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Читать книгу: «Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 6», страница 2

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A. 386-398

Il prudente Stilicone, invece di persistere a forzare le inclinazioni di un Principe e di un popolo, che rigettavano il suo governo, saviamente abbandonò Arcadio agl'indegni suoi favoriti; e la ripugnanza, che egli ebbe ad involgere in una guerra civile i due Imperj, fece conoscere la moderazione di un ministro, che avea tante volte segnalato il suo spirito e saper militare. Ma se Stilicone avesse più lungamente sofferto la ribellione dell'Affrica, avrebbe tradito la sicurezza della Capitale, ed abbandonato la maestà dell'Imperatore dell'Occidente alla capricciosa insolenza di un Mauritano ribelle. Gildone37, fratello del tiranno Firmo, avea conservato ed ottenuto in premio dell'apparente sua fedeltà l'immenso patrimonio, ch'era stato confiscato per causa di tradimento; un lungo e meritevol servizio negli eserciti Romani l'aveva inalzato alla dignità di Conte militare; la ristretta politica della Corte di Teodosio aveva adottato il dannoso espediente di sostenere un governo legittimo mediante l'interesse di una potente famiglia; ed il fratello di Firmo fu investito del comando dell'Affrica. La sua ambizione tosto usurpò l'amministrazion della giustizia e delle finanze, senza renderne conto ad alcuno e senza contrasto; e conservò per dodici anni il possesso di un ufizio, da cui era impossibile rimuoverlo senza il rischio di una guerra civile. In quei dodici anni gemerono le province Affricane sotto il dominio di un tiranno, che pareva unisse l'insensibil natura di uno straniero ai parziali risentimenti di una domestica fazione. Spesso trascuranvansi le formalità legali coll'uso del veleno, e se i tremanti convitati alla tavola di Gildone ardivano d'esprimere i loro timori, ad altro non serviva l'insolente sospetto, che ad eccitare il suo furore, ed altamente chiamava i ministri di morte. Gildone alternativamente soddisfaceva le passioni dell'avarizia e della lascivia38; e se i suoi giorni eran terribili pei ricchi, le sue notti non erano meno spaventose pei mariti e pei genitori. Si prostituivano le più belle lor mogli e figliole agli abbracciamenti del tiranno; e quindi venivano abbandonate ad una feroce truppa di barbari ed assassini, neri o mulatti, nativi del deserto, che Gildone risguardava come i soli custodi del suo trono. Nella guerra civile fra Teodosio ed Eugenio, il Conte, o piuttosto il Sovrano dell'Affrica, osservò una superba e sospetta neutralità; ricusò d'aiutare alcuna delle parti con truppe o con navi, aspettò la dichiarazione della fortuna, e riservò pel vincitore le vane proteste del suo omaggio. Tali proteste non sarebbero servite a soddisfare il padrone del Mondo Romano, ma la morte di Teodosio, e la debolezza e discordia de' suoi figli confermarono la potenza del Mauritano, il quale, in prova di sua moderazione, si contentò d'astenersi dall'uso del diadema, e di somministrare a Roma il consueto tributo o piuttosto sussidio di grano. In ogni division dell'Impero le cinque Province dell'Affrica erano sempre state assegnate all'Occidente; e Gildone avea consentito di governare quell'esteso paese in nome d'Onorio, ma la cognizione, che aveva del carattere e de' disegni di Stilicone, presto l'impegnarono a prestare omaggio ad un più distante e più debole Sovrano. I ministri d'Arcadio abbracciaron la causa di un perfido ribelle; e la seducente speranza d'aggiungere all'Impero Orientale le copiose città dell'Affrica, li tentò ad arrogarsi un diritto, che non eran capaci di sostenere nè colla ragione, nè colle armi39.

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Dopo che Stilicone ebbe data una ferma e decisiva risposta alle pretensioni della Corte Bizantina, solennemente accusò il tiranno dell'Affrica avanti a quel tribunale, che aveva una volta giudicato i Re e le nazioni della terra; e dopo un lungo intervallo si ravvisò l'immagine della Repubblica sotto il regno d'Onorio. L'Imperatore trasmise al Senato Romano un esatto ed ampio ragguaglio delle querele dei provinciali, e dei delitti di Gildone; e si richiese a' membri di quella venerabile assemblea che pronunziassero la condanna del ribelle. L'unanime lor sentimento lo dichiarò nemico della Repubblica; ed il decreto del Senato aggiunse una sacra e legittima sanzione alle armi Romane40. Un popolo che sempre si rammentava, che i suoi antenati erano stati padroni del Mondo, avrebbe con segreto orgoglio applaudito alla rappresentazione dell'antica libertà, se non fosse stato da gran tempo assuefatto a preferire la stabile sicurezza del pane alle immaginarie visioni di libertà e di grandezza. La sussistenza di Roma dipendeva dalle raccolte dell'Affrica; ed era evidente, che una dichiarazione di guerra sarebbe stata il segnale della carestia. Il Prefetto Simmaco, il quale presedeva alle deliberazioni del Senato, avvertì il ministro del suo giusto timore, che appena il vendicativo Moro avesse proibito l'esportazione del grano, si sarebbe minacciata la tranquillità, e forse la salute della Capitale dall'affamato furore di una turbolenta moltitudine41. La prudenza di Stilicone immaginò ed eseguì senza dilazione il più efficace disegno per sostenere il popolo Romano. Una grande ed opportuna copia di grano, raccolta nelle interne province della Gallia, si fece calare pel rapido corso del Rodano, e per mezzo di una facil navigazione fu trasportata dal Rodano al Tevere. In tutto il tempo della guerra Affricana, i granai di Roma furon continuamente pieni, la sua dignità restò libera da un'umiliante dipendenza; e gli animi d'un immenso popolo erano quieti pel tranquillo aspetto della pace e dell'abbondanza42.

