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Читать книгу: «Le due tigri», страница 17

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Capitolo XXVII. UN’ECATOMBE

Non era trascorso un mezzo minuto che la truppa imboccava la galleria laterale, che Kammamuri assicurava condurre nella pagoda sotterranea e nelle principali caverne che servivano di rifugio ai seguaci di Suyodhana.

Una rabbia furiosa di finirla una buona volta con quella setta infame, che mieteva tante vittime umane, per offrire alla loro mostruosa dea il sangue degli uccisi, avvampava nel petto di tutti.

Perfino de Lussac non aveva fatta la menoma protesta alla crudele, ma certo meritata punizione che Sandokan si proponeva d’infliggere a quella setta d’assassini.

I Thugs non avevano piú dato segno di vita dopo la invasione dei pirati e anche l’hauk aveva cessato di rullare in fondo alle misteriose caverne, però Sandokan ed i suoi compagni non s’illudevano di non trovare resistenza, anzi procedevano con infinite cautele, per non cadere in un agguato e si tenevano molto curvi onde non ricevere qualche improvvisa scarica.

Kammamuri, il piú pratico di tutti, essendo stato, come abbiamo detto, parecchi mesi prigioniero degli strangolatori, procedeva innanzi a tutti, tenendo la torcia infissa sulla canna della carabina, per meglio ingannare gli avversari e far sbagliare i loro tiri, ed era fiancheggiato dalla tigre e da Punthy.

Seguivano Sandokan, Tremal-Naik e Yanez con un drappello di otto malesi, scelti fra i migliori bersaglieri, poi a venti passi il grosso, con due torce, agli ordini del signor de Lussac e di Sambigliong.

Surama era stata collocata in mezzo all’ultimo gruppo.

L’acqua che continuava a rimontare, uscendo sempre dalla caverna e che poi si riversava nella galleria laterale attutiva d’altronde i passi degli invasori.

Scendeva gorgogliando fra le gambe dei pirati, con rapidità crescente, aumentando ad ogni istante la pendenza della galleria.

– Che i Thugs siano fuggiti? – chiese ad un tratto Yanez. – Abbiamo già percorsi centocinquanta passi e non ci hanno ancora assaliti.

– Ci aspetteranno in qualche caverna, – disse Tremal-Naik, che lo precedeva, tenendosi dietro a Kammamuri.

– Eppure a questo silenzio preferirei un furioso combattimento, – disse Sandokan. – Temo un tradimento.

– Quale?

– Che cerchino d’affogarci in qualche altra caverna.

– Non abbiamo veduta nessun’altra porta, quindi potremo sempre ritirarci al primo indizio che l’acqua s’innalzi.

– Io sospetto che concentrino la difesa nella pagoda sotterranea, – rispose Tremal-Naik.

– Nessuno ci tratterrà dal penetrarvi, anche se fossero dieci volte piú numerosi. Voglio affogarli tutti e distruggere per sempre questo covo di banditi.

– Alto! – disse in quel momento Kammamuri.

Erano giunti ad uno svolto della galleria e Kammamuri si era fermato scorgendo in fondo ad essa dei punti luminosi che agitavano con estrema rapidità.

Punthy aveva mandato un latrato sonoro e la tigre aveva fatto udire un sordo miagolio.

– Le nostre bestie hanno fiutato un pericolo, – disse Tremal-Naik.

– Coricatevi tutti al suolo, – comandò Sandokan. – Alzate bene le torce.

Tutti si erano fermati ed avevano obbedito. L’acqua che era assai abbassata, precipitava rapidissima, indicando in tal modo una fortissima pendenza del suolo. I lumi continuavano a muoversi ora poggiando e raggruppandosi verso destra ed ora verso sinistra.

– Che cosa fanno? – si chiese Sandokan. – Sono segnali o che d’altro?

Punthy mandò in quel momento un secondo latrato. Era un avvertimento?

– Qualcuno si avvicina, – disse Kammamuri. Aveva appena terminato che una violentissima scarica rimbombò nella galleria e che si videro, alla luce dei lampi, parecchi uomini addossati alle pareti.

