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Читать книгу: «La Carbonaria», страница 8

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SCENA V

Forca, Filigenio, Dottore, Isoco.

Forca. (Or sí che potrò ben andar a sotterrarmi vivo per non incappar nelle mani di costoro).

Filigenio. Forca, vieni a tempo: ascolta questo gentiluomo che dice.

Dottore. Forca mio, se per l’addietro t’ho odiato piú che la morte, come ostacolo de’ miei desidèri; or, come quello che mi hai tolto da illeciti amori o disoneste nozze, te ne arò obligo eterno. Sappi che Alcesia – non piú Melitea – non è schiava di Mangone, ma mia legittima figliuola, che molti anni sono mi fu rapita dalla balia, come potrai piú a lungo intenderlo da costui… .

Isoco. Quanto dice questo gentiluomo tutto è vero.

Dottore. … Onde io sapendo certissimo che tu e Pirino me l’avete rubbata dalla casa di Mangone, e conoscendo voi l’importanza della cosa, e conoscendo parimente che non posso tormi questa macchia dell’onore se non mi sia restituita, vorrei che facesti pensiero di effettuarlo.

Forca. Io, in quanto Forca, son persuaso a bastanza; bisogna persuader Pirino che ve la restituisca.

Dottore. Dove è Pirino, accioché possa ragionargli?

Forca. Con Pirino non potrete ragionar altrimente; ma ragionate con me quello che desiate ragionar con lui, e fate conto ch’io sia sua mente, suo desiderio e ch’io ascolti con le sue orecchie e ch’io vi risponda con la sua lingua.

Dottore. La somma è che mi restituisca la figlia.

Forca. Ed in somma io dico ch’egli è innamorato di Melitea non di amore ordinario o sopportabile, ma di un desiderio irrefrenabile; e si privarebbe con assai piú agevolezza della vita che di lei. In somma pensate ad ogni altra cosa che a riaverla; e potete pur ferneticare e consumar il cervello a vostra posta.

Dottore. Io con la giustizia gli levarò Melitea con la vita.

Forca. L’uno e l’altra si strangolerá, e preverrá con una morte volontaria la violenta.

Dottore. Ti do podestá che s’elegga un marito, come saprá desiderarlo.

Forca. Non bisogna piú elezione, ché se l’ha eletto giá; anzi una cosa vi fo saper certissima: che né voi vedrete piú lei, né Filigenio il suo Pirino.

Dottore. Come?

Forca. Amboduo poco anzi, provisti delle cose necessarie, si sono imbarcati per fuggirsene in luogo ove di loro non si sappia mai piú novella.

Filigenio. Che cosa è quello che mi dici, Forca?

Dottore. Dunque a tempo che ho ritrovato la figlia, la perdo: e avendola non l’avrò piú mai, ed era salva quando l’avea perduta!

Forca. Egli non ha animo di comparirvi piú innanzi per vergogna, ed ella per dubbio di non tornar di nuovo nelle mani di Mangone. Da lor stessi s’han preso un volontario essiglio e vita pellegrina e vaga, e sopportar ogni incommoditá e ogni miseria, purché vivano insieme e si soddisfaccino l’un l’altro, e mostrino al mondo che i loro amori non erano fondati in vani desidèri giovanili, ma su salde leggi di santissimo matrimonio.

Dottore. Filigenio, io conosco che i matrimoni prima si dispongono in Cielo e poi s’esseguiscono in terra, e che invano tenta umana forza impedir quello che è ordinato lá su. A me par che sieno cosí ben accoppiati fra loro, che né io né lui né tutto il mondo l’aría potuto imaginare; e mi par ch’egli sia degno di lei, ella di lui. Io non ho altro figlio, e la mia robba è di valor di quarantamila scudi; sono nell’ultimo della mia etá e inabile alla sperata successione. Fate voi la dote al vostro figlio. Né voi potrete restarvi di apparentar meco; perché non so come meglio si possa rimediare all’acerbitá dell’ingiuria che m’ha fatto vostro figlio.

Filigenio. A cosí buon partito che mi proponete, ogni cosa ch’io rispondessi in contrario, mostrerei che fussi scemo di cervello; ed è ben ragione che avendo io comprato la moglie al mio figlio, che voi con buona dote ricompriate il mio figlio per vostra figlia: e come per l’acquisto di lei è intricato con augurio di scherno, cosí vo’ che, mentre sia vivo, l’abbia ad esser non sposo ma schiavo di vostra figlia.