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La causa di Roma e la condotta della guerra dell'Affrica furono affidate da Stilicone ad un Generale attivo e bramoso di vendicare le private sue ingiurie sul capo del tiranno. Lo spirito di discordia, che prevalse nella casa di Nabal, avea eccitato una mortal contesa fra' due suoi figli Gildone e Mascezel43. L'usurpatore insidiava con implacabile rabbia la vita del suo minor fratello, di cui temeva l'abilità ed il coraggio; e Mascezel, oppresso dalla superior forza, si riparò alla Corte di Milano, dove tosto ricevè la crudel notizia, che due suoi innocenti e miseri figli erano stati trucidati dall'inumano loro zio. L'afflizione del padre non fu sospesa, che dalla brama della vendetta. Il vigilante Stilicone già preparavasi a raccogliere le forze militari e marittime dell'Impero Occidentale; ed avea risoluto, qualora il tiranno facesse un'eguale e dubbiosa guerra, di marciare contro di esso in persona; ma siccome l'Italia esigeva la sua presenza, e poteva esser pericoloso l'indebolir la difesa della frontiera, giudicò miglior consiglio, che Mascezel s'assumesse questa difficile impresa alla testa di uno scelto corpo di veterani Galli, che avevan ultimamente servito sotto le bandiere d'Eugenio. Tali truppe, che furono esortate a convincere il Mondo, ch'esse potevano rovesciare ugualmente, che difendere il trono di un usurpatore, eran composte delle legioni Gioviane, Augustane ed Erculee; degli Ausiliarj Nerviani, dei soldati, che nei loro stendardi portavano il simbolo di un Leone, e delle truppe, che si distinguevano coi ben augurati nomi di Fortunata e d'Invincibile. Pure tal era la tenuità dei loro battaglioni, o la difficoltà di reclutare, che questi sette corpi44 di alta reputazione e dignità nella milizia Romana, non montavano a più di cinquemila uomini effettivi45. La flotta delle galere e delle barche da trasporto fece vela in una tempestosa stagione dal porto di Pisa in Toscana, e diresse il suo corso alla piccola isola di Capraia, che avea preso il nome dalle capre salvatiche, che in origine l'abitavano, e delle quali occupavasi allora il posto da nuova colonia di strana e selvaggia apparenza. «Tutta l'isola (dice un ingegnoso viaggiator di quei tempi) è piena o piuttosto contaminata da uomini, che fuggon la luce. Si danno il nome di Monaci o di solitarj, perchè vogliono viver soli senz'alcun testimone delle loro azioni. Temono i doni della fortuna pel timore di perderli; e per paura d'esser miserabili, abbracciano una vita di volontaria miseria. Quanto è assurda la loro scelta, quanto cieco il loro intelletto a temere i mali senza esser capaci di godere i beni dell'umana condizione! O questa malinconica frenesia è l'effetto di una malattia, oppure la coscienza della reità spinge questi infelici ad esercitare contro i propri lor corpi i tormenti, che si danno agli schiavi fuggitivi per mezzo della giustizia46». Tal era il disprezzo di un Magistrato profano pei Monaci della Capraja, che si venerarono dal pietoso Mascezel come gli eletti servi di Dio47. Alcuni di loro s'indussero per le sue preghiere ad imbarcarsi sopra la flotta; ed è stato osservato in onore del Generale Romano, che impiegava i giorni e le notti in preghiere, in digiuni, e nell'occuparsi a cantare i Salmi. Il devoto condottiere, che con tale rinforzo pareva che confidasse della vittoria, evitò gli scogli pericolosi della Corsica, costeggiò lungo la parte Orientale della Sardegna, e difese le sue navi dalla violenza del vento meridionale, gettando le ancore nel sicuro o capace porto di Cagliari alla distanza di quaranta miglia da' lidi dell'Affrica48.

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Gildone s'era preparato a far fronte all'invasione con tutte le forze dell'Affrica. Con la liberalità dei doni e delle promesse procurò d'assicurarsi la dubbiosa fedeltà de' soldati Romani, mentre attirava alle sue bandiere le remote tribù della Getulia e dell'Etiopia. Mise in ordine un'armata di sessantamila uomini, ed altamente vantavasi con quella temeraria presunzione, che suol precorrere la disgrazia, che la sua numerosa cavalleria calpestato avrebbe le truppe di Mascezel, ed involto in un nuvolo di ardente sabbia i nativi delle fredde regioni della Gallia e della Germania49. Ma il Mauritano, che comandava le legioni d'Onorio, era troppo bene informato delle maniere de' suoi nazionali per concepire alcun serio timore di un disordinato e nudo esercito di Barbari, il braccio sinistro dei quali invece di scudo non era difeso che da un mantello; che, appena scagliato aveano con la destra il lor giavelotto, restavano totalmente disarmati; ed i cui cavalli non erano mai stati ammaestrati a soffrir l'impaccio della briglia, o ad obbedirne la guida. Egli fermò il suo campo di cinquemila veterani in faccia ad un superiore nemico, e dopo la dilazione di tre giorni diede il segno di una generale battaglia50. Avanzandosi Mascezel sulla fronte con belle offerte di perdono e di pace, incontrò uno dei primi che portava lo stendardo Affricano, e ricusando questo di cedere, gli tagliò il braccio con la sua spada. Cadde a quel colpo insieme col braccio l'insegna; e subito fu replicato da tutte le bandiere della fila quel supposto atto di sommissione. A questo segno le disaffezionate coorti proclamarono il nome del legittimo loro Sovrano; i Barbari, sorpresi per la diserzione dei Romani loro alleati, si dispersero, secondo il loro costume, in una tumultuaria fuga; e Mascezel ottenne l'onore di una facile e quasi non sanguinosa vittoria51. Il tiranno dal campo di battaglia fuggì al lido del mare; e si gettò in un piccol vascello con la speranza di giugner sicuro a qualche amico porto dell'Impero Orientale; ma l'ostinazione del vento lo rispinse nel porto di Trabaca52, che aveva riconosciuto insieme col resto della provincia il dominio d'Onorio, e l'autorità del suo vicario. Gli abitanti, in prova del pentimento e della fedeltà loro, arrestarono la persona di Gildone, e lo posero in carcere; ma la propria disperazione lo liberò dall'intollerabil tormento di soffrir la presenza di un ingiuriato e vittorioso fratello53. Si portarono al piè dell'Imperatore i prigionieri e le spoglie dell'Affrica: ma Stilicone, la moderazione del quale appariva sempre più cospicua e più sincera in mezzo della prosperità, tuttavia affettò di osservar le leggi della Repubblica: e deferì al Senato ed al Popolo Romano il giudizio de' più illustri delinquenti54. Fu pubblico e solenne il loro processo; ma i Giudici nell'esercizio di quell'antiquata e precaria giurisdizione, erano impazienti di punire i Magistrati Affricani, che avevano intercettato la sussistenza del Popolo Romano. Quella ricca e colpevol Provincia fu oppressa dai ministri Imperiali, che avevano un interesse visibile a moltiplicare il numero dei complici di Gildone; e quantunque sembri, che un editto d'Onorio freni la maliziosa industria degli accusatori, un altro editto, alla distanza di dieci anni, continua e rinnova la processura di que' danni, che furon fatti nel tempo della general ribellione55. Gli aderenti del tiranno, che scamparono dal primo impeto dei soldati e dei giudici, poteron trarre qualche consolazione dal tragico fine del fratello di lui, che non potè mai ottenere il perdono per gli straordinari servigi, che avea prestati. Dopo d'aver terminato un'importante guerra nello spazio di un solo inverno, Mascezel fu ricevuto alla Corte di Milano con grande applauso, con affettata gratitudine e con segreta gelosia56, e si è risguardata la sua morte, che forse fu l'effetto del caso, come un delitto di Stilicone. Nell'atto di passare un ponte, il Principe Mauritano, ch'era in compagnia del Generale dell'Occidente, fu ad un tratto gettato dal suo cavallo nel fiume; restò impedita l'officiosa premura dei famigliari da un crudele e perfido sorriso, che videro in volto a Stilicone; e mentr'essi differivano il necessario soccorso, l'infelice Mascezel rimase annegato57.