Avevano mirato però troppo in alto, dove brillavano le torce, non sospettando che fossero infisse sulle canne delle carabine.

– Fuoco, e alla carica! – gridò Sandokan balzando precipitosamente in piedi. – In riserva le armi da fuoco del grosso!

L’avanguardia, che come abbiamo già detto si componeva di tiratori scelti, a quel comando scaricò le carabine sui Thugs che aveva già scorti raggruppati presso le pareti, poi si scagliò innanzi col parang in pugno, mandando clamori selvaggi, mentre la tigre e Punthy piombavano a loro volta sui piú vicini, dilaniando e mordendo ferocemente quanti si trovavano a loro portata.

L’effetto di quella scarica doveva essere stato terribile, poiché i pirati inciampavano di frequente su degli esseri umani stesi al suolo.

Sandokan, udendo i Thugs fuggire, non permettendo la luce della torcia portata da Kammamuri di distinguerli, non cercava piú di trattenere i suoi uomini, i quali ormai non formavano che un gruppo compatto, poiché quelli della retroguardia si erano confusi con quelli dell’avanguardia, ansiosi di prendere parte anche essi alla lotta.

La galleria si abbassava sempre, allargandosi invece a poco a poco. I lumi che poco prima brillavano alla sua estremità erano scomparsi, tuttavia i pirati potevano vedere dove andavano, perché le torce che ardevano sulle canne delle carabine non si erano spente, malgrado il fracasso enorme prodotto da quelle due scariche.

Quella corsa sfrenata, attraverso le misteriose gallerie degli strangolatori, durò due o tre minuti, poi Sandokan e Kammamuri che erano dinanzi a tutti, mandarono un grido tuonante:

– Fermi!

Dinanzi a loro avevano udito un fragore metallico, come se una porta di ferro o di bronzo fosse stata chiusa e Punthy si era messo a latrare furiosamente.

I pirati dopo essersi urtati impetuosamente gli uni contro gli altri, non avendo potuto frenare di colpo lo slancio, si erano arrestati puntando le carabine.

– Che cosa c’è adunque? – chiese Yanez, raggiungendo Sandokan.

– Pare che i Thugs ci abbiano chiusa la via, – rispose il capo dei pirati di Mompracem. – Vi deve essere una porta dinanzi a noi.

– La faremo saltare con un buon petardo, – disse de Lussac.

– Va’ a vedere, Kammamuri – disse Tremal-Naik.

– Sempre la torcia molto alta, – consigliò Sandokan, – e voi abbassatevi tutti.

Il maharatto stava per obbedire, quando alcuni spari rimbombarono non dinanzi ai pirati, bensí alle loro spalle.

– Ci prendono fra due fuochi, – disse Sandokan. – Sambigliong, prendi dieci uomini e coprici le spalle.

– Sí, capitano, – rispose il mastro.

Gli spari si succedevano agli spari, ma i Thugs ingannati dalle torce che venivano tenute sempre molto alte, non colpivano che le volte della galleria.

Sambigliong ed i suoi uomini, guidati invece dalla luce dei lampi prodotti dalla polvere, strisciarono silenziosamente verso quei tiratori e piombarono furiosamente addosso a loro, assalendoli coi parangs.

Mentre il suo drappello impegnava un furioso combattimento, Kammamuri, Sandokan e Tremal-Naik si erano accostati rapidamente alla porta che impediva loro di avanzare, per sgangherarla con un petardo a cui avevano già accesa la miccia; invece con loro stupore la trovarono socchiusa.

– L’hanno riaperta, – disse Tremal-Naik.

Stava per spingerla, quando Sandokan l’arrestò.

– Vi è forse un agguato lí dentro, – disse.

I mugolii della tigre confermavano i suoi sospetti e anche i soffi rumorosi del cane.

– Che aspettino che noi apriamo per fucilarci a brucia-pelo? – chiese Tremal-Naik, sottovoce.

– Ne sono sicuro.

– Eppure non possiamo fermarci qui.

– Fate avanzare silenziosamente i nostri uomini, signor de Lussac, e dite loro che si tengano pronti a far fuoco. Dammi il petardo, Kammamuri.

