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Читать книгу: «Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 2», страница 3

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La pompa del trionfo di Aureliano fu così lunga e sì varia, che quantunque cominciasse all'alba, pure la lenta maestà della processione non salì sul Campidoglio prima dell'ora nona; ed era ormai sera quando tornò l'Imperatore al palazzo. La festa fu allungata con teatrali rappresentanze, i giuochi del Circo, la caccia delle fiere, i combattimenti dei gladiatori, e le battaglie navali. Furono all'esercito ed al popolo distribuiti liberali donativi; e varie istituzioni, o grate o utili alla città, contribuirono a perpetuare la gloria di Aureliano. Una considerabil porzione delle sue spoglie Orientali fu consacrata agli Dei di Roma; il Campidoglio, ed ogni altro tempio rilucevano per le offerte della sua fastosa pietà; e il solo tempio del Sole ricevè quasi quindicimila libbre di oro85. Quest'ultimo era d'una magnifica struttura, eretto dall'Imperatore sulla falda del Monte Quirinale, e dedicato, subito dopo il trionfo, a quel Nume, che Aureliano adorava come padre della sua vita e delle sue fortune. La madre di lui era stata una sacerdotessa inferiore in una cappella del Sole: una particolar devozione al Dio della Luce era un sentimento imbevuto, fin dall'infanzia, dal fortunato Agricoltore; ed ogni passo della sua elevazione, ogni vittoria del suo regno avvalorava la superstizione con la gratitudine86.

Le armi di Aureliano aveano vinto gli stranieri e i domestici nemici della Repubblica. Siamo assicurati, che con il suo salutevol rigore, i misfatti e le fazioni, le male arti e la perniciosa connivenza, fecondi germogli di un debole ed oppressivo governo, furono estirpati da tutto il mondo Romano87. Ma se riflettiamo attentamente quanto più pronto è il progresso della corruzione, che la guarigione di essa, e se rammentiamo che il numero degli anni, abbandonati ai pubblici disordini, superava quello dei mesi destinati al marzial regno di Aureliano, dobbiam confessare che non bastavano pochi corti intervalli di pace per l'arduo lavoro di una riforma. Il suo tentativo, perfino di ristabilire la bontà della moneta, fu traversato da una formidabile sollevazione. Si scopre l'angustia dell'Imperatore in una delle sue private lettere. «Certamente» (dic'egli) «gli Dei han decretato che la mia vita sia una guerra continua. Una sedizione dentro le mura ha fatto nascere appunto adesso una guerra civile molto seria. Gli artefici della zecca, ad istigazione di Felicissimo, schiavo a cui ho affidato un impiego nelle Finanze, si mossero a ribellione. Son finalmente sedati: ma caddero uccisi nei conflitto settemila dei miei soldati, di quelle truppe, che stanno ordinariamente a quartiere nella Dacia, ed accampate lungo il Danubio88.» Altri Scrittori, i quali confermano il medesimo fatto, aggiungono altresì che questo accadde subito dopo il trionfo di Aureliano; che la decisiva zuffa seguì sul Monte Celio; che i lavoranti della zecca aveano adulterata la moneta; che l'Imperatore ristabilì la pubblica fede, col dare moneta buona in cambio della cattiva, cui il popolo fu obbligato di portar al tesoro89.

Potremmo contentarci di riferire questo straordinario fatto, ma non possiamo dissimulare quanto nella presente sua forma ci sembra insussistente e incredibile; La deteriorazione della moneta è, per vero dire, convenientissima all'amministrazione di Gallieno, nè improbabile sembra che gli strumenti della corruzione paventassero l'inflessibil giustizia di Aureliano. Ma la colpa, come il profitto, dovea restringersi a pochi, nè facile è il concepire con quali arti potevano armare un popolo da loro offeso, contro un Monarca da loro tradito. Dovrebbe naturalmente aspettarsi che questi traditori incorressero la pubblica detestazione, come i delatori e gli altri ministri della oppressione; e che la riforma della moneta fosse un'azione ugualmente popolare che la distruzione di quegli antichi conti, che furono per ordine dell'Imperatore bruciati nel Foro di Traiano90. In un secolo, nel quale i principj del commercio erano così imperfettamente conosciuti, il fine più desiderabile potea forse ottenersi con mezzi rigorosi e imprudenti; ma un passeggiero gravame di tal natura può appena eccitare e mantenere una seria guerra civile. Il rinnovamento di tasse insopportabili, imposte o su i terreni o su i generi necessari alla vita, può finalmente concitare quelli che o non vogliono o non possono abbandonare la patria. Ma il caso è molto diverso in ogni operazione, che per qualsivoglia mezzo ristabilisce il giusto valore della moneta. Il male passeggiero è presto dimenticato per l'utile permanente, lo scapito va diviso fra molti; e se pochi opulenti individui soffrono una sensibil diminuzione di ricchezze, perdono insieme con queste quel grado di peso e d'importanza, che traevano dal possedimento delle medesime. In qualunque maniera volesse Aureliano nascondere la vera causa della ribellione, la sua riforma della moneta poteva fornire solamente un debol pretesto ad un già potente e malcontento partito. Roma, benchè priva della libertà, era lacerata dalle fazioni. Il popolo, per cui l'Imperatore, plebeo egli stesso, sempre professava una particolar tenerezza, viveva in continue dissensioni col Senato, coll'Ordine Equestre, e coi Pretoriani91. Niente meno che la ferma, benchè segreta congiura di questi ordini, dell'autorità del primo, dell'opulenza del secondo, e delle armi dei terzi, avrebbe potuto spiegare una forza bastante per contendere in battaglia con le veterane legioni del Danubio, che sotto la condotta di un Sovrano guerriero aveano compita la conquista dell'Oriente e dell'Occidente.