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La gioja del trionfo Affricano felicemente s'unì colle nozze dell'Imperatore Onorio e della sua cugina Maria, figlia di Stilicone: e quest'uguale ed onorevole parentela parve che investisse il potente ministro dell'autorità di padre sopra il sommesso pupillo di lui. Non tacque in giorno sì propizio la musa di Claudiano58: cantò in vari e vivaci metri la felicità della coppia reale e la gloria dell'Eroe, che confermava la lor unione, e sosteneva il lor trono. Il genio poetico salvò dall'obblivione le antiche favole della Grecia, che avevan quasi finito d'esser l'oggetto di una fede religiosa. La pittura del bosco di Cipro, sede dell'armonia e dell'amore, il trionfante progresso di Venere sopra i nativi suoi mari, e la dolce influenza, che sparse la presenza di lei nel palazzo di Milano, esprimono ad ogni età i naturali sentimenti del cuore nel giusto e piacevol linguaggio di un'allegorica finzione. Ma l'amorosa impazienza, che Claudiano attribuisce al giovine Principe59, dovè eccitare il riso della Corte; e la sua bella sposa (se pur meritava la lode della beltà) non avea molto da temere o da sperare dalle passioni del suo amante. Onorio non avea che l'età di quattordici anni; Serena, madre della sposa, differì per arte, o per mezzo di persuasioni la consumazione delle nozze Reali. Maria morì vergine dopo essere stata moglie dieci anni; e fu assicurata la castità dell'Imperatore dalla freddezza, o forse anche dalla debolezza della sua costituzione60. I suoi sudditi, che attentamente studiavano il carattere del giovane loro Sovrano, conobbero, che Onorio era senza passioni, e conseguentemente senza talenti; e che la debole e languida di lui natura era ugualmente incapace di adempire i doveri del suo grado che di godere i piaceri dell'età sua. Nella prima sua gioventù fece qualche profitto nell'esercizio di cavalcare e di tirar l'arco: ma presto abbandonò quelle faticose operazioni, ed il divertimento di nutrir uccelli divenne la seria e quotidiana cura del Monarca dell'Occidente61, il quale rimise le redini dell'Imperio nella ferma ed abile mano di Stilicone di lui tutore. L'esperienza dell'istoria, potrà confermare il sospetto, che un Principe, nato nella porpora, ebbe un'educazione peggiore dell'infimo dei suoi sudditi; e che l'ambizioso ministro lo lasciò arrivare all'età virile senza procurar d'eccitarne il coraggio, o d'illuminarne l'intelletto62. I predecessori d'Onorio eran soliti d'animare col loro esempio, o almeno con la presenza il valore delle legioni; e le date delle lor leggi attestano la perpetua attività dei loro movimenti per le Province del Mondo Romano. Ma il figlio di Teodosio passò il sonno della sua vita, come uno schiavo nel suo palazzo, come uno straniero nel suo paese, e come un paziente e quasi indifferente spettatore della rovina dell'Impero Occidentale, che fu più volte attaccato, e finalmente distrutto dalle armi dei Barbari. Nell'istoria, piena di eventi, di un regno di vent'otto anni, rare volte sarà necessario di rammentare il nome dell'Imperatore Onorio.

CAPITOLO XXX

Ribellione dei Goti. Saccheggian la Grecia. Due grandi invasioni nell'Italia, fatte da Alarico e da Radagaiso. Sono essi rispinti da Stilicone. I Germani invadon la Gallia. Usurpazione di Costantino in Occidente. Disgrazia e morte di Stilicone

