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CAPITOLO TRE

Da lì ad Ashton fu un viaggio in macchina di soli venti minuti. Erano le 21:20 quando lasciarono la scena del crimine e il traffico del venerdì sera rimaneva ostinato ed estenuante. Mentre uscivano dal peggio per immettersi nella freeway, Kate si accorse che DeMarco era stranamente silenziosa. Se ne stava sul sedile del passeggero, a fissare con aria quasi di sfida fuori dal finestrino il paesaggio urbano che sfilava.

«Tutto bene, laggiù?» chiese Kate.

Senza voltarsi verso Kate, DeMarco rispose subito, chiarendo così che aveva qualcosa per la testa da quando avevano lasciato la scena del crimine.

«Lo so che sei qui da un po’ e che sai come funziona, ma io ho dovuto dare la notizia della morte di un parente solo una volta, in vita mia. Ho odiato farlo. Mi ha fatta sentire orribile. E avrei davvero voluto che ne parlassi con me prima di dire che ce ne saremmo occupate noi.»

«Scusami. Non ci ho neanche pensato. Però in alcuni casi fa parte del lavoro. A rischio di sembrare fredda, è meglio cominciare ad abituarcisi fin dall’inizio. E poi… se stiamo gestendo noi il caso, che senso ha delegare questo incarico infelice a quel povero detective?»

«Comunque… che ne dici di avvisare un minimo su queste cose in futuro?»

Il tono della sua voce era di rabbia, emozione che non aveva mai sentito prima venire da DeMarco – non diretta a lei, almeno. «Okay» disse, e lasciò le cose così.

Percorsero il resto del tragitto all’interno di Ashton in silenzio. Kate aveva lavorato ad abbastanza casi in cui aveva dovuto dare la notizia di una morte da sapere che qualsiasi tensione tra i partner avrebbe reso la faccenda molto, molto peggiore. Però sapeva anche che DeMarco non era tipo da stare a sentire una lezioncina mentre era arrabbiata. Perciò, pensò Kate, magari questa sarebbe stata una cosa che avrebbe imparato vivendola e basta.

Arrivarono alla residenza dei Tucker alle 21:42. Kate non fu per niente sorpresa di vedere che la luce del portico, così come qualsiasi altra luce della casa, era accesa. Dal tipo di abiti di Jack Tucker, era uscito per una corsa mattutina. Il perché però il suo corpo si trovasse in centro presentava molte domande. Tutte quelle domande presumibilmente portavano a una moglie molto preoccupata.

Una moglie preoccupata che sta per scoprire di essere ormai una vedova, pensò Kate. Dio, spero che non abbiano figli.

Kate parcheggiò di fronte alla casa e smontò dalla macchina. DeMarco la imitò, ma più lentamente, come per assicurarsi di far sapere a Kate che non era per nulla contenta di quel particolare dettaglio. Risalirono il vialetto lastricato in pietra verso i gradini e Kate osservò la porta principale aprirsi prima ancora che fossero arrivate al portico.

La donna alla porta le vide e gelò. Sembrava che stesse facendo di tutto per formulare le parole che voleva dire. Alla fine, tutto ciò che riuscì a pronunciare fu: «Chi siete?»

Kate infilò lentamente la mano nella tasca della giacca per prendere il documento d’identità. Prima di essere riuscita a mostrarlo del tutto o a dire il suo nome, la moglie già sapeva. Lo si vide nei suoi occhi e nel modo in cui il suo viso cominciò ad accasciarsi lentamente. E mentre Kate e DeMarco finalmente raggiungevano i gradini del portico, la moglie di Jack Tucker cadde sulle ginocchia sulla soglia e cominciò a piangere.

***

Come si scoprì, i Tucker avevano dei figli. Tre, anzi, di sette, dieci e tredici anni. Erano tutti ancora svegli, lì nel soggiorno mentre Kate faceva del suo meglio per far entrare in casa la moglie – Missy, era riuscita a dire tra pianti e singhiozzi – per farla sedere. La tredicenne si precipitò al fianco della madre mentre DeMarco faceva del suo meglio per tenere gli altri lontani mentre la loro madre accettava la devastante notizia che le era appena stata data.

