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Читать книгу: «Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 10», страница 12

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Una provincia conquistata prende facilmente le abitudini del vincitore, sia per l'introduzione degli stranieri, sia per lo spirito di imitazione che s'insinua ne' nazionali: così la Spagna, che avea veduto alternativamente mischiarsi al proprio sangue quello dei Cartaginesi, dei Romani, dei Goti, in poche generazioni venne pigliando il nome ed i costumi degli Arabi. Dietro ai primi generali ed ai venti Luogo-tenenti del Califfo, che si succedettero in quel paese, giunse pure un seguito numeroso d'ufficiali civili e militari, i quali amavan meglio menare una vita agiata in paese lontano, che vivere stentatamente in patria. Queste colonie di Musulmani portavano vantaggio all'interesse del pubblico e dei privati, e le città della Spagna rammemoravano con fasto la tribù, o il cantone dell'oriente donde traevano origine. Le vittoriose brigate di Tarik e di Musa, quantunque miste di molte nazioni, eran distinte col nome di Spagnuole il quale formava in certo modo il lor diritto di conquista; permisero nondimeno ai Musulmani dell'Egitto di stanziarsi nella Murcia e in Lisbona. La legione regia di Damasco si domiciliò in Cordova, quella di Emesa in Siviglia, quella di Kinnisrin ossia Calcide in Jaen, quella di Palestina in Algeziras e in Medina Sidonia. i guerrieri venuti dall'Yemen e dalla Persia si sperperarono intorno a Toledo e nell'interno del paese, e le fertili possessioni di Granata furono date a diecimila cavalieri404 della Sorìa e dell'Irak, i quali erano la razza più pura e più nobile che fosse in Arabia. Queste fazioni ereditarie mantenevano uno spirito di emulazione talora utile, ma il più delle volte pericoloso. Dieci anni dopo la conquista, fu presentata al Califfo una carta della Spagini ove erano segnati i mari, i fiumi, i porti, le città, il numero degli abitanti, il clima, il suolo e le produzioni minerali405. Nello spazio di due secoli, l'agricoltura406, le manifatture e il commercio d'un popolo illustre crebbero vie meglio le beneficenze della natura, e gli effetti della operosità degli Arabi furono anche abbelliti dalla oziosa loro fantasia. Il primo degli Ommiadi che regnò in Ispagna chiese in sussidio i cristiani; e col suo editto di pace e di protezione si tenne contento ad un modico tributo di diecimila oncie d'oro, di diecimila libbre d'argento, di diecimila cavalli, di altrettanti muli, di mille corazze e d'un ugual numero di elmetti e di lancie407. Il più possente dei suoi successori ricavò dallo stesso regno una rendita annuale di dodici milioni e quarantacinquemila denari ossia pezze d'oro, che formano circa sei milioni sterlini408, somma che nel decimo secolo probabilmente superava la totalità delle rendite di tutti i monarchi cristiani. Risedeva il Califfo in Cordova, città che vantava seicento moschee, novecento bagni e dugentomila case; dava leggi a ottanta città di prim'ordine, a trecento del secondo e del terzo, e dodicimila villaggi ornavano le fertili sponde del Guadalquivir. Queste sicuramente sono esagerazioni degli Arabi, ma è vero però che non mai fu più ricca la Spagna, nè meglio coltivata e popolosa, come sotto il loro governo409.

Aveva il Profeta santificate le guerre de' Musulmani; ma tra i vari precetti, e gli esempi da lui dati in vita, prescelsero i Califfi le lezioni di tolleranza più acconce a disarmare la resistenza degl'increduli. Era sempre l'Arabia il santuario ed il retaggio del Dio di Maometto, il quale poi guardava con occhio men amorevole e men geloso le altre nazioni della terra. Quindi gli adoratori del suo Dio credevano potere a buon dritto estirpare i politeisti e gl'idolatri che ignoravano il suo nome410; ma non andò guari tempo che vennero sagge considerazioni politiche in supplimento delle massime di giustizia, e, dopo qualche misfatto d'uno zelo intollerante, seppero i Musulmani, insignoritisi dell'India, rispettare le pagodi di quel popolo numeroso e devoto. A' discepoli di Abramo, di Mosè e di Gesù411 fu mandato solenne invito, perchè abbracciassero il culto del Profeta, come il più perfetto, ma però, quando avessero voluto pagare piuttosto una tassa moderata, si concedea loro libertà di coscienza, e facoltà di adorare Iddio alla lor maniera412. Col professare l'Islamismo poteano i prigionieri, fatti sul campo di battaglia, redimersi dalla morte; le donne peraltro doveano adattarsi alla religione de' padroni, e così, per l'educazione che davasi a' figli de' prigionieri, andava a poco a poco crescendo il numero de' proseliti sinceri. Ma dalla seduzione per avventura più che dalla forza furono vinti que' milioni di neofiti dell'Affrica, i quali si dichiararono pronti a seguire la novella religione. Con un atto di poco momento, con una semplice profession di fede, in un istante il suddito o lo schiavo, il prigioniero o il delinquente diveniva uom libero, eguale e compagno de' Musulmani vittoriosi. Espiati erano tutti i suoi peccati, infranti tutti i suoi impegni anteriori: a' voti di castità sostituivansi le inclinazioni della natura; la tromba de' Saracini svegliava gli spiriti ardenti sopiti nel chiostro, e in quella generale convulsione ogni Membro d'una nuova società si collocava in quella situazione, che a' suoi talenti e al suo coraggio si conformava. Non era minore l'impressione che faceva su la moltitudine la felicità promessa da Maometto nell'altra vita, di quel che i piaceri in questa permessi; e vuol carità che si pensi, che da buon numero de' suoi proseliti si credesse lealmente alla verità e santità della sua rivelazione, la quale di fatto, ad un politeista ragionatore, potea parere degna della natura divina, non che dell'umana. Più pura del sistema di Zoroastro, più generosa della legge di Mosè413, sembrava la religion di Maometto meno contraria alla ragione di quello che i tanti misteri e le superstizioni che, nel settimo secolo, la semplicità digradavano dell'Evangelo.