Prese la bomba e soffiò sulla miccia per farla consumare piú presto a rischio di vedersela scoppiare fra le mani, poi socchiuse dolcemente la porta e la lanciò, gridando:

– Indietro!

Un momento dopo si udí una formidabile detonazione, seguita da urla orribili. La porta, strappata dai cardini dalla violenza della esplosione, era caduta.

– Avanti! – gridò Sandokan, che era stato atterrato dallo spostamento violentissimo dell ‘aria.

Degli uomini fuggivano all’impazzata dinanzi a loro, mentre al suolo si dibattevano, nelle ultime convulsioni della morte, alcuni Thugs colle membra strappate ed i ventri orrendamente squarciati.

I pirati si erano trovati in una vasta sala sotterranea che era illuminata da alcune torce infisse nei crepacci delle pareti, e adorna di alcune statue mostruose, rappresentanti forse dei geni indiani.

Spararono alcuni colpi dietro ai fuggiaschi onde impedire loro di riorganizzarsi, poi si lanciarono a corsa sfrenata.

Sambigliong, che aveva respinti gli assalitori, li aveva già raggiunti portando fra le poderose braccia Surama onde non rimanesse indietro e ricadesse fra le mani dei Thugs.

Non incontravano piú nessuna resistenza, né nelle gallerie che attraversavano, né nelle caverne.

Gli strangolatori, ormai impotenti a far fronte a quei terribili avversari che nessun ostacolo piú tratteneva, fuggivano da tutte le parti con clamori assordanti, parte rifugiandosi nelle gallerie laterali, parte dirigendosi verso la pagoda sotterranea per tentare forse di guadagnare l’uscita del banian riaperta da Suyodhana.

– Avanti! Avanti! – gridavano malesi e dayachi entusiasmati da quella carica che spazzava via tutto.

Ad un tratto però, quando meno se l’aspettavano, videro rovinarsi addosso un nuvolo di strangolatori.

– Cercano di difendere la pagoda sotterranea! – urlò Kammamuri. – Sta’ dietro di loro!

Era forse l’ultima lotta che impegnavano i Thugs.

Sandokan, con un comando rapido, aveva disposti i suoi uomini in quadrato, manovra che potevano eseguire senza difficoltà trovandosi in quel momento in una sala sotterranea abbastanza vasta e che pareva avesse numerose comunicazioni. Dalle gallerie laterali uscivano, correndo furiosamente, degli uomini quasi nudi, agitando lacci, scuri, picozze, coltellacci, terwar e anche carabine e pistoloni.

Urlavano spaventosamente invocando la loro divinità, ma quelle urla non sgomentavano affatto né i malesi né i dayachi, abituati alle tremende grida di guerra dei loro selvaggi compatrioti.

– Fuoco senza misericordia! – aveva gridato Sandokan che si trovava in prima fila con Yanez e Tremal-Naik. – Badate che non si spengano le torce!

Una fucilata nutrita, sparata quasi a brucia-pelo, mandò a catafascio i primi giunti addosso al quadrato, gettandone molti a terra; ne seguí subito una seconda; poi s’impegnò una mischia sanguinosa all’arma bianca.

Quantunque cinque o sei volte inferiori, i tigrotti di Mompracem, resistevano tenacemente ai furibondi attacchi dei fanatici, senza aprire le loro file.

Degli uomini cadevano anche dalla loro parte sotto i colpi di pistola e di carabina dei settari; ma non per questo si sgomentavano e facevano intrepidamente fronte ai nemici, meravigliando de Lussac che credeva di vederli scompaginarsi dopo i primi attacchi.

Il terreno si copriva di morti e di moribondi, nondimeno i Thugs quantunque incessantemente ributtati, tornavano alla carica con un’ostinazione ammirabile, tentando di schiacciare quel gruppo che aveva avuto l’audacia di scendere nelle loro caverne.

Ciò non poteva durare a lungo. La tenacia ed il coraggio piú che straordinario delle tigri di Mompracem dovevano disorganizzare quelle bande indisciplinate che caricavano all’impazzata.

