Читать книгу: «Prima Che Afferri La Preda », страница 2

Шрифт:

CAPITOLO TRE

Il lavoro le offrì solo qualche ora di distacco. Nonostante Mackenzie si fosse trattenuta oltre l’orario per aiutare Harrison con un caso di frode azionaria a cui stava lavorando, alle sei era fuori dall'edificio. Quando arrivò all'appartamento alle 6:20, trovò Ellington ai fornelli. Non cucinava spesso e quando lo faceva, di solito era perché aveva non aveva niente di meglio da fare.

"Ehi”, disse, alzando lo sguardo da una pentola che conteneva delle verdure saltate.

"Ehi”, disse lei di rimando, posando la borsa del portatile sul divano e andando in cucina. “Scusa se me ne sono andata a quel modo."

"Non c'è bisogno di scusarti."

"Invece sì. È stato immaturo da parte mia. E ad essere sincera non so perché mi faccia arrabbiare tanto. Sono più preoccupata di perderti come partner di quanto non lo sia per le possibili conseguenze sul tuo curriculum professionale. Ti rendi conto?"

Ellington si strinse nelle spalle. “Ha senso."

"Dovrebbe, ma non è così" ribatté lei. “Non riesco a pensare a te che baci un'altra donna, soprattutto non in quel modo. Anche se tu eri ubriaco e anche se è stata lei a iniziare, non ti ci vedo proprio. E mi fa venir voglia di uccidere quella donna, lo sai?”

"Mi dispiace da morire”, disse. “È una di quelle cose nella vita che vorrei poter cancellare. Una di quelle cose che pensavo fosse ormai archiviata nel passato.”

Mackenzie gli si avvicinò da dietro e con esitazione gli avvolse le braccia intorno alla vita. “Stai bene?" gli chiese.

"Sono solo incazzato. E imbarazzato.”

Una parte di Mackenzie temeva che non le stesse raccontando tutta la verità. C'era qualcosa nella sua postura, qualcosa nel modo in cui non riusciva a guardarla negli occhi quando ne parlava. Voleva pensare che fosse semplicemente perché non era facile essere accusati di qualcosa del genere, dover ricordare qualcosa di stupido che hai fatto in passato.

Onestamente, non era sicura di cosa credere. Da quando lo aveva visto passare davanti alla porta dell'ufficio con lo scatolone tra le mani, i suoi pensieri verso di lui erano confusi più che mai.

Fece per offrirsi di aiutarlo a cucinare, nella speranza che un po’ di normalità potesse aiutarli a rimettersi in carreggiata; ma prima che le parole le uscissero di bocca, il suo cellulare squillò. Constatò con sorpresa e un po’ di preoccupazione che era McGrath.

"Scusa”, disse a Ellington, mostrandogli il display. “Probabilmente è meglio se rispondo."

"Forse vuole chiederti se ti sei mai sentita molestata sessualmente da me" commentò in tono pungente.

"Ne ha già avuto l’occasione, oggi" replicò lei prima di allontanarsi dai rumori sfrigolanti della cucina per rispondere al telefono.

"Pronto, qui White”, disse parlando in modo quasi meccanico, come tendeva a fare quando rispondeva a una chiamata di McGrath.

"White", disse. “È già a casa?"

"Sì, signore."

"Ho bisogno che torni qui. Devo parlarle in privato. Sarò nel parcheggio. Livello due, fila D.”

"Signore, si tratta di Ellington?"

"Agente White, mi raggiunga il più velocemente possibile.”

Concluse la chiamata, lasciando il cellulare di Mackenzie muto. Lei lo mise in tasca lentamente, guardando di nuovo verso Ellington. Stava togliendo la padella dal fornello, dirigendosi verso il tavolo nella piccola sala da pranzo.

"Dovrò portarmene un po’ da mangiare fuori" disse indicando il cibo.

"Dannazione. Riguarda me?”

"Non me l’ha voluto dire" disse Mackenzie. “Ma non credo. Si tratta di qualcos’altro. Vuole parlarmi in privato.”

Non era sicura del perché, ma non gli riferì di doversi incontrare con lui nel parcheggio sotterraneo. Ad essere onesti, l’idea non le piaceva. Tuttavia, prese una ciotola dal mobile, ci versò un po’ della cena di Ellington e gli diede un bacio sulla guancia. Era chiaro a entrambi che quel gesto fosse meccanico e forzato.