Nelle vaste regioni della Persia e dell'Affrica avea l'Islamismo sradicata la religion nazionale. Tra le Sette dell'oriente, la teologia equivoca de' Magi era la sola che tuttavia sussistesse, ma si potea di leggieri, sotto il venerando nome d'Abramo, destramente collegare alla catena della rivelazione divina gli scritti profani di Zoroastro414. Potevasi raffigurare il suo cattivo principio, il genio Ahriman, come il rivale o la creatura di Lucifero. Non v'era un'immagine che ornasse i templi della Persia, ma si poteva rappresentare come una goffa e cerimoniosa idolatria il culto che al Sole ed al fuoco era diretto415. Dalla prudenza de' Califfi, per l'esempio dato da Maometto416, fu rivolta l'opinione all'avviso più moderato, e tanto i Magi che i Guebri furono posti co' Giudei e co' Cristiani nel novero de' popoli della legge scritta417; di modo che nel terzo secolo dell'Egira, la città di Herat offerse un singolare conflitto di fanatismo privato e di pubblica tolleranza418. Per la legge musulmana era assicurata la libertà civile e religiosa dei Guebri di Herat con patto che pagassero un tributo; ma l'umile moschea, di recente innalzata dai Musulmani, era oscurata dall'antico splendore di un tempio del Fuoco unito all'edifizio musulmano. Predicando si lagnò un fanatico Imano di questa scandalosa vicinanza, ed accagionò di debolezza o d'indifferenza i fedeli. Attizzato dalla sua voce si raunò il popolo tumultuariamente, furon date alle fiamme le moschee ed il tempio, ma sul loro suolo si cominciò subito una nuova moschea. Ricorsero i Magi al sovrano del Corasan per ottenere riparazione all'ingiuria sofferta, ed egli avea promesso giustizia e soddisfazione, quando (ciò che si stenterà a credere) quattromila cittadini di Herat, di carattere austero e d'età matura, giuravano con voce unanime che mai non aveva esistito il tempio del Fuoco. Allora non vi fu più modo per continuare l'inquisizione del fatto, e la coscienza de' Musulmani, scrive lo storico Mirchond419, non ebbe rimorso di questo suo pio e meritorio spergiuro420. Il più gran numero per altro dei templi della Persia andò in rovina per la diserzione accaduta a poco a poco, ma generale, di quelli che li frequentavano. Fu la diserzione fatta a poco a poco, poichè non se ne sa nè il tempo nè il luogo, e non pare che fosse accompagnata da persecuzioni e da resistenza. Fu generale, poichè fu l'Islamismo abbracciato da tutto il regno, cominciando da Shiraz sino a Samarcanda, mentre la lingua del paese, conservata dai Musulmani di quella regione, prova la loro origine persiana421. Da parecchi miscredenti, dispersi nelle montagne e nei deserti, fu ostinatamente difesa la superstizione dei loro antenati, e rimane una debole tradizione della teologia dei Magi nella provincia di Kirman, sulle sponde dell'Indo, fra i persiani che stanno a Surate e nella colonia fondata presso Ispahan da Shah Abbas. Il gran pontefice si è ritirato nel monte Elbourz, diciotto leghe distante dalla città di Yezd. Il fuoco perpetuo, se continua ad ardere, è inaccessibile ai profani, ma i Guebri, che nelle fattezze uniformi e molto grossolane attestano la purezza del sangue loro, vanno in peregrinazione a visitare il domicilio di quel pontefice che è lor maestro ed oracolo. Colà ottantamila famiglie conducono una vita tranquilla e innocente sotto la giurisdizione de' vecchi, e con alcuni lavori industriosi e con le arti meccaniche provvedono alla sussistenza, non trascurando di coltivare la terra con quello zelo che, come dovere, è loro inspirato e prescritto dalla religione. Il volere dispotico di Shah Abbas, il quale pretendea con minacce e torture forzarli a consegnargli i libri di Zoroastro, fu vano contro la loro ignoranza; ed ora, sia moderazione o disprezzo, i sovrani attuali non danno più inquietudine agli oscuri Magi superstiti422.

A. D. 749-1076

La costa settentrionale dell'Affrica è quel solo paese, ove dopo essersi ampiamente diffusa e aver dominato per lungo tempo, sia poi la luce dell'Evangelo totalmente scomparsa. Una nebbia d'ignoranza avea pure avvolto nelle tenebre stesse le scienze e le arti, colà venute da Roma e da Cartagine, nè più era oggetto di studio la dottrina di San Cipriano e di Sant'Agostino. Sotto il furore de' Donatisti, de' Vandali e de' Mori erano cadute cinquecento chiese vescovili; scemato il numero de' sacerdoti, docilmente si sottomise il popolo, privo di regola, di lumi e di speranze, al giogo del Profeta d'Arabia. Dopo un mezzo secolo dall'espulsione de' Greci in poi, un Luogo-tenente dell'Affrica avvisò il Califfo che per la conversione degl'infedeli423 era cessato il tributo che pagavano; e questo pretesto, da lui preso per celare la sua frode e ribellione, diveniva in qualche guisa specioso pei rapidi progressi che l'Islamismo avea fatti. Nel secolo susseguente, cinque vescovi, spediti dal patriarca Giacobita, si rendettero da Alessandria a Cairoan con una missione straordinaria per quivi raunare e rianimare i moribondi avanzi del cristianesimo424; ma basta l'intervento d'un prelato estero, separato dalla chiesa latina e nemico de' cattolici, per indicare il deperimento e la dissoluzione della gerarchia affricana. Non erano più que' tempi che i successori di San Cipriano, presedendo un Sinodo numeroso, potevano a forze eguali contendere contro l'ambizione del pontefice Romano. Nell'undecimo secolo dovette lo sventurato prete, che sedea su le rovine di Cartagine, implorare limosina e protezione dal Vaticano, e amaramente si dolse d'essere stato non solo ignominiosamente spogliato e battuto colle verghe da' Saracini, ma di vedere contestata la sua autorità dai quattro suffraganei ch'erano le deboli colonne della sua sede episcopale. Abbiamo due lettere di Gregorio VII425, nelle quali si studia questo Papa d'alleviare i mali de' Cattolici, e d'ammansare l'orgoglio d'un principe Moro. Assicura egli il soldano che il Dio da lui adorato è lo stesso che il suo, e soggiugne che ha speranza di trovarlo un giorno nel seno d'Abramo; ma dalle sue doglianze di non avere colà tre vescovi che potessero consacrarne un quarto, s'argomentava la pronta ed inevitabile caduta dell'Ordine episcopale. Da lungo tempo i cristiani d'Affrica e di Spagna s'erano sottomessi alla circoncisione; da lungo tempo s'astenevano dal vino e dal maiale, ed erano denominati Mosarabi426, o Arabi adottivi, perchè negli usi loro civili e religiosi s'accostavano a quelli de' Musulmani427. Verso la metà del duodecimo secolo, il culto di Cristo, e i pastori di quella comunione cessarono totalmente sulla costa di Barbaria, e ne' reami di Cordova e di Siviglia, di Valenza e di Granata428. Il trono degli Almohadi o Unitari posava sul più cieco fanatismo, e dalle recenti vittorie e dallo zelo intollerante de' principi di Sicilia, di Castiglia, d'Aragona e di Portogallo fu suscitato, o forse giustificato, l'insolito rigore del lor governo. Alcuni missionari inviati dal Papa ravvivarono a quando a quando la fede de' Mozarabi, e allorchè Carlo V approdò alle coste dell'Affrica, presero coraggio varie famiglie cristiane di Tunisi e d'Algeri, e mostrarono la fronte; ma ben presto fu totalmente soffocata la semente dell'Evangelo, e da Tripoli sino al mare Atlantico fu posta del tutto in dimenticanza la lingua e la religione di Roma429.

Volgono omai undici secoli dacchè cominciò il regno di Maometto, e tuttavia Giudei e Cristiani nell'impero Turco godono della libertà di coscienza ad essi dai Califfi arabi consentita. Ne' primi tempi della conquista, ebbero sospetto i Califfi sulla fedeltà dei cattolici, ai quali il nome di Melchiti dava l'impronta d'una segreta inclinazione per l'imperatore Greco, mentre i Nestoriani e i Giacobiti, suoi vecchi nemici, palesavano pei Musulmani una devozione sincera ed affettuosa430. Ma il tempo e la sommessione dissiparono queste particolari inquietudini; quindi e Cattolici e Maomettani si divisero le chiese dell'Egitto431, e tutte le Sette dell'oriente rimasero comprese in una tolleranza generale. Il magistrato civile proteggeva la dignità, le immunità e le autorità de' patriarchi, dei vescovi e del clero: poteano i particolari colla dottrina innalzarsi agl'impieghi di segretari e di medici, arricchirsi nelle commissioni lucrose di esattori delle tasse, e salire col merito al comando di città e di province. Fu inteso un Califfo della casa di Abbas dichiarare i cristiani essere quelli che più di ogni altro erano degni di fiducia per l'amministrazion della Persia. «I Musulmani, diss'egli, abuseranno della loro presente fortuna; i Magi piangono la perduta grandezza, e i Giudei sperano vicina la lor liberazione432.» Ma gli schiavi del dispotismo son sempre esposti alle vicende del favore e della disgrazia. In ogni secolo furono oppresse le chiese dell'oriente dalla cupidigia, o dal fanatismo de' lor padroni, e poterono le vessazioni portate dall'uso o dalla legge irritare l'orgoglio e lo zelo de' cristiani433. Circa due secoli dopo Maometto, furono distinti dagli altri sudditi dell'impero Ottomano per l'obbligo di portare un turbante, o una cintura d'un colore meno onorevole; fu loro interdetto l'uso de' cavalli e delle mule, e vennero condannati a cavalcare gli asini nella foggia delle donne. Fu limitata l'estensione pei loro edificii pubblici e privati: nelle strade o nei bagni debbono ritrarsi o inchinarsi davanti l'infimo della plebe, e si ricusa la lor testimonianza qualora possa pregiudicare un vero fedele. È ad essi vietata la pompa delle processioni, il suono delle campane, e la salmodia; nelle prediche e nei discorsi debbono rispettare la credenza nazionale, e quel sacrilego che tenti d'entrare in una moschea, o sedurre un Musulmano, non potrebbe sfuggire al castigo. Ora, trattine i tempi di turbolenza e d'ingiustizia, mai non furono sforzati i cristiani ad abbandonar l'Evangelo, o a preferire il Corano; ma si è inflitta la pena di morte agli apostati che han professata e poi rigettata la legge di Maometto, e i martiri della città di Cordova provocarono la sentenza del Cadi434 solamente perchè dichiararono in pubblico la loro apostasia, e proruppero in violente invettive contra la persona e la religion del Profeta.