In un certo qual modo, Kate si accorse che forse aveva davvero corso troppo con DeMarco. I primi venti minuti trascorsi nella casa dei Tucker quella sera furono da mal di stomaco. Riusciva solo a pensare a un altro momento della sua carriera così lacerante. Guardò DeMarco, sia durante che dopo che ebbe cercato di radunare i bambini, e ci vide sprezzo e rabbia. Kate pensò che DeMarco avrebbe potuto avercela con lei per la cosa molto a lungo.

A un certo punto Missy Tucker si accorse che avrebbe dovuto trovare qualcuno che si occupasse dei suoi bambini se voleva cercare di aiutare Kate e DeMarco. Attraverso sottili vagiti chiamò suo cognato, dovendo dare anche a lui la notizia. Vivevano anche loro ad Ashton, e la moglie partì quasi immediatamente per venire a stare con i bambini.

Nello sforzo di dare a Missy e ai figli un po’ di privacy per gestire il dolore, Kate ottenne da Missy il permesso di dare un’occhiata alla casa in cerca di qualsiasi segno di quel che avrebbe potuto dare l’idea che qualcuno volesse uccidere suo marito. Cominciarono dalla camera padronale, perlustrando i comodini dei Tucker e gli articoli privati al suono della famiglia che, di sotto, piangeva.

«Che orrore» disse DeMarco.

«Sì. Scusami, DeMarco. Dico sul serio. Avevo solo pensato che sarebbe stato più facile per tutti i coinvolti.»

«Davvero?» chiese DeMarco. «Lo so che non ti conosco ancora così bene, ma una cosa che so di te è che hai la tendenza a esagerare per metterti addosso più pressione che puoi. È per questo che non riesci a capire lo sforzo, piuttosto semplice, di equilibrare il tuo tempo per il bureau con il tempo per la tua famiglia.»

«Prego?» chiese Kate con una vampata di rabbia.

DeMarco fece spallucce. «Scusa. Però è vero. Avrebbe potuto occuparsene la polizia locale e noi probabilmente saremmo già da qualche altra parte, a indagare.»

«Senza testimoni, la moglie è la nostra scommessa migliore» disse Kate. «È solo che deve gestire la morte del marito. È un orrore per tutti i coinvolti. Ma tu devi superare il tuo disagio. Nel grande schema delle cose, chi è più a disagio adesso? Tu o la nuova vedova in lutto di sotto?»

Kate non fu consapevole del tono alto e irritato fino a che non le uscirono di bocca le ultime parole. DeMarco la fissò male per un momento prima di scuotere la testa come una teenager viziata senza contestazioni da presentare, e lasciò la stanza.

Quando uscì dalla stanza anche Kate, vide che DeMarco stava guardando un ufficio e una minuscola biblioteca appena in fondo al corridoio. Kate la lasciò a lei, scegliendo di uscire in cerca di indizi. Non si aspettava di trovare nulla facendo il giro della casa, ma sapeva che sarebbe stato irresponsabile non fare tutti quei passaggi di routine.

Di nuovo all’interno, vide che erano arrivati il fratello di Jack Tucker e sua moglie. Il fratello e Missy si tenevano in un abbraccio tremante mentre la moglie era in ginocchio dai bambini e li abbracciava tutti. Kate vide che la tredicenne – una ragazzina che somigliava tantissimo al padre – aveva uno sguardo vuoto in viso. Vedendolo, non biasimò DeMarco perché era arrabbiata con lei.

«Agente Wise?»

Kate si voltò quando stava per tornare su per le scale e vide Missy percorrere il corridoio nella sua direzione. «Sì?»

«Se dobbiamo parlare, facciamolo subito. Non so quanto ancora riuscirò a non andare a pezzi.» Stava già ricominciando a emettere piccoli gemiti e lamenti. Dato che la notizia della morte del marito era vecchia di appena un’ora, Kate la ammirò per la sua forza.

Missy non disse altro, ma salì le scale con un rapido sguardo all’indietro verso il soggiorno dove erano riuniti i bambini e i parenti. DeMarco le raggiunse dal bagno di sopra, dove stava controllando l’armadietto dei medicinali, e le tre andarono nella camera padronale – la camera che Kate e DeMarco avevano già controllato.

