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Читать книгу: «Le due tigri», страница 14

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Capitolo XXII. SIRDAR

Il prigioniero, l’unico forse che era sfuggito a quel sanguinoso combattimento, non essendosi piú veduti tornare a galla i tre che si erano gettati nella laguna, era un bel giovane di forme quasi erculee, dai lineamenti piuttosto fini che potevano indicare un discendente delle alte caste, quantunque la sua pelle fosse quasi oscura come quella dei molanghi.

Sentendosi legare, aveva detto a Tremal-Naik che lo minacciava ancora coll’ascia bagnata nel sangue del vecchio pilota:

– Uccidimi pure: io non ho paura della morte. Abbiamo perduto: è giusto che pigli anch’io la mia parte.

Poi, dopo d’aver tentato inutilmente di spezzare i legami che gli stringevano le braccia e le gambe, si era steso sulla tolda senza piú nulla aggiungere, né manifestare alcuna apprensione per la sorte che credeva gli spettasse.

– Signor de Lussac, – disse Sandokan. – Sedetevi presso quest’uomo e badate che non fugga. Se lo tentasse, finitelo con un colpo di coltello e noi sbarazziamo la coperta di tutti questi morti. Respira ancora il cornac?

– È morto in questo istante, – disse Yanez. – Povero uomo! Il coltello del suo avversario gli è rimasto nella piaga.

– Ma io l’ho vendicato, – disse Sandokan. – Miserabili! L’avevano ordito bene il tradimento e possiamo dire che noi siamo vivi perché Allah l’ha voluto.

– E ci avevano rubate perfino le carabine per impedirci di difenderci.

– Come sapevano che noi eravamo qui?

– Ce lo dirà il prigioniero. Sgombriamo la tolda, Sandokan.

Aiutati da Tremal-Naik, gettarono in acqua i cadaveri dei Thugs; solo quello del cornac fu deposto nella cabina di poppa e coperto da una tela per dargli onorevole sepoltura piú tardi, onde sottrarlo ai denti dei gaviali.

Rovesciarono sulla tolda alcune secchie d’acqua per lavare il sangue che chiazzava qua e là le tavole, orientarono la velatura, essendo il vento girato al nord-ovest, ricollocarono a posto la barra, poi trascinarono a poppa il prigioniero, dovendo sorvegliare il timone.

Il thug aveva lasciato fare, però nei suoi occhi si leggeva di già una certa apprensione, che s’accrebbe quando si vide circondato dai suoi nemici.

– Giovanotto mio, – gli disse Sandokan, senza preamboli. – Ami meglio vivere o morire fra i piú atroci tormenti? Non hai che da sceglire.

Ti avverto solo che noi siamo uomini che non ischerzano e ne hai avuto or ora una prova.

– Che cosa volete da me? – chiese il giovane.

– Conoscere molte cose che noi ignoriamo e che ci sono necessarie.

– I Thugs non possono tradire i segreti della loro setta.

– Conosci la youma? – gli chiese bruscamente Tremal-Naik.

Il thug sussultò ed un lampo di terrore gli passò negli occhi.

– Io conosco il segreto per comporre quella bevanda che scioglie le lingue e che fa parlare anche il piú ostinato muto. Foglie di youma, un po’ di succo di limone ed un granello d’oppio: come vedi io ho la ricetta ed ho anche indosso quanto è necessario per preparare quella bevanda.

È quindi inutile che tu ti ostini a non tradire i segreti dei Thugs. Se taci te la faremo bere.

Yanez e Sandokan guardavano con sorpresa Tremal-Naik, ignorando di quale misteriosa bevanda intendesse parlare. Il signor de Lussac invece aveva approvate le parole del bengalese con un sorriso molto significante.

– Decidi, – disse Tremal-Naik. – Non abbiamo tempo da perdere.

L’indiano, invece di rispondere, fissò per alcuni istanti il bengalese, poi chiese:

– Tu sei il padre della bambina è vero? Tu sei quel terribile cacciatore di serpenti e di tigri della jungla nera che un tempo ha rapito la «Vergine della pagoda d’Oriente.»

– Chi te lo ha detto? – chiese Tremal-Naik.

– Il pilota della pinassa.

– Da chi lo aveva saputo?