"Tienimi aggiornato", disse Ellington. “E fammi sapere se hai bisogno di qualcosa."

"Certo”, disse lei.

Rendendosi conto che non aveva ancora rimosso la fondina e Glock, andò direttamente verso la porta. E fu solo quando fu di nuovo fuori nel corridoio che si rese conto di sentirsi davvero sollevata di essere stata chiamata.

***

Doveva ammettere che le sembrava un cliché procedere lentamente lungo il livello 2 del parcheggio di fronte al quartier generale. Incontrarsi nei sotterranei era roba da polizieschi di serie B. E di solito nei telefilm gli incontri segreti di quel genere finivano con una scena d’azione.

Individuò la macchina di McGrath e parcheggiò la propria a pochi passi di distanza. Chiuse a chiave e si diresse verso il punto in cui McGrath stava aspettando. Senza alcun invito formale a farlo, raggiunse la porta laterale del passeggero, l'aprì e salì.

"Ok”, disse lei. “Tutta questa segretezza mi sta uccidendo. Cosa c'è che non va?"

"Non c’è niente che non vada di per sé" fece Mcgrath. “Ma abbiamo un caso a circa un'ora di distanza da qui, in una piccola città chiamata Kingsville. La conosci?"

"Ne ho sentito parlare, ma non ci sono mai stata".

"È una cittadina di provincia, un posto sperduto al di fuori del caos dell’interstatale di Washington" spiegò Mcgrath. “Ma in realtà potrebbe non trattarsi affatto di un caso. È quello che voglio che lei vada a verificare.”

"D’accordo” disse lei. “Ma perché non potevamo incontrarci nel suo ufficio?"

"Perché la vittima è il nipote del vicedirettore. Ventidue anni. Sembra che qualcuno l'abbia buttato giù da un ponte. La polizia locale di Kingsville dice che probabilmente è solo un suicidio, ma il vicedirettore Wilmoth vuole esserne sicuro.”

"Ha qualche motivo per credere che sia stato un omicidio?" volle sapere Mackenzie.

"Beh, è il secondo corpo che è stato trovato in fondo a quel ponte negli ultimi quattro giorni. Probabilmente è un suicidio, se vuole la mia opinione. Ma l'ordine mi è stato trasmesso circa un'ora fa, direttamente da Wilmoth. Lui vuole saperlo con certezza. E vuole anche essere informato il prima possibile e preferirebbe che la cosa restasse confidenziale. Ecco perché le ho chiesto di incontrarmi qui piuttosto che nel mio ufficio. Se qualcuno vedesse che ci incontriamo fuori dagli orari d’ufficio, penserebbe che si tratta di quello che sta succedendo a Ellington, oppure che abbia un incarico speciale per lei.”

"Allora... vado a Kingsville, capisco se è stato un suicidio o un omicidio, e poi faccio rapporto?"

"Sì. E a causa dei recenti eventi con Ellington, dovrà agire da sola. Il che non dovrebbe essere un problema, poiché mi aspetto che tornerà stasera stessa con la notizia che è stato un suicidio.”

"Ho capito. Quando posso partire?”

"Subito" disse McG. “Chi ha tempo non aspetti tempo, no?"

CAPITOLO QUATTRO

Mackenzie scoprì che McGrath non aveva esagerato quando aveva descritto Kingsville, Virginia, come un posto sperduto. La cittadina sorgeva nascosta tra Deliverance e Amityville. Emanava un'atmosfera rurale inquietante, ma con il fascino rustico che la maggior parte della gente probabilmente si aspettava dalle piccole città del sud.

Quando arrivò sulla scena del crimine si era fatta notte. Il ponte apparve poco a poco all’orizzonte, mentre Mackenzie guidava con cautela lungo uno stretto vicolo sterrato, che non era di proprietà dello Stato, ma che non era nemmeno completamente chiuso al pubblico. Tuttavia, quando si trovò a meno di cinquanta metri dal ponte, vide che la polizia di Kingsville aveva sistemato una fila di cavalletti per impedire a chiunque di proseguire.

Parcheggiò accanto ad alcune macchine della polizia locale e poi uscì nella notte. Erano stati installati dei riflettori, che illuminavano la ripida sponda, fino al lato destro del ponte. Fece per avviarsi, quando un poliziotto dall'aspetto giovane uscì da una delle auto.