Missy sedette sul bordo del letto come una donna che si risveglia da un bruttissimo incubo solo per accorgersi che l’incubo era ancora in corso.

«Prima mi avete chiesto perché si trovava a New York City» disse. «Jack lavorava come senior accountant per un’azienda piuttosto grossa – la Adler and Johnson. Lavorano giorno e notte alla modernizzazione di un’azienda di smantellamento degli impianti nucleari della Carolina del Sud. Nelle ultime notti restava in centro.»

«Si aspettava che stasera tornasse o pensava che avrebbe dormito in un hotel?» chiese DeMarco.

«Ci ho parlato circa alle sette di stamattina, prima che uscisse per la corsa mattutina. Ha detto non solo che aveva in programma di essere a casa oggi, ma probabilmente anche sul presto – verso le quattro o giù di lì.»

«Presumo che lei si sia messa a chiamarlo o scrivergli a un certo punto, quando si è accorta che stava tardando, giusto?» chiese Kate.

«Sì, ma non prima delle sette, più o meno. Quando quelli lì si buttano sul lavoro, il tempo finisce fuori dalla finestra.»

«Signora Tucker, sull’omicidio di suo marito è stato chiamato a indagare l’FBI perché la situazione riflette i dettagli e le circostanze di un caso di otto anni fa. La vittima era un altro uomo che viveva qui ad Ashton, ucciso anche lui a New York» spiegò Kate. «Non c’è nessuna prova solida a supportarlo, però è abbastanza da aver allarmato il bureau. Quindi è molto importante che cerchi di pensare a persone di cui suo marito potrebbe essere diventato il nemico.»

Kate capì che Missy ancora una volta stava combattendo le lacrime. Mandò giù il bisogno di lasciar uscire il dolore, cercando di farcela.

«Non riesco a pensare a nessuno. Non lo dico perché lo amo, ma era estremamente gentile. A parte qualche piccola discussione al lavoro, penso che non abbia mai avuto una discussione accesa in tutta la sua vita.»

«E i suoi amici intimi?» chiese Kate. «Ci sono degli amici con cui usciva, uomini in particolare, che potrebbero aver visto un lato diverso di suo marito?»

«Be’, faceva un po’ lo scemo col suo gruppo di amici dello yacht club, però non penso che lo descriverebbero in modo negativo.»

«Ha i nomi di alcuni di questi amici con cui potremmo parlare?» chiese DeMarco.

«Sì. Aveva un gruppetto… lui e altri tre. Si vedono allo yacht club o al cigar bar e guardano lo sport. Più che altro il football.»

«Per caso sa se qualcuno di loro ha dei nemici, o persone che si potrebbero considerare tali?» chiese DeMarco. «Persino ex mogli gelose o parenti con cui non hanno più gran rapporti.»

«Non lo so. Non li conosco così bene e…»

Il suono di singhiozzi incontrollabili dal piano di sotto la interruppe. Missy guardò in direzione della porta della camera con un cipiglio che fece male al cuore di Kate.

«È Dylan, il mio secondo figlio. Lui e suo padre erano…»

Si fermò lì, il labbro che tremava mentre cercava di riprendersi.

«Non c’è problema, signora Tucker» disse DeMarco. «Vada dai suoi figli. Abbiamo abbastanza per cominciare.»

Missy si alzò rapida e si precipitò alla porta, cominciando già a piangere. DeMarco le andò dietro lentamente, lanciando un’occhiata rabbiosa a Kate. Kate rimase nella camera un attimo di più, riprendendosi dalle sue emozioni. No, quella parte del lavoro non si svolgeva mai davvero facilmente. E il fatto che avessero ottenuto così poche informazioni dalla visita la rendeva anche peggio.

Finalmente tornò in corridoio, capendo perché DeMarco ce l’avesse con lei. Cavolo, anche lei era un po’ arrabbiata con se stessa.