Il giovane non rispose. Aveva abbassati gli occhi e sul suo viso si scorgeva in quel momento un’alterazione strana, che non doveva però essere prodotta dalla paura. Pareva che nel suo animo e nel suo cervello si combattesse una terribile battaglia.

– Che cosa ti ha detto quel miserabile traditore? – chiese Tremal-Naik. – Siete tutte canaglie vero, adunque?

– Canaglie! – esclamò improvvisamente il giovane, mentre con uno scatto improvviso, ad onta delle corde che lo stringevano, si alzava sulle ginocchia. – Sí, canaglie è il loro nome! Sono dei vili! Sono degli assassini ed io ho orrore di essere iscritto nella loro terribile setta.

Poi, digrignando i denti, aggiunse con voce strangolata:

– Che sia maledetto il mio destino che ha fatto di me, figlio d’un bramino, un complice dei loro delitti.

Kalí o Durga, sotto l’uno o l’altro nome, dea del sangue e delle stragi, io ti impreco. Sei una divinità falsa!

Tremal-Naik, Sandokan ed i due europei, stupiti da quel linguaggio e dall’ira terribile che avvampava negli sguardi del giovane, erano rimasti muti.

Capivano però che un cambiamento improvviso era avvenuto in quell’uomo che fino allora avevano creduto uno dei piú fanatici e dei piú risoluti seguaci della mostruosa divinità.

– Tu dunque non sei un thug? – chiese finalmente Tremal-Naik.

– Porto sul mio petto l’infame stigmate di quei vili settari, – disse il giovane con voce amara, – ma l’anima è rimasta bramina.

– Giuochi qualche commedia? – chiese il signor de Lussac.

– Che io perda il sattia loka e che il mio corpo, dopo la mia morte si tramuti nell’insetto piú ributtante, se io mentisco, – disse il giovane.

– Come ti trovi allora fra quei malandrini senza aver rinunciato a Brahma tuo dio per Kalí? – chiese Tremal-Naik.

Il giovane rimase per qualche istante silenzioso, poi disse, abbassando nuovamente gli sguardi.

– Figlio d’un uomo appartenente alle alte caste, d’un bramino ricco e potente, discendente d’una stirpe di rajah, avrei potuto essere degno della posizione che occupava mio padre. Il vizio mi traviò, il giuoco divorò le ricchezze mie, di gradino in gradino precipitai nel fango e divenni piú miserabile d’un paria. Un giorno un uomo, un vecchio che si spacciava per un manti…

– Un manti hai detto? – chiese Tremal-Naik.

– Lascialo finire, – disse Sandokan.

– Mi incontrò in una compagnia di giocolieri, – proseguí il giovane, – alla quale mi ero unito per non morire di fame.

Colpito forse dalla mia forza poco comune e dalla mia agilità, mi propose di abbracciare la religione della dea Kalí.

Seppi poi che i Thugs cercavano di arruolare degli uomini scelti per formare una specie di polizia segreta, onde sorvegliare le mosse delle autorità del Bengala, che li minacciava d’una totale distruzione.

Ero ormai disceso nel fango e la miseria batteva alla porta della mia capanna: accettai per vivere ed il figlio del bramino divenne un miserabile thug.

Che cosa abbia fatto poi, poco vi deve importare di saperlo, ma ora odio quegli uomini che mi hanno costretto a uccidere per offrire alla loro dea il sangue delle vittime. Io so che voi andate a portare la guerra nel loro covo: mi volete? Sirdar mette a vostra disposizione la sua forza ed il suo coraggio.

– Come sai tu che noi andiamo a Rajmangal? – chiese TremalNaik.

– Me lo ha detto il pilota.

– Chi era quell’uomo?

– Il comandante di una delle due grab, che hanno assalita la vostra nave.

– Ci avete seguiti?

– Sí, assieme a altri dodici Thugs che facevano parte dell’equipaggio ed io ero del numero. Ci era nato il sospetto che tu sahib, ti dirigessi su Khari perché eravamo stati informati che uno dei tuoi servi aveva acquistato due elefanti.

Tutti i tuoi passi erano stati spiati. Cosí sapevamo che tu eri in relazione cogli uomini che montavano quella piccola nave, che avevi inseguito e poi preso il manti, quel dannato vecchio che mi ha fatto abbracciare la religione di Kalí.

