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Читать книгу: «Istoria civile del Regno di Napoli, v. 9», страница 21

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CAPITOLO II
Governo di D. Francesco Benavides Conte di S. Stefano: suoi provvedimenti e leggi che ci lasciò

Il Conte di S. Stefano, lasciato il governo dell'Isola di Sicilia, si portò subitamente in Napoli, dove giunse nel fin di dicembre, e nell'entrar del nuovo anno 1688 cominciò ad amministrarlo. In questo primo anno del suo governo s'intese in Napoli un così spaventevole tremuoto, che abbattè i più cospicui edificj: cadde la gran cupola del Gesù Nuovo, e l'antico portico del Tempio di Castore e Polluce, ch'era un perfetto esemplare dell'ordine Corintio. Fu rovinata Benevento, Cerreto ed altre Terre. Ma sopra tutto apportò non poco cordoglio la morte, per mal di pietra, nel seguente anno 1689, accaduta agli 12 d'agosto, dell'esemplarissimo Pontefice Innocenzio XI, a cui a' 6 di ottobre succede Pietro Cardinal Ottoboni, col nome d'Alessandro VIII. Proccurò il Conte calcare le medesime orme del suo predecessore, avendo egli avuta la sorte d'esser succeduto ad un tanto Eroe, donde potea prender ben illustri esempi d'un ottimo governo. Rinvigorì per tanto con nuove sue Prammatiche quelle stabilite dal Carpio intorno all'asportazione delle armi, all'Annona, e al prezzo delle cose. Ma sopra ogni altro, non meno in questo primo anno del suo governo, che nelli seguenti fu tutto inteso a regolare lo scambiamento della vecchia moneta colla nuova, da lui, come si disse, pubblicata, accresciuta ed alterata nel valore. Prescrisse in quest'anno 1688 molti regolamenti intorno a questo scambiamento, disegnando i luoghi e le persone non meno nella città, che in tutte le province del Regno. Previde i disordini, che poteano accadere, e vi diede vari provvedimenti. Fece continuare la fabbrica della nuova moneta, aggiungendo nell'anno 1689 due altre spezie, cioè il ducato, che ha dall'una parte il ritratto del Re coronato, e dall'altra le sue Armi, ed il mezzo ducato, colle medesime impronte74; anzi permise, che a qualunque persona volesse nella Regia Zecca farsela fabbricare con suoi argenti al peso e bontà di quella, che si era fabbricata, fosse lecito di farlo col solo pagamento di grana 32 per ogni libbra d'argento per la manifattura e lavoro75. Che nello scambiamento si ricevessero le antiche monete, ancorchè di falso conio, purchè l'argento fosse buono76. Regolò la maniera, come dovesse praticarsi ne' Banchi, e prescrisse il modo intorno alla recezione delle polizze, e delle fedi di credito77. Rinovando le antiche leggi promulgate contro i falsificatori e tonditori delle vecchie monete, altre più rigorose e severe ne stabilì contro coloro, che avessero ardimento di adulterar le nuove78. In brieve ebb'egli il vanto di ridurre a compimento questa utilissima opera, per la quale si vide presso di noi rifiorire il commerzio, e fu restituito nel Regno lo splendore della negoziazione e del traffico. E se questo ministro si fosse contenuto tra questi limiti, la sua fama presso di noi correrebbe assai più chiara e luminosa; ma l'aver voluto da poi a' 8 di gennajo del 1691 con nuova Prammatica79 non bastandogli l'alterazione già fatta, alterar di nuovo la moneta con doppio avanzo, fino di venti per cento, nella forma, che si spende al presente (con far coniare per ciò, a' 7 aprile del medesimo anno, quattro altre nuove spezie di moneta, il ducato, mezzo ducato, tarì e carlino, che hanno la medesima impronta, da una parte il ritratto del Re coronato, e dall'altra l'insegna del Tosone)80 cagionò non meno alla sua fama, che alla negoziazione del Regno non picciol danno e nocumento; e tanto più gli fu di biasimo, quanto che avendo in quella sua Prammatica espresso, che una delle cagioni, per le quali era mosso a far questa alterazione si fu d'estinguere dall'augumento del denaro, che si trovava ne' pubblici Banchi, la gabella delle grana 15 imposta, per la fabbrica della nuova moneta, sopra il sale, questa estinzione non seguì giammai, tal che ci rimane il peso, ed insieme il danno recatoci dall'alterazione.