Kate scese di sotto e puntò alla porta. Vide che DeMarco stava già montando in macchina, asciugandosi con le mani le lacrime dagli occhi. Kate chiuse la porta dolcemente dietro di sé, col dolore e il pianto della famiglia Tucker che la spingevano come un usciere che la conduceva sempre più in profondità in un caso che sembrava già perso.

CAPITOLO QUATTRO

Per le nove del mattino seguente, la notizia dell’assassinio di Jack Tucker aveva cominciato a fare il giro di Ashton. Fu la ragione principale per cui fu così facile per Kate e DeMarco mettersi in contatto con gli amici di Jack – di cui Missy la sera precedente aveva dato loro i numeri e i nomi. Non solo gli amici avevano già sentito la notizia, ma avevano cominciato a organizzarsi per aiutare Missy e i bambini durante il lutto.

Dopo qualche rapida telefonata, Kate e DeMarco avevano organizzato un incontro con i tre amici di Jack allo yacht club. Era un sabato, perciò il parcheggio stava già cominciando a riempirsi, persino alle nove del mattino. Il club si trovava proprio lungo il Long Island Sound e aveva quella che Kate pensava fosse probabilmente la miglior vista del canale senza avere in mezzo tutto il pretenzioso traffico delle barche.

Il club di per sé era un edificio a due piani che sembrava quasi in stile coloniale, con una piega moderna, in particolare negli esterni e nei giardini. Kate venne accolta da un uomo che stava già sulle porte. Indossava una semplice camicia button-down e un paio di pantaloni cachi – probabilmente quel che passava per un casual da weekend per il socio di uno yacht club del genere.

«È lei l’agente Wise?» chiese.

«Sì. E lei è la mia partner, l’agente DeMarco.»

DeMarco fece solo un cenno del capo, la rabbia e l’amarezza della sera precedente ancora molto presenti. Quando il giorno prima si erano separate all’hotel, DeMarco non aveva detto neanche una parola. Era però riuscita a dire un semplice “buongiorno” durante la veloce colazione, ma non era andata più in là.

«Sono James Cortez» disse l’uomo. «Ho parlato con lei al telefono stamattina. Gli altri sono fuori sulla veranda, pronti e in attesa, con i caffè.»

Le accompagnò attraverso il club, dagli alti soffitti e caldi ambienti incredibilmente affascinanti. Kate si chiese quanto costasse essere membro di quel posto per un anno. Di sicuro era fuori dalle sue possibilità. Quando uscirono sulla veranda che dava sul Long Island Sound, ne fu certa. Era bellissima, dava direttamente sull’acqua con le alte forme e la foschia della città sull’altro lato.

C’erano altri due uomini seduti al tavolino in legno che ospitava un piatto di pasticcini e bagel e una caraffa di caffè. Entrambi alzarono lo sguardo sulle agenti e si misero in piedi per salutarle. Uno sembrava piuttosto giovane, sicuramente non superava i trent’anni, mentre James Cortez e l’altro uomo arrivavano facilmente ai quarantacinque.

«Duncan Ertz» disse il più giovane allungando la mano.

Kate e DeMarco strinsero le mani agli uomini durante il breve giro di presentazioni. Il più vecchio era Paul Wickers, appena andato in pensione dal suo lavoro di intermediario finanziario e più che disposto a parlarne, dato che fu la seconda cosa che gli uscì di bocca.

Kate e DeMarco presero posto al tavolo. Kate prese una delle tazze vuote di caffè e la riempì, alterandolo con lo zucchero e la crema disposti accanto al piatto di pasticcini della colazione.

«Duole pensare alla povera Missy e a quei bambini stamattina» disse Duncan dando un morso a un danese.

Kate ricordò il trauma della sera precedente, e sentì di aver bisogno di controllare come stesse la poverina. Guardò DeMarco all’altro capo del tavolo e si chiese se fosse così anche per lei. Lontana dalla situazione, Kate stava cominciando a capire che forse DeMarco l’aveva presa così male per via di qualcosa del suo passato – qualcosa che ancora non aveva superato.

«Be’» disse Kate «Missy ha specificatamente menzionato voi come i più intimi di Jack al di fuori della famiglia. Speravo di saperne un po’ di più sul tipo di uomo che era fuori dalla casa e dal lavoro.»

