarmi, cantava per me e a volte riusciva a strapparmi un sorriso. Ricordai che qui c’era ancora qualcosa per cui valeva la pena restare: Lui.

Elena era sempre più … grossa. E non era per cattiveria ma in fondo ero contenta. Forse sì, era per cattiveria. Venni a sapere che il mio nuovo fratello/sorella sarebbe nato in aprile. Avevo ancora alcuni mesi per terminare il mio primo romanzo senza essere disturbata dal pianto di un neonato. Inoltre decisi di dare una mano in casa, non per lei, ma per non sentire mio padre che me lo ricordava e anche perché così sentivo che non mi regalavano niente, che in realtà mi guadagnavo vitto e alloggio.

Un giorno torno da scuola, non vado a casa di Jake perché mi tocca fare le pulizie, entro e non vedo nessuno, lascio il mio zaino in salotto e mi dirigo in cucina. Ed è quando la sento parlare al telefono nel patio. Davvero non sono pettegola, ma mi sembra di sentirla piangere così presto maggiore attenzione.

«L’ho già fatto, mamma» sembra stia parlando con sua madre. «Sai che io la capisco più di chiunque altro per quello che è successo con papà, eppure non so come avvicinarmi a lei senza farmi odiare.»

Un momento, forse parla di me?

«Sì, mamma, è una situazione difficile. Charles sta male, lei sta male e anch’io. Nessuno può vivere tranquillo in una casa così.»

Per un attimo sono contenta di sapere che anche lei sta male. Non ha il diritto di mostrare la sua felicità quando tutto in questa casa è marcio.

«Lo so, avrò pazienza. Vorrei solo che le cose migliorassero prima dell’arrivo del bambino.»

All’improvviso, non so perché, mi sento in colpa. Ma rifiuto questo sentimento, io non sono colpevole di niente, l’intrusa qui è lei. La ascolto mentre saluta, e corro in salotto a prendere il mio zaino.

«Jocelyn, non ti ho sentita arrivare.»

«Sono appena arrivata, tra un attimo mi metto a fare le pulizie.»

Salgo le scale di corsa e mi chiudo dentro la mia stanza. Sono un po’ confusa. Perché Elena non mi odia come io odio lei? Dopotutto sono arrivata per distruggere la sua piccola bolla di felicità. Davvero sono ingiusta con lei? No, nemmeno per idea, la via non è stata giusta con me, io non devo rendere le cose più facili per nessuno.

Indosso abiti comodi, gli auricolari e passo l’aspirapolvere per tutta la casa, pulisco la cucina, anche se è già pulita e poi faccio una lunga doccia calda. Scendo in cucina e Elena sta tagliando alcune verdure per la cena.

«Ti aiuto» mi offro senza attendere la sua risposta e inizio a tagliare delle carote. Vedo che mi sorride.

Ascolto in replay la canzone di Jake. L’ho convertita in mp3 e in tutti i formati possibili. Sono ossessionata, mi addormento ascoltando la sua voce e continuo ad ascoltarla al risveglio, è come una droga che mi aiuta a continuare la giornata.

Il freddo di dicembre, ci fa stare dentro casa. C’è la neve quando guardo fuori dalla mia finestra. Amo la neve, ma odio il freddo. Una volta che inizio a tremare non riesco più a smettere. Da tempo ormai la mia pelle abbronzata è sparita e guardandomi allo specchio sembro un altro membro della famiglia Adams. Un cappellino nasconde i capelli, ma la faccia da morta, non c’è trucco che la copra, inoltre non ho trucchi, mi chiedo se dovrei comprarne.

«Jake è già qui!» grida papà davanti alla mia porta. Sono troppo in ritardo. «Sbrigati, vi accompagnerò io. Fuori fa troppo freddo.»

«Arrivo!»

In realtà non voglio andare con papà, sarà strano. Non ricordo l’ultima volta che abbiamo condiviso un’auto. O meglio, sì. Era stato quando mi era venuto a prendere all’aeroporto, ma mi riferisco al fatto che da tempo non “dividevamo” l’auto. Restiamo solo lì in silenzio, come in universi paralleli.

