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La testimonianza ricorda infine l’amore per Agatone di Euripide, il quale avrebbe composto per il più giovane collega la tragedia Crisippo.53 La tradizione che vede Euripide nel ruolo di ἐραστής e Agatone in quello di ἐρώμενος per lo meno ai tempi del loro soggiorno in Macedonia è attestata anche dalla test. 15. Per quanto riguarda il Crisippo, il tema si presta a una celebrazione di Agatone nei panni di ἐρώμενος: nel mito, Crisippo è il figlio di Pelope amato da Laio, re tebano, il quale è per questo considerato il πρῶτος εὑρετής dell’amore pederastico (Plat. Lg. VIII 836c; Ael. VH XIII 5; Plut. Pel. 19, 1). La data della rappresentazione è sconosciuta; Kannicht individua negli anapesti del coro di un frammento della tragedia (fr. 839 Kannicht) un indizio per preferire una datazione alta rispetto a una bassa, ma ammette in ogni caso «de aetate fabulae non liquet» (TrGF V.2 p. 879). La notizia secondo la quale Euripide avrebbe dedicato ad Agatone quest’opera non comporta tuttavia che la tragedia risalga necessariamente agli anni trascorsi da entrambi in Macedonia, dato che i due poeti ateniesi si dovevano conoscere già da prima. Tuttavia, l’aneddotica che attribuisce ai due tragici una relazione durante il soggiorno macedone induce a collocare in questo periodo la produzione di un eventuale omaggio erotico di Euripide nei confronti di Agatone.

In questa trattazione dei rapporti tra ἐρώμενος ed ἐραστής presentata da Eliano Agatone e Pausania sono dunque il paradigma dell’amore omoerotico: caratterizzata dai τόποι della crudeltà dell’ἐρώμενος e dei litigi d’amore intesi come forze rinnovatrici, la loro relazione si inserisce nella tradizione letteraria erotica e diventa esemplare. La menzione dell’amore di Euripide per Agatone è la conferma dell’assunzione di Agatone a figura paradigmatica di ἐρώμενος: la tragedia scritta in suo onore ha come protagonista il primo ἐρώμενος Crisippo, rapito dal πρῶτος εὑρετής della pederastia, Laio.

I.4. Orientamento politico (testt. 17–18)

Test. 17 (6 S.–K.)

Aristot. EE III 5, 1232b 6–9

μᾶλλον ἂν φροντίσειεν ἀνὴρ μεγαλόψυχος, τί δοκεῖ ἑνὶ σπουδαίῳ ἢ πολλοῖς τοῖς τυγχάνουσιν, ὥσπερ Ἀντιφῶν ἔφη πρὸς Ἀγάθωνα κατεψηφισμένος τὴν ἀπολογίαν ἐπαινέσαντα (a. 411).

Un uomo nobile dovrebbe preoccuparsi di più di quello che pensa un solo eccellente individuo che molte persone qualsiasi, come disse Antifonte, condannato, ad Agatone, quando questi ne elogiò il discorso di difesa [a. 411].

Interpretazione

L’aneddoto della risposta data da Antifonte ad Agatone è conservato da Aristotele nell’Etica Eudemia come esempio della caratteristica, propria degli uomini di animo nobile, di non curarsi dell’opinione comune (1232a 38s. b 1–14).1

Il processo ad Antifonte, retore di orientamento politico oligarchico e secondo Tucidide figura di primo piano nell’instaurazione dell’oligarchia dei Quattrocento ad Atene, è registrato tra gli avvenimenti successivi al rovesciamento dei Quattrocento ed è datato al 411 a.C.2 L’Etica Eudemia conserva una tradizione che offre informazioni di natura cronologica e politica relative ad Agatone: da un lato, il processo contro Antifonte segna un punto di riferimento temporale per la presenza ad Atene del poeta; dall’altro lato, l’aneddoto lega Agatone a un esponente di spicco della fazione oligarchica di Atene.

L’idea qui espressa da Antifonte circa la maggiore importanza del giudizio di un solo uomo di valore rispetto a quello della massa senza identità e senza ingegno si trova anche nel Simposio platonico, pronunciata da Agatone stesso (Plat. Symp. 194b 6–8), da Socrate (Plat. Symp. 194c 1–4) e da Alcibiade (Plat. Symp. 218d 3–5).

L’attribuzione ad Agatone del medesimo punto di vista dell’oligarchico Antifonte, di Socrate e di Alcibiade sulla noncuranza che l’uomo μεγαλόψυχος nutre nei confronti della massa ignorante,3 e al contrario la sua preoccupazione relativamente all’opinione dei φρόνιμοι sono segnali della vicinanza del tragediografo alle idee proprie di ambienti aristocratici ed elitari, nonché vicini a posizioni politiche oligarchiche.

Test. 18 (26 S.–K.)

Stob. IV 5, 24 (IV 203, 1 W.–H.)

Ἀγάθωνος (om. S, gnomol. Paris. 124)·

Ἀγάθων ἔφη· τὸν ἄρχοντα τριῶν δεῖ μεμνῆσθαι· πρῶτον (πρῶτον μέν SMA, Hense) ὅτι ἀνθρώπων ἄρχει, δεύτερον ὅτι κατὰ τoὺς (κατὰ τoὺς om. SMA, Hense, Snell) νόμους (νόμοις Snell) ἄρχει, τρίτον ὅτι οὐκ ἀεὶ ἄρχει.

Di Agatone:

Agatone diceva che chi governa deve ricordarsi di tre cose: primo, che governa su uomini; secondo, che governa secondo le leggi; terzo, che non governa per sempre.