Sulla fine del primo secolo dell'Egira, erano i Califfi i più possenti e più assoluti monarchi del Mondo; non era limitata, di diritto o di fatto, l'autorità loro nè dal potere dei Nobili, nè dalla libertà dei comuni, nè dai privilegi della chiesa, nè dalla giurisdizion del senato, nè infine dalla memoria di una costituzione libera. L'autorità de' compagni di Maometto era spirata con essi, e i Capi, o Emiri, delle tribù Arabe lasciando il deserto, abbandonavano dietro di sè le loro massime d'eguaglianza e di independenza. Al carattere regio accoppiavano i successori del Profeta il carattere sacerdotale, e se il Corano era la norma delle loro azioni, erano essi i giudici e gli interpreti di quel libro divino. Per dritto di conquista regnavano sulle nazioni dell'oriente che ignorano persino il nome di libertà, e sogliono nei loro tiranni lodare gli atti di violenza e di severità da cui sono oppressi. Sotto l'ultimo degli Ommiadi stendeasi l'impero degli Arabi da oriente a occidente, per lo spazio di duecento giornate, cominciando ai confini della Tartaria indiana sino ai lidi del mare Atlantico; e se leviamo dal conto la Manica del vestito, per usare la frase dei loro scrittori, cioè la lunga ma stretta provincia dell'Affrica, doveva una carovana impiegare quattro o cinque mesi ad attraversare da qualunque banda, cioè da Fargana sino ad Aden e da Tarso sino a Surate, quella region dell'impero che formava per così dire un solo pezzo non interrotto435. Invano si sarebbe cercata colà quella unione indissolubile, e quella agevole sommessione che s'incontrava sotto l'impero d'Augusto e degli Antonini; ma la religion musulmana dava a sì vaste contrade una generale rassomiglianza di costumi e di opinioni. In Samarcanda, in Siviglia, con pari ardore, si studiavano la lingua e le leggi del Corano; e Mori e Indiani si scontravano in pellegrinaggio alla Mecca, s'abbracciavano, come concittadini e fratelli, e l'idioma degli Arabi era il dialetto popolare di tutte le province giacenti all'occidente del Tigri436.

CAPITOLO LII

I due assedii di Costantinopoli fatti dagli Arabi. Loro invasione in Francia, e loro sconfitta per opera di Carlo Martello. Guerra civile degli Ommiadi e degli Abbassidi. Letteratura degli Arabi. Lusso dei Califfi. Imprese navali contro l'isola di Creta, contro la Sicilia e Roma. Decadimento e divisione dell'impero de' Califfi. Sconfitte e trionfi degli imperatori Greci.

Quando per la prima volta uscirono del lor deserto, avranno sicuramente gli Arabi maravigliato di vedere così facili e rapidi i loro trionfi. Ma quando nella lor corsa vittoriosa, pervennero alle rive dell'Indo e alla vetta dei Pirenei; quando dopo infinite prove ebbero conosciuto la forza delle lor scimitarre, e l'energia della lor fede, si saranno egualmente stupiti di incontrare qualche nazione che potesse resistere alle lor armi invincibili, e qualche limite che oppor si potesse alla dilatazione dell'impero de' successori del Profeta. Temerità è questa che pure è perdonabile in fanatici e in soldati, se si pensa alla fatica che dee durare uno storico, che a mente fredda tien dietro presentemente ai trionfi dei Saracini, quando vuole rendere a sè stesso ragione del come abbiano potuto la religione e i popoli dell'Europa, eccetto la Spagna, salvarsi da quel rischio imminente e quasi inevitabile in apparenza. I deserti degli Sciti e dei Sarmati eran difesi dalla ampiezza loro, dalla miseria e dal coraggio de' pastori del settentrione; remotissima ed inaccessibile era la Cina: ma i Musulmani s'erano insignoriti della maggior parte della Zona temperata; i Greci erano indeboliti dalle calamità della guerra, dalla perdita delle più belle province, e la precipitosa caduta della monarchia de' Goti potea sbigottire i Barbari dell'Europa. Ora io m'accingo a svolgere le cagioni che preservarono la Brettagna e la Gallia dal giogo civile e religioso del Corano, che protessero la maestà di Roma, e ritardarono la servitù di Costantinopoli; che rinvigorirono la resistenza dei cristiani, e fra i Maomettani disseminarono germi di discordia e di debolezza.

