Читайте только на ЛитРес

Книгу нельзя скачать файлом, но можно читать в нашем приложении или онлайн на сайте.

Читать книгу: «Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 2», страница 8

Шрифт:

Fu la cerimonia della sua rinuncia celebrata in una spaziosa pianura, distante tre miglia in circa da Nicomedia. Montò l'Imperatore sopra un elevato trono, ed in un discorso, pieno di buon senso e di maestà, dichiarò la sua intenzione al popolo insieme ed ai soldati, adunatisi in quella straordinaria occasione.

A. D. 305

Appena si fu egli spogliato della porpora, che si allontanò dall'attonita moltitudine; e traversando la città, in un cocchio coperto se n'andò senza indugio al favorito ritiro che scelto si era nel suo nativo paese della Dalmazia. Nello stesso giorno, che era il primo di maggio313, Massimiano (secondo che avea antecedentemente concertato) fece in Milano la sua rinunzia della Imperiale dignità. In mezzo ancora allo splendore del trionfo Romano, Diocleziano avea meditato il mio disegno di rinunziare il Governo. Siccome egli desiderava di accertarsi dell'ubbidienza di Massimiano, esigè da esso o una general sicurezza di sottoporre le sue azioni all'autorità del suo benefattore, o una promessa particolare di discendere dal Trono ogni volta che ne ricevesse l'avviso e l'esempio. Questa obbligazione, benchè confermata colla solennità di un giuramento dinanzi all'altare di Giove Capitolino314, sarebbe stata un debole freno al feroce carattere di Massimiano, la cui passione era l'amor del potere, e che nulla curava o la presente tranquillità, o la riputazione futura. Ma egli cede, benchè con ripugnanza, all'autorità che sopra di lui aveva acquistata il suo più saggio collega, e si ritirò, immediatamente dopo la sua rinunzia, in una villa nella Lucania, dove era quasi impossibile che un animo tanto impaziente trovar potesse alcuna durevole tranquillità.

Diocleziano che si era da una servile origine innalzato al Trono, passò in una privata condizione gli ultimi nove anni della sua vita. La ragione avea a lui suggerito il ritiro, e sembra che ve lo accompagnasse la contentezza. In esso egli godè per lungo tempo il rispetto di quei Principi, ai quali ceduto aveva il dominio del Mondo315.

È raro che gli animi, lungamente esercitati negli affari, abbiano mai formato alcun abito di conversar con se stessi; e nella perdita della potenza deplorano principalmente la mancanza di occupazione. I trattenimenti delle lettere e della devozione, che sono di tanto compenso nella solitudine, erano incapaci di fissare l'attenzione di Diocleziano; ma egli avea conservato, o almeno presto ricuperò il gusto per li più innocenti e più naturali piaceri, e le sue ore di ozio erano sufficientemente impiegate in fabbricare, in piantare, e in coltivare un giardino. Vien meritamente celebrata la sua risposta a Massimiano. Veniva egli sollecitato da quell'inquieto Vecchio a riassumere le redini del Governo e la porpora Imperiale. Rigettò esso la tentazione con un sorriso di compassione, tranquillamente osservando che se egli potesse mostrare a Massimiano i cavoli da se piantati colle sue proprie mani in Salona, non sarebbe più stimolato ad abbandonare il godimento della felicità per andare in traccia della potenza316. Ne' suoi discorsi cogli amici confessava sovente che di tutte le arti la più difficile era quella di regnare, e si esprimeva su questo favorito argomento con tal calore, che potea essere solamente l'effetto dell'esperienza. «Quante volte (soleva egli dire) è interesse di quattro, o cinque ministri di accordarsi insieme ad ingannare il loro Sovrano. Separato dal Genere Umano per la sublime sua dignità, la verità gli è sempre nascosta; egli non può vedere che per gli occhi di quelli, ed altro non ode che le loro false rappresentanze. Conferisce le cariche più importanti al vizio ed alla debolezza, e trascura i più virtuosi e più meritevoli tra i suoi sudditi. Con questi infami artifizi (soggiungea Diocleziano) i migliori e più savi Principi sono venduti alla venal corruzione dei loro Cortigiani317.» Una giusta stima della grandezza, o la sicurezza di una immortale riputazione accrescono il nostro gusto per li piaceri della solitudine, ma il Romano Imperatore avea occupato un posto troppo importante nel mondo, per godere senza mescolanza di dispiacere i contenti e la sicurezza di una condizione privata. Era impossibile che egli ignorasse le turbolenze, dalle quali fu dopo la sua rinunzia travagliato l'Impero. Era impossibile che ne fossero per lui indifferenti le conseguenze. Il timore, il cordoglio e il disgusto lo perseguitarono talora nella solitudine di Salona. La sua tenerezza, o almeno il suo orgoglio fu sensibilmente ferito dalle sventure della consorte e della figlia, e gli ultimi momenti di Diocleziano furono amareggiati da alcuni affronti, che Licinio e Costantino avrebber potuto risparmiare al Padre di tanti Imperatori, ed al primo autore della loro fortuna. Una fama, benchè molto dubbia, è arrivata a' nostri tempi, che egli prudentemente si sottraesse dal loro potere con una volontaria morte318.

