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Читать книгу: «Istoria civile del Regno di Napoli, v. 9», страница 19

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Il marescial Vivonne intanto, ridotta Messina sotto l'ubbidienza del suo Sovrano e reso padrone del mare, meditava di stendere le sue conquiste sopra altre città di quell'Isola; ma fattone esperimento, trovò gli animi stabili e fermi nella fedeltà del lor Signore, e pronti ad opporsergli con molta intrepidezza e costanza. Bisognavagli ancora provvedere Messina di viveri da rimote parti, e mandare sino in Francia per vettovaglie, perchè gli Spagnuoli tenevan chiusi tutti i passi di terra; e l'armata, che s'apprestava in Napoli tenevalo in continue agitazioni, vedendo, che gli Spagnuoli non aveano deposto l'animo di fare ogni sforzo per la riduzione di quella città. Per ciò egli dopo avere scorso colla sua armata le marine di Palermo e tentate inutilmente l'altre piazze marittime di quell'Isola, s'incamminò verso i lidi di Napoli, con disegno, se gli venisse fatto, d'abbruciar l'armata spagnuola, che si trovava ancora nel nostro Porto; ma essendo comparso nel mese di luglio di quest'anno 1675 nel nostro Golfo, presero i cittadini le armi, ed opportunamente fortificati i posti più importanti, l'obbligarono a ritornarsene in Messina, con aver solo depredate alquante barche, che per cammino ebbero la disavventura d'incontrarsi colla sua armata.

Ma mentre il Vicerè, risarcita già l'armata, provveduta del bisognevole e soccorsa colle paghe de' marinari e de' soldati, sollecitava la di lei partenza, siccome in effetto il principe di Montesarchio governadore di essa s'era posto alla vela, si videro entrar nel nostro porto a' 9 di settembre di questo istesso anno alcune navi che inaspettatamente condussero da Sardegna il Marchese de los Velez per nostro nuovo Vicerè. Erano precorse alla corte le voci insorte, che il Marchese d'Astorga e più i suoi Ministri, de' qual' si valeva, s'eran molto profittati di questa guerra e che le spedizioni andavan pigre e lente, perchè la maggior parte del denaro era impiegato ad altri usi. La Corte di Spagna, che non inculcava altro, che la riduzione di Messina, deliberò, avendo già l'Astorga compiti i tre anni del suo governo, di mandargli per successore il Marchese de los Velez, il quale trovandosi allora vicerè in Sardegna, favorito ancora dalla Regina Reggente per le continue raccomandazioni della madre di los Velez, ch'era sua cameriera maggiore, fu creduto valevole a sostenere il peso, non men del governo del regno, che della guerra di Sicilia. Convenne per tanto all'Astorga, giunto il successore, di cedergli il Governo e ritiratosi nel borgo di Chiaja, dove si trattenne sino a' 13 d'ottobre, partissi per la volta della Corte ad esercitar ivi la sua carica di consigliere di Stato e di generale dell'artiglieria delle Spagne. Ci lasciò pure l'Astorga sette Prammatiche ne' tre anni, che ci governò, che sono additate nella Cronologia prefissa al primo tomo delle medesime.

CAPITOLO IV
Il Marchese de los Velez nuovo Vicerè prosiegue a mandar soccorsi per la riduzione di Messina, la quale finalmente abbandonata da' Franzesi, ritorna sotto l'ubbidienza del Re