Vedendo i Thugs a esitare, Sandokan ne approfittò per dare loro l’ultimo colpo. A sua volta lanciò i suoi uomini all’assalto, divisi in quattro gruppi.

Lo slancio dei pirati fu tale che le colonne dei Thugs furono in brevi istanti tagliate a pezzi a colpi di parangs e di kampilangs.

La disfatta era completa.

I fanatici, dopo una brevissima resistenza, si erano affollati nella galleria che metteva nella pagoda sotterranea, incalzati dai pirati che non risparmiavano piú nessuno e che sciabolavano spietatamente i meno lesti.

Invano gli strangolatori tentarono chiudere la porta di bronzo che metteva nella pagoda. Le tigri di Mompracem non ne lasciarono loro il tempo ed entrarono quasi insieme nell’immenso sotterraneo nel cui centro, sotto una grande lampada illuminata, s’innalzava una mostruosa statua rappresentante la sinistra divinità, con dinanzi un bacino entro cui nuotavano alcuni pesciolini rossi del Gange, probabilmente dei manghi.

I pirati, guidati da Kammamuri e da Tremal-Naik l’attraversarono di corsa, continuando a fucilare i Thugs che fuggivano dinanzi a loro urlando disperatamente ed entrarono in una seconda caverna, meno vasta della pagoda, dove regnava una umidità straordinaria.

Dalle volte cadevano grossi goccioloni e anche lungo le pareti scendevano dei fili d’acqua che si radunavano in una fossa profonda.

Kammamuri additò a Sandokan una gradinata sulla cui cima si scorgeva una massiccia porta di ferro con numerosi tubi che si diramavano in varie direzioni.

– Mette sul fiume è vero? – chiese la Tigre della Malesia.

– Sí, – rispose il maharatto.

– Datemi due petardi.

– Che cosa volete fare? – chiese de Lussac.

– Inondare i sotterranei: cosí finirà il regno della Tigre dell’India.

– Annegherete tutti!

– Tanto peggio per loro, – rispose Sandokan freddamente. – Ho giurato di venire qui a distruggerli e manterrò la mia promessa.

Preparatevi a fuggire.

Prese dalle mani di Yanez due petardi colle micce già accese, e li collocò presso la porta, poi scese rapidamente gridando:

– In ritirata!

Giunto però sulla porta della pagoda si arrestò, fissando i due piccoli punti luminosi che scoppiettavano sull’ultimo gradino della scala.

Certo voleva accertarsi che l’umidità non spegnesse le micce.

Passarono alcuni secondi, poi un lampo squarciò le tenebre, cui tenne dietro una detonazione formidabile che si ripercosse con cupo rimbombo attraverso le profonde gallerie, seguito da un muggito assordante.

Una enorme colonna d’acqua, anzi una cateratta, si rovesciava nella caverna, spargendosi rapidamente dappertutto.

– In ritirata! – ripeté Sandokan slanciandosi nella pagoda. L’acqua invade i sotterranei!

Tutti fuggivano a precipizio al vacillante chiarore delle torce, mentre alle loro spalle udivano sempre piú il rombo sinistro delle acque del Mangal, precipitantesi attraverso le gallerie ed i sotterranei.

Attraversarono come un lampo la pagoda, mentre in lontananza si udivano le urla spaventevoli dei Thugs che le acque sorprendevano entro i loro tenebrosi rifugi, poi si cacciarono nei corridoi.

Sambigliong, la cui forza muscolare era prodigiosa, portava sempre Surama onde le acque non la raggiungessero.

Stavano per attraversare l’ultima galleria, quando udirono un fracasso spaventevole, come se le volte sotterranee avessero ceduto e un’onda enorme li raggiunse, coprendoli di spuma.

Ma già la pagoda dove avevano sostenuti i primi combattimenti e che non correva alcun pericolo di venire sommersa, non si trovava che a pochi passi.

– Annegatevi tutti! – gridò Sandokan varcando l’ultima porta. Il rifugio dei Thugs non servirà piú che ai coccodrilli ed ai pesci del Mangal.