Qualunque fosse il motivo o l'oggetto di questa sollevazione, imputata con tanto poca probabilità ai lavoranti della zecca, Aureliano usò della sua vittoria con implacabil rigore92. Egli era naturalmente di temperamento severo. Le fibre di un contadino o d'un soldato non cedeano facilmente alle impressioni della pietà, ed egli potea senza commuoversi sostenere la vista dei tormenti e della morte. Allevato dalla prima sua gioventù nell'esercizio delle armi, egli valutava troppo poco la vita di un cittadino, castigava con militari esecuzioni le più leggiere offese, e portava la rigida disciplina del campo nella civile amministrazione delle leggi. Il suo amore della giustizia divenne sovente una cieca e furiosa passione; ed ogni volta ch'egli credè in pericolo la pubblica o la propria salvezza, non ebbe riguardo alle regole delle prove, ed alla proporzion delle pene. La non meritata ribellione, con la quale i Romani ricompensavano i di lui servigi, esacerbò l'altero suo animo. Le più nobili famiglie della Capitale furono involte nella colpa o nel sospetto di quella oscura cospirazione. Un precipitoso spirito di vendetta affrettò la sanguinosa persecuzione, e divenne fatale ad uno dei nipoti dell'Imperatore medesimo. Gli esecutori (per adoprare l'espressione di un contemporaneo Poeta) erano stanchi, i prigionieri affollati dentro le carceri, e l'infelice Senato deplorava la morte o l'assenza dei suoi membri più riguardevoli93. Nè la superbia di Aureliano fu meno dannosa della sua crudeltà per quella assemblea. Non conoscendo o non soffrendo il freno delle civili instituzioni, sdegnò di dovere la sua autorità ad alcun altro titolo che a quello della spada, e governò col diritto di conquista un Impero da lui salvato e soggiogato94.

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Osservò uno dei più sagaci Principi di Roma, che i talenti del suo predecessore Aureliano erano più atti al comando di un esercito che al governo di un Impero95. Conoscendo il carattere nel quale la natura e l'esperienza lo avean renduto eccellente, escì in campo di nuovo, pochi mesi dopo il suo trionfo. Era espediente di occupare gli animi inquieti delle legioni in qualche guerra straniera, ed il persiano Monarca, esultando nella vergogna di Valeriano, insultava tuttavia impunemente l'offesa maestà di Roma. Alla testa di un esercito, meno formidabile pel suo numero che per la disciplina e pel valore, si avanzò Aureliano fino allo Stretto, che divide l'Europa dall'Asia. Egli colà provò che il più assoluto potere è una debol difesa contro gli effetti della disperazione. Avea minacciato uno dei suoi segretari, accusato di estorsione; e già si sapeva che di rado egli minacciava invano. L'ultima speranza, che rimase al colpevole, fu di avvolgere alcuni dei principali Uffiziali dell'esercito nel suo pericolo, o almeno ne' suoi timori. Artificiosamente contraffacendo lo scritto del suo Sovrano, mostrò loro in una lunga e sanguinosa lista i loro nomi consacrati alla morte. Senza sospettare o esaminare la frode, eglino risolverono di assicurar le loro vite con l'uccisione dell'Imperatore. Nella sua marcia, tra Bisanzio ed Eraclea, fu Aureliano improvvisamente assalito dai congiurati, l'impiego dei quali dava loro il diritto di circondare la persona di lui; e dopo una breve resistenza cadde per le mani di Mucapore, Generale ch'egli avea sempre amato e riputato fedele. Egli morì pianto dall'esercito, detestato dal Senato, ma universalmente riconosciuto come un Principe guerriero e fortunato, e come il salutevole, benchè severo, riformatore di un degenerato impero96.