Intanto a Corte di Spagna agitata da gravi pensieri per la creduta sterilità della Regina Maria Lodovica Borbone, fu veduta poco da poi in funestissimi apparati piangerne la morte. Morì questa incomparabile Regina il dì 12 di febbrajo dell'anno 1689, ed il Re Carlo II suo marito, per compire a' suoi ultimi ufficj, comandò, che a spese Regie si celebrassero con magnifica pompa esequie solenni in tutti i suoi Regni. Toccò al Conte di S. Stefano d'eseguirlo in Napoli; onde dopo aver dati premurosi ordini ai Presidi delle province, che nelle città più cospicue facessero celebrare solenni esequie alla defunta Regina, comandò, che in Napoli si celebrassero assai più maestosi e magnifici funerali: Fu secondo l'uso già introdotto trascelta la Chiesa di S. Chiara, dove si ergè il Mausoleo, la magnificenza del quale, la bellezza dei poetici componimenti, e la solennità delle cerimonie furono tali, che maggiori non si erano per l'addietro vedute. Non fu mestieri a questi tempi, come già, ricorrere a' Gesuiti per questi componimenti, poichè nella nostra città fiorivan, per lo progresso che vi avean fatto le buone lettere, molti insigni e rinomati Letterati. Furono adunque costoro adoperati, e colui che v'ebbe la maggior parte fu il celebre Domenico Aulisio, pregio della nostra Università degli Studi, il quale adornò della più peregrina e varia erudizione, vi compose nobilissimi elogi ed alquante purissime ed eleganti iscrizioni. Fu destinato il giorno nono di maggio per la sagra cerimonia, la quale dovendo durare dal vespro fino alla seguente mattina, fu obbligato il Vicerè a far continua la vigilia sopra il tumulo, senza partirsi da quel luogo, nè per la notte, dove erasi portato, secondo l'antico costume, solennemente con cavalcata; nella quale gli Eletti della città col Marchese di Fuscaldo Sindaco, cinto da' Baroni del Regno, e da molti Nobili, accompagnarono il Vicerè. Furono piantati due grossi squadroni in due diversi luoghi della città, uno di fanti nella piazza dei regal palagio, l'altro di fanti e cavalli nel largo, che è a lato alla chiesa di S. Chiara, con tutti i loro Capi militari vestiti a bruno, e tenendo l'armi capovolte, conforme l'uso fin da tempi antichissimi a noi trasmessoci da' Greci e da' Romani, li quali nelle pompe de' funerali voltavano le punte dell'aste in terra, ed imbracciavan gli scudi al rovescio.

(Di quest'uso antichissimo ci rende testimonianza Virgilio Libro XI Aeneid in princip. dove parla dei funerali celebrati a Pallante figliuolo d'Evandro).

Vegghiatosi tutta la notte sopra il tumulo, la mattina seguente, dovendosi compire la sagra cerimonia, ritornò il Vicerè in chiesa, dove cantossi l'uffizio; da poi nell'altar eretto vicino al mausoleo, si celebrò da Monsignor Francesco Pignatelli, Arcivescovo di Taranto, ora Cardinale, ed esemplarissimo nostro Arcivescovo, il sagrifizio della Messa, nella qual celebrità ebbe quattro Vescovi assistenti: quello di Gaeta, di Castellamare, d'Acerra e di Capaccio. Si recitò poi dal P. Ventimiglia Teatino l'Orazione in lingua Spagnuola, la qual finita, lo stesso Monsignor di Taranto, dato l'incenso, ed asperso il tumulo finì la sagra cerimonia. Fu data la cura all'Aulisio di comporre una minuta e distinta descrizione non men degli apparati, e del mausoleo colle iscrizioni, che delle cerimonie e solennità celebrate sopra il deposito: ed egli compiutamente l'avea eseguito, con distenderne un libretto, a cui diede il titolo: Descrizione del Mausoleo, e delle solennità sopra il deposito della Regina Maria Lodovica Borbone; nel quale fe' pompa della sua varia e pellegrina erudizione: ma non avendo voluto poi darlo alle stampe, per la natural repugnanza che vi avea in tutte le sue cose, ancorchè rare e pellegrine, si conserva ora da noi M. S. insieme coll'altre insigni e nobili sue fatiche.