Quando si trovarono all’aperto, al sicuro dalle acque, scorsero in direzione del banian degli uomini che fuggivano disordinatamente verso le paludi dell’isola.

Alcuni strangolatori piú fortunati dovevano aver raggiunta l’uscita fatta aprire da Suyodhana, ed erano riusciti a salvarsi, ma erano cosí pochi che Sandokan non stimò opportuno inquietarli.

– S’incaricheranno le tigri ed i serpenti di distruggerli – disse.

Quindi volgendosi verso Tremal-Naík, gli disse battendogli su una spalla:

– Ed ora, a Calcutta e poi a Delhi. Qual è la via piú breve?

– Port-Canning, – rispose il bengalese.

– Andiamo! Avrò la pelle di Suyodhana o non sarò piú la Tigre della Malesia.

Capitolo XXVIII. SULLE TRACCE DI SUYODHANA

Il sole cominciava a indorare gli alti bambú delle Sunderbunds quando la pinassa, coi superstiti della spedizione, ridotti a venticinque uomini, approdava a Port-Canning, piccola stazione inglese situata ad una ventina di miglia dalle coste occidentali di Rajmangal e collegata a Calcutta da una buona via carrozzabile che attraversa una parte del delta gangetico.

Era quella la strada piú breve per raggiungere la capitale del Bengala, mentre per acqua avrebbero dovuto attraversare tutte le lagune occidentali delle Sunderbunds per risalire poi l’Hugly oltre l’isola di Baratala.

Prima cosa che fecero Sandokan e il signor de Lussac, fu d’informarsi dell’insurrezione, che da alcune settimane avvampava nell’India settentrionale.

Le notizie erano gravissime. Tutti i reggimenti indiani si erano sollevati a Cawnpore, a Lucknow, a Merut, trucidando i loro ufficiali e massacrando tutti gli europei che si trovavano in quelle città e la Rani di Jhansie aveva inalberato il vessillo della rivolta dopo d’aver fatto fucilare la piccola guarnigione inglese.

Tutto il Bundelkund era in fiamme e Delhi, la città santa, era già in potere degl’insorti e pronta alla resistenza.

L’antica dinastia del Gran Mogol vi era stata ricollocata sul trono, in uno dei suoi ultimi discendenti, e la piú grande costernazione regnava fra le truppe inglesi che si trovavano pel momento impotenti a far fronte a quella improvvisa tempesta che minacciava di estendersi in tutta l’India settentrionale.

– Non importa, – disse Sandokan, quando il tenente gli ebbe comunicate quelle gravi notizie che aveva avute dal comandante della piccola guarnigione di Port-Canning. – Noi andremo egualmente a Delhi.

– Tutti? – chiese Yanez.

– Una truppa troppo numerosa potrebbe incontrare maggiori difficoltà, – rispose Sandokan, – anche avendo un salva-condotto dal governatore del Bengala. Che ve ne pare signor de Lussac?

– Avete ragione, capitano, – disse il tenente.

– Partiremo solamente noi quattro, con una scorta di sei uomini e rimanderemo gli altri al praho con Sambigliong, Kammamuri e anche Surama. La fanciulla ormai ci sarebbe piú d’impaccio che di utilità.

– Ed il signor Yanez costituirebbe un pericolo per voi, – disse il tenente.

– E perché? – chiese il portoghese.

– Colla vostra pelle bianca non potreste entrare facilmente in Delhi. Gl’insorti non risparmiano alcun europeo.

– Mi camufferò da indiano, non temete, signor de Lussac.

– E voi potrete seguirci? – chiese Sandokan.

– Spero di potervi accompagnare almeno fino agli avamposti. So che il generale Bernard concentra truppe ad Amballah e che gl’inglesi hanno già teso un forte cordone di truppe fra Gwalior, Bartpur e Pattiallah e che il mio reggimento vi fa parte.

Certo a Calcutta troverò l’ordine di raggiungere la mia compagnia al piú presto possibile e siccome anche voi viaggerete rapidamente non mi si negherà di accompagnarvi.

– Allora partiamo, – concluse Sandokan.