CAPITOLO XII

Condotta dell'esercito e del Senato dopo la morte di Aureliano. Regni di Tacito, di Probo, di Caro e dei suoi figli

La condizione degl'Imperatori Romani era tanto infelice, che qualunque si fosse la loro condotta, incontravano ordinariamente il medesimo fato. La vita dissoluta o virtuosa, severa o indulgente, indolente o gloriosa, menava egualmente ad un intempestivo sepolcro; e quasi ogni regno finisce con la stessa disgustosa ripetizione di tradimenti e di stragi. La morte di Aureliano, per altro, è considerabile per le straordinarie sue conseguenze. Le legioni ammirarono, piansero, e vendicarono il vittorioso lor condottiere. L'artifizio del perfido di lui segretario fu discoperto e punito. I cospiratori delusi seguirono le funerali esequie del loro oltraggiato Sovrano con sincero, o ben simulato pentimento, e si sottomisero all'unanime risoluzione dell'ordine militare, la quale fu significata con la seguente lettera. «I valorosi e felici eserciti al Senato ed al Popolo di Roma. Il delitto di un solo e il fallo di molti ci hanno privato dell'ultimo Imperatore Aureliano. Compiacetevi, venerabili Signori e Padri, di collocarlo nel numero degli Dei, e d'indicarci quel successore, che voi giudicherete degno della Porpora Imperiale. Niuno di quelli, che, o per colpa o per caso, hanno contribuito alla nostra perdita, regnerà mai sopra di noi97.» I Senatori Romani udirono senza sorpresa, che un altro Imperatore era stato assassinato nel suo campo; si rallegrarono internamente della caduta di Aureliano; ma la modesta e rispettosa lettera delle legioni, quando fu dal Console comunicata alla piena assemblea, riempì tutti della più grata sorpresa. Essi liberamente largirono alla memoria del loro estinto Sovrano quegli onori, che il timore e forse la stima avrebbero estorti. Renderono alle fedeli armate della Repubblica, che conservavano un sentimento sì giusto della legittima autorità del Senato nella scelta d'un Imperatore, quei ringraziamenti, che la gratitudine potea inspirare. Ma non ostante questo invito sì lusinghiero, i più savj dell'assemblea evitarono di esporre al capriccio di una moltitudine armata la lor salvezza e la lor dignità. La forza delle legioni era, per vero dire, un pegno della loro sincerità, perchè quelli che possono comandare, di rado sono ridotti alla necessità d'infingere; ma poteva egli naturalmente sperarsi, che un improvviso pentimento correggesse l'inveterato costume d'interi ottant'anni? Se fossero ricaduti i soldati nelle loro solite sedizioni, la loro insolenza poteva disonorare la maestà del Senato, e divenir fatale alla scelta di lui. Simili motivi dettarono un decreto, col quale l'elezione del nuovo Imperatore si rimetteva ai suffragi dell'ordine militare.

La contesa, che quindi nacque, è uno dei più attestati, ma meno verisimili, eventi della storia del Genere Umano98. Le truppe, quasi fossero stanche di esercitare la lor forza, fecero nuovamente le loro istanze al Senato, perchè rivestisse della Porpora Imperiale uno del suo proprio corpo. Il Senato persistè sempre nel suo rifiuto, e l'esercito nella sua richiesta. La proposizione fu almen per tre volte scambievolmente offerta e ricusata, e mentre l'ostinata modestia di ciascheduna delle due parti era risoluta di ricevere un Sovrano dalle mani dell'altra, passarono insensibilmente otto mesi: mirabil periodo di tranquilla anarchia, durante il quale il mondo Romano rimase senza un sovrano, senza un usurpatore, e senza pure una sedizione. I Generali ed i Magistrati eletti da Aureliano continuarono ad esercitare le ordinarie loro funzioni, e si osserva che un Proconsole dell'Asia fu la sola riguardevol persona, rimossa dalla sua carica in tutto il corso dell'interregno.

Un quasi simile, ma molto meno autentico, avvenimento si suppone accaduto dopo la morte di Romolo, nella vita e nel carattere del quale si ritrova qualche somiglianza con Aureliano. Il trono restò vacante per dodici mesi, sino all'elezione di un filosofo Sabino; e la pubblica tranquillità si mantenne nel modo istesso, per l'unione dei diversi ordini dello Stato. Ma nei tempi di Numa e di Romolo, l'autorità dei Patrizj teneva a freno le armi del popolo; e facilmente si conservava in una società virtuosa e ristretta la bilancia della libertà99. L'Impero Romano nella sua declinazione, molto diverso dalla sua infanzia, si trovava in tutte quelle circostanze, che potevano allontanare da un interregno la speranza dell'ubbidienza e dell'armonia; e queste circostanze erano una Capitale immensa e tumultuosa, una vasta estensione di dominio, la servile eguaglianza del dispotismo, un'armata di quattrocentomila mercenari, e l'esperienza delle frequenti rivoluzioni. Ma non ostanti tutti questi incentivi, la disciplina e la memoria di Aureliano contennero tuttavia la sediziosa indole delle truppe, non meno che la dannosa ambizione de' lor condottieri. Il fiore delle legioni rimase accampato sulle rive del Bosforo, e l'insegna Imperiale mettea rispetto ai meno potenti campi di Roma e delle Province. L'ordine militare parve animato da un generoso benchè passeggiero entusiasmo; ed è credibile che i pochi veri patriotti coltivassero la rinascente amicizia tra l'esercito ed il Senato, come l'unico espediente capace di ristabilir la Repubblica nella sua primiera bellezza e nell'antico vigore.