Ti abbiamo seguito attraverso la jungla, abbiamo assistito, nascosti fra i canneti, alle tue cacce, ti abbiamo rapita la bajadera per paura che tradisse l’asilo dei Thugs…

– Surama! – esclamò Yanez.

– Sí, si chiamava cosí quella fanciulla, – disse Sirdar. – Era la figlia d’un capo montanaro dell’Assam.

– Dove si trova, ora?

– A Rajmangal di certo, – rispose il giovane. – Si aveva paura che vi guidasse nei misteriosi sotterranei dell’isola.

– Continua, – disse Sandokan.

– Poi vi abbiamo tesa l’ultima imboscata per uccidere il vostro secondo elefante, – rispose Sirdar. – Avevamo preparato il nostro progetto per sterminarvi prima che aveste potuto mettere piede su Rajmangal.

– E la pinassa? – chiese Tremal-Naik.

– Ce l’aveva mandata Suyodhana il quale era stato avvertito da alcuni corrieri delle vostre intenzioni.

Noi sapevamo che voi vi eravate rifugiati nella torre di Barrekporre e saremmo venuti egualmente ad offrire i nostri servigi anche senza i vostri segnali.

– Che organizzazione meravigliosa hanno dunque quei banditi! – esclamò Yanez.

– Hanno una polizia segreta veramente ammirabile, onde sventare tutti i tentativi del governo del Bengala per distruggerli, – disse Sirdar. – Essi temono sempre un colpo di testa da parte delle autorità di Calcutta e la jungla e le Sunderbunds sono infestate da spie dei Thugs.

Che un drappello sospetto si inoltri ed i ramsinga lo segnaleranno ed il suono acuto di quelle trombe si propaga, sempre ripetuto, fino sulle rive del Mangal.

Come vedete una sorpresa sarebbe impossibile.

– Credi tu dunque che non si possa portare la guerra sulla loro isola? – chiese Sandokan.

– Forse, agendo con estrema prudenza.

– Tu conosci quei sotterranei?

– Ci sono stato parecchi mesi là dentro, – rispose Sirdar.

– Quando li hai lasciati?

– Quattro settimane or sono.

– Tu dunque hai veduto mia figlia! – gridò Tremal-Naik con un’emozione impossibile a descriversi.

– Sí l’ho veduta una sera nella pagoda, mentre le insegnavano a versare nel bacino dove nuota il mango sacro il sangue d’un povero molango strangolato poche ore prima.

– Miserabili! – urlò Tremal-Naik. – Anche a sua madre facevano versare del sangue umano dinanzi a Kalí, quand’era la «Vergine della pagoda d’Oriente». Vili! Vili! – Un singhiozzo aveva lacerato il petto del povero padre.

– Calmati, – disse Sandokan con voce affettuosa. – Noi gliela strapperemo. Perché noi siamo venuti qui dalla lontana Mompracem? L’una o l’altra delle due tigri qui morrà, ma sarà quella dell’India che cadrà nella lotta.

Prese la navaja di Yanez e tagliò le corde del prigioniero, dicendogli:

– Noi ti risparmiamo la vita e ti diamo la libertà, purché tu ci conduca a Rajmangal e ci guidi in quei misteriosi sotterranei.

– L’odio mio verso quegli assassini è pari al vostro e Sirdar manterrà la promessa. Che Iama, il dio della morte e degli inferni mi danni per tutta l’eternità se io tradirò la parola data.

Rinnego e maledico Kalí per tornare bramino.

– Al timone, Yanez, – gridò Sandokan. – Il vento s’alza e la Marianna non sarà lontana. Stringete le scotte, signor de Lussac! Fileremo come uno steamer.

Una fresca brezza coininciava a soffiare con una certa regolarità, gonfiando le vele del piccolo naviglio e disperdendo la nebbia causata dalle abbondanti evaporazioni delle acque.

Sandokan si era affrettato a mettere la prora verso il sud, dove si apriva un vasto canale che Tremal-Naik gli aveva detto essere quello di Raimatla, formato da due isole assai basse, ingombre di canne giganti e che pareva dovessero avere una estensione considerevole.

Altre isole ed isolotti si stendevano verso l’est, anche quelli coperti da una folta vegetazione, composta per la maggior parte di bambú spinosi e da qualche gruppetto di cocchi.