"Agente White?" chiese l'uomo, con un forte accento meridionale.

"Sì, sono io” confermò.

"Perfetto, può passare. Forse sarebbe più facile attraversare il ponte e scendere dall'altra parte dell'argine. Qui è troppo ripido.”

Grata per il suggerimento, Mackenzie attraversò il ponte. Tirò fuori la sua torcia tascabile e ispezionò l'area mentre procedeva. Il ponte era piuttosto vecchio, sicuramente chiuso al traffico ormai da tempo. Sapeva che c'erano molte strutture simili sparse per la Virginia e il West Virginia. Quel ponte, chiamato Miller Moon Bridge stando alle informazioni trovate su Google durante i semafori rossi, era in piedi dal 1910 ed era stato chiuso al pubblico nel 1969. E anche se quella era l'unica informazione era stata in grado di ottenere, adesso poteva scoprire maggiori dettagli.

Non c'erano molti graffiti lungo il ponte, ma la quantità di spazzatura era notevole. Bottiglie di birra, lattine di soda e sacchetti vuoti di patatine erano gettati ai margini del ponte, spinti contro i bordi di metallo che sostenevano le sbarre di ferro. Il ponte non era affatto lungo, doveva essere una settantina di metri, giusto la distanza necessaria per superare i ripidi argini e il fiume sottostante. Sembrava robusto sotto i suoi piedi, ma la struttura era esile, per così dire. Mackenzie era pienamente consapevole del fatto che stava camminando su semplici assi di legno a quasi sessanta metri di altezza.

Proseguì verso la fine del ponte, scoprendo che il poliziotto aveva avuto ragione. Il terreno era molto meno scosceso da quella parte. Con l'aiuto della torcia, vide un sentiero battuto che si snodava attraverso l'erba alta. L'argine scendeva con un’inclinazione ad angolo retto, ma c'erano zone in piano e rocce sporgenti qua e là che facilitavano alquanto la discesa.

"Ehi, ferma lì" disse una voce maschile dal basso. Mackenzie guardò in avanti, verso il bagliore dei riflettori, e vide un'ombra emergere e avanzare verso di lei. “Chi sei?" fece ancora l'uomo.

"Mackenzie White, FBI” disse Mackenzie, prendendo il tesserino.

L’uomo a cui apparteneva l’ombra apparve qualche istante dopo. Era un signore con una folta barba. Indossava un'uniforme della polizia, con il distintivo sul petto che lo identificava come lo sceriffo di Kingsville. Dietro di lui, Mackenzie intravedeva le sagome di altri quattro ufficiali. Uno di loro stava scattando foto muovendosi lentamente nell'ombra.

"Oh, wow”, commentò lo sceriffo. “Avete fatto presto." Aspettò che Mackenzie si avvicinasse e poi le tese la mano. Stringendogliela, si presentò: “Sono lo sceriffo Tate. Piacere di conoscerla.”

"Piacere mio” disse Mackenzie, dopo aver raggiunto la zona in piano in fondo alla discesa.

Si prese un momento per studiare la scena, illuminata dai riflettori che erano stati sistemati in modo strategico lungo i fianchi dell'argine. La prima cosa che Mackenzie notò fu che il fiume non era affatto un fiume, almeno non nel punto in cui scorreva sotto il Miller Moon Bridge. C'erano solo delle pozzanghere di acqua stagnante sparse qua e là, intervallate da rocce spigolose e grossi macigni, che occupavano il letto del fiume.

Uno dei massi era enorme, grande almeno quanto due auto. In cima ad esso c’era un corpo scomposto. Il braccio destro era chiaramente rotto, piegato in una posizione impossibile sotto il resto del corpo. Un rivolo di sangue scendeva lungo il masso, per lo più secco, ma ancora abbastanza bagnato da dare l’impressione di stare ancora scorrendo.

"Uno spettacolo orribile, vero?" commentò Tate, in piedi accanto a lei.

"Già. Cosa può dirmi di certo al momento?”

"Dunque, la vittima è un maschio di ventidue anni. Kenny Skinner. A quanto ho capito, è imparentato con uno dei suoi grandi capi.”

"Esatto. È il nipote del vicedirettore dell'FBI. Quanti tra i suoi uomini lo sanno?”