Ai venticinque di Settembre, quasi otto mesi dopo l'uccisione di Aureliano, il Console adunò il Senato, e riferì l'incerta e pericolosa situazione dell'Impero. Insinuò leggiermente, che la precaria fedeltà dei soldati dipendeva da un solo istante e dal minimo accidente; ma rappresentò con la più convincente eloquenza i vari pericoli che seguitar potevano ogni ulterior dilazione nella scelta di un Imperatore. Si erano, diceva egli, già ricevute notizie, che i Germani aveano passato il Reno, ed occupate alcune delle più forti e più opulente città della Gallia. L'ambizione del Monarca Persiano teneva l'Oriente in continui timori: l'Egitto, l'Affrica e l'Illirico erano esposti all'armi straniere e domestiche, e la Siria incostante avrebbe fin preferito lo scettro di una femmina alla santità delle leggi Romane. Rivoltosi quindi il Console a Tacito, il primo tra i Senatori100, richiese il parere di lui sull'importante oggetto di un candidato degno del trono vacante.

Se il merito personale è da preferirsi ad una casuale grandezza, stimeremo l'origine di Tacito più nobile veramente di quella dei Re. Vantava egli la sua discendenza da quello Storico filosofico, i cui scritti istruiranno ancora le ultime generazioni degli uomini101. Il Senatore Tacito era nell'età di settantacinque anni102. Le ricchezze e gli onori adornavano il lungo corso della innocente sua vita. Avea due volte occupata la dignità consolare103, e godeva con eleganza e sobrietà l'ampio suo patrimonio fra i quattro e i sei milioni di zecchini104. L'esempio di tanti Principi da lui o stimati o sofferti, dalle vane follie di Elagabalo fino all'utile rigore di Aureliano, lo aveano ammaestrato a valutar giustamente i doveri, i pericoli, e le tentazioni di quel sublime lor grado. All'assiduo studio del suo immortale antenato egli doveva la conoscenza della Romana costituzione e dell'umana natura. La voce del popolo avea già nominato Tacito come il cittadino più degno dell'Impero105. Giunto ai suoi orecchi questo ingrato rumore, lo indusse a ritirarsi in una delle sue ville nella Campania. Avea egli passato a Baia due mesi in una tranquillità deliziosa, quando con ripugnanza ubbidì ai comandi del Console di riprendere l'onorevol suo posto nel Senato, e di assistere co' suoi consigli la Repubblica in tale importante occasione.

Si alzò Tacito per parlare, quando da ogni lato dell'assemblea fu salutato coi nomi di Augusto e d'Imperatore. «Tacito Augusto, gli Dei ti conservino: noi ti eleggiamo per nostro Sovrano, affidando alla tua cura la Repubblica, e il Mondo. Accetta l'Impero dall'autorità del Senato. Esso è dovuto al tuo grado, alla tua condotta, ai tuoi costumi.» Calmato appena il tumulto delle acclamazioni, Tacito tentò di evitare il pericoloso onore, e di esprimere la sua sorpresa, che si eleggesse un uomo vecchio ed infermo per succedere al marzial vigore di Aureliano. «Sono elleno membra queste, Padri coscritti, atte a sostener il peso dell'armi, o ad eseguire gli esercizi del campo? La varietà dei climi, e le asprezze della vita militare presto opprimerebbero un debol temperamento, che si mantien solamente col più delicato riguardo. Bastano appena l'esauste mie forze a soddisfare ai doveri di Senatore: quanto insufficienti sarebbero per le ardue fatiche della guerra e del governo! Potete voi sperare che le legioni rispettino un debol vecchio, che ha passati i suoi giorni all'ombra della pace e del ritiro? Vorreste voi ch'io dovessi una volta piangere la favorevole opinion del Senato?106»

La ripugnanza di Tacito, che forse era ingenua, fu combattuta dalla affettuosa ostinazione del Senato. Cinquecento voci ripeterono unite con eloquente confusione, che i Principi più grandi di Roma, Numa, Traiano, Adriano, e gli Antonini, erano ascesi al trono in età molto avanzata, che l'oggetto della loro scelta era lo spirito, non il corpo, il Sovrano, non il soldato, e solamente esigevano da lui, che con la sua prudenza regolasse il valore delle legioni. Queste pressanti e tumultuose istanze furono secondate da un più regolar discorso di Mezio Falconio, che accanto a Tacito sedeva tra i Consolari. Egli rammentò all'assemblea i mali, che Roma avea sofferti dai vizi degl'indocili e capricciosi giovani Principi, si congratulò col Senato per l'elezione di un virtuoso e sperimentato Senatore, e con maschia, ma forse interessata, libertà esortò Tacito a rammentarsi i motivi del suo innalzamento, ed a scegliersi un successore non nella sua propria famiglia, ma nella Repubblica. Fu il discorso di Falconio avvalorato da una generale acclamazione. L'eletto Imperatore si sottomise all'autorità della sua patria, e ricevè il volontario omaggio de' suoi compagni. La condotta del Senato fu confermata dal consenso del Popolo Romano e dei Pretoriani107.