A. D. 313

Prima di tralasciare l'esame della vita e del carattere di Diocleziano, possiamo per un momento rivolgere lo sguardo al luogo del suo ritiro. Salona, città principale della sua nativa Provincia della Dalmazia, era lontana (secondo la misura delle pubbliche strade) quasi dugento miglia Romane da Aquileia, e dai confini dell'Italia; e quasi dugentosettanta da Sirmio, solita residenza degli Imperatori, ogni qualvolta visitavano l'Illirica frontiera319. Un miserabil villaggio conserva tuttora il nome di Salona, ma fino nel sedicesimo secolo gli avanzi di un teatro, ed il confuso prospetto di archi rotti, e di colonne di marmo attestavano tuttavia il suo antico splendore320. In distanza di sei o sette miglia in circa dalla città, Diocleziano costruì un magnifico palazzo; e si può dalla grandezza di quella fabbrica inferire da quanto tempo egli avea meditato il suo disegno di rinunziare l'Impero. La scelta di un sito, che riunisse tutto ciò che potesse contribuire o alla salute o al lusso, non richiedeva la parzialità di un natio del paese. «Era asciutto e fertile il suolo, l'aria pura e salubre, e benchè eccessivamente calda nei mesi estivi, quel paese prova di rado quei venti caldi e nocivi, ai quali sono esposte le coste dell'Istria ed alcune parti dell'Italia. Le vedute dal palazzo non eran men belle, di quello che fosse allettante il suolo ed il clima. Giace all'occidente il fertil lido, che si stende lungo l'Adriatico, nel quale sono sparse molte isolette in tal guisa, che danno a questa parte del mare l'apparenza di un vasto lago. Vi è dalla parte di settentrione la baia che conduceva all'antica città di Salona; il prospetto e la campagna, che si vede al di là della stessa, forma un bel contrapposto a quella più estesa veduta di acqua, che l'Adriatico presenta al mezzogiorno ed all'oriente. Verso il Settentrione è chiusa la scena da alte e irregolari montagne, situate in giusta distanza, e coperte in molti luoghi di villaggi, di boschi, e di vigne321

Benchè Costantino, per un pregiudizio assai ovvio, parli del palazzo di Diocleziano con un affettato disprezzo322, pure uno dei suoi successori, che potè solamente vederlo in uno stato mutilato e negletto, ne celebra la magnificenza con termini della più alta ammirazione323. Occupava questo un'estensione di terreno tra i nove o dieci jugeri inglesi. Era di forma quadrangolare, fiancheggiato da sedici torri. Due dei lati erano lunghi quasi seicento piedi, e gli altri due, quasi settecento. Era tutto costruito di bella pietra viva, tratta dalle vicine cave di Trau o Traguzio, molto poco inferiore al marmo stesso. Quattro strade, intersecate ad angoli retti, dividevano le diverse parti di questo grand'edifizio, e introduceva al principale appartamento un magnifico ingresso, che tuttavia si nomina la Porta d'oro. L'accesso era terminato da un peristilio di colonne di granito, da un lato del quale si scopriva il Tempio quadrato di Esculapio, e dall'altro il Tempio ottangolare di Giove. Diocleziano venerava il secondo di questi numi come protettore della sua fortuna, e il primo come custode della sua salute. Combinando i presenti avanzi colle regole di Vitruvio, le diverse parti di quell'edifizio, i bagni, la camera da letto, l'atrio, la Basilica, e le sale Cizicena, Corintia ed Egizia sono state descritte con qualche grado di precisione o almeno di probabilità. Le loro forme erano varie, giuste le loro proporzioni, ma erano tutte accompagnate da due difetti molto contrari alle nostre moderne idee di gusto, e di comodo. Queste magnifiche stanze non avevano nè finestre nè cammini. Ricevevano la luce dall'alto (giacchè non pare che l'edifizio avesse più di un solo piano) ed erano riscaldate per mezzo di tubi condotti lungo le mura. La fila dei principali appartamenti era difesa verso libeccio da un portico lungo 517 piedi che deve aver formato un assai nobile e dilettoso passeggio, quando alle bellezze della vista erano aggiunte quelle della pittura o della scoltura.

Se fosse questo magnifico edifizio rimasto in una solitaria contrada, sarebbe stato esposto all'ingiurie del tempo; ma avrebbe potuto forse sfuggire alla rapace industria degli uomini. Il villaggio di Aspalato,324 e molto dopo la città provinciale di Spalatro, s'innalzarono sulle rovine di quello. La porta d'oro introduce adesso al mercato. S. Gio. Battista ha usurpato gli occhi di Esculapio: ed il Tempio di Giove è divenuto la Chiesa Cattedrale, sotto la protezione della Vergine. Siamo particolarmente debitori di questa descrizione del palazzo di Diocleziano ad un ingegnoso artefice dei nostri tempi e del nostro paese, che una molto nobil curiosità condusse nel cuore della Dalmazia325. Ma vi è luogo di sospettare che l'eleganza dei suoi disegni e dell'incisione abbia alquanto adornati gli oggetti che copiar si dovevano. Sappiamo da un più recente e molto giudizioso viaggiatore, che le maestose rovine di Spalatro mostrano non meno la decadenza delle arti, che la grandezza dell'Impero Romano al tempo di Diocleziano326. Se tale era veramente lo stato dell'architettura, dobbiamo naturalmente credere che la pittura, e la scoltura avessero sofferto un deterioramento ancor più sensibile. La pratica dell'architettura è diretta da poche generali, anzi meccaniche regole. Ma la scoltura, e la pittura specialmente si propongono l'imitazione non solo delle forme del corpo, ma ancora dei caratteri e delle passioni dell'animo. Poco vale in queste arti sublimi la destrezza della mano, se non viene animata dall'immaginazione, e guidata dal più corretto gusto e dall'osservazione.