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Se i sudditi di Roma avesser potuto ignorare le obbligazioni, che dovevano al Gran Teodosio, si sarebber tosto convinti della penosa difficoltà, con cui lo spirito e l'abilità del loro defonto Imperatore avea sostenuto il fragile e cadente edifizio della Repubblica. Esso morì nel mese di Gennaio; e prima che finisse l'inverno dell'istesso anno, la nazione de' Goti avea preso le armi63. I Barbari ausiliarj alzarono l'indipendente loro stendardo; ed arditamente dichiararono le ostili intenzioni, che avevan lungo tempo nutrite nelle feroci lor menti. I lor nazionali, che per le condizioni dell'ultimo trattato erano stati condannati ad una vita di tranquillità e di fatica, abbandonarono al primo suono di tromba le loro possessioni, e con ardore ripresero le armi, che avevan contro voglia posate. Si rovesciarono gli ostacoli del Danubio; uscirono dalle lor foreste i selvaggi guerrieri della Scizia; e lo straordinario rigor dell'inverno somministrò al poeta l'osservazione, che «traevano i gravi lor carri sul largo e gelato dosso dello sdegnante fiume64.» Gl'infelici abitanti delle Province meridionali del Danubio si sottomisero alle calamità, che nel corso di vent'anni eran divenute quasi famigliari alla loro immaginazione, e le varie truppe di Barbari, che si gloriavan del nome Gotico, confusamente si sparsero da' selvosi lidi della Dalmazia fino alle mura di Costantinopoli65. L'interrompimento o almeno la diminuzione del sussidio che i Goti aveano ricevuto dalla prudente liberalità di Teodosio, fu lo specioso pretesto della lor ribellione; s'accrebbe l'affronto pel disprezzo che dimostrarono verso gl'imbelli figliuoli di Teodosio; e ne fu infiammato lo sdegno dalla debolezza o perfidia del ministro d'Arcadio. Le frequenti visite, che Ruffino faceva al campo dei Barbari, dei quali affettava d'imitar le armi e le vesti, si riguardavano come una prova bastante della rea corrispondenza di lui; ed il pubblico nemico, per un motivo di gratitudine o di politica, nella generale devastazione avea cura di risparmiare i beni privati dell'odioso Prefetto. I goti, invece d'esser mossi dalle cieche e capricciose passioni dei lor Capitani, erano allora diretti dall'audace ed artificioso genio d'Alarico. Questo famoso condottiero discendeva dalla nobile stirpe dei Balti66, che non cedeva, che alla sola famiglia reale degli Amali. Ei chiese il comando delle armi Romane; e la Corte Imperiale lo provocò a dimostrar la follia del rifiuto, e l'importanza di perderlo. Per quante speranze potesse avere della conquista di Costantinopoli, il giudizioso Generale tosto abbandonò una non eseguibile impresa. L'Imperator Arcadio, in mezzo ad una Corte divisa in vari partiti e ad un popolo malcontento, fu atterrito dall'aspetto delle armi Gotiche, ma alla mancanza d'abilità e di valore supplì la forza della città; e le fortificazioni, sì di terra che di mare, poteron sicuramente disfidare gl'impotenti e fortuiti dardi dei Barbari. Alarico sdegnò di più trattenersi negli abbattuti e rovinati paesi della Tracia e della Dacia, e risolvè di cercare un'abbondante messe di fama e di ricchezze in una provincia, che fin allora scampato aveva i disastri della guerra67.

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Il carattere degli Uffiziali civili e militari, che Ruffino avea posti al governo della Grecia confermò il pubblico sospetto, ch'egli avesse aperto per tradimento l'antica sede della libertà e del sapere al Gotico invasore. Il Proconsole Antioco era l'indegno figlio di un rispettabile padre; e Geronzio, che comandava le truppe della provincia, era meglio idoneo ad eseguire gli opprimenti ordini di un tiranno, che a difendere con abilità e coraggio un paese, con la maggior diligenza fortificato dalla mano della natura. Alarico avea traversato senza resistenza le pianure della Macedonia e della Tessaglia fino a piè del monte Oeta, aspra e selvosa catena di colli quasi impenetrabile alla sua cavalleria. Questi estendevansi da Levante a Ponente fino al lido del mare; e lasciavan di mezzo fra il precipizio ed il golfo Maleo uno spazio di trecento piedi, che in alcuni luoghi era ristretto ad una strada capace d'ammettere un solo carro per volta68. In quell'angusto passo delle Termopile, dove Leonida ed i trecento Spartani avevan gloriosamente sacrificato le loro vite, i Goti potevano essere arrestati o distrutti da un abile Generale, e forse la vista di quel sacro luogo avrebbe potuto accendere alcune scintille di militare ardore nei petti de' Greci degenerati. Le truppe ch'erano state poste alla difesa dello stretto passo delle Termopile, si ritirarono, secondo gli ordini, senza neppure tentar d'impedire il rapido e sicuro passaggio d'Alarico69; e le fertili campagne della Focide e della Beozia furono immediatamente coperte da un diluvio di Barbari, che uccidevano i maschi in età di portar le armi, e rapivan le belle femmine con le spoglie ed i bestiami degl'incendiati villaggi. I viaggiatori, che passarono per la Grecia molti anni dopo, facilmente ravvisavano le profonde e sanguinose tracce della marcia dei Goti; e Tebe fu meno debitrice della propria conservazione alla forza delle sue sette porte, che all'ardente fretta d'Alarico, che s'avanzò ad occupare la città d'Atene e l'importante porto del Pireo. L'istessa impazienza lo spinse a toglier la dilazione ed il pericolo di un assedio coll'offerta di una capitolazione, ed appena gli Ateniesi udiron la voce dell'araldo Goto, che facilmente s'indussero a dare la maggior parte delle loro ricchezze per riscatto della città di Minerva, e de' suoi abitanti. Si ratificò il trattato con solenni giuramenti, ed osservossi con reciproca fedeltà. II Principe Goto, con un piccolo e scelto seguito, fu ammesso dentro le mura; egli fece uso del bagno, accettò uno splendido banchetto preparatogli dal magistrato ed affettò di mostrare, che non gli erano ignoti i costumi delle civili nazioni70. Ma tutto il territorio dell'Attica, dal promontorio di Sunio fino alla città di Megara, fu rovinato dalla funesta di lui presenza; e se possiamo servirci del paragone di un Filosofo contemporaneo, Atene medesima rassomigliava alla sanguinosa e vota pelle di una vittima uccisa. La distanza fra Megara e Corinto non poteva eccedere molto lo spazio di trenta miglia; ma la mala via, nome esprimente che tuttavia essa porta fra i Greci, era o potea rendersi inservibile per lo marcia di un nemico. I folti ed oscuri boschi del monte Citero cuoprivano l'interno del paese; gli scogli Scironj s'avvicinavano alla superficie dell'acqua, e stavan pendenti sopra il tortuoso e stretto sentiero, che durava più di sei miglia lungo il lido del mare71. Il passo di quelle rupi, tanto famoso in ogni secolo, si terminava dall'istmo di Corinto; ed un piccolo corpo di fermi ed intrepidi soldati avrebbe potuto felicemente difendere un temporaneo trinceramento di cinque o sei miglia dal mare Jonio all'Egeo. La fiducia, che avevano le città del Peloponneso nella naturale loro difesa, le aveva indotte a trascurare le antiche lor mura; e l'avarizia dei Romani Governatori aveva esaurito e tradito l'infelice provincia72. Corinto, Argo e Sparta cederono senza resistenza alle armi dei Goti; ed i più fortunati degli abitanti si liberarono con la morte dal vedere la schiavitù delle proprie famiglie, e l'incendio delle loro città73. I vasi e le statue furon distribuite fra' Barbari con più riguardo al valore della materia, che all'eleganza dell'opera; le schiave furon sottoposte alle leggi della guerra; il godimento della beltà fu il premio del valore, ed i Greci non avevan ragion di dolersi di un abuso, che veniva giustificato dall'esempio dei tempi eroici74. I discendenti di quel popolo straordinario, che aveva risguardato il valore e la disciplina come le mura di Sparta, non si rammentavano più della generosa risposta, che diedero i loro antichi ad un invasore più formidabile d'Alarico. «Se tu sei un Dio, non farai danno a quelli che non ti hanno mai offeso, se sei un uomo, avanzati pure… e troverai degli uomini uguali a te stesso75». Il condottiero de' Goti proseguì la vittoriosa sua marcia dalle Termopile a Sparta senza incontrare alcun antagonista mortale; ma uno degli avvocati dello spirante Paganesimo ha confidentemente asserito, che le mura d'Atene eran guardate dalla Dea Minerva col formidabile suo Egide, e dall'irata immagine d'Achille76: e che il conquistatore fu sconcertato dalla presenza delle ostili Divinità della Grecia. In un secolo di miracoli non sarebbe forse giusto il disputare all'istorico Zosimo il diritto al benefizio comune; pure non può dissimularsi, che la mente d'Alarico era mal preparata a ricevere, o dormendo o vegliando, le impressioni della Greca superstizione. I canti d'Omero e la fama d'Achille non eran probabilmente mai giunti all'orecchio dell'ignorante Barbaro; e la fede Cristiana, ch'egli aveva devotamente abbracciato, l'ammaestrò a disprezzare le immaginarie Divinità di Roma e d'Atene. L'invasione dei Goti, in cambio di vendicare l'onore del Paganesimo, contribuì, almeno accidentalmente, ad estirparne gli ultimi avanzi; ed i misteri di Cerere, ch'eran durati ottocent'anni, non sopravvissero alla distruzione d'Eleusi, ed alle calamità della Grecia77.