Il governo di Tacito non fu diverso dalla passata sua vita e da' suoi principj. Creatura riconoscente del Senato, egli considerò quel Concilio della Nazione come autore delle leggi, e sè medesimo come soggetto all'autorità di quelle108. Procurò di saldare le molte ferite, che l'orgoglio Imperiale, la discordia civile e la violenza militare aveano portate alla costituzione, e di ristabilire almeno l'immagine dell'antica Repubblica, com'era stata conservata dalla politica di Augusto, e dalle virtù di Traiano e degli Antonini. Non sarà inutile di enumerare alcune delle più importanti prerogative, che parve aver ricuperate il Senato per l'elezione di Tacito109. I. Di affidare ad uno dei suoi membri, sotto il titolo d'Imperatore, il general comando degli eserciti, ed il governo delle Province di frontiera. II. Di fissare la lista o, come allor si chiamava, il Collegio dei Consoli. Questi erano dodici, che, succedentisi a due a due per ogni bimestre, rappresentavano per tutto l'anno la dignità di quell'antica magistratura. Esercitava il Senato nella scelta dei Consoli la sua autorità con una libertà così indipendente, che non ebbe alcun riguardo ad una irregolar istanza dell'Imperatore pel suo fratello Floriano. «Il Senato» (esclamò Tacito con un nobil trasporto da cittadino) «conosce il carattere di quel Principe, ch'egli ha scelto.» III. Di destinare i Proconsoli ed i Presidenti delle Province, e di conferire a tutti i Magistrati la loro civile giurisdizione. IV. Di ricever gli appelli per l'uffizio intermedio del Prefetto della Città da tutti i tribunali dell'Impero. V. Di dar forza e validità coi suoi decreti agli editti Imperiali ch'esso approvava. VI. A questi diversi rami di autorità si può aggiungere qualche sopraintendenza alle finanze, giacchè anche sotto la severa dominazion di Aureliano aveva il Senato la facoltà d'impiegare in altr'uso una parte dell'entrate, destinate al servizio pubblico110.

Furono immediatamente spedite lettere circolari a tutte le principali città dell'Impero, Treveri, Milano, Aquileia, Tessalonica, Corinto, Atene, Antiochia, Alessandria, e Cartagine, per esigere la loro ubbidienza, ed informarle della felice rivoluzione, che avea restituita al Senato Romano l'antica sua dignità. Due di queste lettere si conservano ancora. Abbiamo altresì due ben singolari frammenti della privata corrispondenza dei Senatori in questa occasione. Mostrano la più eccessiva gioia, e le più illimitate speranze. «Ponete giù la vostra indolenza» (così scrive uno dei Senatori al suo amico) «ed uscite dal vostro ritiro di Baia e di Pozzuolo. Restituitevi alla Città ed al Senato. Roma fiorisce, e tutta insieme fiorisce la Repubblica. Grazie al romano esercito, veramente Romano, abbiam finalmente ricuperata la nostra giusta autorità, lo scopo di tutti i nostri desiderj. Noi riceviamo gli appelli, destiniamo i Proconsoli, facciamo gl'Imperatori; forse ancora noi li potremo tenere in freno: all'uomo saggio una parola è bastante.111» Restarono per altro sconcertate ben presto queste alte speranze, nè di fatto era possibile, che le armate, e le province lungamente ubbidissero all'imbelle ed effeminata nobiltà romana. Al più leggiero urto rimase atterrato il mal sostenuto edifizio della loro ambizione e del loro potere. La spirante autorità del Senato mandò una subita luce, balenò per un momento, e si estinse per sempre.

Ma tutto ciò ch'era accaduto in Roma, non sarebbe stato che una rappresentazione teatrale, se non veniva ratificato dalla forza più reale delle legioni. Lasciando godere ai Senatori il loro fantasma di libertà e di ambizione, andò Tacito al campo di Tracia, ed ivi fu dal Prefetto del Pretorio presentato alle truppe adunate, come il Principe da loro richiesto, e dal Senato concesso. Appena tacque il Prefetto, che l'Imperatore parlò ai soldati con eloquenza e con dignità. Soddisfece alla loro avarizia con una liberale distribuzion di danaro, sotto nome di paga e di donativo. Egli acquistò la stima loro con un'animosa dichiarazione che sebbene la sua età lo rendesse inabile alle imprese militari, pure i suoi consigli non sarebbero indegni di un Generale Romano, del successore del valoroso Aureliano112.