L'espettazione, colla quale fu ricevuto D. Ferrante Gioachino Faxardo Marchese de los Velez, e la speranza, che si concepì del suo governo di dover sollevare il Regno d'una sì molesta, e fastidiosa guerra, che lo impoveriva molto più, che non avean fatto le passate sciagure, fu appresso tutti grandissima. Si sperava, che per l'avvenire con miglior economia dovesse spedirsi il denaro e per conseguenza dovessero farsi sforzi più valevoli per terminar la guerra di Sicilia; che sarebbero scacciati i franzesi, umiliati i ribelli, restituita la tranquillità in quell'Isola e quello che più premeva, liberato il nostro Regno, non meno dal peso di spingere a quella parte continui soccorsi, che dal timore d'invasioni e d'insulti; poichè i Franzesi, non contenti di suscitar torbidi e sollevazioni in quell'Isola, macchinavano ancora nel nostro Regno, coltivando continue pratiche co' banditi di Calabria e con altri mezzi fomentando sedizioni e tumulti: nè tralasciava l'ambasciadore del Re Franzese residente in Roma, con occulte macchinazioni e con secrete commessioni, appoggiate per lo più a frati, di tentar gli animi e far disseminare manifesti per eccitare i popoli a seguir l'esempio de' Messinesi. A questo fine il Marchese de los Velez fu obbligato di istituire in Napoli un'assemblea di ministri con titolo di Giunta degl'Inconfidenti, la quale non vi stette oziosa, poichè scoprì molti di costoro, de' quali, secondo che venivano indiziati, alcuni ne furono imprigionati, altri esiliati dal Regno e taluni fatti morire su le forche.

(A questi tempi fu sparso quel Manifesto del Re Luigi XIV, che in idioma franzese si legge presso Lunig57 colla data di Versaglia degli 11 ottobre del 1675, dove s'espongono le ragioni per le quali fu mosso a dar soccorso a' Messinesi oppressi dal pesante giogo degli Spagnuoli.)

Intanto sollecitando la Regina reggente la riduzione de' Messinesi e nell'istesso tempo minacciando rigorosi castighi a' generali spagnuoli, affrettando per ciò il reggente Valero, che i processi fabbricati contro di loro dovesse mandare alla Corte, costrinse il nostro Vicerè a pensar da dovero ad affrettare valevoli soccorsi per quella spedizione. Egli per ciò esagerando non meno a' Nobili, che al Popolo Napoletano gli urgenti bisogni, indusse loro a far un donativo al Re di 200 mila ducati, una parte de' quali fu ricavata dalle contribuzioni volontarie de' Cittadini e 'l rimanente dalla metà degli stipendj de' Giudici delegati e dei governadori degli arrendamenti, ed in cotal guisa si sosteneva la guerra di Sicilia, dove furono spediti da tempo in tempo soccorsi non solo di munizioni e di gente, ma si mandava ogni mese il contante per pagare l'esercito.

Ma le speranze maggiori di snidare i Franzesi da quell'Isola si fondavano nella venuta di D. Giovanni d'Austria, il quale essendo stato dichiarato dalla Regina Reggente, Vicario generale del Re in Italia, si aspettava a momenti con una squadra di vascelli di Olanda. Giunse finalmente in Napoli a' 30 di novembre di quest'anno 1675 l'armata Olandese composta di diciotto navi da guerra e sei da fuoco, comandata dall'ammiraglio Ruiter, ma non già D. Giovanni di Austria, il quale con secreti ordini del Re era stato richiamato alla Corte. L'arrivo di quest'armata diede maggior agio ai generali Spagnuoli d'accalorar l'impresa, e già stringendo per tutti i lati Messina, ed all'incontro vedendosi che i Franzesi a lungo andare non avrebber potuto resister loro, si cominciavano a sentir voci dagl'istessi Messinesi che era impossibile che Messina potesse rimanere ai Francesi, e che l'armata spagnuola unita a quella degli Stati generali d'Olanda l'avrebbe senza fallo espugnata. Cominciavano ancora ad accorgersi, che il Re di Francia non avea pensiero (non potendo conquistare tutto il Regno) di conservarla: ma solamente di divertire le forze della corona di Spagna, colla quale guerreggiava ne' Paesi Bassi, e che per ciò vi mandava soccorsi tali, ch'erano valevoli a mantener questa guerra in Italia, non già a liberare la città di Messina da quelle angustie, nelle quali la tenevano le milizie Spagnuole. Dispiacevano sommamente ai Franzesi queste voci onde nell'entrato anno 1676 vie più inaspriron la guerra, e tentarono di nuovo Palermo, e l'altre piazze, ma sempre con infelici successi.