«Be’, il punto è questo» disse James Cortez. «A quel che so, Jack era lo stesso uomo a prescindere da dove si trovasse. Una persona giusta e onesta. Un animo gentile che voleva sempre aiutare gli altri. Se aveva dei difetti, direi che era un po’ troppo preso dal lavoro.»

«Raccontava sempre barzellette» disse Duncan. «La maggior parte delle volte non facevano ridere, però adorava raccontarle.»

«Questo è sicuro» disse Paul.

«Non c’erano segreti di cui vi ha parlato?» chiese DeMarco. «Magari una relazione extraconiugale, o persino pensieri in merito?»

«Dio, no» disse Paul. «Jack Tucker era follemente innamorato di sua moglie. Mi sento sicuro a dire che quell’uomo amava tutto della sua vita. Moglie, figli, lavoro, amici…»

«È per questo che non ha senso» disse James. «Lo dico nel modo più rispettoso possibile, ma da una prospettiva esterna Jack era un tipo piuttosto standard. Noioso, quasi.»

«Idee se possa essere stato collegato alla vittima di un omicidio avvenuto otto anni fa?» chiese Kate. «Un tizio di nome Frank Nobilini, che viveva anche lui ad Ashton ed è stato ucciso a New York.»

«Frank Nobilini?» disse Duncan Ertz scuotendo il capo.

«Sì» disse James. «Lavorava per quell’immensa agenzia pubblicitaria che fa tutti i lavori per le scarpe da ginnastica. Sua moglie era Jennifer… tua moglie probabilmente la conosce. Una signora gentile. Nei progetti di abbellimento della comunità, ed è molto attiva nell’associazione genitori insegnanti e cose così.»

Ertz si strinse nelle spalle. Apparentemente era il nuovo del gruppo e non ne sapeva niente.

«Pensate che l’omicidio di Jack sia collegato a quello di Nobilini?» chiese Paul.

«È decisamente troppo presto per saperlo» disse Kate. «Però, data la sua natura, dobbiamo esaminarlo da quel punto di vista.»

«Per caso qualcuno di voi conosce i nomi di qualcuno con cui lavorava Jack?» chiese DeMarco.

«Ci sono solo due persone sopra di lui» disse Paul. «Uno è un tizio di nome Luca. Vive in Svizzera e viene qui tre o quattro volte l’anno. L’altro è uno del posto di nome Daiju Hiroto. Sono piuttosto sicuro che sia il supervisore degli uffici newyorchesi della Adler and Johnson.»

«Stando a Jack» disse Duncan «Daiju è il tipo di persona che praticamente vive al lavoro.»

«Era comune per Jack dover lavorare nel weekend?» chiese Kate.

«Di tanto in tanto» disse James. «Di recente l’ha fatto molto, a dire il vero. Sono nel bel mezzo di un grosso lavoro per tirar fuori dai guai un’azienda di smantellamento di impianti nucleari. L’ultima volta che ho parlato con Jack ha detto che se avessero sistemato tutto in tempo, sarebbero potuti venir fuori molti soldi dalla cosa.»

«Scommetto dei bei bigliettoni che troverete quasi tutto il gruppo al lavoro oggi» disse Paul. «Potrebbero essere in grado di dirvi cose di cui noi non siamo al corrente.»

DeMarco fece scivolare uno dei suoi biglietti da visita verso James Cortez e poi prese un danese alla ciliegia dal piatto davanti a loro. «Per favore, chiamateci se nel corso dei prossimi giorni vi viene in mente altro.»

«E magari tenete l’idea del caso di otto anni fa per voi» disse Kate. «L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è che i residenti di Ashton si facciano prendere dall’ansia.»

Paul annuì, percependo che stava parlando direttamente a lui.

«Grazie, signori» disse Kate.

Bevve un altro lungo sorso di caffè e lasciò gli uomini alla loro tranquilla colazione. Lanciò un’occhiata verso il rumore delle barche a vela che lentamente venivano rilasciate in acqua, come strattonandosi dietro l’inizio del weekend.