"Solo io e il mio vice”, la rassicurò Tate. “Abbiamo già parlato con i suoi amici di Washington. Sappiamo di dover mantenere il massimo riserbo.”

"Grazie", disse Mackenzie. “Ho sentito che è stato rinvenuto un altro corpo qui, qualche giorno fa. È vero?"

"Tre mattine fa, sì” confermò Tate. “Una donna di nome Malory Thomas."

"Qualche indizio che si tratti di un delitto?"

"Beh, era nuda. E i suoi vestiti sono stati trovati sul ponte. A parte questo, non c'era niente. Abbiamo pensato che fosse solo un altro suicidio.”

"Ce ne sono molti da queste parti?"

"Sì” ammise Tate con un sorriso nervoso. “Può dirlo forte. Tre anni fa, sei persone si sono uccise saltando giù da questo fottuto ponte. È stato una specie di record in tutto lo stato della Virginia. L'anno dopo erano tre. L'anno scorso, cinque.”

"Erano tutti del luogo?" volle sapere Mackenzie.

"No. Di quelle quattordici persone, solo quattro vivevano nel raggio di ottanta chilometri.”

"E che lei sappia, esiste una qualche leggenda metropolitana che possa spiegare perché così tante persone scelgano questo ponte per togliersi la vita?"

"Ci sono delle storie di fantasmi, quello sì" disse Tate. “Ma c'è una storia di fantasmi legata a quasi tutti i ponti dismessi nel paese. Non saprei. Io do la colpa al gap generazionale. I giovani d’oggi credono che l’unica soluzione possibile quando vengono feriti sia farla finita. È piuttosto triste.”

"E che mi dice degli omicidi?" proseguì Mackenzie. “Quanti ne avete a Kingsville?"

"Ce ne sono stati due l'anno scorso. E finora, solo uno quest'anno. È una città tranquilla. Tutti conoscono tutti e, se non ti piace qualcuno, gli stai semplicemente alla larga. Perché lo chiede? Crede che stavolta si tratti di omicidio?”

"Non lo so ancora", disse Mackenzie. “Due corpi nell'arco di quattro giorni, nella stessa posizione. Penso che valga la pena indagare. Per caso sa se Kenny Skinner e Malory Thomas si conoscessero?”

"Probabilmente sì, anche se non so a che livello. Come le dicevo... tutti conoscono tutti, qui a Kingsville. Ma se mi sta chiedendo se Kenny si sia suicidato perché lo ha fatto Malory, ne dubito. C'erano cinque anni di differenza tra loro e non frequentavano gli stessi giri, a quanto ne so”.

"Le dispiace se do un'occhiata?" chiese Mackenzie.

"Faccia pure” disse Tate allontanandosi subito da lei per unirsi agli altri agenti che stavano perlustrando la scena.

Mackenzie si avvicinò con apprensione al masso dove si trovava il corpo di Kenny Skinner. Più si avvicinava, più si rendeva conto dei tremendi danni che aveva subito nell’impatto. Aveva visto alcune cose piuttosto orribili nel suo lavoro, ma quello era tra i peggiori.

Il sangue proveniva da una zona in cui sembrava che la testa di Kenny si fosse schiantata contro la roccia. Non si preoccupò di esaminarla da vicino, perché tutto quel nero e rosso illuminati dai riflettori non era qualcosa che voleva rivedere nella sua mente quella notte. La terribile ferita nella parte posteriore della testa mostrava i suoi effetti sul resto del cranio, distorcendo i tratti del viso. Vide anche che il petto e lo stomaco sembravano essere stati gonfiati dall'interno.

Fece del suo meglio per guardare oltre, controllando gli abiti di Kenny e la pelle esposta per eventuali segni di colluttazione. Nel fascio di luce dei riflettori era difficile dirlo con certezza, e dopo diversi minuti, Mackenzie era riuscita a trovare nulla. Quando si allontanò, sentì il proprio corpo rilassarsi. Senza accorgersene, era stata in tensione durante l’esame del cadavere.

Tornò dallo sceriffo Tate, che stava parlando con un altro poliziotto, dando disposizioni per informare la famiglia della vittima.

"Sceriffo, pensa che potrebbe farmi avere la documentazione sui quattordici suicidi degli ultimi tre anni?"