Intanto partito per la corte il Marchese di Villafranca, e sostituito Vicerè di quell'Isola il Marchese di Castel Rodrigo figliuolo del Duca di Medina las Torres e di D. Anna Caraffa principessa di Stigliano, giovane intorno a 35 anni e che nelle guerre di Portogallo e di Catalogna avea dati saggi d'un gran ardire e valore; ripigliò questi la guerra con più vigore, e per tutto quest'anno e ne' principj del seguente combattè valorosamente i Franzesi, sicchè molto più i Messinesi disperavano di lor salute. Ma morto costui per dolor di colica nel mese d'aprile di questo nuovo anno 1677 non potè aver il piacere per le sue mani di veder condotta a fine la gloriosa impresa. Avea egli prima di morire appoggiata l'amministrazion del Regno alla Marchesana sua moglie, ed al Maestro di Campo Generale Conte di Sartirana il comando delle milizie, per sino a tanto, che il Re non avesse provveduto il regno del successore. Ma poichè eravi occulto dispaccio del Re, che comandava, che per qualunque accidente venisse a mancare il Castel Rodrigo andasse il Cardinal Portocarrero, che si trovava in Roma, a prender il governo di quell'Isola, partì subito questi da Roma per Gaeta, ove a' 10 maggio imbarcatosi, navigò felicemente per Palermo.

Fu proseguita la guerra per tutto quest'anno con non minor calore, che intrepidezza; ma in Messina intanto accadevan spesso fastidiosi tumulti, non solo per l'insolenza de' soldati Franzesi, ma per le mormorazioni, che tuttavia crescevano, che i Franzesi dovessero finalmente saccheggiar Messina e lasciar gli abitanti alla discrezione degli Spagnuoli. Nè le voci eran vane, poichè nel consiglio di Francia era stato già stabilito l'abbandonamento de' Messinesi e poichè donde venisse tal risoluzione era occulto, diessi a molti occasione di spiarne le cagioni. Alcuni l'attribuivano alle immense spese, che dovea soffrir la Francia per traghettar le soldatesche nella Sicilia, e molto più per mantenervele; e mancando In Messina ogni sorte di vettovaglie, si dovean mendicare da lontani paesi, non solo per uso delle milizie, ma anche de' Cittadini. Si faceva il conto, che di ventimila soldati passati in diverse volte in quell'Isola, appena rimaneva la quarta parte, e tutti gli altri, o erano rimasi estinti nelle fazioni o morti di patimenti e d'infermità, o finalmente fuggiti per non esporsi al pericolo della fame. Che volendosi continuar la guerra, bisognava spedire nuove squadre in Sicilia, giacchè dagli Spagnuoli si facevano apparecchi grandissimi in tutti gli Stati, che possedevano in Italia. S'aggiungeva ancora di dover mantenere l'armata navale continuamente in que' mari, per tener aperto il passo alle vettovaglie e per far fronte all'armata spagnuola, la quale sarebbe stata molto potente, per la squadra di navi, che facevano gli Olandesi passare a questo effetto nel Mediterraneo Sotto il comando del Vice-Ammiraglio Everzen; e che queste spedizioni pregiudicavano notabilmente alla guerra, che la Francia faceva di là da' monti, dove avea bisogno di soldatesche per ingrossare gli eserciti, e di navi per l'armata navale, che faceva mestieri di porre in mare, non solamente per opporsi a' Principi Collegati, ma anche al Re d'Inghilterra, il quale sollecitato dal Parlamento, minacciava d'unirsi co' nemici del Re Franzese, per costringerlo a far la pace con quelle condizioni, che pretendeva prescrivergli. Si considerava, che la Francia non avea tante forze per mantenere un'armata navale nell'Oceano ed un'altra nella Sicilia, spezialmente in quel tempo che 'l fuoco avea abbruciata una gran parte dell'Arsenale e delle munizioni in Tolone, ed anche i magazzini in Marsiglia; e ch'era ritornato dall'America il Conte d'Etrè con la sua squadra di navi molto mal concia e sminuita di numero, per cagion della battaglia ch'avea data nell'Isola del Tabacco al Vice-Ammiraglio Binch olandese. Ma sopra tutto si ponderava, che la guerra della Sicilia non poteva giammai render conto alla Francia, poichè erasi già sperimentato, di non doversi fare alcun fondamento su quella rivoluzione generale dell'Isola, che aveano i Messinesi fatta sperare; anzi che per la fermezza e costanza de' Siciliani nella fede del lor principe, era a' Franzesi ogni palmo di terreno costato un fiume di sangue; ed aggiugnevasi, che bisognava temere de' medesimi Messinesi, giacchè s'era sperimentato, che alcuni di essi per affetto alla Spagna, altri per incostanza di genio, e tutti per rincrescimento della lunghezza, e delle calamità della guerra, aveano macchinate tante congiure, per riconciliarsi col Re Cattolico. E finalmente conchiudevasi, che non era possibile di combattere insieme co' nemici interni ed esterni, e molto men con la fame, la quale faceva a' Franzesi in Messina una guerra, assai più crudele di quella, che loro facevasi dagli Spagnuoli.