Il vedovo nostro Re, per secondare i voli de' suoi sudditi, che sospiravan da lui numerosa prole, conchiuse tosto a' 28 agosto del seguente anno 1690 le seconde nozze con la Principessa Marianna di Neoburgo figliuola dell'Elettore Filippo Guglielmo Conte Palatino del Reno e Duca di Neoburgo. Ma nel decorso del tempo, scorgendosi, che nè pure da questa seconda moglie se ne potea sperar prole, si videro i Regni, che componevano la sua vasta monarchia, in costernazioni e timori grandissimi. Accrescevansi le afflizioni per la vita del Re molto cagionevole e soggetta a spesse e continue infermità, le quali facevan sovente temere della sua grave ed inestimabil perdita, che dovea partorire disordini gravissimi e grandi revoluzioni. Si vedeva eziandio, quanto la sua monarchia infiacchita e debole, altrettanto quella di Francia nel suo maggior vigore e floridezza: i suoi eserciti, da per tutto vittoriosi, aver fatte stupende conquiste nella Fiandra, in Alemagna, ed in Ispagna, dove il Duca di Noailles, tenendo assediata Roses per terra, ed il Conte d'Etrè per mare, la presero dopo otto giorni d'assedio; ed in Catalogna l'anno 1694 il Duca di Noailles, dopo avere sconfitto l'esercito spagnuolo sulle sponde del Ter, prese le città di Palamos, di Girona, d'Ostalrico e di Castelfollit.

Intanto il Conte di S. Stefano proseguendo il suo governo, prorogatogli per un altro triennio, dopo aver dato sesto all'affare delle monete, applicò i suoi pensieri alla riforma de' nostri Tribunali; e scorgendo, che una delle principali cagioni, onde le liti venivan allungate, fosse la facilità, colla quale eran ricevute le sospezioni de' Ministri, e la lunghezza praticata in non tantosto deciderle, prefisse termini certi ed indispensabili per la loro decisione, e per togliere le opinioni de' Dottori, li quali con varie loro interpetrazioni aveano rendute quasi che inutili le precedenti Prammatiche sopra di ciò stabilite, prescrisse i modi, diffinì i gradi della consanguineità, ed affinità, e per una sua spezial Prammatica81 vi diede altri opportuni provvedimenti.

Parimente essendo nell'anno 1690 insorto romore, che nella città di Conversano della provincia di Bari, ed in Civita Vecchia dello Stato romano, per le moltissime e spesse infermità, il male fosse contagioso; nel principio dell'anno seguente con rigorosi provvedimenti proibì il commerzio di quella provincia, e di Civita Vecchia, sospendendo ancora quello con la città di Roma e Stato Ecclesiastico82; e da poi, in luglio del medesimo anno, deputò per li quartieri di Napoli Ministri, perchè invigilassero alla custodia, non meno della città, che de' borghi e casali non permettendosi l'entrata a qualunque persona, senza li ricercati requisiti e debite licenze83. Talchè per lo rigore usato in quella provincia, perchè il malore non s'avanzasse, fu preservato il Regno, e non guari da poi s'estinse per tutto ogni sospetto di mal contagioso.