«Recupero l’indirizzo dell’ufficio di Jack Tucker alla Adler and Johnson» disse DeMarco prendendo il telefonino. E persino lì il suo tono fu distante e freddo.

Io e lei dovremo chiarire la cosa prima che ci sfugga di mano, pensò Kate. Certo, lei è cazzuta, ma se dovrò metterla al suo posto non esiterò di certo.

***

Gli uffici della Adler and Johnson si trovavano in uno dei più eleganti palazzoni di Manhattan. Si trovavano al pianterreno e al primo piano di un edificio che ospitava anche uno studio legale, uno sviluppatore di applicazioni per cellulari e una piccola agenzia letteraria. Come si scoprì, Paul Wickers aveva detto il vero; la maggior parte della squadra con cui aveva lavorato Jack Tucker era in ufficio. Lo spazio di lavoro odorava di caffè forte, e anche se c’era un gran senso di operosità tra le otto persone che stavano lavorando, c’era anche un umore tetro.

Daiju Hiroto venne loro incontro subito, e le scortò nel suo ampio ufficio. Sembrava un uomo lacerato – forse tra la necessità di terminare in tempo quel massiccio progetto e la reazione umana alla morte di un collega e amico.

«Ho saputo la notizia stamattina» disse Hiroto da dietro la sua grande scrivania. «Sono al lavoro dalle sei di stamattina e una nostra dipendente – Katie Mayer – è entrata con la notizia. Eravamo quindici al momento e ho dato loro l’opzione di prendersi il weekend libero. Sei persone hanno pensato che fosse meglio andarsene per rendere omaggio.»

«Se non avesse avuto la squadra da supervisionare, avrebbe fatto lo stesso?» chiese Kate.

«No. È una risposta egoistica, ma il lavoro deve essere finito. Abbiamo due settimane per terminare tutto e siamo un po’ indietro. E se non ce la facciamo finiscono a rischio i posti di lavoro di più di cinquanta persone.»

«Del suo team chi pensa che conoscesse meglio Jack?» chiese Kate.

«Probabilmente io. Io e Jack abbiamo lavorato molto insieme su molti grossi progetti negli ultimi dieci anni circa. Abbiamo viaggiato per tutto il mondo insieme e ci siamo fatti nottate e riunioni di cui il resto del team non era neanche al corrente.»

«Però ha detto che qualcun altro ha saputo prima della sua morte» disse DeMarco.

«Sì, Katie. Vive ad Ashton ed è una buona amica della moglie di Jack.»

Kate voleva dire qualcosa su quanto sembrasse un po’ offensivo che Hiroto non concludesse lì la giornata in modo che lui, così come gli altri che erano responsabilmente rimasti, potessero piangere la morte di Jack. Ma conosceva i demoni che a volte guidavano uomini posseduti dal loro lavoro e sapeva che giudicare non stava a lei.

«In tutto il tempo che ha trascorso con Jack, ha mai saputo che avesse dei segreti?» chiese DeMarco.

«Non me ne vengono in mente. E, nel caso, apparentemente non ero una persona a cui desiderava raccontarli. Ma, detto tra noi, trovo difficilissimo credere che Jack avesse una vita segreta. Era sulla retta via, sapete? Un bravo ragazzo. Educato.»

«Quindi non le viene in mente nessuna ragione per cui qualcuno avrebbe potuto volerlo uccidere?» chiese Kate.

«No. È un’idea folle.» Si fermò lì e guardò il resto della sua squadra attraverso le pareti in vetro del suo ufficio. «Ed è successo qui in centro?» chiese.

«Sì. Non l’ha chiamato quando si è accorto che non era arrivato?»

«Oh, sì. Molte volte. Quando per mezzogiorno circa non aveva risposto, ho lasciato perdere. Jack è sempre stato molto sveglio, molto intelligente. Se aveva bisogno di qualche ora per allontanarsi – cosa che di tanto in tanto faceva – gliele lasciavo.»

«Signor Hiroto, le spiacerebbe se parlassimo con alcuni degli altri, qui?» chiese Kate facendo un cenno all’altro lato della parete in vetro.

«Si figuri. Fate pure.»