È quasi inutile di osservare che le civili discordie dell'Impero, la licenza de' soldati, le irruzioni dei Barbari, ed il progresso del dispotismo divennero fatali al genio, ed anche al sapere. La successione dei Principi Illirici ristabilì l'Impero, senza ristabilire le scienze. La militare loro educazione non era diretta ad inspirare ad essi l'amor delle lettere; e lo spirito stesso di Diocleziano benchè attivo, e abile negli affari non era niente instruito dello studio, o dalla speculazione. Le professioni della legge, e della medicina sono di un uso così comune, o di un profitto così certo che sempre avranno un sufficiente numero di artisti, forniti di ragionevole abilità e sapere. Ma non sembra che gli studenti di quelle due facoltà citino alcun celebre maestro che fiorisse in quel secolo. Non si udiva lo voce della poesia. La Storia era ridotta a sterili o confusi compendi, privi egualmente di allettamento è d'istruzione. Una languida ed affettata eloquenza era tuttavia pensionata ed al servizio degl'Imperatori, i quali non incoraggiavano altre arti che quelle che contribuivano a soddisfare la loro superbia, o a difendere il loro potere327.

Il secolo della decadenza del sapere e del Genere Umano è nondimeno famoso per l'origine od il progresso dei nuovi Platonici. La scuola di Alessandria impose silenzio a quella d'Atene; e le antiche Sette si arrolarono sotto le insegne dei Maestri i più alla moda, che raccomandavano il loro sistema colla novità del lor metodo e coll'austerità dei loro costumi. Diversi di questi Maestri, Ammonio, Plotino, Amelio, e Porfirio328, erano uomini di un pensar profondo e di una intensa applicazione: ma errando nel vero oggetto della filosofia, le loro fatiche contribuivano molto meno a migliorare che a corrompere l'umano intendimento. I nuovi Platonici trascuravano le cognizioni convenienti alla nostra situazione, ed alle nostre facoltà, l'intero circolo delle scienze morali, naturali, e matematiche, mentre spendevano tutto il loro vigore in dispute verbali di metafisica, tentavano di esplorare i secreti del Mondo invisibile, e procuravano di conciliare Aristotile con Platone sopra soggetti ignoti a quei due filosofi, ugualmente che al resto del Genere Umano. Consumando la loro ragione in queste profonde ma vane meditazioni, esponevano le loro menti alle illusioni dell'immaginazione. Si lusingavano di possedere il segreto di liberare lo spirito dalla sua corporea prigione; vantavano un famigliar commercio coi demoni e cogli spiriti, e convenivano (con singolarissima rivoluzione) lo studio della filosofia in quello dell'arte magica. Gli antichi Savi avevano derisa la popolar superstizione: i discepoli di Plotino e di Porfirio, dopo averne coperta la stravaganza col sottile pretesto dell'allegoria, ne divennero i più zelanti difensori. Convenendo coi Cristiani in alcuni pochi misteriosi punti di fede, combattevano il resto del loro teologico sistema con tutto il furore di una guerra civile. I nuovi Platonici appena meriterebbero un posto nella Storia delle scienze, ma in quella della Chiesa accaderà spesso far menzione di loro.

CAPITOLO XIV

Turbolenze dopo la rinunzia di Diocleziano: morte di Costanzo. Innalzamento di Costantino e di Massenzio. Sei Imperatori ad un tempo. Morte di Massimiano e di Galerio. Vittoria di Costantino contro Massenzio e Licinio. Riunione dell'Impero sotto l'autorità di Costantino

A. D.305-323

La bilancia della potenza, da Diocleziano stabilita, si mantenne finchè fu sostenuta dalla ferma ed esperta mano del suo fondatore. Esigeva quella una tal fortunata combinazione di caratteri e di talenti diversi, che si poteva difficilmente trovare od anche sperare una seconda volta, due Imperatori senza gelosia, due Cesari senza ambizione, ed il medesimo generale interesse invariabilmente seguitato da quattro Principi indipendenti. Alla rinunzia di Diocleziano e di Massimiano succedettero diciotto anni di discordia e di confusione. Fu l'Impero afflitto da cinque guerre civili; ed il rimanente del tempo, anzi che uno stato di tranquillità, fu una sospensione di armi tra diversi nemici monarchi, che riguardandosi l'un l'altro con occhio di timore e di avversione, procacciavano di aumentare le loro rispettive forze a spese dei loro sudditi.

Appena che Diocleziano e Massimiano ebber rinunziato alla porpora, fu il lor posto (secondo le regole della nuova costituzione) occupato dai due Cesari Costanzo e Galerio, i quali presero immediatamente il titolo di Augusto329. Furono gli onori dell'anzianità e della precedenza accordati al primo di questi Principi, ed egli sotto un nuovo titolo continuò ad amministrare il suo antico dipartimento della Gallia, della Spagna e della Britannia. Il governo di quelle ampie Province era sufficiente ad occupare i talenti, ed a soddisfare l'ambizione di lui. La clemenza, la temperanza e la moderazione distinguevano il dolce carattere di Costanzo, ed i felici suoi sudditi ebber sovente occasione di paragonare le virtù del loro Sovrano coi trasporti di Massimiano, e fino cogli artifizi di Diocleziano330. In luogo d'imitare il lor fasto e la loro magnificenza orientale, conservò Costanzo la modestia di un Principe Romano. Egli dichiarava con non affettata sincerità, che il suo più stimato tesoro era nei cuori del suo popolo, e che qualunque volta la dignità del trono o il pericolo dello Stato esigesse qualche straordinario sussidio, egli poteva sicuramente contare sulla loro gratitudine e liberalità331. I provinciali della Gallia, e della Spagna e della Britannia, conoscendo il merito di lui e la propria loro felicità, riflettevano con inquietudine alla decadente salute dell'Imperatore Costanzo, ed alla tenera età della numerosa famiglia, che nata era dal secondo matrimonio di lui colla figlia di Massimiano.