A. D. 668-675

Quarantasei anni dopo la fuga di Maometto, comparvero armati i suoi discepoli davanti alle mura di Costantinopoli437; essi erano animati dalle promesse, o vere o supposte, del Profeta che la prima armata che assediasse la città dei Cesari avrebbe il perdono dei peccati: vedeano inoltre gli Arabi la gloria di quella lunga serie di trionfi che ottennero i primi Romani, trasfusa giustamente nei vincitori della nuova Roma, e la ricchezza delle nazioni versata in quella metropoli, che per la sua bella situazione era fatta veramente per essere a un tempo il centro del commercio e la sede del governo. Il Califfo Moawiyah, dopo avere strozzati i suoi rivali e assodato il trono, volle colle vittorie, e il vanto di questa santa impresa, espiare il sangue de' cittadini versato nelle guerre intestine438. Gli apparecchi che fece in mare e in terra furono adeguati alla grandezza della spedizione; ne fu affidato il comando a Sophian, vecchio guerriero; ma furono rincorate le soldatesche dalla presenza e dall'esempio d'Yezid, figlio del comandante de' fedeli. Poco aveano i Greci a sperare, poco i lor nemici a temere dal coraggio e dalla vigilanza dell'Imperatore che deturpava il nome di Costantino, e non imitava del suo avo Eraclio se non se gli anni che aveano ottenebrata la sua gloria. Senza essere arrestate, e senza incontrare ostacolo, le forze navali de' Saracini passarono il canale dell'Ellesponto, che pur oggi dai Turchi è considerato come il baloardo posto dalla natura a difesa della capitale439. L'armata araba gittò l'ancora, e sbarcarono le milizie presso il palazzo di Hebdomon, distante sette miglia della Piazza. Dall'alba sino a notte fecero esse per molti giorni parecchi assalti lungo le mura dalla porta dorata al promontorio orientale, e l'urto delle colonne, poste di dietro, spingevano avanti i guerrieri della prima linea. Ma gli assedianti aveano calcolato male la forza e le difese di Costantinopoli. Da numerosa e ben disciplinata guarnigione erano protette le sue mura solide ed alte, e il valore Romano si riscosse in faccia al pericolo, onde era minacciata la religione e l'impero: gli abitanti fuggiaschi dalle province già conquistate, ricoverati colà, rinnovarono con miglior successo i modi difensivi usati in Damasco e in Alessandria, e sbalordirono i Saracini mirando i prodigiosi e strani effetti del fuoco greco. Una resistenza tanto ostinata gli determinò a volgersi ad imprese più facili; corsero quindi a mettere a sacco le coste d'Europa e d'Asia, che cingono la Propontide, e dopo aver tenuto il mare, dal mese d'aprile fino a settembre, si ritirarono per ottanta miglia dalla capitale nell'isola di Cisico, ove formato aveano i magazzini, e depositata la preda. Furon sì pazienti nella perseveranza, o sì deboli nelle operazioni, che per sei estati successive eseguirono l'istesso disegno d'assalto che terminò con ugual ritirata. Quindi ogni impresa, manchevole di effetto, scemava in essi il vigore non che le speranze di vincere, sino a tanto che i naufragi e le malattie, il ferro e il fuoco del nemico gli astrinsero ad abbandonare quell'inutile tentativo. Ebbero essi a piangere la perdita o a celebrare il martirio di trentamila Musulmani, che lasciarono la vita all'assedio di Costantinopoli, e i pomposi funerali di Abù-Ayub, o Giob, solleticarono la curiosità de' cristiani medesimi. Questo Arabo venerando, uno degli ultimi compagni di Maometto, era nel numero degli Ansar, o ausiliarii di Medina, che accolsero il Profeta quando fuggì dalla Mecca. Da giovanetto erasi trovato alle battaglie di Beder e di Ohud; giunto all'età matura era stato l'amico e il collega d'Alì, e aveva logorato il resto delle sue forze lungi dalla patria in una guerra contra i nemici del Corano. Sempre fu rispettata la sua memoria: ma fu negletto, ed anzi ignorato, il luogo della sua sepoltura per otto secoli sino a tanto che Maometto II prese Costantinopoli. Una di quelle visioni che sono le arti consuete in tutte le religioni del Mondo rivelò ai Musulmani, che Ayub era sepolto al piè delle mura in fondo al porto, e quindi fu eretta colà una Moschea che poi fu con ragione prescelta per luogo della inaugurazione semplice e marziale dei soldani Turchi440.

A. D. 677

L'esito di quell'assedio risuscitò nell'oriente e nell'occidente la gloria dell'armi romane, ed oscurò per un poco quella de' Saracini. A Damasco, in un consiglio generale degli Emiri o Coreishiti, fu accolto onestamente l'inviato dell'imperatore; e allora i due imperi segnarono una pace o tregua di trent'anni, nella qual occasione il comandante de' credenti umiliò la sua dignità sino a promettere un annuo tributo di cinquanta cavalli di buona razza, di cinquanta schiavi e di tremila pezze d'oro441. Era già molto vecchio il Califfo, e volea godere della sua autorità, e terminare i giorni nella quiete e tranquillità; ma mentre al solo suo nome tremavano i Mori e gli Indiani, era poi la sua reggia e la città di Damasco insultata dai Mardaiti o Maroniti del monte Libano, i quali furono il miglior propugnacolo dell'impero sino al tempo che la sospettosa politica dei Greci, dopo averli disarmati, li confinò in un'altra contrada442. Dopo la sommossa dell'Arabia e della Persia, non rimaneva più alla casa d'Ommiyah443 altro dominio fuorchè i reami della Sorìa e dell'Egitto. Nel suo imbarazzo e nello spavento che provò, s'indusse a cedere sempre più alle premurose domande dei cristiani, e fu statuito il tributo d'uno schiavo, d'un cavallo e di mille pezze d'oro al giorno per tutti i 365 giorni dell'anno solare. Ma non così tosto l'armi e la politica di Abdalmalek ebbero rintegrato l'impero, ricusò un segno di servitù che feriva non men la sua coscienza che l'orgoglio: cessò dunque di pagare il tributo, e i Greci avviliti dalla stravagante tirannia di Giustiniano II, dalla legittima ribellion del popolo e dal frequente ricomparire d'altri avversari non poterono pretenderlo a mano armata. Sino al regno d'Abdalmalek, teneansi contenti i Saracini a godere i tesori della Persia e di Roma col conio di Cosroe o dell'imperator di Costantinopoli; il Califfo fece battere monete d'oro e d'argento, nominate dinari, con una iscrizione la quale, benchè potesse essere censurata da qualche severo casista, annunciava l'unità del Dio di Maometto444. Sotto il regno del Califfo Walid, si cessò d'usare la lingua e i caratteri greci nei conti della rendita pubblica445. Se questo cangiamento originò l'invenzione o stabilì l'usanza delle cifre, appellate comunemente arabiche o indiane, avvenne che poi con un regolamento di computisteria, immaginato dai Musulmani, si aprisse il campo alle più rilevanti scoperte dell'aritmetica, dell'algebra e delle matematiche446.