"Certo, posso farlo. Farò una chiamata da qui tra un attimo e mi assicurerò di farle trovare tutto alla stazione di polizia. E poi... c'è qualcuno con cui probabilmente dovrebbe parlare. Si tratta di una signora in città che lavora come psichiatra e insegnante di sostegno. Mi è stata appiccicata al culo per l'ultimo anno o giù di lì, insistendo che non fosse possibile che tutte quelle morti a Kingsville fossero suicidi. Potrebbe essere in grado di offrirle qualche informazione che potrebbe non trovare nei rapporti.”

"Sarebbe grandioso."

"Farò in modo di farle avere il suo recapito insieme alla documentazione. Ha finito qui?”

"Per ora, sì. Potrei avere il suo numero, per contattarla più facilmente?”

"Certo. Ma questo dannato affare è difettoso. Dovrei aggiornarlo. Avrei dovuto farlo circa cinque mesi fa. Quindi se mi chiama e parte la segreteria, non è perché la sto ignorando. La richiamerò appena posso. Maledetto aggeggio, odio i cellulari.”

Dopo essersi sfogato sulla tecnologia moderna, Tate le diede il proprio numero di cellulare, che Mackenzie memorizzò in rubrica.

"Ci vediamo" disse Tate. “Il medico legale sta venendo qui. Sarò dannatamente felice quando potremo spostare questo corpo.”

Sembrava una cosa insensibile da dire, ma quando Mackenzie tornò a guardare e vide di nuovo la scena raccapricciante, non poté fare a meno di essere d’accordo con lo sceriffo.

CAPITOLO CINQUE

Erano le 10:10 quando entrò nella stazione di polizia. Il luogo era assolutamente morto, l'unico movimento proveniva da una donna annoiata seduta dietro una scrivania - che Mackenzie immaginò essere il centralino del dipartimento della polizia di Kingsville - e da due ufficiali che parlavano animatamente di politica in un corridoio al di là del bancone.

Nonostante l’impressione scialba, apparentemente la centrale era molto ben gestita. La donna alla scrivania aveva già fatto una copia di tutta la documentazione che lo sceriffo Tate aveva richiesto, che adesso era raccolta in una cartellina, pronta per Mackenzie. Ringraziò la donna quindi le chiese consiglio per un motel in zona. Alla fine, Kingsville aveva solo un motel, a meno di tre chilometri dal dipartimento di polizia.

Dieci minuti più tardi, Mackenzie stava aprendo la porta della sua stanza in un Motel 6. Sicuramente aveva alloggiato in topaie ben peggiori durante la sua carriera, ma di certo non avrebbe trovato recensioni entusiaste su Yelp o su Google. Senza badare alla sciattezza della camera, posò la cartellina sul tavolino accanto al letto singolo e senza perdere altro tempo si mise a esaminarli.

Prese appunti mentre leggeva i documenti. La prima cosa che scoprì, e forse la più allarmante, fu che undici dei quattordici suicidi degli ultimi anni erano avvenuti proprio al Miller Moon Bridge. Altri due si erano tolti la vita con un colpo di pistola e uno solo si era impiccato ad una trave in casa propria.

Mackenzie ne sapeva abbastanza delle città di provincia per capire il fascino di una struttura come il Miller Moon Bridge. Tutta la sua storia e l’atmosfera inquietante che emanava erano allettanti, specialmente per gli adolescenti. Infatti, come dimostravano i dati che aveva davanti agli occhi, sei dei quattordici suicidi avevano meno di ventun anni.

Passò al setaccio tutti i fogli; nonostante non fossero dettagliati quanto avrebbe voluto, erano meglio di ciò che aveva visto nella maggior parte dei dipartimenti di polizia provinciali. Scribacchiò una parola dopo l’altra, fino ad ottenere un elenco completo di dettagli che la aiutassero a indagare a fondo sulle molte morti collegate al Miller Moon Bridge. Dopo circa un'ora, aveva racimolato abbastanza informazioni da poter elaborare alcune ipotesi approssimative.

Per prima cosa, solo nella metà dei casi era stato trovato un messaggio d’addio, che diceva esplicitamente che il suicida aveva deciso di porre fine alla propria vita. Una foto dei messaggi era allegata in ogni documento: tutti esprimevano rimpianto, in un modo o nell’altro, dicendo ai propri cari che li amavano ma che non riuscivano a superare il dolore.