Questo fu ponderato allora intorno a tal deliberazione, ancorchè non mancassero alcuni, che stimassero le cagioni assai più recondite e misteriose, e che nascondessero segreti d'assai maggiore importanza. Altri finalmente credettero, che ciò fosse preludio del trattato di pace, che fu conchiuso in Nimega l'istesso anno 1678. Che che ne fosse, egli però è certo, che questo abbandonamento fu conchiuso nel consiglio di Francia molto tempo prima di quello, che fu mandato in effetto. Il Marescial di Vivonne non volle esserne l'esecutore, per non lasciare, con un atto di debolezza, quella carica, che gli pareva d'avere esercitata con tanto applauso; onde a questo fine il Re di Francia gli sostituì il maresciallo della Fogliada nel medesimo tempo, ch'essendo stato nominato dal Re Cattolico il Cardinal Portocarrero all'Arcivescovado di Toledo, vacato per la morte del Cardinal d'Aragona, fu mandato in sua vece il Principe D. Vincenzo Gonzaga de' Duchi di Guastalla a governar la Sicilia, il qual giunto a Napoli nel dì 22 di febbrajo di quest'anno 1678, partì verso Palermo nel primo di marzo, portando seco un vascello con 500 fanti Napoletani, seguitato, alcuni giorni da poi, da due navi cariche di munizioni da guerra.

Essendo per tanto giunto in Messina il Maresciallo della Fogliada, dato prima ad intendere di voler con maggior calore proseguire la guerra, cominciò ad imbarcare sopra l'armata le soldatesche Franzesi, sotto pretesto di condurle all'acquisto di Catania, o di Siracusa: da poi fatti a se chiamare i Giurati della città mostrò loro i dispacci del Re di Francia per l'abbandonamento della Sicilia. Questo avviso a guisa di un fulmine toccò gli animi de' Messinesi, che sbalorditi e confusi, non sapevano a qual partito appigliarsi: scongiuravano il Maresciallo a trattenersi, almeno infino a tanto, che dessero sesto alle cose loro. Ma ciò lor negato, molti disperando del perdono dagli Spagnuoli, deliberarono di abbandonare la patria e d'andarsene in Francia: così ne furono molti non men Nobili, che Popolari imbarcati sopra l'armata, che verso Provenza voltò le prore. Così rimasa Messina senza assistenza de' Franzesi, que che vi rimasero ne dieron tosto avviso al governadore dell'armi della piazza di Reggio, il quale immantenente accorsovi col Vescovo di Squillace, ed alcuni ufficiali militari introdusse in Messina il ritratto del Re Cattolico, a vista del quale tutti que' cittadini fecero non ordinarie dimostrazioni d'applauso al suo Augustissimo Nome. Ciò accadde nel mese di marzo di quest'anno. Vi accorsero poco da poi gli altri comandanti con buon numero di soldatesche, e finalmente portossi in Messina il Vicerè Gonzaga, il quale usando moderazione con que' sudditi, concedette loro un ampio perdono, con la restituzione di tutti i beni, che non si trovavano alienati, o venduti; ma volle, che ne fossero esclusi tutti coloro, che con la fuga se n'erano renduti indegni. Comandò parimente, che si fosse negli abiti abolito l'uso franzese, e che si fosse portata nella zecca tutta la moneta di Francia, a fine di coniarsi con l'impronta del Re. Non estinse il Senato, aspettando sopra ciò la deliberazione della Corte; vietò nulladimeno a' cittadini d'offendersi, o ingiuriarsi fra di loro per le colpe della passata ribellione; ed avendone mandate tutte quelle soldatesche, che sopravanzavano al bisogno delle guarnigioni, le milizie di Reggio si ritirarono in Napoli.