A. D. 716-718

Mentre che il Califfo Walid sonnecchiava sul trono di Damasco, e dai suoi Luogo-tenenti si compiea la conquista della Transoxiana e della Spagna, un terzo esercito di Saracini inondava le province dell'Asia Minore e s'accostava a Bisanzio. Ma il tentativo ed il cattivo esito d'un secondo assedio era riserbato al suo fratello Solimano, sospinto, per quanto pare, da più operosa ambizione e da un ardir più marziale. Negli sconvolgimenti dell'impero Greco, dopo che fu punito e vendicato il tiranno Giustiniano, un basso segretario, cioè Anastasio o Artemio, fu dall'accidente o dal suo merito vestito della porpora. Sorvennero presto a spaventarlo le nuove di guerra, avendogli l'ambasciatore, da lui spedito a Damasco, riferito il terribile annunzio degli apparecchi che si faceano dai Saracini in mare e in terra, per un armamento ben superiore di quanti si fossero veduti, o di tutto ciò che si poteva immaginare. Le precauzioni d'Anastasio non furono indegne nè del suo grado, nè del pericolo che lo minacciava. Ordinò che sgombrasse dalla città qualunque persona che non avesse viveri bastanti per un assedio di tre anni; empiè i magazzini e gli arsenali; restaurò e munì fortemente le mura, e su quelle e su brigantini, di cui crebbe frettolosamente il numero, collocò macchine da lanciar pietre, dardi e fuoco. Havvi certamente maggiore sicurezza e più gloria a prevenire che a respingere un assalto: immaginarono i Greci un divisamento che vinceva il lor coraggio consueto, d'ardere cioè le munizioni navali del nemico, i legnami di cipresso tratti dal Libano e condotti sulle coste della Fenicia pel servigio dei navili egiziani. Grazie alla viltà o alla perfidia delle squadre, che con una nuova denominazione appellavansi le soldatesche del Tehme Obsequien447, andò fallita la magnanima impresa. Trucidarono esse il lor capitano, abbandonarono la bandiera propria nell'isola di Rodi, si sperperarono pel continente vicino, e poscia ottennero il perdono, o forse un premio, eleggendo ad imperatore un semplice ufficiale dell'erario. Il quale nomavasi Teodosio, e poteva pel suo nome piacere al senato ed al popolo; ma dopo un regno di alcuni mesi sdrucciolò dal trono in un chiostro, e cesse al braccio ben più vigoroso di Leone Isaurico l'onore di difendere la capitale e l'impero. Già già il più formidabile dei Saracini, Moslemah, fratello del Califfo, si avvicinava con cento ventimila tra Arabi e Persiani, la maggior parte dei quali montava cavalli o cammelli; e ben durarono lungamente gli assedi di Tiane, di Amorio, e di Pergamo, piazze che furono prese, ad esercitare la lor arte, e a crescerne le speranze. Nel noto passaggio d'Abido sull'Ellesponto per la prima volta tragittarono i Musulmani dall'Asia in Europa. Di là girando attorno le città della Tracia, situate sulla Propontide, andò Moslemah ad investire Costantinopoli dalla parte di terra: cinse il suo campo di fossa e di muro; appostò le sue macchine d'assedio, e ammonì, colle parole e le azioni, che se pari alla sua fosse l'ostinazione degli assediati, aspetterebbe in quel sito pazientemente il ritorno della stagion delle semine e del ricolto. Fecero i Greci della capitale la proferta di redimere la propria religione e l'impero con una menda o contribuzione d'una pezza d'oro per testa: ma questa magnifica offerta fu sdegnosamente ributtata, e l'arrivo delle navi dell'Egitto e della Sorìa sempre più raddoppiò la presunzione di Moslemah. Si è computato il numero delle navi a mille e ottocento, dal che si può argomentare quanto erano piccole, e venivano con loro venti vascelli in cui la grandezza facea danno alla celerità, e che per altro non conteneano che cento soldati armati pesantemente. Questa numerosa squadra procedea verso il Bosforo sopra un mare tranquillo, con vento favorevole, e, per valermi delle frasi dei Greci, la selva mobile adombrava la superficie dello stretto. Intanto dal generale Saracino s'era fissata la funesta notte destinata ad un assalto generale per terra e per mare. Per aumentare la fiducia del nemico, avea l'imperatore fatto abbassar la catena che custodiva l'ingresso del porto; ma intanto che i Musulmani stavano esaminando se convenisse giovarsi dell'occasione, o se avessero a temere di qualche insidia, venne a sorprenderli la morte. Lanciarono i Greci le lor barche incendiarie; gli Arabi, le lor armi, e le lor navi divenner preda delle fiamme, e quei vascelli che vollero fuggire si spezzarono gli uni contro gli altri, o furono inghiottiti dall'onde. Di modo che non si trova negli Storici alcun vestigio di quella squadra, che minacciava la distruzion dell'impero. I Musulmani ebbero però un disastro più irreparabile: morì il Califfo Solimano d'indigestione448 nel suo campo, presso Kinnisrin o Calcide in Sorìa, mentre era in punto di marciare a Costantinopoli col resto delle forze dell'oriente. Un parente nemico di Moslemah succedette a Solimano, e le inutili e funeste virtù d'un bigotto disonorarono il trono d'un principe dotato d'ingegno e di attività. Mentre il nuovo Califfo Omar attendeva a calmare ed a satisfare gli scrupoli della sua cieca coscienza, la sua trascuranza, piuttosto che la sua risoluzione, lasciava continuare l'assedio durante l'inverno449. Quella stagione fu oltre modo rigidissima: un'alta neve coperse la terra per più di cento giorni, e i nativi abitatori degli ardenti climi dell'Egitto e dell'Arabia si rimasero abbrividiti, e quasi senza vita nel lor campo gelato. Si rianimarono col ritorno della primavera, e già per essi s'era fatto un secondo sforzo onde soccorrerli; ricevettero infatti due numerosi navili carichi di biada, d'armi e di soldati; il primo di quattrocento barche di trasporto e galere veniva da Alessandria, e il secondo di trecento sessanta bastimenti dai porti dell'Affrica. Ma si riaccesero i terribili fuochi dei Greci, e fu meno grande la distruzione solo perchè aveano i Musulmani appreso per esperienza a star lontani dal pericolo, o perchè gli Egiziani, che servivano sul navile, tradirono e passarono coi loro vascelli ad unirsi coll'imperator de' cristiani. Si riaperse il commercio e la navigazion della capitale, e la pesca supplì ai bisogni ed al lusso degli abitanti. Ma non tardarono le schiere di Moslemah a provare la penuria e le malattie, che crebbero ben presto in guisa terribile per la necessità di ricorrere agli alimenti i più disgustosi e rivoltanti per lo stomaco. Era scomparso lo spirito di conquista ed anche di fanatismo; non potean più i Saracini uscire delle linee soli, o in piccoli distaccamenti, senza essere esposti all'inesorabile vendetta de' paesani della Tracia. Con doni e con promesse si procacciò Leone un esercito di Bulgari dalle rive del Danubio: questi Selvaggi ausiliari espiarono in qualche modo i danni, che con la sconfitta e l'eccidio di ventiduemila Asiatici avean recato all'impero. Si sparse scaltramente la nuova che i Franchi, popolazioni ignote del Mondo latino, armassero in favor de' cristiani per mare e per terra, e questo formidabile soccorso, colmando di gioia gli assediati mise il terrore negli assedianti. Finalmente dopo tredici mesi d'assedio450, Moslemah privo di speranza ricevè lietamente dal Califfo il permesso di ritirarsi. La cavalleria araba varcò l'Ellesponto e le province dell'Asia, senza indugiare e senza essere disturbata. Ma un esercito Musulmano era stato tagliato a pezzi verso la Bitinia, e tanto in più riprese avea sofferto il rimanente dell'armata navale, per la procella e pel fuoco greco, che sole cinque galere portarono ad Alessandria la nuova dei tanti e quasi incredibili disastri sofferti451.