Nel tempo che quest'Imperatore faceva preparativi per una seconda spedizione in Oriente, egli aveva trattato con gli Alani, popoli della Scizia, i quali avevano piantate le loro tende nelle vicinanze della Palude Meotide. Quei Barbari, allettati con promesse di doni e di sussidj, si erano obbligati d'invadere la Persia con un numeroso corpo di cavalleria leggiera. Furono essi fedeli al loro impegno; ma quando giunsero alla frontiera Romana, era già morto Aureliano, il progetto della guerra Persiana era almeno sospeso, ed i Generali, che, durante l'interregno, esercitavano un incerto potere, non erano preparati nè a riceverli, nè ad arrestarli. Provocati da un tal contegno, ch'essi riguardavano come perfido e vile, ricorsero gli Alani al loro proprio valore per avere e paga e vendetta; e marciando con la solita celerità dei Tartari, presto si sparsero per le Province del Ponto, della Cappadocia, della Cilicia, e della Galazia. Le legioni, che dalle opposta rive del Bosforo potevan quasi discernere le fiamme delle città e dei villaggi, stimolavan con impazienza il lor Generale a condurle contro quegli invasori. Tacito si diportò convenientemente alla sua età ed alla sua posizione. Mostrò chiaramente ai Barbari la fedeltà e la potenza dell'Impero. Gran parte degli Alani, pacificati dalla puntuale soddisfazione degl'impegni, che avea con essi contratti Aureliano, renderono il loro bottino ed i prigionieri, e quietamente si ritirarono nei loro deserti di là dal Fasi. Agli altri, che ricusarono la pace, fece il Romano Imperatore in persona con buon successo la guerra. Secondato da un esercito di valorosi ed esperti veterani, ei liberò in poche settimane le Province dell'Asia dal terrore della invasion degli Sciti113.

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Ma la gloria e la vita di Tacito furono di poca durata. Trasportato nel colmo del verno dalla dolce solitudine della Campania ai piedi del monte Caucaso, fu egli oppresso dagl'insoliti travagli di una vita militare. Le cure dell'animo aggravarono le fatiche del corpo. L'entusiasmo della pubblica virtù avea per un tempo sedate le feroci ed interessate passioni dei soldati. Scoppiarono queste ben presto con raddoppiata violenza, ed infuriarono nel campo e nella tenda perfino del vecchio Imperatore. Il suo dolce e moderato carattere non serviva che ad inspirare disprezzo, ed egli era continuamente tormentato dalle fazioni, che sedar non poteva, e da richieste impossibili a soddisfarsi. Non ostanti le lusinghiere speranze che Tacito avea concepite di rimediare ai pubblici disordini, egli fu presto convinto, che la sfrenatezza dell'esercito deprezzava il debol ritegno delle leggi; e il dolore di veder volti in male i suoi disegni, unito all'altre angustie, affrettò gli ultimi suoi momenti. Si dubita se i soldati imbrattassero le loro mani nel sangue di questo innocente Principe114; ma è certo però, che la loro insolenza cagionò la morte di lui. Egli spirò a Tiana nella Cappadocia, dopo un regno di soli sei mesi e quasi venti giorni115.

Tacito avea chiusi appena gli occhi, che il suo fratello Floriano si mostrò indegno del trono colla frettolosa usurpazione della Porpora, senza aspettare l'approvazion del Senato. Il rispetto per la Romana costituzione, che tuttavia influiva nelle armate o nelle Province, era abbastanza forte per disporle a biasimare la precipitosa ambizione di Floriano, ma non per incitarle ad opporvisi. Sarebbe il disgusto svanito in vani susurri, se il General dell'Oriente, l'eroico Probo, non si fosse arditamente dichiarato vendicator del Senato. Era per altro sempre la contesa ineguale, nè potea il più abile Generale alla testa delle effemminate truppe dell'Egitto e della Siria, combattere con alcuna speranza di vittoria, contro le legioni dell'Europa, che con irresistibil valore sembravano sostenere il fratello di Tacito. Ma la fortuna e l'attività di Probo superarono ogni ostacolo. I robusti veterani del suo rivale, avvezzi ai climi più freddi, illanguidivano e venivano meno agli eccessivi calori della Cilicia, dove l'aria nella state era molto malsana. Le frequenti diserzioni diminuivano il loro numero: i passi delle montagne erano debolmente difesi. Tarso aprì le sue porte, ed i soldati di Floriano, dopo avergli lasciato godere per tre mesi il titolo Imperiale, liberarono l'Impero da una guerra civile col facile sacrifizio di un Principe da loro sprezzato116.