Ma alla Corte di Spagna non piacque l'indulgenza usata dal Gonzaga a' Messinesi; onde richiamatolo in Madrid a sedere nel Consiglio di Stato, gli sostituì nel Governo dell'Isola il Conte di S. Stefano, il quale trovandosi allora Vicerè in Sardegna, si pose immantenente in cammino, ed a' 29 di novembre giunse in Palermo, donde partito a' 5 di gennajo del nuovo anno 1679 arrivò a Messina. Costui secondando i desiderj della Corte, tolse il Senato, e mutò forma di governo a quel magistrato, comandando, che non più senatori, giurati, ma eletti dovessero nomarsi, e restrinse in troppo angusti confini la loro potestà. Privò i Messinesi di tutti i privilegj e franchigie. Fece demolire il palagio della Città, e sparso il suolo di sale, vi fece ergere una piramide, ed in cima la statua del Re formata dal metallo di quella stessa campana, che prima serviva per chiamare i cittadini a consiglio. Vietò tutte l'assemblee; regolò egli le pubbliche entrate, le esazioni, ed i dazj; e finalmente, secondo le istruzioni lasciategli dal Principe Gonzaga, per porre maggior freno a que' popoli, vi fondò una forte ed inespugnabile cittadella, intorno alla quale posero ogni studio i migliori Ingegneri e Capi Militari, che aveva la Spagna in que' tempi.

CAPITOLO V
Il Marchese de los Velez, finita la guerra di Messina riordina il meglio, che può, il Regno: suoi provvedimenti: sua partita e leggi, che ci lasciò

Aveva questa crudele ed ostinata guerra impoverito in tal guisa il Regno, per le tante spese occorsevi, che ci fece il conto, che ne uscirono poco meno di sette milioni. Affinchè i soccorsi fosser pronti e solleciti, fu di mestieri, non essendosi trovate l'entrate del regio erario corrispondenti alle somme immense, che fu necessario impiegare ne' ruoli delle milizie, nelle provvisioni delle vittuaglie, munizioni ed ordigni di guerra, e nelle paghe de' soldati, così dell'esercito della Sicilia, come dell'armata navale e delle guarnigioni delle piazze della Calabria; di por mano, non solo con molta precipitanza alla vendita degli ufficj, ma quel ch'è più, alla vendita de' fondi, ed a barattargli a prezzo vilissimo, con tanto vantaggio dei compratori, che tutti ne aveano goduti frutti eccessivi, e molti d'essi n'aveano ritratta la rendita di sopra venti per cento l'anno. Ciò che avendo diminuita notabilmente la dote della cassa militare, furono dalla Corte di Spagna, non solo disapprovate molte alienazioni, e per ciò niegato il regale assenso, ma intorno alla vendita de' capitali degli arrendamenti fiscali, ed adoe, fu ordinato, che si formasse una Giunta di Ministri, per esaminare un affare di così grande importanza. Furon proposti molti espedienti per dar compenso a' preceduti disordini; ma finalmente piacque a los Velez d'appigliarsi a quel partito, che reputò più conforme alla giustizia ed equità; laonde fu comandato, che tutti i mentovati contratti si dovessero regolare a misura del prezzo veramente pagato, in guisa tal, che i capitali degli arrendamenti e delle adoe si fossero ridotti a cento per cento; i fiscali della provincia di Terra di Lavoro al novanta; e quelli di tutte le altre province ad ottanta per cento. Il rimanente fu incorporato al patrimonio reale; al quale vi fu aggiunto ancora l'imposta del Jus prohibendi dell'acquavite, dalla quale si ricavavano in quel tempo 13 mila ducati l'anno.