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L'ultima speranza di un popolo, che non potea più contare nè sulle armi, nè sugli Dei, nè sul Sovrano del proprio paese, era collocata nel potente aiuto del Generale d'Occidente; e Stilicone, a cui non era stato permesso di rispingere gl'invasori della Grecia, s'avanzò a castigarli78. Fu allestita una numerosa flotta nei porti d'Italia; e le truppe, dopo una breve e prospera navigazione, sul mar Jonio, vennero sbarcate felicemente sull'Istmo, vicino alla rovina di Corinto. Il montano e selvoso paese d'Arcadia, favolosa residenza di Pane e delle Driadi, divenne la scena di una lunga e dubbiosa battaglia fra due Generali, non indegni l'uno dell'altro. Finalmente prevalse l'abilità e la perseveranza del Romano; ed i Goti, dopo una considerabile perdita per causa del disagio e della diserzione, appoco appoco si ritirarono all'alta montagna di Foloe, vicino alla sorgente del Peneo, sulle frontiere d'Elide, sacra provincia, che prima era stata esente dalle calamità della guerra79. Fu immediatamente assediato il campo dei Barbari: si voltarono in altra parte le acque del fiume80; e mentre soggiacevano essi alle intollerabili angustie della sete e della fame, si formò una forte linea di circonvallazione per impedirne la fuga. Dopo tali cautele Stilicone, troppo fidandosi della vittoria, si ritirò a godere del suo trionfo nei giuochi scenici, e nelle lubriche danze dei Greci; i suoi soldati, abbandonando gli stendardi, si sparsero pel paese dei loro alleati, ch'essi spogliarono di tutto quello, che s'era potuto salvare dalle mani rapaci dell'inimico. Sembra che Alarico prendesse il favorevol momento per eseguire una di quelle ardite imprese, nelle quali spicca l'abilità d'un Generale con maggior lustro, che nel tumulto di una giornata di battaglia. Per liberarsi dalla prigione del Peloponeso, dovè sforzare i trinceramenti che circondavano il proprio campo; fare una difficile e pericolosa marcia di trenta miglia fino al golfo di Corinto, e trasportare le sue truppe, gli schiavi e le spoglie sopra un braccio di mare, che nel più angusto intervallo fra Rio e l'opposto lido, e largo almeno mezzo miglio81. Le operazioni d'Alarico dovettero essere segrete, prudenti e rapide, poichè il Generale Romano restò confuso, quando seppe che i Goti, i quali avevan deluso i suoi sforzi, erano in possesso dell'importante provincia dell'Epiro. Quest'infelice dilazione concesse ad Alarico tempo abbastanza per concludere il trattato, che segretamente maneggiava co' Ministri di Costantinopoli. Il timor d'una guerra civile obbligò Stilicone a ritirarsi, al superbo comando de' suoi rivali, dagli stati d'Arcadio, ed ei rispettò nel nemico di Roma l'onorevol carattere d'alleato e di servo dell'Imperatore Orientale.