Kammamuri aveva già noleggiati sei mail-cart, leggiere vetture con un sedile sul dinanzi, che serve al cocchiere e uno di dietro ove possono prendere parte due persone e che sono tirate da tre cavalli che si cambiano di bengalow in bengalow.

È la posta indiana nei luoghi ove manca la ferrovia.

Sandokan diede a Sambigliong gli ultimi ordini, incaricandolo di condurre la pinassa ed il praho a Calcutta e di aspettare colà il loro ritorno, poi diede il segnale della partenza.

Alle nove del mattino le sei vetture lasciavano Port-Canning, lanciandosi a corsa precipitosa sulla via aperta fra la immensa jungla gangetica.

I cocchieri indiani, ai quali Sandokan aveva promessa una vistosa mancia, non risparmiavano i cavalli, i quali correvano come il vento, sollevando immense nubi di polvere.

Alle due pomeridiane i viaggiatori giungevano già a Sonapore, stazione situata quasi a metà fra Port-Canning e la capitale del Bengala.

I cavalli però erano completamente fiaccati da quella corsa indiavolata, fatta per di piú sotto un sole ardentissimo che li faceva fumare come zolfatare.

Sandokan ed i suoi compagni fecero una fermata d’una mezz’ora per mangiare un boccone, poi ripartirono con cavalli freschi somministrati dal servizio postale.

– Mancia raddoppiata se noi giungeremo a Calcutta prima della chiusura dell’ufficio postale, – aveva detto Sandokan, salendo sul suo mail-cart.

Non ci voleva di piu per eccitare i cocchieri a far largo uso delle loro fruste a manico corto e dalla correggia lunghissima e che sanno adoperare con un’abilità sorprendente. Le sei vetture ripartirono con velocità fulminea, trabalzando orribilmente sui larghi solchi della via, induriti dall’ardente calore solare.

Alle cinque i primi edifici dell’opulenta capitale del Bengala si delineavano già all’orizzonte, e alle sei i mail-cart entravano nei sobborghi facendo fuggire i pedoni, tanta era la loro velocità.

Mancavano dieci minuti alla chiusura della distribuzione, quando giungevano dinanzi all’imponente ufficio postale della capitale bengalese.

Il signor de Lussac, che aveva delle conoscenze fra gl’impiegati superiori, e Sandokan entrarono, per uscirne poco dopo con una lettera indirizzata al comandante della Marianna.

In un angolo portava la firma di Sirdar.

Fu immediatamente aperta e letta avidamente.

Il bramino li avvertiva che Suyodhana era giunto a Calcutta al mattino, che aveva noleggiato il piú rapido fylt’ sciarra trovato nel porto, montato da scelti barcaiuoli, e che si preparava a risalire l’Hugly per raggiungere il Gange e di là toccare Patna per prendere la ferrovia di Delhi.

Aggiungeva che vi erano con loro la piccola Darma e quattro dei piú noti capi dei Thugs e che avrebbero trovate sue notizie all’ufficio postale di Monghyr.

– Ha dodici o tredici ore di vantaggio su di noi, – disse Sandokan quand’ebbe terminata la lettera. – Credete, signor de Lussac che noi potremo raggiungerlo prima che arrivi a Patna?

– Forse, prendendo la ferrovia che va a Hougly-Ranigandsch-Madhepur, ma saremo poi costretti, giunti a Patna, a prendere la linea di Monghyr per ritirare la lettera.

– Ossia tornare indietro?

– Perdendo sei ore almeno e poi voi non avete pensato che io devo visitare il governatore del Bengala per ottenere il vostro salva-condotto quindi presentarmi al comando, e che ora è troppo tardi per essere ricevuto.

– Dovremo quindi perdere ventiquattro ore, – disse Sandokan, facendo un gesto di malumore.

– È necessario, capitano.

– Quando potremo giungere a Patna?

– Posdomani sera.

– Vi arriverà prima quel cane di Suyodhana?

– Tutto dipende dalla resistenza dei suoi barcaiuoli, – rispose il tenente.

– Se noleggiassimo anche noi una rapida scialuppa?