Il crudo carattere di Galerio era di una tempra affatto diversa; e mentre costringeva i suoi sudditi a stimarlo, rare volte ebbe la compiacenza di procurarsene l'affetto. La sua fama nelle armi, e soprattutto il buon successo della guerra Persiana, aveano fatto insuperbire il suo animo altiero, incapace naturalmente di soffrire un superiore e per fino un uguale. Se dar potessimo fede alla parziale testimonianza di uno scrittore non giudizioso, potremmo attribuire la rinuncia di Diocleziano alle minacce di Galerio, e riferire le particolarità di un privato colloquio tra questi due Principi, nel quale il primo mostrò tanta pusillanimità, quanta ingratitudine ed arroganza dimostrò l'altro332. Ma questi oscuri aneddoti vengono bastantemente confutati da un imparziale esame del carattere e della condotta di Diocleziano. Per diverse che esser potessero le sue intenzioni, se egli temuto avesse qualche pericolo dalla violenza di Galerio, il suo discernimento lo avrebbe indotto a prevenire il vergognoso contrasto, ed avendo tenuto lo scettro con gloria, lo avrebbe ceduto senza disonore.

Dopo l'innalzamento di Costanzo e di Galerio al posto di Augusti, erano necessari due Cesari per occupare il lor luogo, e compire il sistema del governo Imperiale. Diocleziano desiderava sinceramente di ritirarsi dal Mondo; egli considerava Galerio, che avea sposata la sua figliuola, come il più saldo sostegno della sua famiglia e dell'Impero; ed egli consentì senza ripugnanza che il suo successore si assumesse il merito e l'odiosità di quella nomina importante. Stabilita fu questa senza consultar l'interesse o l'inclinazione dei Principi d'Occidente. Ciaschedun di loro avea un figliuolo già pervenuto all'età virile, e ognun di questi poteva sembrare il più legittimo candidato per la vacante dignità. Ma più non era da paventarsi l'impotente risentimento di Massimiano; ed il moderato Costanzo, benchè disprezzasse i pericoli di una guerra civile, ne temeva giustamente le calamità. I due soggetti, da Galerio innalzati al posto di Cesare, erano molto più convenienti a servire alle ambiziose mire di lui; e sembra che la mancanza di merito o di personale importanza fosse la principal loro raccomandazione. Il primo di essi fu Daza, o come fu di poi chiamato, Massimino, la cui madre era sorella di Galerio. L'inesperto giovane manifestava tuttavia coi modi e col linguaggio la rustica sua educazione, quando con suo ed universale stupore, fu da Diocleziano rivestito della porpora, innalzato alla dignità di Cesare ed incaricato del supremo comando dell'Egitto e della Siria333. Nel tempo istesso Severo, ministro fedele, addetto ai piaceri, ma non incapace degli affari, fu mandato a Milano, per ricevere dalle ripugnanti mani di Massimiano gli ornamenti Cesarei, ed il possesso dell'Italia e dell'Affrica334. Secondo la forma della costituzione, Severo riconosceva il primato dell'occidentale Imperatore; ma era assolutamente addetto ai comandi del suo benefattore Galerio, che riservandosi i paesi intermedj tra i confini dell'Italia e quelli della Siria, stabilì saldamente la sua potenza sopra tre quarti della Monarchia. Nella piena fiducia, che la vicina morte di Costanzo lo lascerebbe solo padrone del Mondo Romano, siamo assicurati ch'egli si era formata nella sua mente una lunga serie di futuri Principi, e che meditava di ritirarsi dalla pubblica vita, dopo di aver compito un glorioso regno di quasi vent'anni335.

Ma in meno di diciotto mesi due inaspettate rivoluzioni rovesciarono gli ambiziosi disegni di Galerio. Le speranze di unire al suo impero le occidentali Province rimasero deluse per l'innalzamento di Costantino, mentre l'Italia e l'Affrica si eran perdute per la fortunata ribellione di Massenzio.