Furono ancora ne' seguenti anni del suo governo dati altri provvedimenti intorno all'Annona della città e del Regno84; alle falsità, che si commettevano nelle fedi di credito85; intorno all'introduzione delle drapperie, lavori e telarie forastiere86, ed intorno ad altri bisogni: e date varie altre provvidenze, che si leggono sparse nel IV e V tomo delle nostre Prammatiche. Non potè questo Vicerè compire il terzo incominciato triennio; poichè il Duca di Medina Coeli, che si trovava ambasciadore del Re in Roma presso il Pontefice Innocenzio XII Antonio Pignatelli, già nostro Arcivescovo, ch'era succeduto ad Alessandro VIII sin da' 12 luglio dell'anno 1691, sollecitava la corte di Spagna, perchè da quella dispendiosa per lui Ambasceria lo facesse passar tosto nel governo del Regno. Portossi egli in Napoli in quest'anno 1695, e scelse, per dar tempo al suo predecessore d'accingersi con la Contessa sua moglie e famiglia alla partenza, il palagio del Principe di S. Buono nel largo di Carbonara, per sua abitazione: dove dimorò infin che, terminate le consuete visite, il Conte di S. Stefano partisse per la volta di Spagna, lasciandoci pur egli, oltre le già rapportate, una più perenne memoria del suo Governo, com'è quella del fortino da lui fatto costrurre alla punta del Castel dell'Uovo.

CAPITOLO III
Governo di D. Luigi della Zerda Duca di Medina Codi: sua condotta ed infelicissimo fine

Al Duca di Medina Coeli prese il governo del Regno con idee magnifiche e gloriose; e scorgendo, che il Marchese del Carpio avea in quello lasciato di se luminosa fama per suoi magnifici e generosi fatti, pensò imitarlo in quella parte almeno dove credette essersi da colui trascurata. Credea aver sì bene il Carpio sterminati gli sbanditi e tolti molti altri abusi nella città e nel Regno, ma non già d'aver sterminati i controbandi e le frodi, che si commettevano nell'introduzione delle merci, e nelle Dogane, donde ne derivano notabilissimi danni non meno all'Erario regale, che agli Assegnatarj degli arrendamenti; per ciò applicò egli nel principio del suo governo tutti i suoi talenti con severe Prammatiche a rigorosamente proibirgli. Favoreggiò le loro pruove in guisa, che riputandosi sommo eccesso, convenne alle Piazze d'opporsegli, per mitigare in parte il rigore.

Pretese ancora imitar il Carpio nella magnificenza degli spettacoli, onde nel suo tempo se ne videro superbissimi; e sopra ogni altro intese ad ingrandir il nostro Teatro di S. Bartolommeo, e fornirlo non men di maestose, e superbe scene, che di provvederlo dei migliori Musici, che fiorissero a' suoi tempi in Europa; tal che oscurò la fama de' Teatri di Venezia, e dell'altre città d'Italia. Egli cominciò, e ridusse a fine quella magnifica strada, adorna d'ameni alberi, e di limpidissimi fonti, che al lido del mare costrusse per quanto corre la spiaggia di Chiaja. La pompa ed il fasto della sua corte fu veramente regale e magnifica, nè in altri tempi fu veduta presso noi altra più numerosa e splendida. Favorì le lettere e sopra modo i Letterati, ragunandogli spesso nel regal palazzo, dove egli con somma attenzione e compiacimento, ascoltava nell'assemblee i loro varj componimenti. Tal che le buone lettere, che nel preceduto governo s'erano presso noi stabilite, a' suoi tempi, per li suoi favori, presero maggior vigore, e più fermamente si confermarono.