Le continue rivoluzioni del trono aveano sì bene sbandita ogni idea di ereditario diritto, che la famiglia di un Imperatore sfortunato era incapace di eccitare la gelosia dei suoi successori. Fu ai figli di Tacito e di Floriano permesso di scendere allo stato privato, e di restar confusi nella generale massa del popolo. La loro povertà veramente servì d'un'altra difesa alla loro innocenza. Quando fu Tacito eletto dal Senato, egli consacrò al pubblico servizio l'ampio suo patrimonio117, atto di speciosa generosità in apparenza, ma che evidentemente svelava la sua intenzione di trasmettere l'Impero ai suoi discendenti. L'unica consolazione del loro caduto stato fu la memoria di una passeggiera grandezza, e la lontana speranza, figlia di una profezia lusinghiera, che sorgerebbe dopo mille anni dalla stirpe di Tacito un Monarca protettor del Senato, ristauratore di Roma, e conquistatore di tutta la terra118.

I contadini dell'Illirico, che già dato aveano al cadente Impero e Claudio e Aureliano, poterono con egual diritto gloriarsi dell'innalzamento di Probo119. Quasi venti anni avanti, l'Imperator Valeriano, con la solita sua penetrazione, avea conosciuto il nascente merito di quel giovane soldato, al quale conferì il posto di Tribuno molto innanzi all'età prescritta dalle regole militari. Il Tribuno giustificò ben presto la di lui scelta con una vittoria sopra un gran corpo di Sarmati, nella quale salvò la vita ad uno stretto parente di Valeriano, e meritò di ricevere dalle mani dell'Imperatore le collane, i monili, le lance e le insegne, la corona murale e la civica, e tutte le onorevoli ricompense destinate dall'antica Roma ad un fortunato valore. La terza legione, e quindi la decima furono affidate al comando di Probo, che ad ogni passo della sua promozione si mostrò superiore al posto ch'egli occupava. L'Affrica ed il Ponto, il Reno, il Danubio, l'Eufrate ed il Nilo gli porsero a vicenda le più luminose occasioni di mostrare il suo valor personale e la sua scienza nell'arte della guerra. A lui fu debitore Aureliano della conquista dell'Egitto, e molto più per l'onesto coraggio, col quale si oppose sovente alla crudeltà del suo Sovrano. Tacito, che desiderava di supplire alla sua propria mancanza di militari talenti con l'abilità de' suoi Generali, lo nominò primo Comandante di tutte le Orientali Province col quintuplo della solita paga, colla promessa del Consolato, e colla speranza del trionfo. Quando Probo salì sul Trono Imperiale era nell'età di quasi120 quarantaquattr'anni, nel pieno possesso della sua gloria, dell'amor dell'esercito, e di un maturo vigore di corpo e di spirito.

85.Vopisco nella Stor. Aug. 222. Zosimo l. I. p. 156. Egli vi collocò le immagini di Belo e del Sole, che portate avea da Palmira. Fu questo dedicato nel quarto anno del suo regno (Euseb. in Chron.), ma fu sicurissimamente cominciato dopo il suo avvenimento al trono.
86.Vedi nella Stor. Aug, p. 210. i presagi della fortuna di lui. La sua devozione al Sole apparisce nelle sue lettere, nelle sue medaglie, ed è riferita nei Cesari di Giuliano. Vedi Comment. di Spanemio, p. 109.
87.Vopisco nella Stor. Aug. p. 221.
88.Stor. Aug. p. 222. Aureliano nomina quei soldati, Hiberi, Riparienses, Castriari, et Dacisci.
89.Zosimo, l. I. p. 56. Eutropio IX. 14. Aurel. Vittore.
90.Stor. Aug. p. 223. Aurel. Vittore.
91.Infierì già prima del ritorno di Aureliano dall'Egitto. Vedi Vopisco, che cita una lettera originale. Stor. Aug. p. 244.
92.Vopisco nella Stor. Aug. p. 222. I due Vittori. Eutropio 9, 14. Zosimo (l. I. p. 43) fa menzione di soli tre Senatori, e pone la lor morte avanti la guerra d'Oriente.
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«Nulla catenati feralis pompa SenatusCarnificum lassabit opus: nec carcere plenoInfelix ruros numerabit curia Patres.»Calfurn, Eclog. I. 60.