Miriadi di uccelli acquatici volteggiavano sopra quelle terre fangose e di mangiatori di carogne, marabú, bozzagri e arghilah, i quali dovevano trovare abbondante pasto a giudicarlo dall’odore nauseante di carne corrotta che giungeva da quelle parti. Le rive dovevano essere coperte da cadaveri d’indiani spinti colà dalla marea e dalle onde.

La pinassa, che pareva fosse una buona veliera, come lo sono generalmente quella specie di barche, filava benissimo e obbediva alla menoma pressione del timone.

In meno di un’ora raggiunse la punta settentrionale dell’isola che si estendeva verso oriente e si mise a seguire la riva, tenendosi però a rispettosa distanza per non subire un improvviso assalto da parte delle tigri.

L’audacia di quelle fiere è tale, che sovente, con un salto, si slanciano sul ponte delle scialuppe e dei piccoli velieri che con mettono l’imprudenza di tenersi troppo vicini a terra, per rapire qualche marinaio sotto gli occhi dell’equipaggio atterrito ed impotente a respingere quell’inatteso attacco.

– Aprite gli occhi, – disse Sandokan che aveva surrogato Yanez al posto del timone. – Se Sambigliong e Kammamuri si sono a tenuti alle mie istruzioni, avranno celato il praho entro qualche canalone e smontata l’alberatura. Può quindi sfuggire ai nostri sguardi.

– Segnaleremo la nostra presenza con qualche colpo di fucile, – disse Tremal-Naik.

– Ho trovato una delle nostre carabine.

– Quella che il thug aveva scaricata contro di noi a tradimento?

– Deve essere quella, Sandokan.

– Sí, – disse Sirdar, che si trovava seduto sulla murata poppiera

– E le altre? – chiese Sandokan.

– Il pilota le aveva fatte gettare nella laguna onde impedire voi di servirvene.

– Vecchio stupido, – disse Yanez. – Poteva usarle contro di noi

– Non ve n’era che una carica, sahib, e noi non avevamo né polvere, né palle a bordo, – rispose il giovane.

– È vero! – disse Sandokan. – Le altre le avevamo scaricate alla torre per attirare l’attenzione della pinassa. È stata una vera fortuna, altrimenti ci avrebbero fucilati a bruciapelo.

– E tale era l’intenzione del pilota – rispose Sirdar. – Le armi vi erano state sottratte a quello scopo.

– Capitano Sandokan, – disse in quel momento il signor de Lussac, il quale era salito sull’antenna della vela di prora per abbracciare maggior orizzonte, – vedo un punto nero solcare il canale.

La Tigre della Malesia lasciò il timone a Sirdar e si diresse verso prora, seguito da Yanez.

– Al sud, signor de Lussac? – chiese.

– Sí, capitano e pare che si diriga verso Raimatla.

Sandokan, che aveva una potenza visiva straordinaria, guardò nella direzione indicata e scorse infatti non già un punto, bensí una sottile lineetta nera che stava attraversando il canale ad una distanza di sette od otto miglia.

– È una scialuppa, – disse.

– Non può essere che la baleniera della Mananna, – soggiunse Tremal-Naik. – Nessuno osa spingersi fra i canali delle Sunderbunds, a menoché non vi siano trascinati da qualche tempesta e non mi pare che il golfo del Bengala sia in collera in questo momento.

– Si dirige verso l’isola, – disse Yanez, che aveva gli occhi non meno acuti della Tigre. – Mi pare anzi di scorgere laggiú una piccola insenatura.

Forse il praho si è rifugiato colà.

– Orza alla banda! – gridò Sandokan al thug. – Stringi verso la costa.

La pinassa che camminava velocemente, mantenendosi la brezza sempre fresca, poggiò verso Raimatla, mentre la scialuppa scompariva entro l’insenatura segnalata dal portoghese.

Tre quarti d’ora dopo il piccolo veliero giungeva dinanzi ad una specie di canale che pareva s’inoltrasse entro l’isola per parecchie centinaia di metri, ingombro qua e là di minuscoli isolotti coperti di bambú altissimi e circondato da paletuvieri.

Sandokan che aveva ripreso il timone, cacciò arditamente la pinassa in quel braccio di mare, mentre Tremal-Naik e Sirdar scandagliavano il fondo onde evitare un arenamento.