Ma tutte queste nobili, ed amene applicazioni venivano amareggiate da altri più severi e gravi pensieri. Col correr degli anni sempre più si confermavano i popoli nella credenza, che nemmeno dal secondo matrimonio avrebbe il nostro Re lasciata prole, e si teneva per fermo, che la sterilità, non già dalla Regina giovane sana e valida, ma dal Re procedesse, e dalla sua complessione debole, ed infermiccia. Le continue sue malattie ci recavan spessi timori, e se ben talora migliorava, nell'istesso tempo, che noi per gli avvisi della sua ricuperata salute facevamo feste ed illuminazioni, egli era già ricaduto nel pristino malore. Il Duca nostro Vicerè per rallegrar i popoli e divertire i loro animi da sì funesti pensieri, in occasioni di miglioramento faceva celebrar feste magnifiche, e nel regal palagio tenne accademie de' più famosi Letterati, nelle quali per la ricuperata salute del Re recitarono nobilissimi componimenti in varie lingue, così in prosa, come in verso, che furon ancora dati alle stampe. Fece ancora nell'anno 1697 coniare una moneta d'oro col nome di scudo riccio, nella quale, alludendosi alla sua ricuperata salute, da una parte sostenute da un aquila coronata vi erano scolpite le sue regali arme, e dall'altra un mezzo busto del Re, che per base avea una palma, che stendeva sopra il capo le sue foglie, col motto: Reviviscit.

(Questa moneta, come qui sta descritta, dal Vergara fu impressa nella Tav. 52, e per essersene coniate pochissime si è presentemente resa molto rara.)

Ma non per tanto non si ricadeva appresso, per contrarie novelle, ne' pristini timori, di dover fra breve il Re mancare senza posterità.

Si vedeva all'incontro la Francia formidabile e tremenda, la quale nell'anno 1696 avea posto in piede cinque fioritissimi eserciti e gli sostenne nel paese nemico per tutta la campagna. Che quel Re pien di gloria e di vasti pensieri, meditava alte imprese; e che per togliersi l'ostacolo del Duca di Savoja, avea conchiusa col medesimo la pace, e per maggiormente stabilirla a' 4 luglio del medesimo anno, affrettò le nozze tra Maria Adelaide di Savoja, figliuola del Duca, col Duca di Borgogna, figliuolo del Delfino di Francia suo nipote. Che per ciò avea rivolte tutte le sue forze contro la Spagna, in Fiandra, dove nel 1697 conquistò molte piazze ed in Catalogna, dove prese la città di Barcellona, nell'istesso tempo, che avea nominati i Plenipotenziarj per la pace. Anzi per più speditamente pervenire al gran disegno, sollecitò in questo istesso anno coll'Inghilterra, con l'Olanda e colla Spagna istessa la pace, la quale fra queste Potenze fu conchiusa in Riswic il dì 20 di settembre, e dopo sei settimane coll'Alemagna. Ma alquanto dopo la conchiusione di questa pace fu sottoscritto in Loo un segreto trattato fra gl'inglesi, gli Olandesi, la Francia e la Savoja, col quale s era fatto un partaggio della monarchia di Spagna, in caso che il nostro Re venisse a mancare senza figliuoli, come vi era molta apparenza.

(In questo primo partaggio, che si trattò nel 1698 essendo ancor vivente il Principe Ferdinando Giuseppe di Baviera, il qual si legge nella nuova Raccolta di Mr. du Mont Tom. II p. 52, era divisa la Monarchia in cotal guisa: al suddetto Principe di Baviera assegnavasi la Spagna con l'America: al Delfino di Francia i Regni di Napoli e di Sicilia colla provincia Guipiscoa ed i porti de' presidj: all'Arciduca Carlo il ducato di Milano.)

L'Imperador Leopoldo, ancorchè vedesse gli altri Principi a ciò consentire, con somma costanza non volle mai dar suo consentimento a divisione alcuna