– Perdereste maggiore tempo e avreste minori probabilità di riguadagnare le ventiquattro ore che siamo costretti a perdere. Venite a casa mia, signori e riposiamoci fino a domani mattina. Alle nove sarò dal governatore e prima del mezzodí noi saremo in viaggio.

Comprendendo che sarebbe stato inutile fare altre obiezioni, Sandokan ed i suoi amici accettarono di buon grado l’ospitalità che veniva loro offerta e si fecero condurre nello Strand, dove si trovava la palazzina del francese.

La serata la passarono combinando piani su piani, per cercare il modo di poter raggiungere il fuggitivo prima che potesse unirsi ai ribelli.

L’indomani, poco prima delle undici, il tenente che era uscito di buon mattino, rientrava nella sua palazzina col volto ilare.

Aveva avuto un lungo colloquio col governatore, sulla impresa fortunata condotta da Sandokan contro i terribili Thugs, e recava un salva-condotto che concedeva ai suoi prodi amici il libero passaggio attraverso le colonne inglesi operanti nell’Oudhe e nel territorio di Delhi, i due centri dell’insurrezione, una lettera di raccomandazione pel generale Bernard, nonché il permesso di accompagnarli fino al gran cordone militare stabilito fra Gwalior, Bartpur e Pattiallah.

Fecero rapidamente i preparativi della partenza e al tocco il piccolo drappello lasciava Calcutta prendendo la linea Hougly-Ranigandsch-Bar-Patna, in un comodo carrozzone della North-Indian-Railway.

Le compagnie ferroviarie indiane nulla hanno risparmiato onde i viaggiatori possano trovare dovunque le piú grandi comodità, e le loro linee ben poco hanno da invidiare a quelle dell’America del nord.

Ogni carrozzone non ha che due soli scompartimenti amplissimi, in ciascuno dei quali trovasi una panchetta la cui spalliera, che è rialzata e attaccata per mezzo di corregge, forma una specie di letto del genere di quelli che si usano a bordo degli steamers.

Ai due lati dello scompartimento si trovano i gabinetti per abbigliarsi e lavarsi.

Mercé quelle disposizioni, i treni indiani possono percorrere distanze immense senza obbligare i viaggiatori a fare delle fermate.

Si aggiunga inoltre che in ogni stazione un impiegato sale nello scompartimento per chiedere ai viaggiatori la distinta del pranzo che desiderano, che viene subito telegrafata dove il treno farà la fermata.

In tal modo trovano tutto pronto, senza aver bisogno di scendere dai loro carrozzoni. Il treno, composto d’una macchina potentissima e di pochi carrozzoni, correva rapidissimo con grande soddisfazione di Sandokan, il quale vedeva scemare di minuto in minuto la distanza che lo separava da Patna.

Comodamente seduti sui loro sedili, gli audaci avversari della Tigre dell’India fumavano e chiacchieravano per ingannare il tempo.

D’altronde si trovavano benissimo, senza troppo soffrire il caldo, essendo i carrozzoni indiani circondati da stuoie di vetiver, mantenute sempre umide da serbatoi speciali per conservare una certa frescura ed evitare i casi di apoplessia e le insolazioni che sono cosí frequenti sotto quei climi ardentissimi.

Alle tre avevano già oltrepassata la stazione di Hougly, a mezzanotte anche Ranigandsch era rimasta indietro ed il treno filava verso l’alto Bengala avvicinandosi rapidamente al maestoso Gange.

Non fu però che all’indomani, verso le due pomeridiane, che Sandokan ed i suoi amici entrarono in Patna, una delle piú importanti città del Bengala settentrionale che bagna i suoi bastioni nelle acque del sacro fiume.

Loro primo pensiero fu di recarsi all’ufficio postale, sperando di trovare qualche lettera di Sirdar, ma non ve n’era nessuna indirizzata al comandante della Marianna.

– Andiamo a Monghyr, – disse la Tigre della Malesia. – Si vede che Suyodhana non si è fermato qui e che ha continuato il suo viaggio precipitoso.

Vi era un treno in partenza per quella città. Lo presero d’assalto e pochi minuti dopo partivano costeggiando per un lungo tratto il Gange.