A. 398

Un Greco filosofo82, che vide Costantinopoli poco dopo la morte di Teodosio, pubblicò le sue libere opinioni intorno a' doveri de' Re ed allo stato della Romana Repubblica. Sinesio osserva e deplora il fatale abuso, che l'imprudente bontà dell'ultimo Imperatore aveva introdotto nella disciplina militare. I cittadini, ed i sudditi avevan comprato un'esenzione dall'indispensabil dovere di difendere il loro paese, che veniva difeso dalle armi de' Barbari mercenari. Permettevasi a' fuggitivi della Scizia di avvilire le illustri dignità dell'Impero; la feroce lor gioventù, che sdegnava il salutare freno delle leggi, era più ansiosa d'acquistar le ricchezze, che d'imitar le arti d'un popolo, oggetto per essi d'odio e di disprezzo; e la potenza de' Goti era come il sasso di Tantalo, sempre sospeso sulla sicurezza e la pace dello Stato sacrificato. Le misure, che Sinesio raccomanda di prendere, sono i dettami d'un generoso ed ardito patriota. Egli esorta l'Imperatore a ravvivare il coraggio de' propri sudditi coll'esempio d'una virile virtù; a bandire il lusso dalla Corte e dal campo; a sostituire, in luogo de' Barbari mercenari, un esercito d'uomini interessati alla difesa delle lor leggi e sostanze: a costringere, in tal momento di pubblico pericolo, gli artefici ad uscire dalle botteghe, ed i filosofi dalle scuole; a svegliar l'indolente cittadino dal suo sonno di piacere, e ad armare, per protegger l'agricoltura, le mani de' laboriosi coltivatori. Alla testa di tali truppe, che avrebbero meritato il nome e dimostrato lo spirito di Romani, anima il figlio di Teodosio ad affrontare una stirpe di Barbari che erano privi d'ogni real coraggio, ed a non posar le armi, finattantochè non li avesse scacciati nella solitudine della Scizia, o li avesse ridotti a quello stato di servitù ignominiosa, che i Lacedemoni anticamente imposero agli Eloti lor prigionieri83. La Corte d'Arcadio approvò lo zelo, applaudì all'eloquenza, e trascurò il consiglio di Sinesio. Forse il filosofo, che parlò all'Imperator dell'Oriente con quel linguaggio della ragione e della virtù, che avrebbe usato con un Re di Sparta, non avea pensato a formare un sistema praticabile, coerente all'indole ed alle circostanze d'un secolo degenerato. Forse l'orgoglio de' Ministri, gli affari de' quali erano rade volte interrotti dalla riflessione, potè rigettare come inopportuna e visionaria ogni proposizione, che sopravanzava la misura della capacità loro, e deviava dalle formalità e dagli usi del loro uffizio. Mentre l'orazione di Sinesio, e la caduta de' Barbari, formavano gli argomenti delle comuni conversazioni, si pubblicò un editto a Costantinopoli, che dichiarava la promozione d'Alarico al posto di Generale dell'Illirico d'Oriente. I Provinciali, e gli Alleati Romani, che avevano rispettato la fede de' trattati, a ragione sdegnaronsi, che fosse così liberalmente premiata la rovina della Grecia e dell'Epiro. Fu ricevuto il Gotico conquistatore come un legittimo Magistrato in quelle città, che aveva sì recentemente assediate. Sottoposti furono alla sua autorità i padri, de' quali aveva trucidato i figliuoli, ed i mariti, le mogli de' quali aveva violate: ed il successo della sua rivolta incoraggì l'ambizione d'ogni capitano di mercenari stranieri. L'uso, che fece Alarico del suo nuovo comando, distingue il fermo e giudizioso carattere della sua politica. Egli diede ordine a' quattro magazzini, ed alle manifatture di armi difensive ed offensive, ch'erano a Margo, a Raziaria, a Naisso, ed a Tessalonica, di provvedere le sue truppe d'una straordinaria quantità di scudi, di elmi, di spade e di lance; i miseri Provinciali costretti furono a fabbricar gl'istrumenti della propria lor distruzione, ed i Barbari si tolsero l'unico difetto, che aveva alle volte sconcertato gli sforzi del loro coraggio84. La nascita d'Alarico, la gloria delle sue passate azioni, e la speranza de' suoi futuri disegni appoco appoco riunì sotto il vittorioso stendardo di lui il corpo della nazione, e d'unanime consenso de' Capitani Barbari, il Generale dell'Illirico fu elevato, secondo l'antico costume, sopra uno scudo, e proclamato solennemente Re de' Visigoti85. Armato di questo doppio potere, e situato ne' confini de' due Imperi, alternativamente vendeva le ingannevoli sue promesse alle Corti d'Arcadio e d'Onorio86; finattantochè dichiarò ed eseguì la sua risoluzione d'invadere i dominj dell'Occidente. Erano già esauste le Province dell'Europa, che appartenevano all'Imperatore Orientale; quelle dell'Asia erano inaccessibili; e la forza di Costantinopoli avea resistito al suo attacco. Fu dunque tentato dalla fama, dalla bellezza, e dalla dovizia dell'Italia, ch'egli aveva già visitato due volte; e segretamente aspirò a piantare la bandiera Gotica sulle mura di Roma, e ad arricchire il suo esercito con le accumulate spoglie di trecento trionfi87.