Si credette nascondersi sotto questa voce, ch'erasi già divulgata di partaggio, un più profondo arcano; poichè l'istesso Re di Francia Lodovico prevedeva, che non sarebbe cosa, che toccasse tanto più al vivo gli animi degli Spagnuoli, che lor proporre un tal partito, stando certo, che avrebbe lor recato sommo abborrimento: gelosi, che una sì vasta ed ampia monarchia, con tanta gloria de' loro maggiori unita e stabilita in tant'altezza, dovesse così miseramente lacerarsi, e divisa in pezzi, estinguersene il nome e la gloria: siccome in effetto non pur gli Spagnuoli, ma l'istesso Re Carlo II l'ebbe in orrore e per prevenire i disegni e romper quest'impertinenti ed intempestivi trattati, che si facevan sopra i suoi Regni, rivolse in novembre del seguente anno 1698 l'animo a Ferdinando Giuseppe, Principe Elettoral di Baviera nato di Maria-Antonia, figliuola dell'Imperadrice Maria sua sorella per innalzarlo al trono; ma morto questo fanciullo a 9 febbrajo del seguente anno 1699 non avendo ancor compiti otto anni, s'interruppe il disegno; onde con maggior vigore furono ripigliati dal Re Franzese i suoi negoziati con l'Inghilterra e l'Olanda, premendo sempre, come dava a sentire, sopra la concertata divisione, e nel mese di marzo del 1700 confermò con quelle Potenze il trattato di Loo, variandosi solamente, che alla parte assegnata al Delfino dovessero aggiungersi gli Stati del Duca di Lorena, cui in iscambio si dasse lo Stato di Milano, siccome all'Arciduca Carlo la Spagna, fuor degli Regni d'Italia per estinzion di tutte le pretensioni di sua casa: con aggiungere ancora, che questo trattato si dovesse comunicar subito all'Imperadore, acciocchè in termine di tre mesi, dal giorno della notizia, dichiarasse la sua volontà, mentre rifiutando egli di accettar la parte destinata all'Arciduca Carlo suo figliuolo, li due Re di Francia e d'Inghilterra e gli Stati Generali d'Olanda, la destinerebbero ad altro Principe, e che se alcun volesse opporsi alle cose concordemente stabilite, si unirebbero per combatterlo con tutte le loro forze.

(Questo secondo partaggio firmato in Londra a' 3 di marzo del 1700, rapportato anche nella raccolta di Mr. du Mont, Tom. II p. 104, variava dal primo: poichè per la morte del Principe di Baviera la Spagna, l'America colle province di Fiandra si assegnarono all'Arciduca Carlo; al Delfino i Regni di Napoli e di Sicilia con porti d'Italia; al Duca di Lorena il Ducato di Milano, con patto di dover cedere a' Franzesi.)

Quanto più si proccurava spingere avanti questo trattato, tanto più gli Spagnuoli erano commossi e risoluti di non soffrir partaggio veruno della loro monarchia. Il Re Carlo II con intenso cordoglio lo sentiva e ne fece in Londra e nell'altre Corti da' suoi Ministri sentire le doglianze; e nell'istesso tempo, tenero della sua propria casa, assecurava l'Imperador Leopoldo, che non si dimenticherebbe delle leggi del sangue e delle disposizioni de' suoi maggiori. Tanto bastò perchè vie più l'Imperadore stasse fermo e costante in non accettare la concertata divisione; onde al Marchese di Villars, ch'era stato mandato dal Re di Francia per sollecitarlo ad accettarla, secondo il termine stabilito, rispose che se mai il Re di Spagna cedesse alla natura senza prole, la qual cosa stimava rimota per la fresca età, allora essendo egli inchinato alla quiete, avrebbe volentieri a più giusti, ed a più salutevoli consigli condisceso. Ma quel Re intanto, accertatosi di questa sua deliberazione di non accettar divisione alcuna, cominciò i suoi negoziati co' Grandi della corte di Spagna, i quali fu facile portargli al suo disegno, mostrando loro, che non men per giustizia, che per proprio interesse, doveano insinuare al loro Re d'innalzare al trono Filippo duca d'Angiò secondogenito del Delfino: poichè in niun altro poteano sperare che si fosse mantenuta salda ed intera la loro monarchia, che nella costui persona, la quale assistita dalle sue potenti e formidabili armi, avrebbe potuto reprimere gli sforzi di tutti coloro, che tentassero oltraggiarla, o in modo alcuno partirla.