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94.Secondo Vittore Juniore egli portò qualche volta il Diadema. Si legge sulle di lui medaglie Deus e Dominus.
95.Era questa osservazione di Diocleziano. Vedi Vopisco nella Stor. Aug. p. 224.
96.Vopisco nella Stor. Aug. p. 221. Zosimo l. I, p. 57. Eutrop. IX. 15. I due Vittori.
97.Vopisco Stor. Aug. p. 222. Aurelio Vittore fa menzione, di una formal deputazione fatta dalla truppe al Senato.
98.Vopisco, nostra principale autorità, scriveva in Roma solamente sedici anni dopo la morte di Aureliano; ed oltre alla recente notizia dei fatti, trae costantemente i suoi materiali dai giornali del Senato, e dagli scritti originali della libreria Ulpiana. Zosimo e Zonara compariscono così ignoranti di questo trattato, come lo erano generalmente della costituzione Romana.
99.Livio l. 17. Dionisio Alicarnas. l. II. p. 115. Plutarco in Numa, p. 60. Il primo di questi Scrittori riferisce la storia come un oratore, il secondo come un legista ed il terzo come un moralista, e niuno probabilmente senza qualche mescuglio di favola.
100.Vopisco (nella Stor. Aug. p. 227) lo chiama primae sententiae consularis, e subito dopo, Princeps Senatus. È naturale il supporre, che i Monarchi di Roma sdegnando quell'umil titolo, lo cedessero al più antico fra i Senatori.
101.L'unica obbiezione a questa genealogia è che lo Storico si nominava Cornelio, l'Imperatore Claudio. Ma sotto il basso Impero, i soprannomi erano estremamente vari ed incerti.
102.Zonara, l. XII, p. 637. La Cronica Alessandrina, per un facile errore, trasferisce quell'età ad Aureliano.
103.Nell'anno 273 egli fu Console ordinario, ma debbe essere stato suffetto molti anni avanti, e probabilmente sotto Valeriano.
104.Bis millies octingenties. Vopisco nella Stor. Aug. p. 229. Questa somma, secondo l'antica misura, equivaleva ad ottocento quarantamila libbre Romane di argento, ciascuna della valuta di sei zecchini. Ma nel secolo di Tacito il conio avea perduto molto nel peso e nella purità.
105.Dopo il suo avvenimento, ordinò che si facessero annualmente dieci copie dello Storico, e si collocassero nelle pubbliche librerie. Le librerie Romane sono da gran tempo perite, e la più stimabil parte di Tacito fu conservata in un solo MS. e scoperta in un Monastero della Vestfalia. Vedi Bayle, Dizionario. Art. Tacito, e Lipsio ad Annal. II. 9.
106.Vopisco nella Stor. Aug. p. 227.
107.Stor. Aug. p. 228. Tacito indirizzandosi ai Pretoriani, li nominava sanctissimi milites, ed il popolo, sacratissimi Quirites.
108.Nelle sue manumissioni non eccedè mai il numero di cento, come limitato dalla legge Caninia promulgata sotto Augusto, e finalmente abolita da Giustiniano. Vedi Casaubono ad locum Vopisci.
109.Vedi le vita di Tacito, di Floriano, e di Probo nella Stor. Aug. Possiamo assicurarci che tutto ciò che diede il Soldato, lo avea già dato il Senatore.
110.Vopisco nella Stor. Aug. p. 236: il passo è chiarissimo, ma Casaubono e Salmasio vorrebbero correggerlo.
111.Vopisco nella Stor. Aug. p. 230, 232, 233. I Senatori celebrarono quel felice ristabilimento con ecatombi e con pubbliche allegrezze.
112.Stor. Aug. p. 228.
113.Vopisco nella Stor. Aug. p. 230. Zosimo l. I. p. 57. Zonara, l. XII. p. 637. Due passi della vita di Probo (p. 236 238.) mi persuadono che questi Sciti, invasori del Ponto, fossero Alani. Se dar possiam fede a Zosimo (l. I. 58.) Floriano li perseguitò fino al Bosforo Cimmerio. Ma egli ebbe appena tempo per una spedizione tanto lunga e difficile.
114.Eutropio ed Aurelio Vittore dicon solamente ch'egli morì. Vittore Giuniore aggiunge, ch'egli morì di febbre. Zosimo e Zonara affermano, ch'egli fu ucciso dai soldati. Vopisco riferisce le due relazioni, e sembra incerto. Sono per altro facilmente conciliabili queste diverse opinioni.
115.Secondo i due Vittori egli regnò precisamente dugento giorni.
116.Stor. Aug. 231. Zosimo, l. I. p. 58, 59. Zonara, l. XII. p. 637. Aurelio Vittore dice che Probo assunse l'Impero nell'Illirico; opinione la quale (benchè adottata da un uomo dottissimo) getterebbe una insuperabile confusione in quel periodo di storia.
117.Stor. Aug. p. 229.
118.Egli dovea inviare dei Giudici ai Parti, ai Persiani, ed ai Sarmati, un Presidente alla Taprobana, ed un Proconsole nell'Isola Romana, supposta dal Casaubono e da Salmasio essere la Britannia. Una storia quale è la mia (dice Vopisco con giusta modestia) non sussisterà mille anni per potere esporre o giustificare la predizione.
119.Per la vita privata di Probo, vedi Vopisco nella Stor. Aug. p. 234, 237.
120.Secondo la Cronaca Alessandrina egli era nell'età di cinquant'anni quando morì.
Возрастное ограничение:
12+
Дата выхода на Литрес:
28 сентября 2017
Объем:
390 стр. 1 иллюстрация
Переводчик:
Правообладатель:
Public Domain

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