37.Può Claudiano aver esagerato i vizi di Gildone; ma la Mauritana di lui origine, le sue notorie azioni, e le querele di S. Agostino possono giustificar lo invettive del Poeta. Il Baronio (annal. an. 398. n. 35. 56.) ha trattato della ribellione Affricana con abilità ed erudizione.
38.Instat terribilis vivis, morientibus haeres,
  Virginibus raptor, thalamis obscenus adulter.
  Nulla quies: oritur praeda cessante libido,
  Divitibusque dies, et nox metuenda maritis.
  … Mauris clarissima quaeque
  Fastidita datur…
  Il Baronio condanna tanto più severamente la licenziosità di Gildone, che la moglie, la figlia e la sorella di esso erano esempi di perfetta castità. Una legge Imperiale raffrena gli adulterj dei soldati Affricani.
39.Inque tuam sortem numerosas transtulit urbes. Claudiano (de Bell. Gildonic. 230-324) ha toccato con politica delicatezza gl'intrighi della Corte Bizantina, de' quali fa menzione anche Zosimo (l. V. p. 302).
40.Simmaco (l. IV. epist. 4) esprime le formalità giudiciali del Senato; e Claudiano (Cons. Stilic. l. I. 325 ec.) sembra respirare il coraggio Romano.
41.Claudiano delicatamente spiega questi lamenti di Simmaco in un discorso della Dea di Roma avanti al trono di Giove (de Bell. Gild. 28-128).
42.Vedi Claudiano in Eutrop. l. I. 401. ec. I. Cons. Stil. l. I. 306. II. Cons. Stil. 91 ec.
43.Egli era d'età matura, poichè antecedentemente (an. 373) avea militato con Firmo suo fratello (Ammiano XXIX. 5). Claudiano, che conosceva la Corte di Milano si fermò nelle ingiurie piuttosto che ne' meriti di Mascezel (de Bell. Gild. 389-414). La guerra Mauritana non era degna d'Onorio o di Stilicone ec.
44.Claudian. Bell. Gild. 415, 423. Il cangiamento della disciplina indifferentemente gli permetteva d'usare i nomi di Legione, di Coorte, di Manipolo. Vedi Not. Imper. l. 38. 40.
45.Orosio (l. VII. c. 36. p. 563) aggiugne a questo racconto un'espressione di dubbio (ut ajunt) e ciò difficilmente si combina quella di Δυναμεις αδρας numerose forze, di Zosimo (l. V. p. 303). Pure Claudiano dopo qualche declamazione intorno ai soldati di Cadmo, francamente confessa, che Stilicone mandò un piccolo esercito, per timore che il ribello fuggisse; ne timere timeas I. Cons. Stilich. l. I. 314.
46.Claud. Rutil. Numatian. Itiner. l. 439-448. Egli di poi fa menzione (515-526) di un religioso pazzo nell'Isola di Gorgona. Per tali profane osservazioni Rutilio e i suoi seguaci son chiamati dal suo comentatore Batthio rabiosi canes diaboli. Il Tillemont (Mem. Eccl. Tom. XII. p. 42) più tranquillamente osserva, che l'incredulo poeta loda quanto intende di censurare.
47.Orosio l. VII. c. 36. p. 564. Agostino celebra due di questi Santi dell'Isola delle Capre, Epist. 81. ap. Tillem. Mem. Eccl. Tom. XIII. p. 317 e Baron. annal. Eccl. n. 398 num. 51.
48.Qui termina il primo libro della guerra Gildonica. Il testo del poema di Claudiano è perduto; e non sappiamo, come o dove l'armata prendesse terra nell'Affrica.
49.Orosio dev'essere responsabile di tal racconto. La presunzione di Gildone, e le sue varie truppe di Barbari son rammentate da Claudiano (I. Cons. stil. l. 345-955).
50.S. Ambrogio, che era morto circa un anno avanti, rivelò in una visione il tempo ed il luogo della vittoria. Di poi Mascezel raccontò il suo sogno a Paolino, scrittore originale della vita del Santo, dal quale potè facilmente passare tal notizia ad Orosio.
51.Zosimo (l. V. p. 303) suppone un ostinato combattimento; ma la narrazione d'Orosio par che occulti un fatto reale sotto la maschera d'un miracolo.
52.Trabaca è situata fra le due Ippone (Cellar. Tom. II. P. 2. p. 212. Danville Tom. III. p. 84). Orosio ha nominato distintamente il campo di battaglia; ma la nostra ignoranza non può stabilirne la precisa situazione.
53.La morte di Gildone s'esprime da Claudiano (I. Cons. Stil. p. 357), e dai suoi migliori interpreti, Zosimo ed Orosio.
54.Claudiano (II. Cons. Stilich. 99-119) descrive il loro processo (tremuit quos Africa nuper, cernunt rostra reos) ed applaudisce al ristabilimento dell'antica costituzione. Qui è dove introduce quella celebre sentenza, tanto familiare agli amici del dispotismo: numquam libertas gratior extat, quam sub Rege pio… Ma la libertà, che dipende dalla pietà regale, appena merita questo nome.
55.Vedi il Cod. Teod. lib. IX. Tit. XXXIX. leg. 3. tit. XL. l. 19.
56.Stilicone, che pretendeva un'egual parte in tutte le vittorie di Teodosio e del suo figlio, particolarmente asserisce, che l'Affrica fu ricuperata per la saviezza dei suoi consigli. Vedi un'iscrizione prodotta dal Baronio.
57.Ho addolcito la narrazione di Zosimo, che nella sua cruda semplicità è quasi incredibile (l. V. p. 303). Orosio condanna il vittorioso Generale (p. 538) per aver violato il diritto del Santuario.
58.Claudiano, come poeta laureato, compose un elaborato e serio epitalamio di 340 versi, oltre a varie giocose Fescennine, che si cantarono in tuono più licenzioso nella notte del maritaggio.
59.… Calet obvius ire
  Jam Princeps, tardumque cupit discedere solem.
  Nobilis haud aliter sonipes…
  (De nupt. Hon. et Mariae 287) e più liberamente nelle Fescennine (112-126).
  Dices, o quoties mihi dulcius
  Quam flavos decies vincere Sarmatas
  · · · · · · · · · · ·
  Tum victor madido prosilias toro
  Nocturni referent vulnera praelii.
60.Vedi Zosimo t. V. p. 333.
61.Procop. de Bell. Gothico l. I. c. II. Io ho preso la pratica generale d'Onorio, senz'adottare la strana e veramente improbabil novella, riferita dall'istorico Greco.
62.Le lezioni di Teodosio, o per meglio dir di Claudiano (IV. Cons. Honor. 214-418) potrebber formare una bella istruzione pel futuro Principe di una libera e vasta nazione. Ma questa era troppo superiore ad Onorio ed a' depravati suoi sudditi.
63.Si fa distintamente menzione della ribellione dei Goti, e del blocco di Costantinopoli da Claudiano (in Rif. l. II. 7-10), da Zosimo (l. V. p. 292) e da Giornandes (de reb. Get. c. 29).
64.… Alii per toga ferocis
  Danubii solidata ruunt; expertaque remis
  Frangunt stagna rotis.
  Claudiano ed Ovidio spesse volte divertono la lor fantasia col mescolar le metafore e le proprietà della liquida onda e del solido ghiaccio. In questo facil esercizio s'è impiegato molto falso spirito.