Dottore. E mia figlia, perché sotto auspicio di schiava fu introdotta in vostra casa, non che nuora, ma sia perpetua vostra schiava e di vostro figliuolo: e dove si ha pensato uccellar me, ará posto l’uccello in la sua gabbia.

Filigenio. Orsú, trovinsi costoro, e questa sera medesima facciamo le nozze con reciproca sodisfazione. Forca, perché son chiari che l’uno è dell’altro e non han piú dubio che sieno separati fra loro, falli tornar da viaggio e menali a casa nostra.

Forca. Vi do la mia parola giongerli nel viaggio e far ch’or ora li veggiate qui presenti.

Dottore. Per l’amor di Dio, presto: ché non so se potrò viver tanto che li veggia.

Filigenio. Io me ne vo a casa, a porla in ordine per questa sera.

SCENA VI

Dottore, Isoco.

Dottore. Or dimmi, di quelle cose che mi tolse Galasia, non ne ha serbata alcuna Alcesia per ricordo di suo padre?

Isoco. Sí bene: un anello con una fede scolpita, con certi piccioli diamantini intorno; e certi bracciali d’oro che mia moglie tolse con lei: e se l’ha ella sempre portati su’ diti, e se i corsari non gli han tolti, penso che debba avergli.

Dottore. Dimmi, avea ella mai desiderio di riveder suo padre?

Isoco. Anzi, nel mezo sempre delle sue allegrezze si risentiva e si rattristava, e con certi occulti e nascosti sospiri manifestava il dolor della perdita di suo padre e il desiderio che avea di rivederlo, e per lo piú sempre stava sommersa in una tacita malinconia.

Dottore. Dio cel perdoni! ché m’ha fatto buttar piú lacrime e piú sospiri che non ho peli adosso, non solo ogni volta che mi ricordavo le persone, ma quando io son venuto col pensiero da me stesso. Ma eccola che viene.

Isoco. Questa è Alcesia mia.

SCENA VII

Melitea, Isoco, Dottore, Pirino, Forca.

Melitea. O padre, non a me di minor riverenza di colui che m’ha generato, perché m’hai nodrita e allevata con tante fatiche e diligenze, oh quanto mi rallegro in vederti, vedendovi a tempo quando meno sperava di rivedervi.

Isoco. O figlia cara – ché all’amore e riverenza che vi porto non so che altro nome chiamarvi, – che mi date tanta allegrezza in vedervi quanto mi deste dispiacere essendomi rapita: o che nobile aspetto, o come anco nelle miserie risplende la maestá della vostra bellezza!

Melitea. Siami lecito abbracciarvi con quella riverenza come mio padre: o mio caro e amato balio!

Isoco. O amata e desiata figliuola!

Melitea. O Dio, quanto presto sète fatto vecchio.

Isoco. Il tempo camina, figlia: tenetelo voi, ché stia fermo, e io terrò una medesima forma. Figlia, poiché hai conosciuto il tuo balio, riconosci ora il tuo vero padre.

Dottore. Carissima figliuola, non ti ricorderesti del tuo vero nome?

Melitea. Nascendo fui rapita dalla balia; poi, con piú malvaggia fortuna, fui rapita da’ corsari, i quali mi fecero questo oltraggio che, rubbando me, mi rubbaro il mio vero nome, il quale è Alcesia.

Dottore. Dimmi, figliuola cara, non hai alcuna di quelle coselline d’oro serbate teco, che ti diè Galasia mia moglie?

Melitea. Signor mio, non ho altro che questo anello con una fede scolpita, che l’ho sempre custodito con grandissima diligenza – se pur Iddio mi avesse fatto grazia di riconoscere mio padre, – e questi bracciali.

Pirino. Moglie mia cara, perché mai prima mostrati non me l’avete?

Melitea. Sposo mio, i segni sono segni a coloro che li conoscono. Ma appresso quelli che non sanno che cosa sia, mi potrebbono piú tosto esser cagione di cattiva fama, dubitando che l’abbi per alcun ladroneccio o che alcuno innamorato me l’abbi donati.

Dottore. Pazzia sarebbe dubbitar piú che non sia mia figlia, e giá m’accorgo che allo splendor degli occhi e dalla eccellenza della bellezza, che rassomiglia a quella, quando era bambina: tu sei dessa, e il tuo aspetto è bastevole a farti conoscere che tu sei nobile.