– Spara un colpo di carabina, – disse la Tigre a Yanez.

Il portoghese stava per obbedire, quando una scialuppa montata da dodici uomini armati di carabine e di parangs uscí da un canaletto laterale, muovendo rapidamente verso la pinassa.

– La baleniera del praho! – gridò Yanez. – Ohè! amici, abbassate le carabine!

Quel comando giungeva a tempo, poiché l’equipaggio della scialuppa aveva abbandonati i remi per impugnare le armi da fuoco e stava per mandare una grandine di palle sul piccolo veliero.

Un grido aveva risposto, un grido di gioia:

– Il signor Yanez!

L’aveva mandato Kammamuri, il fedele servo di Tremal-Naik, il quale pareva che avesse assunto il comando della spedizione.

– Accosta! – gridò il portoghese, mentre i malesi ed i dayachi salutavano i loro capitani con selvaggi clamori.

La baleniera in pochi colpi di remo abbordò la pinassa a babordo, nel momento che de Lussac e Sirdar davano fondo all’ancorotto di prora.

Kammamuri con un solo salto scavalcò la murata e cadde sulla tolda.

– Finalmente! – esclamò. – Cominciavamo a temere che vi fosse toccata qualche disgrazia.

Ah! la bella pinassa!

– Quali nuove, mio bravo Kammamuri? – chiese Tremal-Naik.

– Poco liete, padrone, – rispose il maharatto.

– Che cos’è accaduto dunque durante la nostra assenza? – chiese Sandokan aggrottando la fronte.

– Il manti è fuggito.

– Il manti! – esclamarono ad una voce, Sandokan e Tremal-Naik, con dolorosa sorpresa.

– Sí padrone: è scomparso tre giorni or sono.

– Non lo vegliavate dunque? – gridò la Tigre della Malesia.

– E strettamente, signor Sandokan, ve ne do la mia parola, anzi gli avevamo messi due marinai nella cabina per paura che riuscisse a prendere il largo.

– Ed è fuggito egualmente? – chiese Yanez.

– Quell’uomo deve essere uno stregone, un demonio, che ne so io? Il fatto è che non è piú a bordo.

– Spiegati, – disse Tremal-Naik.

– Come sapete era chiuso nella cabina attigua a quella che occupava il signor Yanez, che aveva una sola finestra, cosí stretta da non potervi passare nemmeno un gatto.

Tre giorni or sono, verso l’alba, scesi per visitarla e la trovai deserta ed i due suoi guardiani cosí profondamente addormentati che faticammo assai a svegliarli.

– Li farò fucilare, – disse Sandokan con ira.

– Non è colpa loro se si sono addormentati, credetelo signor Sandokan, – disse il maharatto. – Essi ci hanno raccontato che la sera prima, verso il tramonto, il manti si era messo a fissarli con uno sguardo che metteva indosso a loro un certo malessere inesplicabile.

Pareva che dagli occhi del vecchio si sprigionassero delle scintille.

Ad un certo momento egli disse a loro: «Dormite: ve lo comando».

E s’addormentarono cosí profondamente che quando io la mattina dopo scesi nella cabina li credetti morti.

– Li ha ipnotizzati, – disse il signor de Lussac. – Gl’indiani hanno dei famosi ipnotizzatori ed il manti doveva esser uno di quelli.

– E come può essere poi fuggito? – chiese Yanez.

– Il brigante avrà aspettata la notte per salire in coperta e scendere sulla riva. La Marianna aveva un pontile a terra.

– La fuga di quell’uomo può rovinare i nostri progetti, – disse Sandokan. – Egli si sarà recato da Suyodhana per avvertirlo del pericolo che corre.

– Se non è stato divorato prima dalle tigri o stritolato da qualche serpente, – disse Tremal-Naik. – E poi Raimatla è separata da Rajmangal da vasti canali e da isole estremamente pericolose.

Ha preso qualche arma il manti, prima di fuggire?

– Un parang che ha levato ad uno dei suoi guardiani, – rispose Kammamuri.

– Non t’inquietare per l’evasione di quel vecchio, amico Sandokan, – disse Tremal-Naik. – Egli ha novantanove probabilità su cento di venire divorato dalle belve feroci, prima di giungere a Rajmangal. A menoché non sia un vero demonio e trovi degli aiuti, lascerà la pelle fra i pantani ed i bambú spinosi.