Ristorato, come si potè il meglio, l'erario regale, bisognò dar sesto a non inferiori disordini. Le monete non ostante le severe esecuzioni fatte ne' passati governi, andavansi di giorno in giorno vie più adulterando. Furono dal Marchese rinovati i rigori, empì di falsificatori le carceri e le galee, molti ne furon fatti morire su le forche; ma con tutto ciò non era possibile sterminargli, ed erano così tenacemente adescati dall'avidità del guadagno, che molti di coloro, ch'erano scampati dal laccio e condennati a remare, sopra le galee istesse continuavano i loro lavori. Fin dentro i chiostri era penetrata la contagione, ed i monaci n'erano divenuti valenti professori. Gli Orafi adulterando le loro manifatture, mischiavano maggior lega di quella, che permettono le leggi del Regno. Donde venne a cagionarsi un grandissimo impedimento al commercio; poichè tutti coloro, che avevano argenti lavorati nelle lor case, non erano sicuri di trovarvi il lor danaro, e le monete erano presso tutti cadute in sì cattivo concetto, che cominciavasi a rifiutarle, ed oltre la mancanza del peso, ogni uno si faceva lecito di condannarla per falsa, o di conio, o di lega. In fine, sino alla moneta di rame era adulterata e falsificata. Il Vicerè applicò il suo animo per rimediare a disordini sì gravi; e fece fare un'esatta inquisizione contro degli Orafi, che aveano venduto l'oro e l'argento di più basso carato; sbandì tutte le monete false così di conio, come di lega; e volle, che si fossero portate fra brevi giorni in mano di persone a ciò destinate in diversi Rioni della città, e nelle province in mano de' Tesorieri, da' quali sarebbe stata restituita la valuta a' padroni in tanta moneta buona e Corrente; ma ciò non ostante accadevano infinite contese, perchè molti rifiutavano come falsa la moneta, che in fatti era buona, ed altri volevano mantenere per buona quella, che veramente era falsa: laonde per decidere simiglianti litigj, li quali mancò poco non fossero degenerati in tumulti, fu di mestieri, che il Vicerè ne commettesse la decisione ad alcune persone esperte di ciascuno quartiere. Ma tutti questi rimedj erano inutili e si sperimentarono inefficaci alla corruttela del male. L'unico rimedio era l'abolizione della antica e la fabbrica d'una nuova: ma questa era opera, che avea bisogno di molti apparecchi e richiedeva il travaglio di più anni. Con tutto ciò fece il Marchese, quanto i suoi calamitosi tempi comportavano; perchè non potendo altro, fe' coniare la moneta di rame d'una figura circolare così perfetta che servì poscia d'esempio alla fabbrica della moneta d'argento sotto gli auspicj del Marchese del Carpio suo successore: fece ancora a questo fine ristorare, ed ingrandire il palagio della Regia Zecca, ancorchè sapesse, che quest'impresa non era da ridursi a perfezione sotto il suo governo.

Non meno, che le monete, travagliavano il Regno le frequenti scorrerie de' banditi, li quali se in altri tempi erano stati sempre molesti, riuscivano ora, per la guerra di Sicilia, assai più gravi, per la gelosia, che portavano alla tranquillità dello Stato. Avea il marchese d'Astorga conceduto a molti di costoro il perdono se volessero andare a servire in Sicilia; e Los Velez, seguitando le sue pedate avea fatto il medesimo, particolarmente co' banditi di Calabria, li quali, per la poca distanza, stavano maggiormente soggetti ad esser da' nemici tentati. Riuscì in parte il disegno, poichè quelli, che v'andarono, da famosi ladroni divennero bravi soldati. Ma coloro, che rimasero, ancor che contro essi si fossero usate le più diligenti ricerche e le più severe esecuzioni, non fu però mai possibile estirpargli, ed impedirgli, che non infestassero le campagne.

La Città trovavasi nel suo arrivo in istato di somma dissolutezza per la confusione, che cagionavano le genti delle armate navali e le soldatesche, che si arrolavano per la guerra di Sicilia, onde tutto era pieno di disordini, nè v'eran atroci delitti, che non si commettessero, furti, sacrilegi, omicidj, assassinamenti, peculati, e proditorj. Fu contro tutti, e nobili, e popolani usato rigore; molti ne morirono per mano del boja, altri fatti secretamente strozzare, altri furono condannati a remare su le galee e moltissimi languirono per lungo tempo nelle prigioni; ma questi rigori nè meno bastarono, perchè dandosi luogo a maneggi, ed alle raccomandazioni, molti sapevano trovar scampo, nè badandosi alla cagione del male, si proccurava rimediare agli effetti e non recidere le radici.