A. D. 274

I. La fama di Costantino ha richiamato l'attenzione della posterità alle più minute circostanze della vita, e dell'azioni di lui. Il luogo della sua nascita, e la condizione della sua madre Elena, furono il soggetto non solo di letterarie, ma ancora di nazionali dispute. Malgrado la recente tradizione che le assegna per genitore un Re Britanno, siamo obbligati a confessare che Elena era figlia di un locandiere336. Ma possiamo nel tempo stesso difendere la legittimità del suo matrimonio, contro coloro che l'hanno rappresentata come concubina di Costanzo337. È molto probabile che Costantino il Grande nascesse in Naisso città della Dacia;338 e non è da maravigliarsi, che in una famiglia, e in una Provincia illustre soltanto per la professione dell'armi, il giovane mostrasse così poca inclinazione a coltivare il suo spirito coll'acquisto delle scienze339. Egli avea quasi 18 anni quando il padre di lui fu promosso al posto di Cesare: ma questo fortunato evento fu seguitato dal divorzio della madre: e lo splendore di una imperiale parentela ridusse il figliuolo di Elena ad uno stato di disonore o di umiliazione. Invece di seguitare Costanzo in Occidente, egli rimase al servizio di Diocleziano; si segnalò col valore nelle guerre dell'Egitto e della Persia, e s'innalzò a poco a poco all'onorevol grado di tribuno del prim'ordine. Era Costantino di alta e maestosa statura, destro in tutti i suoi esercizi, intrepido in guerra, ed affabile in pace. In tutta la sua condotta l'ardente spirito della gioventù veniva moderato da un'abitual prudenza, ed avendo l'animo gonfio d'ambizione, sembrava freddo ed insensibile agli allettamenti del piacere. Il favore del popolo e dei soldati, che lo avevano nominato come un meritevole candidato per la dignità di Cesare, servì soltanto ad inasprire la gelosia di Galerio; e benchè la prudenza lo trattenesse dall'usare alcuna violenza aperta, tuttavia ad un assoluto Monarca rade volta mancano i mezzi di eseguire una sicura e segreta vendetta340. Crescevano ad ogni momento il pericolo di Costantino, ed il timor di suo padre, che con replicate lettere esprimeva il più ardente desiderio d'abbracciare il figliuolo. La politica di Galerio lo tenne a bada per qualche tempo con dilazioni o con iscuse, ma era impossibile il resister per lungo tempo ad una natural dimanda del suo collega senza sostenere coll'armi il rifiuto. Fu con ripugnanza accordata la permissione del viaggio, e tutte quelle precauzioni che prender potè l'Imperatore per impedire un ritorno, di cui egli temeva con tanta ragione le conseguenze, vennero felicemente deluse dall'incredibile diligenza di Costantino341. Lasciando di notte il palazzo di Nicomedia, egli corse la posta per la Bitinia, per la Tracia, per la Dacia, per la Pannonia, per l'Italia, e per la Gallia, e in mezzo alle giulive acclamazioni del popolo arrivò al porto di Bologna nel momento stesso che il padre si preparava l'imbarco per la Britannia342.

A. D. 306

La Britannica spedizione, ed una facil vittoria sopra i Barbari della Caledonia furono l'ultime imprese del Regno di Costanzo. Egli cessò di vivere nell'Imperial palazzo di Jorck 15 mesi dopo aver assunto il titolo di Augusto, e quasi quattordici anni e mezzo dopo essere stato promosso al posto di Cesare. La morte di lui fu seguitata immediatamente dall'innalzamento di Costantino. Le idee di eredità e di successione sono sì famigliari, che la maggior parte del genere umano le considera come fondate non solamente sulla ragione, ma fino sulla stessa natura. La nostra immaginazione trasferisce con facilità i medesimi principi dal privato patrimonio al pubblico dominio; e qualunque volta un virtuoso padre lascia dopo di se un figliuolo, il cui merito sembra giustificare la stima, anzi le speranze del popolo, la doppia influenza del pregiudizio e dell'affetto opera con una forza invincibile. Il fiore degli eserciti occidentali avea seguito Costanzo nella Britannia, e le truppe nazionali erano rinforzate da un numeroso corpo di Alemanni, i quali obbedivano agli ordini di Croco, uno de' loro ereditarj condottieri343. Gli aderenti di Costantino con gran diligenza inculcavano alle legioni l'idea della loro importanza, e la sicurezza che la Britannia, la Gallia e la Spagna acconsentirebbero alla loro elevazione. Fu domandato ai soldati, se potevano esitare un momento tra l'onore di mettere alla lor testa il degno figliuolo del loro diletto Imperatore, e l'ignominia di vilmente aspettare l'arrivo di qualche oscuro straniero, al quale si fosse il Sovrano dell'Asia compiaciuto di donare le armate e le province dell'Occidente. Fu ad essi insinuato che la gratitudine e la liberalità erano le distinte virtù di Costantino: e questo Principe artificioso non si presentò alle truppe finchè non furono disposte a salutarlo coi nomi di Augusto e d'Imperatore. Il trono era l'oggetto delle sue brame: e quando ancora fosse stato meno animato dall'ambizione, era il trono per lui l'unico mezzo di salvezza. Egli ben conosceva il carattere ed i sentimenti di Galerio, e sapeva bastantemente che se desiderava di vivere, doveva determinarsi a regnare. La decente, anzi ostinata resistenza che egli volle affettare344, era destinata a giustificare la sua usurpazione; nè egli cedè alle acclamazioni dell'esercito finchè preparati non ebbe i materiali propri per una lettera, che immediatamente spedì all'Imperatore d'Oriente. Costantino gli faceva noto il tristo evento della morte del padre; modestamente sosteneva il suo natural diritto alla successione, e rispettosamente si lagnava che l'affettuosa violenza delle sue truppe non gli avesse permesso di procurarsi l'Imperial porpora coi metodi regolari e legali. I primi moti di Galerio furono di sorpresa, di sconcerto, e di rabbia; e siccome egli poteva rare volte frenare le sue passioni, altamente minacciò di dare alle fiamme e la lettera ed il messaggero. Ma il suo risentimento si calmò a poco a poco; e quando egli riflettè ai dubbi eventi della guerra, quando ebbe bilanciato il carattere e la forza del suo avversario, consentì ad abbracciare l'onorevole accomodamento, che la prudenza di Costantino gli avea lasciato aperto. Senza condannare o ratificare la scelta dell'esercito Britannico, Galerio riconobbe il figliuolo del suo defunto collega, come sovrano delle Transalpine Province; ma solamente gli dette il titolo di Cesare, ed il quarto posto tra i Principi Romani, mentre conferiva il posto vacante di Augusto al suo favorito Severo. Fu conservata l'apparente armonia dell'Impero, e Costantino, che già possedeva la sostanza del supremo potere, aspettò senza impazienza l'opportunità di conseguirne gli onori345.