65.Girol. tom. I. p. 26. Ei procura di consolare Eliodoro, Vescovo d'Altino, suo amico, della perdita di Nepoziano, nipote di lui, con una curiosa ricapitolazione di tutte le pubbliche e private disgrazie di quei tempi. (Vedi Tillemont Mem. Eccl. Tom. XII. p. 200).
66.Baltha o Ardita: origo mirifica, dice Giornandes (c. 26). Quest'illustre stirpe continuò lungamente a fiorire in Francia nella Gotica provincia di Septimania o della Linguadoca sotto il corrotto nome di Baux: ed un ramo di quella famiglia dopo si stabilì nel regno di Napoli (Grot. in Prolegom. ad Hist. Gotich. p. 53). I Signori di Baux vicino ad Arles, e di settantanove luoghi loro subordinati, erano indipendenti dai Conti di Provenza: Longuerne Descript. de la France T. I. p. 357.
67.Zosimo (l. V. p. 293-295) è la guida migliore che abbiamo per la conquista della Grecia; ma i cenni e le allusioni di Claudiano sono altrettanti raggi d'istorica luce.
68.Si paragoni Erodoto (l. VII. c. 176) con Livio (XXXVI. 15). Lo stretto ingresso della Grecia era stato probabilmente allargato da qualche infelice invasore.
69.Egli passò, dice Eunapio (in vit. Philos. p. 93. Edit. Commelin. 1596) per lo stretto δια των πυλον παρηλθει ωσπερ δια σαδιου και ιπποκροτου πεδιου τρεχων passa per le Termopile come correndo per uno stadio o per un campo che risuona di cavalli.
70.Per condiscendere a Girolamo e a Claudiano (in Ruffin. l. II. 191) ho mescolato alcuni più scuri colori nella dolce rappresentazione di Zosimo, che desiderava di mitigare la calamità d'Atene.
  Nec fera Cecropias traxissent vincula matres.
  Sinesio (Epist. 156. p. 272. Edit. Patav.) osserva, che Atene, di cui attribuisce le disgrazie all'avarizia del Pro-Console, era in quel tempo meno famosa per le sue scuole di filosofia, che pel commercio che faceva di mele.
71.… Vallata mari Scironia rupes
  Et duo continuo connectens aequora muro
  Isthmos…
Claudian. de Bell. Getic. 188.  Gli scogli Scironj son descritti da Pausania (l. I. c. 44. p. 107. Edit. Kahn.) e da' nostri moderni viaggiatori, Wheeler (p. 436) e Chandler (p. 298). Adriano rendè la strada capace di due carri.
72.Claudiano (in Ruffin. l. II. 186. e de Bell. Get. 611.) senz'ordine, quantunque con forza, descrive quella scena di rapina e di distruzione.
73.Τρις μακαρες Δαναιο και τετρακις, Tre e quattro volte beati Greci ec. Questi generosi versi d'Omero (Odyss. l. V. 306) furon trascritti da uno dei giovani schiavi di Corinto: e le lacrime di Mummio posson provare, che il rozzo conquistatore, quantunque ignorasse il valore di una pittura originale, possedeva la più pura sorgente del buon gusto, cioè un cuore. Plutarc., Sym. posiac. l. IX. Tom. II p. 737. Edit. Weebel.
74.Omero continuatamente descrive l'esemplare pazienza di queste schiave, che accordavano le loro grazie, ed anche i loro cuori agli uccisori dei loro padri, fratelli, ec. Racine tocca con ammirabil delicatezza tal passione d'Erifile per Achille.
75.Plutarco (in Pyrrho. Tom. II. p. 471. Edit. Brian.) esprime la risposta genuina in dialetto laconico. Pirro attaccò Sparta con 25000 fanti, 2000 cavalli e 24 elefanti, e la difesa di quell'aperta città è un bel comento alle leggi di Licurgo, anche nell'ultimo stato di decadenza.
76.Quale per avventura l'ha dipinto sì nobilmente Omero (Iliad. XX. 164).
77.Eunapio (in vit. Philos. p. 90-93) dichiara che una truppa di Monaci tradì la Grecia e seguì il campo Gotico.
78.Quanto alla guerra Greca di Stilicone, si confronti l'ingenua narrazione di Zosimo (l. V. p. 295-296) con la curiosa e circostanziata adulazione di Claudiano (I. Cons. Stilich. l. I. 172-186. IV. Cons. Honor. 459-477). Siccome l'evento non fu glorioso, viene artificiosamente gettato nell'ombra.
79.Le truppe, che passavano per Elide, mettevano giù le loro armi. Questa sicurezza arricchì gli Eleati, che amavan la vita campestre. Le ricchezze produssero l'orgoglio; essi sdegnarono il lor privilegio, e ne riportarono danno. Polibio li consiglia a ritirarsi un'altra volta dentro il magico loro cerchio. Vedasi un dotto e giudizioso discorso sui giuochi Olimpici, che il West ha premesso alla sua traduzione di Pindaro.
80.Claudiano (in IV. Cons. Hon. 486) allude al fatto senza nominare il fiume, forse l'Alfeo (I. Cons. l. I, 185.)
  … Et Alpheus Geticus angustus acervis
  Tardior ad Siculos etiam num pergit amores.
  Pure io preferirei il Peneo, basso fiume in un largo e profondo letto, che scorre per Elide, e si getta nel mare sotto Cillene. Esso fu congiunto coll'Alfeo per purgare la stalla d'Augia; Cellar. Tom. I. p. 760. Viagg. di Chandler p. 286.
81.Strabon. l. VIII. p. 517. Plin., Hist. nat. IV. 3. Wheeler p. 308. Chandler p. 275. Essi misurarono da diversi punti la distanza fra le due terre.
82.Sinesio passò tre anni (dal 397 al 400) in Costantinopoli, come deputato da Cirene all'Imperatore Arcadio. Esso gli presentò una corona d'oro, e recitò in sua presenza l'istruttiva orazione de Regno (p. 1-32 edit. Petav. Par. 1611). Il Filosofo fu fatto Vescovo di Tolemaide nel 410 e morì verso il 430. Vedi Tillemont, Mem. Eccles. Tom. XII. p. 499, 554, 683-685.
83.Sinesio, de Regno p. 21-26.
84.… Qui foedera rumpit
  Ditatur; qui servat, eget: vastator Achivae
  Gentis et Epirum nuper populatus inultam
  Praesidet Illyrico: jam, quos obsedit, amicos
  Ingreditur muros; illis responsa daturus,
  Quorum conjugibus potitur, natosque peremit.
  Claudiano, in Eutrop. l. II, 212. Alarico applaudisce alla propria politica (de Bell. Get. 633-64) nell'uso che fece di questa giurisdizione nell'Illirico.
85.Giornandes c. 29. p. 651. L'istorico Goto aggiunge con insolito spirito: Cum suis deliberans, suasit suo labore quaerere regna, quam alienis per otium subjacere.
86
  odiisque anceps Discors, civilibus Orbis,
  Non sua vis tutata diu, dum foedera fallax
  Ludit, et alternae perjuria venditat aulae.
Claudian., de Bell. Getic. 565.

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87.Alpibus Italiae ruptis penetrabis ad urbem.
  Quest'autentica predizione fu annunziata da Alarico, o almeno da Claudiano (de Bell. Get. 547), sette anni avanti del successo. Ma siccome non fu adempita dentro il termine che si era baldanzosamente fissato, gl'interpreti se ne sono disimpegnati per mezzo d'un ambiguo senso.
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27 сентября 2017
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