Gli altri sette si potevano quasi considerare tipici casi di sospetto omicidio: corpi spuntati dal nulla, ritrovati in posizioni sgraziate. Sul corpo di uno dei suicidi, una ragazza di diciassette anni, erano stati trovati segni di attività sessuale recente. Quando il DNA del suo compagno era stato trovato su di lei, questi aveva mostrato alla polizia dei messaggi sul cellulare che dimostravano che la ragazza era stata a casa sua, avevano fatto sesso e poi se n'era andata. Da quel che sembrava, si era lanciata dal Miller Moon Bridge circa tre ore dopo.

L'unico caso dei quattordici che secondo Mackenzie avrebbe richiesto un’indagine più approfondita era il triste e sfortunato suicidio di un ragazzo di sedici anni. Quando il suo corpo era stato trovato su quelle rocce insanguinate sotto il ponte, presentava lividi sul petto e sulle braccia molto diversi dalle altre ferite causate dalla caduta. Nel giro di pochi giorni, la polizia aveva scoperto che il ragazzo veniva picchiato regolarmente dal padre alcolizzato, che tentò poi egli stesso il suicidio tre giorni dopo la scoperta del corpo del figlio.

Mackenzie finì la sessione di ricerca con il rapporto appena compilato su Malory Thomas. Il suo caso si distingueva un po’ dagli altri perché era nuda. Il rapporto mostrava che i suoi vestiti erano stati trovati in una pila ordinata sul ponte. Non c’erano segni di violenza o attività sessuale recente. Per una ragione o per l'altra, sembrava semplicemente che Malory Thomas avesse deciso di fare quel salto in costume adamitico.

Però è strano, rifletté Mackenzie. Addirittura fuori luogo. Se hai intenzione di ucciderti, perché mai vorresti far ritrovare il tuo corpo così esposto?

Ci rimuginò su per un momento, poi ricordò la psichiatra che lo sceriffo Tate aveva menzionato. Certo, ora che era quasi mezzanotte, era troppo tardi per chiamare.

Mezzanotte, pensò. Guardò il suo telefono, sorpresa che Ellington non avesse provato a contattarla. Immaginò che non volesse infastidirla finché non le fosse passata l’arrabbiatura. Anche se, onestamente, non sapeva quanto ci sarebbe voluto. D’accordo, aveva commesso un errore molto prima di conoscerla... perché diavolo doveva sentirsi così arrabbiata?

Non era sicura. Sapeva solo di esserlo... e in quel momento, quella era l'unica cosa importante.

Prima di andare a letto, guardò il biglietto da visita che la donna alla centrale aveva inserito nel fascicolo. C’erano il nome, il numero e l'indirizzo e-mail della psichiatra locale, la dottoressa Jan Haggerty. Giocando d’anticipo, Mackenzie le scrisse un’e-mail, per informarla che era in città e perché, oltre a richiedere un incontro il prima possibile. Decise che se non avesse avuto risposta da Haggerty entro le nove dell’indomani, l’avrebbe direttamente contattata telefonicamente.

Prima di spegnere le luci, pensò di chiamare Ellington, giusto per sentirlo. Lo conosceva abbastanza bene; probabilmente era in piena fase di autocommiserazione, magari mezzo svenuto sul divano dopo essersi scolato un’intera confezione di birra.

Pensare a lui in quello stato le rese la decisione molto più facile. Spense le luci e, nell'oscurità, cominciò ad avere l’impressione di trovarsi in una città molto più buia di altre. Il tipo di città che celava alcune brutte cicatrici, che restavano nascoste non a causa dell'ambiente di provincia, ma a causa di quella presenza sulla strada sterrata a circa dieci chilometri da dove in quel momento Mackenzie riposava. E sebbene fece del suo meglio per liberare la mente, si addormentò tormentata dalle immagini di adolescenti che cadevano dal Miller Moon Bridge trovando la morte.

399 ₽
Возрастное ограничение:
16+
Дата выхода на Литрес:
10 октября 2019
Объем:
222 стр. 4 иллюстрации
ISBN:
9781640294660
Правообладатель:
Lukeman Literary Management Ltd
Формат скачивания:
epub, fb2, fb3, ios.epub, mobi, pdf, txt, zip

С этой книгой читают

Новинка
Черновик
4,9
176