«E potrebbe recuperare le informazioni di contatto di quelli che hanno deciso di andarsene?» chiese DeMarco.

«Certo.»

Kate e DeMarco si avventurarono fuori nella sala fatta di cubicoli, ampie scrivanie e ricco caffè. Ma ancor prima di parlare con una sola persona, Kate ebbe un’impressione abbastanza buona che avrebbero ottenuto più o meno lo stesso. Quando più di una persona descriveva qualcun altro come molto sincero e tranquillo, di solito veniva fuori che era vero.

Nel giro di quindici minuti avevano parlato con gli otto dipendenti al momento in ufficio. Kate aveva avuto ragione; tutti avevano descritto Jack come una persona dolce, gentile, uno che non creava problemi. E per la seconda volta in quella mattina qualcuno si era riferito a Jack Tucker come a una persona noiosa – ma in modo buono, non offensivo.

Nei recessi della mente, Kate sentì rimestarsi qualcosa, un ricordo o un modo di dire che aveva sentito da qualche parte nelle strade percorse in vita sua. Qualcosa sullo stare attenti a una moglie, o a un coniuge, annoiati – la noia poteva farli scattare. Ma non le veniva in mente.

Dopo essersi fermate nell’ufficio di Hiroto un’ultima volta per farsi dare la lista delle persone che avevano deciso di andarsene, Kate e DeMarco tornarono fuori nel meraviglioso sabato mattina di New York. Pensò alla povera Missy Tucker, sotto il peso di quella bellissima giornata, che cercava di adattarsi alla vita che, almeno per un po’, poteva non sembrare per niente bella.

***

Trascorsero il resto della mattinata in visita a chi aveva deciso di andarsene dal lavoro. Si imbatterono in molte lacrime e persino in qualcuno di arrabbiato che un uomo innocente e gentile come Jack Tucker fosse stato assassinato. Fu esattamente lo stesso che parlare con chi era rimasto in ufficio, solo meno opprimente.

Parlarono con l’ultima persona – un uomo che si chiamava Jerry Craft – poco dopo l’ora di pranzo. Arrivarono a casa sua mentre Jerry stava montando in macchina. Kate parcheggiò nel vialetto dietro di lui, cogliendo uno sguardo irritato. Smontò dall’auto mentre Jerry Craft si avvicinava. Aveva gli occhi rossi e sembrava piuttosto triste.

«Scusi il disturbo» disse Kate mostrando il documento. DeMarco le si mise accanto e fece lo stesso. «Siamo le agenti Wise e DeMarco, FBI. Speravamo che avesse il tempo di parlare con noi di Jack Tucker.»

L’irritazione lasciò rapidamente il viso di Jerry e lui annuì e si sostenne al retro della sua auto.

«Non so che cosa potrei dirvi oltre a ciò che sicuramente avete già sentito da chiunque altro. Presumo che abbiate parlato col signor Hiroto e con gli altri in ufficio, no?»

«Sì» disse Kate. «Adesso stiamo parlando con chi oggi se n’è andato – dato che parrebbe che avessero un rapporto più intimo con Jack.»

«Non so se sia necessariamente vero» disse Jerry. «C’erano solo pochi di noi che si trovavano fuori dal lavoro. E Jack di solito non era tra questi. Alcuni probabilmente hanno accettato l’offerta di Hiroto solo per prendersi un giorno libero.»

«Qualche idea su perché Jack non si facesse vedere al di fuori delle ore lavorative?» chiese DeMarco.

«Nessuna ragione, non credo. Jack era un tipo casalingo, sapete? Nel tempo libero preferiva starsene a casa con sua moglie e i suoi figli. Il lavoro gli faceva fare orari assurdi già così – non ha senso trovarsi al bar con le stesse persone con cui si è appena usciti da lavoro. Amava la sua famiglia, sapete? Faceva sempre cose stravaganti per i compleanni e gli anniversari. Parlava sempre dei figli al lavoro.»

«Quindi pensa anche lei che avesse una vita perfetta?» chiese Kate.

«Così sembrava. Anche se, in realtà, può qualcuno avere una vita perfetta? Cioè, persino Jack aveva delle tensioni con sua madre, a quel che so. Ma non ce le abbiamo tutti?»