404.Bibl. arabico-hispana, t. II, p. 32-252. La prima di queste citazioni è tratta da una Biographia hispanica, scritta da un Arabo di Valenza (V. i lunghi estratti che ne dà Casiri, t. II, p. 30-121); e l'ultima da una cronologia generale dei Califfi e delle dinastie Affricane e Spagnuole, con una storia particolare di Granata, tradotta quasi tutta da Casiri (Bibl. arabico-hispana, t. II, p. 177-319). L'autore Ebn-Khateb, nativo di Granata, e contemporaneo di Novairi e di Abulfeda (nacque A. D. 1313, e morì A. D. 1374) era storico, geografo, medico e poeta (t. II, p. 71, 72).
405.Cardonne, Histoire de l'Afrique et de l'Espagne, t. I, p. 116, 119.
406.Si vede nella biblioteca dell'Escuriale un lungo trattato d'agricoltura composto da un Arabo di Siviglia nel dodicesimo secolo, e Casiri aveva l'intenzione di tradurlo. Reca una lista degli autori Arabi, Greci, Latini, ec. che vi sono citati; ma è molto senz'altro se lo scrittore di Andalusia abbia conosciuto gli ultimi per l'opera del suo concittadino Columella (Casiri, Bibl. arabico-hispana, t. I, p. 323-338).
407.Bibl. arabico-hispana, t. II, p. 104. Casiri traduce la testimonianza originale dello storico Rasis, tal quale si trova nella Biographia hispanica araba, part. 9; ma stupisco altamente vedendola diretta Principibus coeterisque christianis Hispanis suis Castellae. Questo nome Castellae era ignoto all'ottavo secolo, non avendo cominciato il regno di Castiglia che nel 1022, un secolo dopo Rasis (Bibl. t. II, p. 530); e quel nome indicava non una provincia tributaria, ma una serie di castella non soggette a' Mori (d'Anville, Etats de l'Europe, pag. 166-170). Se Casiri fosse stato buon critico, avrebbe forse schiarito una difficoltà a cui ha dato egli per avventura occasione.
408.Cardonne, t. I, p. 337, 338. Egli valuta questa entrata a centotrenta milioni di franchi. Da questa pittura della pace e prosperità dell'impero de' Mori resta amenizzato il sanguinoso ed uniforme quadro della loro storia.
409.Posseggo per avventura una magnifica ed interessantissima opera non mai posta in vendita, ma dispensata in dono dalla Corte di Madrid, la Bibliotheca arabico-hispana escurialensis, opera ed studio Michaelis Casiri, Syro Maronitae. Matriti, in folio, tomus prior, 1760, tomus posterior, 1770. Questa edizione onora veramente i torchi di Spagna: l'editore indica mille ottocento cinquant'un manoscritto giudiziosamente classificati; e co' suoi lunghi estratti illustra la letteratura musulmana e la storia di Spagna. Non rimane più timore di perdere que' monumenti; ma fu veramente imperdonabile la negligenza di chi non fece questo lavoro avanti l'anno 1671, tempo funesto per l'incendio che divorò la maggior parte della Biblioteca dell'Escuriale, allora doviziosa delle spoglie di Granata e di Marocco.
410.Gli Harbii, che così son detti, qui tolerari nequeunt, furono, 1. quelli che non solo adorano Dio, ma ben anche il sole, la luna, o gl'idoli; 2. gli atei utrique, quamdiu princeps aliquis inter Mohammedanos superest, oppugnari debent donec religionem amplectantur, nec requies iis concedenda est, nec pretium acceptandum pro obtinenda conscientiae libertate (Reland, Dissert. 10, De jure militari Mahommedan., t. III, p. 14). Che teorica austera!
411.Si suppone che l'Autore ciò dica siccome asserito dai seguaci della religion Maomettana, che avevano ed hanno una prevenzione in favore di lei; poichè ogni buon credente sa che le rivelazioni di Mosè, e gli Evangelj hanno i caratteri, ed i segni che mostrano la loro origine divina; nè questi segni e questi caratteri si osservano nella pretesa rivelazione di Maometto. (Nota di N. N.).
412.In una conversazione del Califfo Al-Mamoun cogl'idolatri, o Sabei di Charra, sta chiaramente indicata la distinzione che facevasi tra una Setta proscritta e una tollerata, tra gli Harbii, e il popolo del libro, ossia i credenti d'una rivelazione divina (Hottinger, Hist. orient., p. 107, 108).
413.Vorrà dire l'Autore, che la legge di Maometto fu più generale di quella di Mosè, alludendo alla permessa poligamia: ma risguardando la legge di Mosè, anche come quella soltanto d'un legislatore civile, è certamente più saggia, e più conforme al buon ordine sociale di quella di Maometto; nè vale il porre in campo il clima caldo degli Arabi, perchè anche gli Ebrei abitavano i paesi ad essi vicini. La pretesa folla de' misterj de' Cristiani, erano stati determinati dai Concilj generali, secondo rettissime spiegazioni dell'Evangelio, al sorger che facevano le erronee opinioni particolari, ossia eresie, perciò quei misterj erano già negli evangelj. (Nota di N. N.)
414.Il Zend o Pazend, che è la Bibbia de' Guebri, è da questi, o almeno da' Musulmani annoverata fra' dieci libri che Abramo ricevette dal cielo[*], e la loro religione ha il nome onorevole di religione d'Abramo (d'Herbelot Bibl. orient., p. 701; Hyde, De religione veterum Persarum, c. 13, p. 27, 28, ec.). Temo assai che ci manchi una esposizione pura e libera del sistema di Zoroastro. Il dottore Prideaux (Connection, vol. I, p. 300, in 8) aderisce all'opinione che crede che Zoroastro, durante la cattività di Babilonia, fosse schiavo e discepolo d'un profeta Giudeo. I Persiani che furono i padroni de' Giudei rivendicheranno forse l'onore, miserabile onore, d'essere pure stati loro precettori per le opinioni religiose.
  * Fu una tradizione delle teste calde d'alcuni abitanti della Caldea, della Palestina, e dell'Arabia, e d'alcun paese della Persia, che Abramo avesse scritto libri, o li avesse ricevuti dal cielo; lo si fece anche scrittore d'astronomia. Il Calmet ha mostrato che Abramo non iscrisse libri, e non ne ricevè dal cielo; ed il Calmet è un cattolico commentatore della sacra Scrittura: Mosè, i Profeti, gli scrittori Ebrei se ne sarebbero gloriati. Il dotto Autore poi dice benissimo, non aver noi un'esatta esposizione del sistema religioso di Zoroastro, che fu un grand'uomo; e siccome sappiamo, che alcune opinioni filosofiche, o religiose si sono unite insieme, e ne venne che alcuna di loro prese altro nome, così potè avvenire, che i Maomettani abbiano accozzato colle cose dei pretesi libri d'Abramo, da essi riverito, la religione persiana de' Magi, e così questa, ch'era già stata data loro da Zoroastro, sotto la rinomanza d'Abramo, sia stata tollerata da' Maomettani potenti. I Guebri per altro, ed alcun'altra popolazione della Persia, conservano anche oggidì l'antica religione di Zoroastro: è estremamente difficile distruggere una religione che abbia poste estese e ferme radici in uno Stato: è questa l'opera del tempo. (Nota di N. N.).
415.Le mille ed una Notte Araba, dipintura fedele de' costumi orientali, rappresentano sotto i più odiosi colori i Magi, o adoratori del fuoco a cui rinfacciano il sagrifizio annuo di un Musulmano. Non sussiste la menoma affinità tra le religioni di Zoroastro e quella degli Indi; ma non di rado i Musulmani le confondono, e questo sbaglio è stato una delle cagioni della crudeltà di Timur (Hist. de Timur-Bec, di Cerefedin-Alì-Yezdi, l. V).
416.Vie de Mahomet di Gagnier, t. III, p. 114, 115.