Ne' Magistrati non si vedeva quella severità ed incorruttibilità, che le leggi lor prescrivono; ma alcuni per sordidezza, altri per compiacenza, davan luogo ai favori. D. Giovan d'Austria, dichiarato primo Ministro della Monarchia, pensò di darvi riparo, e mosso da segreti informi ne privò otto di dignità, e d'officio, due Consiglieri, due Presidenti di Camera e quattro Giudici di Vicaria, oltre alcuni ufficiali della Segreteria del Vicerè. Si lagnavano i Ministri degradati di essere stati condannati senza processo e senza difesa; onde si mossero i Deputati delle Piazze della città a pregare il Re, che secondo il costume introdotto dal Re Filippo II mandasse nel Regno un Visitatore, il quale contro i colpevoli procedesse con le forme giudiciarie, affinchè non si desse luogo alla passione, o alla calunnia, alle quali sogliono essere sottoposti i processi occulti. Assentì il Re alla domanda e la mandò in effetto in tutti i suoi Stati d'Italia avendo ordinato, che da Napoli andasse Visitatore in Sicilia il Reggente Valero, ed in Milano il Presidente di Camera D. Francesco Moles Duca di Parete, e che da Milano venisse in Napoli il Reggente Danese Casati. Giunse costui verso la fine d'aprile del 1679, e palesata la sua carica, ricevute le querele di molti, passò con grandissima circospezione alla fabbrica de' processi; nè altre novità d'importanza furono vedute nella città, che la restituzione d'alquante somme, che in concorso di creditori aveano alcuni ministri fatte pagare a chi forse non si doveano e l'allontanamento di due, per dar luogo alle diligenze, che doveano farsi dal Fisco contro di loro. Le altre cose passarono con quiete; onde il Casati dopo due anni di dimora in Napoli, partì nel mese d'aprile del 1681 per dar conto al Re di quanto avea operato in adempimento della sua commessione. Dal successo si credette, che i suoi processi poco, o nulla avessero contenuto contro agli otto Ministri già digradati; poichè in progresso di tempo cinque di essi furono reintegrati, parte nelle medesime, parte investiti d'altre cariche più autorevoli; e gli altri tre avrebbero facilmente ottenuto lo stesso, se uno di essi non si fosse contentato di menar vita privata e gli altri due non fossero morti.

Mentre queste cose accadevano in Napoli, morì in Roma a' 22 di luglio del 1676 il Pontefice Clemente X, ed essendosi ragunati in Conclave i Cardinali, elessero per successore a' 21 settembre del medesimo anno Benedetto Livio Odescalchi da Como Vescovo di Novara, che fu chiamato Innocenzio XI. Per l'opinione, che s'avea della sua bontà, ed innocenza di costumi, da tutti i Principi d'Europa fu l'elezione applaudita, ed in questo secolo non vi fu Pontefice cotanto da essi più venerato, quanto che lui; onde gli ufficj, ch'egli interpose in promovere la pace fra di loro, furono ben ricevuti, ed ebbero felice successo. Cominciossi a trattare in Nimega, ma le pretensioni troppo alte del Re di Francia e la diversità degl'interessi degli altri collegati ne prolungavano la conchiusione. Ma nato in quest'anno 1678 opportunamente all'Imperador Leopoldo, che non avea maschj, un suo figliuolo, parve questi venuto al Mondo per Angelo di pace. Le dimostrazioni di giubilo, che si fecero non meno in Napoli, che in tutti gli Stati Austriaci, furono grandissime; poichè si vedeva secondata in Alemagna la successione di quella Augustissima Famiglia e tolto con ciò ogni timore di future rivoluzioni e disordini nell'Imperio, ed ogni speranza agli altri Principi di potersene profittare. Agevolò per tanto la natività di questo nuovo Principe la pace, quale ebbe principio da quella, che il Re di Francia conchiuse con gli Stati Generali d'Olanda, a' quali quel Re promise di rendere la città di Mastrich, e sue dipendenze, ed il rinteramento del Principe d'Oranges nella possessione del Principato di questo nome, e di tutte l'altre terre poste nel suo dominio, che il Principe possedeva avanti la guerra senz'altra obbligazione dalla parte degli Olandesi, che d'osservare una perfetta neutralità, nè dar alcun ajuto a' nemici della corona di Francia.