Andiamo sulla tua Mananna a organizzare la spedizione ed intenderci meglio sui nostri progetti.

Capitolo XXIII. L’ISOLA DI RAJMANGAL

Ventiquattro ore dopo, la pinassa lasciava la piccola cala entro cui trovavasi nascosta la Marianna, per andare a sorprendere i Thugs nel loro covo e strappare a loro la piccola Darma.

La fuga del manti, quantunque vi fosse molto da dubitare che egli fosse riuscito a varcare gli ampi canali delle Sunderbunds infestati da voraci gaviali ed attraversare le isole, pullulanti di tigri, di pantere, di formidabili boa e di velenosissimi cobra-capello, aveva deciso Sandokan ad affrettare la spedizione.

Tutto l’equipaggio era stato imbarcato sul piccolo veliero, con grande scorta di armi e di munizioni e con due spingarde di rinforzo. Solo sei uomini, quelli che la baleniera aveva ricondotti dalla torre di Barrekporre assieme al cornac, eran stati lasciati sul praho, il quale d’altronde non poteva correre alcun pericolo da parte dei Thugs, nascosto come era in fondo a quella cala forse a tutti sconosciuta.

Il piccolo legno, carico quasi da affondare, invece di scendere verso il mare e costeggiare le Teste di sabbia che servono da argine all’irrompere delle onde del golfo bengalino, ciò che avrebbe fatto risparmiare non poca via, si era diretto verso settentrione per girare la laguna interna.

Tenendosi fra le isole, vi erano meno probabilità che il veliero potesse venire segnalato e perciò i tre capi della spedizione avevano data la preferenza alla laguna anziché al mare.

Il loro progetto era ormai stato attentamente studiato, affidandone la parte principale a Sirdar, di cui ormai potevano interamente fidarsi. Avevano convenuto di agire dapprima colla massima prudenza e di giuocare d’astuzia per mettere innanzi a tutto in salvo la piccola Darma, riservando a piú tardi il colpo terribile che, se riusciva, avrebbe dovuto distruggere totalmente quella sanguinaria setta e far scomparire per sempre la Tigre dell’India.

Il vento, che fino dal mattino era girato al sud, favoriva la corsa della pinassa la quale, quantunque assai carica, si mostrava sempre assai maneggevole.

Quattro ore dopo la sua partenza dalla cala, ossia poco prima di mezzodí, il piccolo veliero aveva già raggiunta la punta settentrionale di Raimatla ed entrava a gonfie vele nella grande laguna interna che si estende dalle rive della jungla gangetica alle isole che formano le Sunderbunds.

– Se il vento non cessa, – disse Tremal-Naik a Sandokan, che osservava con una certa curiosità quelle terre basse coperte dagli alberi della febbre, – prima di mezzanotte noi saremo nel cimitero galleggiante del Mangal.

– Sei certo che troveremo un buon posto per celarvi la pinassa?

– Il Mangal lo conosco palmo a palmo, perché era sulle sue rive che io abitavo quand’ero il «cacciatore di tigri e di serpenti della jungla nera».

Chissà che non sussista ancora la capanna che mi serví d’asilo per lunghi anni. La rivedrei volentieri, perché fu in quei dintorni che vidi per la prima volta colei che doveva diventare mia moglie.

– Ada?

– Sí, – disse Tremal-Naik con un profondo sospiro, mentre una profonda commozione alterava il suo volto. Era una bella sera d’estate, il sole calava lentamente dietro le canne giganti fra un oceano di fuoco, quand’ella apparve, bella come una dea, fra un cespuglio di mussenda. Ah! La dolce e cara visione!

– Come, i Thugs permettevano alla «Vergine della pagoda» di passeggiare per la jungla?

– Che cosa potevano temere? Che fuggisse forse? Sapevano che non avrebbe osato attraversare la immensa jungla e poi ignoravano, credo, la mia presenza in quei luoghi.

– E ti appariva tutte le sere?

– Sí, verso l’ora del tramonto e ci guardavamo a lungo, senza parlare. Io la credevo una divinità e non osavo interrogarla, poi una sera non ricomparve e la stessa notte i Thugs mi assassinavano un servo che avevo mandato sulle rive del Mangal per tendere un laccio ad una tigre.