417.Hae tres sectae, judaei, christiani, et qui inter Persas magorum institutis addicti sunt κατ’ εξοχην (per eccellenza) POPULI LIBERI dicuntur (Reland, Dissert., t. III, p. 15). Il Califfo Mamoun confermò questa onorevole distinzione che separava le tre Sette dalla religione indeterminata ed equivoca de' Sabei, sotto lo scudo della quale permettevasi agli amichi politeisti di Charrae il loro culto idolatra (Hottinger Hist. orient., p. 167, 168).
418.Questa curiosa storia è narrata dal d'Herbelot (Bibl. orient., p. 440, 449) su la testimonianza di Condemiro, ed anche dello stesso Mirchond (Hist. priorum regum persarum, etc. p. 9-18, not. p. 88, 89).
419.Mirchond (Mohammed emir Khoondah Shah), nativo di Herat, compose in lingua persiana una storia generale dell'oriente, dalla creazione del Mondo sino all'anno ottocento settantacinque dell'Egira (A. D. 1471). Nell'anno 904 (A. D. 1498), fu fatto bibliotecario del principe, e con questo soccorso pubblicò in sette o dodici parti un'opera che fu commentata, e poi fu ridotta in tre volumi dal suo figlio Condemiro (A. E. 927, A. D. 1520). Petit de la Croix (Hist. de Gengis-Khan, pag. 537, 538, 544, 545) accuratamente ha distinto questi due scrittori confusi dal d'Herbelot (pag. 358, 410, 994, 995). I molti estratti da quest'ultimo pubblicati sotto il nome di Condemiro appartengono al padre piuttosto che al figlio. Lo storico di Gengis-Khan rimanda il lettore ad un manoscritto di Mirchond datogli dal suo amico d'Herbelot. Ultimamente fu stampato in Vienna, 1782, in quarto, cum notis di Bernardo di Jenisch, un curioso frammento in persiano ed in latino (le dinastie Taheriana e Soffariana), e l'editore dà speranza di continuare l'opera di Mirchond.
420.Quo testimonio boni se quidpiam praestitisse opinabantur. Mirchond per altro avrà condannato questo zelo, giacchè approvava la tolleranza legale dei Magi, cui (il tempio del Fuoco) peracto singulis annis censu, uti sacra Mohammedis lege cautum, ab omnibus molestiis ac oneribus libero esse licuit.
421.L'ultimo Mago, che abbia avuto un nome e qualche autorità, sembra essere Mardavige-il-Dilemita, che nel decimo secolo regnava nelle province settentrionali della Persia situate presso il mar Caspio (d'Herbelot, Biblioth. orient., p. 355); ma i Bovidi, suoi soldati e successori, professarono l'Islamismo, oppure l'abbracciarono, ed io porrei la caduta della religione di Zoroastro al tempo della loro dinastia (A. D. 933-1020).
422.Quanto ho esposto dello stato presente de' Guebri nella Persia è tratto dal Chardin, il quale, benchè non sia nè il più dotto, nè il più giudizioso de' viaggiatori moderni, è però quegli che ha posto maggior diligenza nelle ricerche (Voyages en Perse, t. II, p. 109, 179, 187, in 4). Pietro della Valle, Oleario, Thevenot, Tavernier, ec., che indarno ho consultati, non aveano occhi abbastanza esercitati con acutezza sufficiente d'ingegno per ben esaminare questo popolo sì osservabile.
423.La lettera d'Abdoulrahman, governatore o tiranno dell'Affrica, al Califfo Aboul-Abbas, primo degli Abbassidi, ha la data dell'A. E. 132 (Cardonne, Hist. de l'Afrique et de l'Espagne, t. I, p. 168).
424.Bibl. orient., p. 66; Renaudot, Hist. patriar. Alex., p. 287, 288.
425.V. le lettere de' papi Leone IX (epist. 3), Gregorio VII (l. I, epist. 22, 23; l. III, epist. 19, 20, 21), e le annotazioni del Pagi (t. IV, A. D. 1053, n. 14; A. D. 1073, n. 13), il quale ha cercato il nome e il casato del principe Moro, con cui carteggiava sì urbanamente il più superbo de' Papi.
426.Mozarabes o Mostarabes, adscititii, secondo la traduzione di quella parola in latino (Pocock, Specim. Hist. Arabum, p. 39, 40; Bibl. arabico-hispana, t. II, pag. 18). La liturgia mosarabica, tenuta un tempo dalla chiesa di Toledo, è stata dai Papi disapprovata ed esposta alle incerte prove del ferro e del fuoco (Marian., Hist. Hispan., t. I, l. IX, c. 18, p. 378): è scritta in lingua latina, ma nell'undecimo secolo si credè necessario (A. D. 1039) fare una versione in arabo dei canoni dei Concilii di Spagna (Bibl. arabico-hispana, t. I, pag. 547), ad uso dei vescovi e del clero de' paesi soggetti ai Mori.
427.Circa la metà del decimo secolo l'intrepido inviato dell'imperadore Ottone primo rinfacciò al clero di Cordova questa colpevole condiscendenza (Vit. Johann. Gorz, in sec. Benedict. V, n. 115, apud Fleury, Hist. eccles., t. XII, pag. 91).
428.Pagi, Critica, t. IV, A. D. 1149 n. 8, 9. Egli osserva giustamente che quando Siviglia fu ripresa da Ferdinando di Castiglia non vi si trovarono altri cristiani fuorchè i prigionieri, e che la descrizione delle chiese mozarabiche dell'Affrica e della Spagna, datane da Giacomo di Vitry, A. D. 1218 (Hist. Hieros., c. 80, pag. 1095, in gestis Dei per Francos) fu tolta da un libro più antico, e soggiugne che la data dell'Egira 677 (A. D. 1278) debbe applicarsi alla copia, e non all'originale d'un Trattato di giurisprudenza in cui si espongono i dritti civili de' cristiani di Cordova (Bibl. arab. – hisp., t. I, pag. 47), e che i Giudei erano i soli dissidenti che da Abul-Waled, re di Granata (A. D. 1313), potessero essere perseguitati o tollerati (t. II, p. 288).
429.Renaudot, Hist. patriar. Alex., p. 288. Se avesse potuto Leone Affricano, prigioniero in Roma, scoprire il menomo avanzo di cristianesimo nell'Affrica, non avrebbe lasciato di dirlo per far la corte al Papa.
430.Absit (diceano i cattolici al Visir di Bagdad) ut pari loco habeas Nestorianos, quorum praeter Arabas nullus alius rex est, et Graecos quorum reges amovendo Arabibus bello non desistunt, etc. V. nelle Raccolte d'Assemani (Bibl. orient., t. IV, p. 94-101) lo stato dei Nestoriani sotto i Califfi. Nella dissertazione preliminare del secondo volume d'Assemani viene esposto più concisamente quello dei Giacobiti.
431.Eutych., Annal., t. II, pag. 384, 387, 388; Renaudot Hist. patr. Alex., p. 205, 206, 257, 332. Il primo di quei patriarchi Greci poteva essere men fedele agli imperatori e men sospetto agli Arabi, professando in qualche punto l'eresia dei Monoteliti.
432.Motadhed, che regnò dall'A. D. 892 sino al 902. Conservavano tuttavia i Magi il lor nome e il grado fra le religioni dell'impero (Assem., Bibl. orient. t. IV, p. 97).
433.Narra Reland le angarie messe dalla legge e dalla giurisprudenza musulmana sopra i cristiani (Dissert., tom. III, p. 16-29). Eutichio (Annal., t. II, p. 448) e il d'Herbelot (Bibl. orient., pag. 640) accennano gli ordini tirannici del Califfo Motawakkel (A. D. 847-861), i quali sono ancora in vigore. Il greco Teofane racconta, e probabilmente esagera, una persecuzione del Califfo Omar II (Chron., p. 334).
434.S. Eulogio, che fu pure una delle vittime, celebra e giustifica i martiri di Cordova (A. D. 850 ec.). Un sinodo convocato dal Califfo censurò in modo equivoco la lor temerità. Il saggio Fleury, usando la solita moderazione, non può accordare la lor condotta colla disciplina dell'antichità: «Pure l'autorità della chiesa ec.». (Fleury, Hist. eccles., t. X, p. 415-522, e particolarmente p. 451-508, 509). Gli atti autentici di questo sinodo spandono una viva luce, benchè passeggera, sullo stato della chiesa di Spagna nel nono secolo.
435.V. l'articolo Eslamiah (noi diciamo cristianità) nella Bibliothèque orientale (p. 325). Questa carta dei paesi soggetti alla religion musulmana è attribuita all'anno dell'Egira 885 (A. D. 995), ed è di Ebn-Alwardi. Le perdite sofferte dal Maomettismo in Ispagna da quel tempo in poi, si sono bilanciate coi conquisti nell'Indie, nella Tartaria e nella Turchia europea.