«Come va la scuola, Jake?» chiede papà per sdrammatizzare l’atmosfera dell’auto.

«Molto bene, signor Davis.»

«Sono contento. Sono contento anche che voi due siete di nuovo amici.»

Guardo Jake al mio fianco. Sì, mi sono seduta con lui sul sedile posteriore senza pensarci. Entrambi sorridiamo.

«Sono contento anch’io» lui commenta.

Pronuncio a malapena qualche parola per tutta la strada e arrivare a destinazione è davvero un sollievo.

«Questa è tutta la confidenza che hai con tuo padre?» chiede Jake mentre camminiamo per le corsie.

«Sì, perché?» mi metto un po’ sulla difensiva. «Non criticarmi» e subito mi mordo la lingua.

«Scusa, non volevo darti fastidio» cerca di allontanarsi.

«Jake!» mi avvicino. «Mi dispiace, non volevo dire questo. Solo che è una questione complicata. Lo sappiamo entrambi.»

«Lo so.»

E in quel momento alle sue spalle compare Bryan, con il suo sorriso così bianco che dubito sia reale, anche se so che lo è.

«Hey, Jake. Hey, ragazza» mi fa un cenno. «Non bloccate la circolazione e muovetevi.»

Saluto entrambi e mi dirigo alla mia aula. Odio davvero i giorni freddi, mi mettono di cattivo umore.

Arrivo a casa e in salotto vedo qualcosa di orribile. Elena vicino a un grande albero di Natale e intorno a lei molte scatole di addobbi. No, no, no.

«Ti stavo aspettando per decorarlo insieme» dice lei come se parlasse con un bambino di cinque anni o forse teme solo la mia reazione.

È davvero pazza se pensa che io farò i salti di gioia e passerò il resto del pomeriggio a lanciare festoni colorati su un abete vicino a lei. Penso molto bene a cosa dire.

«Non ho niente da festeggiare questo Natale. Questa non è più casa mia, né la mia famiglia, quindi questo» faccio notare «non è il mio albero e non mi avvicinerò nemmeno.»

Appena termino il mio breve discorso le volto le spalle e salgo nella mia stanza, ma quando chiudo la porta crollo.

«Mamma, posso decorare tutto l’albero in rosa?»

«No, tesoro. Ricorda che qui non vivono solo principesse.»

«Inoltre il rosa è noioso» si lamentò Jake vicino a me.

Mamma ci aveva permesso di aiutarla a mettere gli addobbi e poi ci avrebbe accompagnato a pattinare a Central Park. Avevamo otto anni.

«Allora in giallo?» insistetti con mamma ignorando Jake. Ero un po’ seccata con lui perché quella mattina mi aveva fatto mangiare il ghiaccio. «Il giallo è per tutti.»

«Sì» continuò mamma, «ma la vita non è di un solo colore. È più divertente con molti colori.»

Finisco per singhiozzare sul mio letto ricordando il Natale con mia madre. Ogni data di questo maledetto anno è fatta di prime volte. Primo Natale senza mamma, primo Anno Nuovo senza mamma, primo compleanno senza mamma e avanti così. Come potrò sopportarlo?

Quando il dolore si attenua un po’ ricordo altri momenti di quella giornata.

«Ehi! Non andare così veloce» gridai a Jake, lui era bravo a pattinare, io no.

Mamma ci seguiva da vicino.

«Allora muoviti» rispose lui divertito.

Cercai di andare più veloce, ma scivolai e caddi faccia avanti, fortunatamente appoggiai le mani e non sbattei il viso.

«Stai bene?!» Jake sembrava preoccupato e non aveva più l’atteggiamento da saputello. Mi tese la mano.

«Joce, tesoro, stai bene?» dopo un paio di secondi arrivò mia madre.

«Sì, sto bene» risposi per entrambi, rialzandomi con il loro aiuto.

«Dovremmo uscire, non voglio che nessuno si lamenti.»

«No, mamma, io voglio pattinare» piagnucolai. Non volevo che Jake vedesse che ero una schiappa a pattinare, ma non volevo nemmeno interrompergli il divertimento, perché sapevo che a lui piaceva molto.