«Come mai?»

«Niente di grosso. C’è stato quest’unico giorno al lavoro in cui l’ho sentito parlare con sua moglie al telefono. Era andato fuori sulla tromba delle scale per un po’ di privacy, ma stavo usando una delle vecchie postazioni di lavoro proprio vicino alla porta delle scale. Sono rimasto colpito, perché è stata l’unica volta che l’ho sentito parlare con sua moglie o di lei senza altro che felicità nella voce.»

«Ed era una conversazione sulla madre di Jack?» chiese Kate.

«Ne sono piuttosto sicuro. Quando è tornato l’ho un po’ preso in giro, ma lui non era dell’umore di stare agli scherzi.»

«Sa qualcosa dei suoi genitori?» chiese Kate.

«No. Come ho detto, Jack era un ragazzo fantastico, ma non lo definirei un amico.»

«Dove stava andando in questo momento?» chiese DeMarco.

«Stavo andando a prendere dei fiori per la sua famiglia per poi lasciarli a casa loro. Ho visto sua moglie e i suoi figli qualche volta alle feste di Natale e ai barbecue aziendali, cose così. Una bellissima famigliola. È davvero un peccato quel che è accaduto. Mi fa stare un po’ male, sapete?»

«Be’, non la tratteniamo oltre» disse Kate. «Grazie, signor Craft.»

Di nuovo in macchina, Kate uscì dal vialetto di Jerry e disse «Ti va di recuperare le informazioni sulla madre di Jack?»

«Ci sono» disse DeMarco un po’ freddamente.

Kate si ritrovò di nuovo a lottare per starsene tranquilla. Se DeMarco aveva intenzione di estendere la sua piccola irritazione per gli eventi della sera precedente, era una sua scelta. Kate di sicuro non avrebbe permesso che la cosa avesse delle conseguenze sui progressi che stava facendo sul caso.

Nello stesso tempo, si ritrovò anche a dover trattenere un sorriso ironico. Aveva trascorso così tanto tempo a flagellarsi, a chiedersi se la sua nuova posizione la stesse tenendo lontana o meno dalla sua famiglia, ed eccola lì, a lavorare con una donna che a volte le ricordava Melissa così tanto da far paura. Pensò a Melissa e Michelle mentre DeMarco veniva sbattuta da un dipartimento all’altro del bureau, in cerca delle informazioni sulla madre di Jack Tucker. Pensò a come si era comportata e aveva agito Melissa quando lei, Kate, era stata così rapita dal caso Nobilini. Erano stati otto anni prima; Melissa ne aveva ventuno, era ancora leggermente ribelle e piuttosto contraria a tutto ciò che sua madre desiderava per lei. C’era stato un lasso di tempo in cui Melissa si era tinta i capelli di viola. A dire il vero stava piuttosto bene, ma Kate non era mai riuscita a costringersi a dirlo ad alta voce. Era stato un periodo provante delle loro vite, anche se suo marito Michael era ancora vivo e presente per fare il genitore di Melissa mentre lei cresceva.

«Questo è interessante» disse DeMarco trascinando Kate fuori dal suo viaggetto nella strada dei ricordi. Stava mettendo giù il telefono e guardava in avanti con un baluginio di entusiasmo negli occhi.

«Che cosa è interessante?» chiese Kate.

«La madre di Jack è una certa Olivia Tucker. Sessantasei anni, vive nel Queens. Una storia immacolata dal punto di vista penale, ma con una macchiolina.»

«Qual è la macchiolina?»

«Hanno chiamato la polizia a causa sua, due anni fa. La telefonata è stata fatta da Missy Tucker, la stessa notte in cui Olivia Tucker ha cercato di violare il suo domicilio.»

299 ₽
Возрастное ограничение:
0+
Дата выхода на Литрес:
15 апреля 2020
Объем:
231 стр. 2 иллюстрации
ISBN:
9781640297128
Правообладатель:
Lukeman Literary Management Ltd
Формат скачивания:
epub, fb2, fb3, ios.epub, mobi, pdf, txt, zip

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