Ebbe Costanzo dal secondo suo matrimonio sei figliuoli, tre maschi, e tre femmine; e la loro Imperial discendenza avrebbe potuto procurar ai medesimi la preferenza sopra la più bassa estrazione del figliuolo di Elena. Ma Costantino era in età di trentadue anni, nel pieno vigore di spirito e di corpo, quando il maggiore dei suoi fratelli non potea oltrepassar tredici anni. Il diritto del superiore suo merito era stato riconosciuto e ratificato dal moribondo Imperatore346. Negli ultimi suoi momenti, Costanzo raccomandò alla cura del suo maggior figliuolo la salvezza e la grandezza della famiglia, scongiurandolo a prendere l'autorità ed i sentimenti di padre verso i figliuoli di Teodora. La liberale loro educazione, i vantaggiosi matrimonj, la sicurezza e lo splendore della lor vita, e le prime cariche dello Stato, delle quali furono rivestiti, attestano il fraterno amore di Costantino; ed essendo quei Principi di animo dolce e grato, cederono senza ripugnanza alla superiorità del genio, e della fortuna347.

II. L'ambizioso animo di Galerio si era appena acquietato per le deluse sue mire sulle Galliche Province, che l'inaspettata perdita dell'Italia ne ferì l'orgoglio e l'autorità in una parte ancor più sensibile. Avea la lunga assenza degl'Imperatori ripiena Roma di disgusto e di rancore; ed il popolo a poco a poco s'avvide, che la preferenza data a Nicomedia ed a Milano non dovea attribuirsi alla inclinazione di Diocleziano, ma al permanente sistema del Governo da lui stabilito. In vano, pochi mesi dopo la rinunzia di lui, i successori fecero (in nome del medesimo) la dedica di quei magnifici bagni, le cui rovine forniscono tutt'ora e suolo e materiali per tante Chiese, e Conventi348. La tranquillità di quegli eleganti recessi di comodo e di lusso fu disturbata dalle impazienti mormorazioni dei Romani; e a poco a poco si sparse un rumore, che le somme spese in erigere quegli edifizi si trarrebbero ben tosto dalle lor mani. Verso quel tempo l'avarizia di Galerio, o forse i bisogni dello Stato lo avevano indotto a fare un esatto, e rigoroso esame delle possessioni dei sudditi per l'oggetto di una tassa generale su i terreni, e sulle persone. Sembra che si prendesse un minutissimo registro dei loro beni effettivi; e dovunque era il minimo sospetto di nascondiglio, si adoperava francamente la tortura per ottenere una sincera dichiarazione delle loro personali ricchezze349. Più non si aveva riguardo a quei privilegi, che avevano innalzata l'Italia sopra la condizione delle Province; e già i ministri delle pubbliche entrate cominciavano a numerare il popolo Romano, ed a determinare la proporzione delle nuove tasse. Anche dopo la totale estinzione dello spirito di libertà, hanno talvolta i sudditi più avviliti osato di resistere ad una inaspettata invasione del lor patrimonio; ma in questa occasione fu l'ingiuria aggravata dall'insulto, ed il sentimento del privato interesse fu ravvivato da quello dell'onor nazionale. La conquista della Macedonia (come già abbiamo osservato) aveva liberato i Romani dal peso delle tasse personali. Benchè avessero provato ogni forma di dispotismo, avevano ornai goduto di quella esenzione per quasi 500 anni; nè potevano essi pazientemente soffrire l'insolenza di un Illirico contadino che dalla sua lontana residenza nell'Asia, pretendeva di annoverar Roma tra le tributarie città del suo Impero. Il nascente furor del popolo fu incoraggiato dall'autorità, o almeno dalla connivenza del Senato, e i deboli avanzi dei Pretoriani, che aveano ragione di temere la propria abolizione, abbracciarono un sì onorevole pretesto, e si dichiararono pronti a trar fuori le spade in servizio dell'oppressa lor patria. Era desiderio, e presto divenne speranza d'ogni cittadino, che dopo avere scacciato dall'Italia i loro stranieri tiranni, si eleggesse un principe, il quale, e pel luogo della sua residenza e per le sue massime di governo, meritasse un'altra volta il titolo d'Imperatore di Roma. Il nome non meno che la situazione di Massenzio determinarono in suo favore il popolare entusiasmo.