– E tu andasti a cercarla nella pagoda?

– Sí e fu là che la vidi versare del sangue umano dinanzi alla mostruosa statua di Kalí e che la udii a singhiozzare ed imprecare contro i miserabili che l’avevano rapita e contro il destino.

– E che i Thugs ti sorpresero e che Suyodhana, il loro capo, ti cacciò un pugnale nel petto.

– Sí, Sandokan, – disse Tremal-Naik. – Se la sua mano in quel momento non avesse tremato, io non sarei piú qui a raccontart questa terribile istoria e del «cacciatore di serpenti della jungla nera» piú mai nessuno avrebbe parlato. Ne ho uccisi però prima e molti di quei miserabili e non sono caduto nelle loro mani che dopo una lotta disperata.

– Ti eri calato nella pagoda scendendo lungo una fune sostenente una lampada, è vero?

– Sí.

– Che esista ancora?

– Sirdar me l’ha confermato.

– Ebbene scenderemo anche noi con quella, – disse Sandokan. – Se Darma si mostrerà noi la rapiremo.

– Aspettiamo prima che Sirdar ci avverta.

– Hai fiducia in lui?

– Assoluta, – rispose Tremal-Naik. – Ora odia i Thugs al pari e forse piú di noi.

– Se non ci tradisce sarà un prezioso alleato. Gli ho offerto una fortuna se riesce a farci ricuperare la piccola Darma.

– Manterrà la promessa, ne sono sicuro e ci darà nelle mani anche la bajadera.

– Che Surama sia già stata condotta nei sotterranei?

– Lo suppongo.

– Salveremo anche quella. Agiamo però con prudenza onde Suyodhana non ci sfugga. A te Darma; a Yanez Surama, ed a me la pelle della Tigre dell’India, – disse Sandokan con un crudele sorriso. E l’avrò o non tornerò piú a Mompracem.

– Rima, – disse in quel momento Sirdar, avvicinandosi a loro e mostrando un’isola che si delineava dinanzi la prora della pinassa, – è la prima delle quattro isole che coprono Rajmangal verso occidente.

Rimontiamo al nord, sahib: la nostra rotta è quella.

– Evitiamo Port-Canning, – disse Tremal-Naik. – Vi può essere in quella stazione qualche spia di Suyodhana.

– Passeremo pel canale interno, – rispose Sirdar. – Nessuno ci vedrà.

– Mettiti al timone.

– Sí, sahib: guiderò la pinassa.

Il piccolo veliero pochi momenti dopo virava di bordo attorno alla punta settentrionale di Rima, imboccando un nuovo canale, anche quello assai ampio e sulle cui acque si vedeva a galleggiare un gran numero di avanzi umani che spandevano un odore cosí asfissiante da far arricciare il naso perfino a Darma ed a Punthy, che si trovavano in coperta, l’una coricata a fianco dell’altro.

Alle sei di sera anche quel canale era superato e la pinassa s’impegnava fra una serie di bassifondi e d’isolotti che dovevano formare l’estuario del Mangal.

Il cimitero galleggiante, accennato da Tremal-Naik, s’annunciava.

Centinaia e centinaia di cadaveri che dovevano provenire dal Gange, essendo il Mangal un braccio di quell’immenso fiume, galleggiavano sulle acque nerastre e untuose, montati ognuno da una e anche due coppie di marabú.

Teste, dorsi, femori e braccia si urtavano insieme, sballonzolati dalle onde prodotte dallo scafo della pinassa.

Le terre a poco a poco si restringevano. Rajmangal si univa alla jungla del continente.

Sandokan aveva fatto chiudere le due grandi vele, non conservando che un fiocco e faceva sondare il fondo ad ogni momento, onde la pinassa non si arenasse.

Tremal-Naik si era messo vicino al timoniere per indicargli la via da tenere.

Per venti minuti il veliero salí il fiume poi, dietro ordine di Tremal-Naik, s’accostò alla riva sinistra cacciandosi entro una piccola cala che era ombreggiata da immensi alberi, i quali intercettavano quasi completamente la luce.

– Ci fermeremo qui, – disse il bengalese a Sandokan. – Ci è facile nascondere la pinassa in mezzo ai paletuvieri dopo d’averla privata della sua alberatura e la jungla foltissima non è che due passi.