436.Nel collegio della Mecca s'insegna come lingua morta l'arabo del Corano. Il viaggiator Danese paragona questo antico idioma al latino; la lingua volgare dell'Hejaz e dell'Yemen all'italiano, e i dialetti arabi della Sorìa e dell'Egitto e dell'Affrica ec. al provenzale, allo spagnuolo, e al portoghese (Niebuhr, Descript. de l'Arabie, p. 74 ec.).
437.Teofane ascrive i sette anni dell'assedio di Costantinopoli all'anno 673 dell'Era cristiana (primo settembre 665 dell'Era Alessandrina), e la pace dei Saracini quattro anni dopo; contraddizione manifesta che il Petavio, il Goar e il Pagi (Critica, t. IV, p. 63, 64) si sono ingegnati di togliere. Fra gli Arabi, Elmacin registra l'assedio di Costantinopoli all'anno 52 dell'Egira (A. D. 672, 8 gennaio), e Abulfeda, i calcoli del quale sono a mio giudizio più esatti e più credibile l'asserzione, nell'anno 48 (A. D. 668, 20 febbraio).
438.V. sul primo assedio di Costantinopoli Niceforo (Breviar., p. 21, 22), Teofane (Chronograph., p. 294), Cedreno (Compend., p 437), Zonara (Hist., t. II, l. XII, p. 89), Elmacin (Hist. Saracen., pag. 56, 57), Abulfeda (Annal. Moslem., p. 107, 108, vers. Reiske), d'Herbelot (Biblioth. orient., Constantinah), Ockley (Hist. of the Saracens, v. II, p. 127, 128).
439.Si troverà lo stato e la difesa dei Dardanelli nelle Memorie del Barone di Tott (tom. III, pag 39-97), che era stato inviato per fortificarli contro i Russi. Mi sarei aspettato da un attore de' principali qualche più esatta particolarità: ma pare che egli scriva più per dilettare che per istruire i lettori. Forsechè quando s'accostarono gli Arabi, il ministro di Costantino, come quello di Mustafà, non fosse distratto a trovare due canarini che cantassero precisamente la stessa nota.
440.Demetrio Cantemiro, Hist. de l'empire ottom., p. 105, 106; Ricaut, Etat de l'empire ottom., p. 10, 11; Voyages de Thevenot, part. I, p. 189. I cristiani supponendo che dai Musulmani si confonda frequentemente il martire Abu-Ayub col patriarca Giob, invece di provare l'ignoranza de' Turchi danno a divedere la propria.
441.Teofane, quantunque Greco, è degno di fede per questi tributi (Chronogr., p, 295, 296, 300, 301) che sono, con qualche divario, raffermati dall'istoria araba di Abulfaragio (Dynast., p. 128, ver. del Pocock).
442.La critica di Teofane è giusta ed espressa energicamente, την Ρωμαικην δυναστειαν ακρωτηριασας… πανδεινα κακα πεπονθεν η Ρωμανια υπο των Αραβων μεχρι του νυν, mutilando la dinastia ottomana… la Romania ebbe a sostenere ogni sorta di mali sotto gli Arabi sino a questi giorni (Chronog. p. 302, 303). La serie di quegli avvenimenti si può raccogliere dagli annali di Teofane, e dal compendio del Patriarca Niceforo, p. 22, 24.
443.Queste rivoluzioni sono scritte in uno stile chiaro e schietto nel secondo volume dell'istoria dei Saracini composta da Ockley (p. 233-370). Non solo dagli autori stampati, ma dai manoscritti arabi d'Oxford ha tratto molti materiali; avrebbe potuto cercare là entro molto di più se fosse stato rinchiuso nella biblioteca Bodleiana, invece d'essere nella prigion della città, destino troppo indegno d'un tal uomo e del suo paese.
444.Elmacin, che pone il conio delle monete arabe (A. E. 76, A. D. 695) cinque o sei anni più tardi che gli storici greci, ha confrontato il peso del dinaro d'oro, del maggiore e del comune prezzo, colla dramma o dirhem d'Egitto (p. 77), equivalente a circa due pennies 48 grani del peso inglese (Hooper's Inquiry into ancient measures, p. 24-36), o a circa otto scellini. Si può conchiudere, attenendosi ad Elmacin e ai medici arabi, che v'erano dinari anche del valore di due dirhem, e altri che non valevano che un mezzo dirhem. La moneta d'argento era il dirhem in peso e in valore; ma una bellissima, ancorchè antica, coniata a Waset (A. E. 88), e conservata nella biblioteca Bodleiana, è di quattro grani inferiore al campione del Cairo (V. l'Histoire universelle moderne, t. I, p. 548 della traduzione francese).
445.Και εκωλυσε γραφεσθαι ελληνισι τους δημοσιους των λογοθεσιων κωδικας, αλλ’Αραβιοις αυτα παρασεμαινεσθαι χωρις των ψηφων, επνδη αδυνατον τη εκεινων γλωσση μοναδα, η δυαδα, η τριαδα η οκτω ημισυ η τρια γραφεσθαι, e proibì di scrivere in greco i registri pubblici dei conti, ma d'indicarli in lettere arabe separatamente, poichè era impossibile scrivere l'unità, la dualità, il terno, l'otto e mezzo, o il tre in quella lingua. (Teofane, Chronograph., p. 314). Questo difetto, se v'era realmente, avrà stimolato gli Arabi ad inventare, o a pigliare in prestito un altro metodo.
446.Secondo un nuovo sistema assai probabile, messo in campo dal signor di Villoison (Anecdota Graeca, t. II, p. 152-157), le nostre cifre non furono inventate nè dagli Indiani, nè dagli Arabi, ma erano usate dagli aritmetici greci e latini molto prima del secolo di Boezio. Quando sparvero le lettere dall'occidente, quelle cifre furono adoperate dagli Arabi che traduceano i manoscritti originali, e i Latini le usarono di nuovo verso l'undecimo secolo.
447.Secondo la divisione dei Themi o province descritte da Costantino Porfirogenito (De thematibus; t. I, pag. 9, 10), l'Obsequium, denominazion latina dell'esercito o del palagio, era nell'ordine pubblico il quarto. La metropoli era Nicea che stendea la sua giurisdizione dall'Ellesponto ai paesi addiacienti della Bitinia e della Frigia. (V. le carte che dal Delisle son poste avanti l'Imperium orientale del Banduri).
448.Il Califfo avea mangiato due pannieri d'ova e di fichi, cui divorava alternativamente, e avea finito il pasto con un composto di midolla, e di zuccaro. In una delle sue peregrinazioni alla Mecca mangiò Solimano in una volta diciassette melegranate, un capretto, sei polli, e gran quantità di uve di Tayef. Se la minuta del pranzo del sovrano dell'Asia è veramente esatta, bisogna ammirarne più l'appetito che il lusso (Abulfeda, Annal moslem. p. 128).
449.V. l'articolo di Omar Ben-Abdalaziz, nella Bibliothèque orientale (p. 689, 690); praeferens, dice Elmacin (p. 91), religionem suam rebus suis mundanis. Era tanto ansioso di andare al soggiorno della divinità che fu inteso una volta affermare, che non vorrebbe nemmeno incomodarsi a bagnar di olio l'orecchio per guarire dalla sua ultima malattia. Non avea che una camicia, e, in tempo che il lusso s'era introdotto fra gli Arabi, non ispendeva più di due dramme all'anno (Abulfaragio, p. 131); haud diu gavisus eo principe fuit orbis Moslemus (Abulf., p. 127).
450.Niceforo e Teofane convengono in dire che fu levato l'assedio di Costantinopoli il 15 agosto (A. D. 718). Ma assicurando il primo, che è il più degno di fede, aver durato 13 mesi, si sarà ingannato il secondo asserendo, che cominciò nell'anno precedente nello stesso giorno. Non vedo che il Pagi abbia notata questa contraddizione.
451.Sul secondo assedio di Costantinopoli ho seguito Niceforo (Brev. p. 33-36), Teofane (Chronogr. p. 324-334), Cedreno (Compend., p. 449-452), Zonara (t. II. p. 98-102) Elmacin (Hist. Sarac. p. 88), Abulfeda (Ann. moslem, p. 126), e Abulfaragio (Dynast. p. 130), autore arabo che appaga di più i lettori.
Возрастное ограничение:
12+
Дата выхода на Литрес:
28 сентября 2017
Объем:
540 стр. 1 иллюстрация
Переводчик:
Правообладатель:
Public Domain

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