313.Le difficoltà non meno che gli sbagli che accompagnano le date dell'anno e del giorno della rinunzia di Diocleziano, sono perfettamente schiarite da Tillemont, Stor. degli Imperatori, tom. IV. Pag. 525. Nota 19. e dal Pagi ad annum.
314.Vedi Panegyr. Veter. VI. 9. L'orazione fu recitata dopo che Massimiano ebbe ripresa la porpora.
315.Eumenio gli fa un bellissimo elogio. «At enim divinum illum virum, qui primus Imperium et participavit et posuit, consilii et facti sui non paenitet; nec amisisse se putat quod sponte transcripsit. Felix beatusque vere quem vestra tantorum Principum colunt obsequia privatum!» Panegyr. Vet. VII, 15.
316.Siamo debitori al più giovine Vittore di questo celebre motto. Eutropio ne fa la relazione in un modo più generale.
317.Stor. Aug. p. 123-124. Vopisco avea sentito questo discorso da suo padre.
318.Il più giovane Vittore accenna questa voce. Ma siccome Diocleziano avea disgustato un potente e fortunato partito, la sua memoria è stata caricata di ogni delitto e di ogni infortunio. Fu affermato che egli morisse arrabbiato, che fosse condannato come reo dal Senato Romano, ec.
319.Vedi gli Itinerarj, p. 269-272. Ediz. Wesseling.
320.L'Abate Fortis nel suo Viaggio in Dalmazia, p. 43 (stampato a Venezia nell'anno 1774 in due volumetti in quarto) cita una descrizione MS. delle antichità di Salona, composta da Giambattista Giustiniani verso la metà del XVI secolo.
321.Adams, Antichità del palazzo di Diocleziano in Spalatro, p. 6. Possiamo aggiungervi una circostanza o due, tratte dall'Abate Fortis. Il piccolo fiume Hyader, menzionato da Lucano, produce le più eccellenti trote, il che un sagace Scrittore, forse un monaco, suppone essere stato uno dei principali motivi che determinarono Diocleziano nella scelta del suo ritiro. Fortis. p. 45. Lo stesso autore (p. 38) osserva, che rinasce in Spalatro il gusto per l'agricoltura; e che da una società di signori è stato assegnato un campo vicino alla città per farvi sperienze intorno alla medesima.
322.Costantin. Orat. ad caetum. Sanct. c. 25. In questa orazione, l'Imperatore, o il Vescovo che per lui la compose, affetta di riportare il miserabil fine di tutti i persecutori della Chiesa.
323.Constantin. Porphyr. de Statu Imper. p. 86.
324.Danville, Geograf. Ant. tom. I. p. 162.
325.I Sigg. Adams e Clerisseau, accompagnati da due Dragomanni, visitarono Spalatro nel mese di Luglio 1757. La magnifica opera, frutto del lor viaggio, fu pubblicata in Londra sette anni dopo.
326.Io citerò le parole dell'Abate Fortis. «È bastevolmente nota agli amatori dell'architettura, e dell'antichità l'opera del Sig. Adams, che ha donato molto a quei superbi vestigi coll'abituale eleganza del suo toccalapis, e del suo bulino. In generale la rozzezza dello scalpello, e il cattivo gusto del secolo vi gareggiano colla magnificenza del fabbricato.» Vedi Viaggio nella Dalmazia, p. 40.
327.L'oratore Eumenio fu segretario degli Imperatori, Massimiano e Costanzo, e Professore di Rettorica nel Collegio di Autun. Il suo salario era di seicentomila sesterzi che, secondo il più basso computo di quel secolo, doveano essere più di seimila zecchini. Egli chiese generosamente la permissione d'impiegarli in riedificare il Collegio. Vedi la sua orazione de restaurandis scholis; la quale, benchè non esente di vanità, può fargli perdonare i suoi Panegirici.
328.Porfirio morì verso il tempo della rinunzia di Diocleziano. La vita del suo maestro Plotino, da lui composta, ci dà la più compiuta idea del genio di quella Setta e dei costumi di quelli che la professavano. Questo molto curioso opuscolo è inserito in Fabricio, Bibliotheca Graeca, tom. IV. p. 88-148.
329.Il Sig. di Montesquien (Considerations sur la grandeur et la decadence des Romains, c. 17.) suppone sull'autorità di Orosio e di Eusebio, che in quella occasione l'Impero per la prima volta fu realmente diviso in due parti. È difficile però di rinvenire in qual parte il sistema di Galerio differisse da quello di Diocleziano.
330.Hic non modo amabilis, sed etiam venerabilis Gallis fuit, praecipue quod Diocletiani suspectam prudentiam, et Maximiani sanguinariam violentiam Imperio ejus evaserant: Eutrop. Breviar. X. I.
331.Divitiis Provincialium (vel Provinciarum) ac privatorum studens, fisci commoda non admodum affectans; ducensque melius publicas opes a privatis haberi, quam intra unum claustrum reservari. Id. ibid. Egli portò questa massima tanto innanzi, che ogni qualvolta facea trattamento, era obbligato a prendere in prestito un servito di argenteria.
332.Lattanzio de Mort. Persecutor. c. 16. Se fossero le particolarità di questa conferenza più conformi alla verità ed al decoro, si potrebbe sempre dimandare, come vennero a notizia di un oscuro Retore? Ma vi sono vari Storici che ci fanno ricordare l'ammirabile eletto del gran Condè al Cardinale di Retz. «Ces coquins nous font parler et agir, come ils auroient fait eux mêmes à notre place».
333.Sublatus nuper a pecoribus et silvis (dice Lattanzio, de M. P. c. 19.) statim scutarius, continuo Protector, mox Tribunus, postridie Caesar, accepit Orientem, Aurel. Vittore è troppo liberale in dargli tutta la porzione di Diocleziano.
334.La sua esattezza e la sua fedeltà sono riconosciute eziandio da Lattanzio. (de M. P. c. 18.)
335.Questi divisamenti per altro si fondano sulla dubbiosa autorità di Lattanzio (de M. P. c. 20.)