Nessuno potrà scoprirci.

– E la pagoda dei Thugs è lontana?

– Si trova a meno di un miglio.

– Sorge in mezzo alla jungla?

– Sulle rive d’uno stagno.

– Sirdar!

Il giovane si era affrettato ad avvicinarsi.

– È giunto il momento di agire, – disse Sandokan.

– Sono pronto, sahib.

– Noi abbiamo udito il tuo giuramento.

– Sirdar può essere diventato un miserabile, ma non mancherà alle promesse fatte.

– Qual è adunque il tuo piano?

– Io andrò da Suyodhana e gli narrerò che la pinassa è stata catturata da una banda d’uomini, che tutto l’equipaggio è stato distrutto e che io sono riuscito a salvarmi con infiniti stenti.

– Ti crederà?

– E perché no? Ha sempre avuto fiducia in me.

– E poi?

– M’informerò se Darma si trova ancora nei sotterranei e vi farò avvertire la sera in cui la bambina andrà a fare l’offerta del sangue dinanzi alla statua della dea. Siate pronti a piombare nella pagoda, e badate di non farvi scorgere.

– Come ci avvertirai?

– Se Surama è già giunta, ve la manderò.

– La conosci tu?

– Sí, sahib.

– E se non l’avessero ancora ricondotta a Rajmangal?

– Verrò io, sahib.

– Ordinariamente a che ora si fa l’offerta del sangue?

– Alla mezzanotte.

– È vero, – disse Tremal-Naik.

– Come potremo entrare inosservati nella pagoda? – chiese Sandokan.

– Scalando la cupola e scendendo per la fune che sostiene la grossa lampada, – disse Tremal-Naik. – Sussiste ancora quella fune, è vero, Sirdar?

– Sí, sahib. Sarà però cosa prudente che non entriate in troppi nella pagoda, – disse il giovane. – Lasciate il grosso della banda nascosto nella jungla e avvertite i vostri uomini di accorrere solamente quando udranno il suono del ramsinga.

– Chi lo darà lo squillo?

– Io, signore, perché ci sarò anch’io nella pagoda, quando voi piomberete su Suyodhana.

– Sarà lui che condurrà Darma a fare l’offerta del sangue? – chiese Yanez che si era unito a loro.

– Sí, è sempre lui che presenzia quell’offerta.

– Va’, dunque – disse Sandokan. – Ricordati che se tu riuscirai a darci nelle nostre mani Darma e anche Surama, la tua fortuna è fatta e che se invece ci tradisci, noi non lasceremo le Sunderbunds senza avere la tua testa.

– Manterrò il giuramento che ho fatto, – disse Sirdar con voce solenne. – Io non sono piú thug; torno bramino.

Prese una carabina che Kammamuri aveva portata, fece un gesto d’addio e balzò agilmente sulla riva, scomparendo ben presto fra le tenebre.

– Che riesca a farmi riavere la mia piccola Darma? – chiese Tremal-Naik con ansietà. – Che cosa ne dici Sandokan?

– Il giovane mi sembra non solo audace, bensí anche leale e credo che compirà la sua pericolosa missione senza esitare. Armiamoci di pazienza e disponiamo il campo.

I suoi uomini si erano già messi all’opera per nascondere la pinassa, levando le antenne, l’alberatura e tutte le sue manovre.

Scaricate le armi, parte delle munizioni, le casse dei viveri e le tende, scesero a terra e trascinarono il legno in mezzo ai paletuvieri entro i quali avevano già aperto, a colpi di parangs, un largo solco per cacciarvelo nel mezzo.

Ciò fatto, coprirono il ponte con ammassi di canne e di rami, in modo da nasconderlo completamente.

Frattanto Sandokan, Yanez e Tremal-Naik con un drappello di dayachi s’inoltrarono fino sul margine della jungla che cominciava subito dietro gli alberi che coprivano la riva, e stabilivano un posto avanzato, mentre Kammamuri e Sambigliong ne piantavano un altro lungo la costa occidentale per sorvegliare coloro che potevano venire dalle isole delle Sunderbunds.

Возрастное ограничение:
12+
Дата выхода на Литрес:
30 августа 2016
Объем:
360 стр. 1 иллюстрация
Правообладатель:
Public Domain

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