Melitea. Gentiluomo, ecco alcuno altro segnale per lo quale possiate rendervi piú certo che sia vostra figlia.

Dottore. Figlia, giá son certificato da tutti e son vinto da tutti i segni, e finalmente mi chiamo vinto dalla di tutte cose vincitrice natura, per tirarmi nel core una insopportabile allegrezza. Figlia dolcissima, lascia che ti abbracci e baci, e non trattenermi un cosí dolce contento.

Melitea. Gentiluomo mio, se ben voi sète certificato che io sia vostra figlia, voglio anche io certificarmi se sète mio padre, né cerco altri segni da voi se non un solo; se sète del medesimo voler che son io, ché non conviene tra padri e figli diversa volontá. Io mi trovo esser sposa, e amata da questo cavalliero senza inganni e senza simulazione, piú svisceratamente che sia stata amata donna giamai; e per rendergli guiderdone di tanto amore, l’ho amato e amo con tutto il core e tutta l’anima mia: e sapendo certissimo che ogni debito può ricever cambio e ricompenso, e solamente l’amore non può pagarsi se non con amore, me l’ho eletto per isposo. Ed essere amata da lui è la mia gloria e mia terrena beatitudine: me li sono data in tutto e per tutto, o che mi schivi o che mi batta o mi venda in man di turchi. Mi contento del suo contento; onde se voi avete la medesima volontá mia, sète mio padre, altrimente io non ho padre né madre né altra persona al mondo se non lui.

Pirino. Caro signore, con che parole poss’io corrispondere a tanta affezione, conoscendo che mi ama sovra il mio merito? qual uomo sarebbe al mondo piú ingrato di me, se non l’amassi con tutto il cuore? Da quel ponto che ci vedemmo insieme – o fusse caso o destino o che cosí fusse piaciuto a Dio, per un gran pezzo sospesi insieme, imaginandoci dove prima ci avessimo potuto vedere e riconoscerci insieme, e quando avessimo avuto insieme domestichezza; e conoscendoci fra noi l’un l’altro di merito proporzionato e l’un degno de l’altro, – ci arrossimmo insieme e insieme ci impallidimmo; e insieme chiedendo l’un a l’altro misericordia, con gli occhi pieni di lacrime e riverenti, giurammo ne’ nostri cuori di amarci fin alla morte.

Dottore. Carissimi figliuoli, se conosco l’uno e l’altro di giudicio pieno e vivace, vi conosco in questo principalmente che cosí bene ambo insieme accoppiati vi siete: onde io non son d’altra volontá che voi medesimi, ed io ho impetrato da vostro padre licenza d’ammogliarvi amboduo insieme: però abbraccio e bacio amboduo come miei carissimi figliuoli. Ma io non so chi abbracciar prima, cosí egualmente vi amo e desio. Solo ti priego, caro mio Pirino, ch’ami la mia figliuola come l’hai amata per lo passato.

Pirino. Se l’ho amata schiava, povera e in casa d’un ruffiano, che si può dir piú? benché dalle sue maniere e sue creanze l’ho stimata sempre nobile e onorata, or dico che se non conoscendola l’ho tanto amata, quanto debbo or amarla sapendo che è vostra figlia? E quanto m’ho imaginato di lei, tutto m’è riuscito.

Dottore. Figlia, entriamo in casa, ché ivi ragionaremo piú a lungo. Forca, trova Mangone e digli che gli dono i cinquecento ducati e che la mia facoltá è tutta sua; e chiama Panfago e liberalo dalla prigionia.

Pirino. Chiama ancora Alessandro, ché venghi a riconciliarsi con mio padre e goder insieme con noi una commune allegrezza.

Forca. Farò quanto comandate.

Melitea. Forca mio, giá è tempo di riconoscerti de’ piaceri ricevuti da te.

Pirino. Farò che questa sera sia tu libero e a parte d’ogni mio bene.

Forca. Io non merito tanti favori. Spettatori, Alessandro, Panfago e Mangone verranno a noi per la porta di dietro. Voi potrete andarvene a vostro piacere; e se la comedia v’ha piaciuta come l’altre, fatele il solito segno di allegrezza.

Возрастное ограничение:
12+
Дата выхода на Литрес:
30 августа 2016
Объем:
110 стр. 1 иллюстрация
Правообладатель:
Public Domain

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