Tre ore dopo erano all’ufficio postale.

Sirdar aveva mantenuta la sua promessa. La lettera datava dalla sera del giorno precedente e li avvertiva che Suyodhana aveva congedato l’equipaggio e che erano saliti sul treno in partenza per Patna, linea di Chupra-Goraklipur-Delhi.

– Il birbante ancora una volta ci è sfuggito, – esclamò Sandokan, con rabbia. – Non ci rimane che di andarlo a scovare a Delhi.

– Potremo entrare in quella città? – chiese Tremal-Naik, guardando il luogotenente.

– Gl’inglesi non hanno ancora cominciato le operazioni d’assedio, – rispose de Lussac. – Credo quindi che potrete facilmente entrarvi assieme agl’insorti che stanno sgombrando Cawnpore e Lucknow. Vi prego però di camuffarvi da indiani e di procurarvi delle armi. Non si sa mai ciò che può succedere.

– Torniamo a Patna e poi in viaggio per Delhi, – disse Sandokan. – Sarà là che la Tigre della Malesia ucciderà la Tigre dell’India.

– E dove potremo trovare Sirdar? – chiese Yanez.

– Il bramino ha pensato anche a questo, – rispose Sandokan. – In un poscritto ci avverte che tutte le sere, fra le nove e le dieci, ci aspetterà dietro il bastione chiamato Cascemir.

– Sapremo trovarla quella fortezza?

– E la piú solida della città, – disse de Lussac. – Tutti sapranno indicarvela.

– Partiamo, – comandò Sandokan.

La sera istessa erano di ritorno a Patna.

Non essendovi treni fino al mattino, si recarono in albergo e approfittarono di quella sosta per camuffarsi da ricchi maomettani e per procurarsi delle buone carabine indiane e certi pugnali somiglianti agli jatagan.

Quando al mattino si recarono alla stazione, si videro costretti a cambiare itinerario, poiché i treni non proseguivano oltre Gorakhpur, in causa delle scorrerie dei ribelli. Rimaneva però libera la linea di Benares-Cawnpore, dopo l’evacuazione dell’insorti da quest’ultima città per concentrare le loro difese in Delhi.

Fu senz’altro scelta, quantunque piú lunga e alle 10 partivano a tutto vapore per l’alta India toccando successivamente Benares, Allabad, Fatehpur e l’indomani sera scendevano alla stazione di Cawnpore che portava ancora le tracce delle devastazioni commesse dai cipayes insorti.

La città era ingombra di truppe giunte da tutte le principali città del Bengala e del Bundelkund, che si preparavano a partire per Delhi dove l’insurrezione avvampava piú furiosa che mai.

Mercé il salva-condotto e sopra tutto la lettera del governatore del Bengala, poterono ottenere dalle autorità militari il permesso di prendere posto in un treno che conduceva due compagnie d’artiglieria fino a Koil, ossia fino alla linea d’osservazione delle avanguardie inglesi.

Fu dopo il mezzodí dell’indomani che poterono giungere a quella piccola stazione.

– Il nostro viaggio in ferrovia è finito, – disse il luogotenente scendendo dal treno.

– La linea piú oltre è tagliata, ma qui i cavalli non mancano ed in dieci ore potrete giungere a Delhi.

– È qui che ci lasciate, signor de Lussac? – chiese Sandokan.

– Vi è qui una compagnia del mio reggimento, però vi accompagnerò fino presso la città per facilitarvi l’entrata.

– È vero che è già assediata?

– Si può considerarla come tale, quantunque i ribelli escano sovente a dare battaglia. Vado a procurarvi i cavalli ed a mostrare la lettera del governatore ed il salva-condotto al comandante delle truppe.

Non erano ancora scorse due ore che Sandokan, Yanez, Tremal-Naik, il francese e la loro piccola scorta, lasciavano la stazione galoppando verso Delhi.

Возрастное ограничение:
12+
Дата выхода на Литрес:
30 августа 2016
Объем:
360 стр. 1 иллюстрация
Правообладатель:
Public Domain

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