336.Questa tradizione, ignota ai contemporanei di Costantino, fu inventata tra l'oscurità dei monasteri; abbellita da Geoffrey di Monmouth e dagli Scrittori del XII secolo, è stata sostenuta dai nostri antiquari dell'ultimo secolo, e vien seriamente riferita nella pesante storia d'Inghilterra, compilata dal Sig. Carte. (vol. I. p. 147) Egli trasporta però il regno di Coil, immaginario padre di Elena, da Essex alla muraglia di Antonino.
337.Eutropio (X. 2.) indica in poche parole la verità, e quello che ha dato luogo all'errore. Ex obscuriori matrimonio ejus filius. Zosimo (1. II. p. 78.) si è attenuto all'opinione la più sfavorevole, ed è stato in ciò seguitato da Orosio. (VII, 25.) Fa maraviglia che Tillemont, Autore instancabile, ma parziale, non abbia fatta attenzione all'autorità di lui. Insistendo sul divorzio di Costanzo, Diocleziano veniva a conoscere la legittimità del matrimonio di Elena.
338.Tre sono le opinioni sul luogo della nascita di Costantino. I. Gli antiquari Inglesi eran soliti di fermarsi con compiacenza sopra queste parole del Panegirista di lui: Britannias illic oriendo nobiles fecisti; ma questo celebre passo si applica egualmente bene all'avvenimento di Costantino, che alla nascita del medesimo. II. Alcuni moderni Greci fan nascere questo Principe in Drepano, città situata sul golfo di Nicomedia (Cellario T. II. p. 174), a cui Costantino dette l'onorevol nome di Elenopoli, e che Giustiniano abbellì di superbi edifizi. (Procop. de aedific. V. 2.) Per vero dire è molto probabile, che il padre di Elena avesse un albergo in Drepano, e che Costanzo vi alloggiasse, quando ritornò dalla sua ambasceria in Persia sotto il Regno di Aureliano. Ma nella vita errante d'un soldato, il luogo del suo matrimonio e quello della nascita de' suoi figliuoli hanno pochissimo rapporto l'un con l'altro. III. La pretensione di Naisso è fondata sull'autorità d'uno Scrittore anonimo, l'opera di cui è stata pubblicata alla fine della Storia di Ammiano p. 710, e che faceva generalmente uso di buonissimi materiali. Questa terza opinione è altresì confermata da Giulio Firmico (de Astrologia 1. I. c. 4) che fioriva sotto Costantino. Si son mossi dubbi sulla sincerità, e sull'intelligenza del testo di Firmico, ma l'una di queste due cose è appoggiata ai migliori manoscritti; e l'altra è stata bravamente difesa da Giusto Lipsio de magnitudine Rom. l. IV. c. 11 e Supplimento.
339.Litteris minus instructus; l'Anonimo ad Ammian. p. 710.
340.Galerio, e forse il suo proprio coraggio, l'espose a gran pericolo. In una disfida si mise sotto i piedi un Sarmata (Anonimo 710) vinse un leone di smisurata grandezza. (Vedi Praxagor. presso Fozio p. 63.) Prassagora filosofo Ateniese avea scritta la vita di Costantino in due libri che ora si son perduti. Egli era contemporaneo di questo Principe.
341.Zosimo l. II. p. 78, 79. Lattanzio de Mort. Pers. c. 24. Rapporta il primo una ridicolosissima storia dicendo, che Costantino fece tagliare i piedi a tutti i cavalli di cui s'era servito. Da un procedere sì stravagante, inutile ad impedire che lo inseguissero, sarebbero certamente nati sospetti, che avrebbero potuto arrestarlo nel suo viaggio.
342.Anonimo p. 710. Panegir. Vet. VII. 4. Ma Zosimo (l. II. p. 79) Eusebio (de vita Const. l. I. c. 21) e Lattanzio (de mort. Persec. c. 24.) suppongono con minor fondamento, ch'ei trovasse suo padre nel letto della morte.
343.Cunctis, qui aderant, annitentibus, sed praecipue Croco (alii Eroco) Alamannorum Rege, auxilii gratia Constantium comitato, imperium capit. Vittore il Giovane, cap. 41. Questo forse è il primo esempio d'un Barbaro, che abbia servito ne' campi Romani con un corpo indipendente de' suoi propri sudditi. Tale uso divenne famigliare, e finì con esser funesto.
344.Eumene, il suo panegirista (VII. 8.) ardì di asserire in presenza di Costantino, che questi avea dato di sprone al suo cavallo e tentato, ma in vano, di fuggire dalle mani de' suoi soldati.
345.Lattanzio de mort. Persec. c. 25. Eumene (VII. 8) descrive tutte queste circostanze collo stile d'un Retore.
346.Egli è naturale d'immaginare, e pare che Eusebio lo indichi, cioè che Costanzo morendo nominasse Costantino per suo successore. Questa scelta sembra confermata dall'autorità la più sicura, che è il consenso di Lattanzio (de mort. Persecut. c. 24.) e di Libanio (Orat. 1.); di Eusebio (Vit. Const. l. 1. c. 18, 14), e di Giuliano (Orat. I.).
347.Delle tre sorelle di Costantino, Costanza sposò l'Imperatore Lacinio; Anastasia il Cesare Bassiano, ed Eutropia, il Console Nepoziano. I suoi tre fratelli erano Dalmazio, Giulio Costanzo, e Anniballiano, de' quali avremo in appresso occasion di parlare.
348.Vedi Grutero (inscript. p. 178.) I sei Principi sono tutti nominati: Diocleziano e Massimiano, come i più antichi Augusti, e come Padri degli Imperatori. Essi unitamente dedicano questo magnifico edifizio per l'uso dei loro cari Romani. Gli architetti han disegnato le rovine di queste Terme, e gli antiquari, particolarmente Donato e Nardini, hanno determinato lo spazio che esse occupavano. Una delle gran sale è ora la chiesa dei Certosini; ed è bastato un sol calidario per un'altra chiesa, che appartiene ai Bernardoni.
349.Lattanzio de M. P. c. 26, 31.
Возрастное ограничение:
12+
Дата выхода на Литрес:
28 сентября 2017
Объем:
390 стр. 1 иллюстрация
Переводчик:
Правообладатель:
Public Domain

С этой книгой читают