Questa pace diede la spinta maggiore di far conchiudere l'altra fra la Spagna e la Francia, la quale dopo la sospensione d'armi di circa un mese, fu finalmente sottoscritta in Nimega a' 17 settembre di questo anno 1678. Gli articoli stabiliti in quella furon molti, buona parte de' quali riguardava le contribuzioni, ed il commerzio de' sudditi delle due Corone, e per la restituzione de' paesi occupati fu convenuto che il Re di Francia dovesse rendere al Re Cattolico le piazze di Carleroi, Binch, Ath, Oudenarde, Courtray, il Ducato di Limburgo, il paese di là dalla Mosa, la città e cittadella di Gant, il forte di Rondenhuis, il paese di Waes e le piazze di Levue e di S. Gislain ne' Paesi Bassi, oltre la città di Puicerda nel Principato di Catalogna, con espressa condizione, che l'escluse e fortificazioni incorporate a Neuport restassero agli Spagnuoli, nonostante le pretensioni del Re di Francia, come possessore della Castellania di Ath. Gli Spagnuoli all'incontro si contentarono di lasciare alla corona di Francia la Franca Contea di Borgogna e le città di Valenciennes, Buchain, Condè, Cambray, Cambresis, Aire, Sant'Omer, Ipri, Varwich, Varneton, Poperingue, Bailleul, Cassel, Satelbavai, e Maubeuge: come anche Charlemont in caso, che il Re Cattolico non facesse fra lo spazio d'un anno cedere al Re di Francia Dinant, appartenente al principato di Liege. E finalmente la Spagna stipulò la medesima neutralità, ch'era stata promessa dagli Olandesi.

Seguì poscia la pace fra la Francia, la Svezia, l'Imperio e l'Imperadore, la quale interamente fu regolata secondo le capitolazioni di quella di Vestfalia dell'anno 1648, nè vi fu cosa di nuovo, che la cessione di Friburgo rimaso all'Imperadore, il rinteramento del Vescovo d'Argentina e de' Principi di Furstemberg nella possessione de' loro Stati, beni, preminenze e prerogative e la restituzione della Lorena al Duca di questo nome, al quale la Francia avrebbe dato la città di Toul, ed una Prevostia ne' tre Vescovadi, in cambio di Nancy e della Prevostia di Longuùs, che volle ritenersi insieme con la Sovranità di quattro strade, larghe mezza lega di Lorena, per andare da S. Desire a Nancy e da qui in Alsazia, nella Franca Contea e nel Vescovado di Metz.

L'ultime paci furono quelle del Duca di Brunswich, Principi della Bassa Sassonia, Vescovi di Munster e d'Osnabrug, Elettore di Brandemburg e Re di Danimarca colla corona di Svezia; le quali parimente furono indirizzate all'osservanza di quella di Vestfalia. Così furono restituiti alla Svezia tutti gli Stati, che avea perduti nel corso di questa guerra, mediante il pagamento di alcune somme, che furono contate a Brunswich, Munster, Osnabrug e Brandemburg e solamente rimase al primo il Baliato di Tendinghausen e la Prevostia di Docuren, ed all'ultimo tutto il paese di là e qualche piazza di qua dell'Odera, che contro il tenore della pace di Munster aveano gli Svezzesi occupato. Vi furono parimente compresi li sudditi di ciascuna delle parti, e spezialmente fu convenuto, che la Contea di Rixinghen fosse restituita al Conte d'Alefelt, ed al Duca di Gottorp il suo Stato.

57.Tom. 2 pag. 1394.
Возрастное ограничение:
12+
Дата выхода на Литрес:
22 октября 2017
Объем:
400 стр. 1 иллюстрация
Правообладатель:
Public Domain

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