«Puoi aggrapparti a me» lui si offrì «così non cadrai.»

Lo guardai per un momento, sorpresa, e poi guardai mia madre per avere il suo permesso. Lei annuì come per dire va bene-non-voglio-lacrime.

Afferrai il braccio di Jake e ci allontanammo un po’ da mia madre. Vedevo che sorvegliava i nostri movimenti. Mi resi conto che lui andava più lento del normale, forse per paura che io cadessi di nuovo.

«Grazie per andare piano. Non lo dire a mia madre ma ho preso una bella botta.» Sorrise.

«Dovevi vederti cadere» mi prese in giro, «è stato molto divertente.»

«Sì, sì, non ti ho visto sorridere.»

«Non sapevo se ti eri fatta male, ma ora so che non è così, è molto buffo.»

Lo guardai seria.

«Non fare così. Inoltre, se ora cadrai di nuovo io ti sosterrò o cadrò con te …»

Lo guardai sorridendo in un modo nuovo. Non sapevo cos’era, ma all’improvviso mi piaceva la mia mano sul suo braccio. Anche se eravamo solo due bambini non mi ero mai sentita tanto sicura. Non sarei più caduta o perlomeno, non da sola.

Ogni volta che avevo un ricordo triste di mia madre, c’era un ricordo con Jake per compensare. Quelli erano giorni in cui sembravo uno zombi, ma almeno sapevo che non ero sola, che qualcuno mi avrebbe sostenuto per non farmi precipitare nella parte più profonda del mio essere.

«Vuoi andare a pattinare nel fine settimana? Scott verrà a casa e ha detto che potrà essere di nuovo il nostro autista» chiede Jake mentre aiutiamo sua madre a decorare l’albero di Natale. Sì, non ho potuto dire di no alla signora Johnson.

«Ricordi quella volta che sono caduta di brutto quando avevamo otto anni?» gli chiedo senza rispondere alla sua domanda. Il suo viso si illumina e sorride mostrandomi le fossette.

«Sì, è stato molto divertente.»

«Non riesco a credere che continui a ridere anche adesso» gli lancio addosso una pallina di Natale.

«Ahia! Non era stata colpa mia, io non ti avevo spinto.»

«Lo so, ruppi le scatole ai miei genitori perché mi portassero a pattinare per non cadere di nuovo.» Lui alza la testa sentendo la mia confessione.

«Aspetta un attimo» dice, rendendosi conto. «L’anno successivo volevi ancora appoggiarti a me per non cadere» mi fissa confuso.

«Sì …» affermo sorridendo da sopra la mia spalla e torno ad appendere altre palline, lasciando il significato sospeso nell’aria.

Ho detto la verità. Mi ero allenata di più e praticamente sentivo di poter pattinare anche meglio di lui, ma quando si offrì di sostenermi non riuscii a rifiutare. Potevo pattinare per conto mio, ma preferivo farlo al suo fianco.

Ora ero più grande e potevo provare a capire perché mi ero comportata in quel modo. Jake era il mio migliore amico, ma appena mi tese la mano per aiutarmi quella volta, per me significò più di quello che ora potevo capire.

Scott portò con sé la sua ragazza. Come mi raccontò Jake, l’aveva conosciuta all’università e voleva presentarla ai suoi genitori prima che lei andasse a passare il Natale dalla sua famiglia in Texas. Era una ragazza gentile e sorridente. Per tutta la strada ci racconta aneddoti universitari, secondo lei per prepararci a ciò che ci aspetta. Mancano ancora vari anni per quello, ma è così spiritosa che non riusciamo a trattenerla. Lei e Scott sono fatti l’uno per l’altra.

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286,32 ₽
Возрастное ограничение:
0+
Дата выхода на Литрес:
07 апреля 2020
Объем:
290 стр. 1 иллюстрация
ISBN:
9788835403616
Правообладатель:
Tektime S.r.l.s.
Формат скачивания:
epub, fb2, fb3, ios.epub, mobi, pdf, txt, zip

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