Mentre che nella corte di Spagna si maneggiava affare sì importante, infermossi in Roma nel mese di settembre di quest'anno 1700 il Pontefice Innocenzio XII, il quale dopo aver retta quella sede nove anni e duo mesi, in età di 86 anni rese lo spirito a' 27 dello stesso mese, giorno di lunedì ad ore tre di notte. Giunse al Duca di Medina nostro Vicerè tal avviso la seguente giornata di martedì ad ore tre della notte, ed al Cardinal Cantelmo nostro Arcivescovo ad ore sei; e la mattina del mercoledì furono dal Vicerè spedite per la volta di Roma le consuete soldatesche per dover assistere all'Ambasciador Cattolico (allora il Duca Uzeda) in Roma: dove dopo alquanti giorni si chiusero i Cardinali in Conclave per l'elezione del successore. In Napoli dal Cardinal Arcivescovo la mattina de' 5 d'ottobre gli furon fatte celebrare nel Duomo solenni esequie, avendovi recitata l'orazion funebre in idioma latino il P. Partenio Giannettasio Gesuita, celebre per le sue opere date alle stampe; ed il Nunzio, un mese da poi, nella Chiesa di S. Maria della Nuova glie ne fece celebrar altre più pompose e magnifiche.

Ma mentre che i Cardinali divisi in fazioni, dibattevano in Conclave sopra l'elezione del nuovo Pontefice, verso la fine d'ottobre giunse a noi di Spagna funesta novella, che il Re gravemente infermatosi, dava poca speranza di salute; ma poco da poi giungendo nuovi avvisi, ch'era migliorato, furono dal Vicerè fatte pubbliche magnifiche feste per rallegrar il popolo, e fu veduta la città in tutte le strade arder fuochi per allegrezza e nelle finestre numerosi torchj; tal che per tre sere si continuarono le illuminazioni. Ma miseri nell'istesso tempo, che noi con tanta pompa e gioja celebravamo feste per la ricuperata salute del Re, se n'era già morto il primo di novembre; ed in un punto s'intese la sua morte e l'esaltazione nel trono di Spagna di Filippo d'Angiò. Questo accidente affrettò l'elezione del nuovo Pontefice; poichè congiuntisi insieme i Cardinali Spagnuoli ed i Franzesi, vennero ad eleggere con pluralità di voti il Cardinal Francesco Albani d'Urbino, ch'era stato segretario de' Brevi a tempo del passato Pontefice e non avea più che 51 anni. Fu eletto il dì 23 di novembre di quest'anno 1700 ad ore 18 giorno di Martedì, in cui la chiesa celebra la festività di S. Clemente Papa; onde volle chiamarsi Clemente XI con tutto che fosse stato creato Cardinale da Alessandro VIII.

Il Duca di Medina Coeli nelle tante rivoluzioni di cose, che accaddero dopo l'acerba e funestissima morte del Re Carlo II fu spettacolo insieme e spettatore di varie mondane vicende, le quali in ultimo lo condussero ad un infelice e lagrimevol fine. Di lui oltre i rammentati, ci restano a noi altri monumenti, che si leggono nel V tomo delle nostre Prammatiche, secondo l'ultima edizione 1715.

74.Queste due monete furono anche impresse dal Vergara, Tav. 56.
75.Pragm. 40 de Monetis, tom. 4 § 6.
76.Prag. 42 cit. tit.
77.Pragm. 42 et 43 cit. tit.
78.Pragm. 44 cit. tit.
79.Pragm. 47 de Monetis, tom. 5.
80.Queste quattro altre monete furono pure impresse dal Vergara Tav. 77.
81.Pragm. 22 de Suscip. Offic. tom. 5.
82.Pragm. 40 et 41 de Saluber. aer. tom. 5.
83.Pragm. 43. cit. tit. tom. 5.
84.Pragm 53 de Annona, tom. 5.
85.Pragm. 5 de Falsis, t. 5.
86.Pragm. 12 de Expul. Gallor. tom. 5.
Возрастное ограничение:
12+
Дата выхода на Литрес:
22 октября 2017
Объем:
400 стр. 1 иллюстрация
Правообладатель:
Public Domain

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