Interpretazione

Nella sezione dedicata al governo e alle qualità del governatore (περὶ ἀρχῆς καὶ περὶ τοῦ ὁποῖον χρὴ εἶναι τὸν ἄρχοντα) della raccolta di excerpta letterari antichi a carattere edificante composta da Giovanni Stobeo (V sec. d.C.) e conosciuta come Florilegium si attribuisce ad Agatone un’affermazione sentenziosa di argomento politico.4

Il passo può essere considerato un ibrido, a metà tra testimonianza e frammento. Martini lo inserisce tra i frammenti agatonei (fr. 23 Martini), accettandone la provenienza da un dramma.5 L’excerptum deve però essere arrivato fino a Stobeo attraverso un’opera in prosa, in quanto il passo si trova nella sezione del capitolo dedicata ai prosatori ed è introdotto anche dalla formulazione Ἀγάθων ἔφη, in aggiunta al semplice Ἀγάθωνος in uso per introdurre i frammenti poetici (vd. frr. 18–28). La ripetizione del verbo ἄρχει alla fine di ogni membro del periodo produce le figure retoriche etimologiche e di suono tipiche della poetica di Agatone (vd. test. 21). Anche se si accettasse l’ipotesi che il passo si trovasse in origine in un dramma e sia giunto fino a Stobeo attraverso uno scritto in prosa, sarebbe difficile esprimersi sull’opera intermedia o sull’originale.

La sentenza ha una struttura tripartita, probabilmente in conformità al carattere retorico dell’argomentazione nella sua primitiva collocazione. Sul tema del governo e delle qualità del governatore, il contributo di Agatone definisce tre dati che l’uomo al governo deve tenere a mente. Il primo punto riguarda l’elemento su cui si esercita l’autorità del governatore, ossia gli uomini (ἀνθρώπων ἄρχει). Questa idea ricorre nella riflessione politica greca e si trova espressa frequentemente in contrapposizione al concetto di comandare su animali: regolare la vita animale è più semplice che esercitare il potere sugli uomini (p. es. Aristoph. Av. 480s.; Xen. Cyr. I 1, 3; Plut. Fab. 20, 4). Il primo memento sembra un invito a non scordare la complessità del compito di governare. Passando al secondo punto, si presenta un problema testuale: l’espressione deve significare che il governatore esercita la propria autorità ‘in conformità’, oppure ‘per mezzo’, oppure ‘entro il limite’ delle leggi, ma i manoscritti principali tramandano la variante νόμους ἄρχει,6 dove νόμους non può essere considerato oggetto diretto di ἄρχει, sia per motivi di senso che per l’improbabile reggenza dell’accusativo da parte di ἄρχω nel significato di ‘governare’. Lo Gnomologium Parisinum 124 tramanda invece la variante κατὰ τoὺς νόμους, plausibile dal punto di vista sintattico e ben attestata (con o senza articolo; p. es. Plut. Pyrrh. 5, 5; Cic. 12, 2; Ph. Joseph. 63 l. 1; D.H. AR II 6, 2 l. 1; Snell propone la variante al dativo νόμοις, cfr. TrGF I 39 test. 26 ad 3). Infine, il terzo punto si colloca entro la tradizionale riflessione sulla mutevolezza del destino umano; la vicenda di Creso narrata da Erodoto (in particolare I 32s. 86) ne è un illustre precedente.

Si confermano alcuni aspetti della poetica di Agatone già emersi da altre fonti. Il carattere sentenzioso e retorico della formulazione è conforme alle notizie che abbiamo a proposito della formazione e dello stile del poeta (vd. testt. 3. 5. 21). Dal punto di vista del contenuto il passo rientra nel gruppo delle testimonianze di carattere politico, di cui fanno parte anche la test. 3 (Agatone allievo dei sofisti in compagnia dei giovani aristocratici ateniesi), la test. 11 (simpatie dei tragediografi per i tiranni) e la test. 17 (lode di Agatone per il discorso tenuto dall’oligarchico Antifonte e apprezzamento per le parole del tragico da parte di Antifonte).

La tradizione abbonda di aneddoti su poeti e intellettuali ospiti presso le corti di re e tiranni e impegnati ad ammonire i potenti sui limiti della condizione umana; illustre esempio, oltre al ricordato Solone, è Simonide (Simon. testt. 105s. Poltera; fr. 244 Poltera = PMG 521; Hdt. I 32s.). Anche per Agatone, accolto dal re macedone Archelao (testt. 5. 8–11. 15s. 22), potrebbe essersi stabilita un’aneddotica simile. Accanto all’ipotesi della collocazione originaria della riflessione in un dramma, bisogna pertanto prendere in considerazione anche la possibilità che essa provenga da un’opera di carattere biografico, forse la stessa da cui attingono gli aneddoti macedoni riportati da Arriano (testt. 15s.).

I.5. Spurium ([test. 19])

[Test. 19 (27 S.–K.)]

Stob. I 8, 16 (I 96, 5 W.)

Ἀγάθωνος (ἀγάθονος μόνου P)·

ὤφελεν (ὤφελον codd. corr. Grotius), ὡς ἀφανής, οὕτω φανερώτατος εἶναι

καιρός, ὃς αὐξάνεται πλεῖστον ἀπ’ εὐλαβίης.

Di Agatone:

Fosse stato, come celato, così chiarissimo

il tempo opportuno, che è accresciuto al massimo grado dalla cautela.

Interpretazione

Le Eclogae di Stobeo (vd. ad test. 18) conservano un epigramma tramandato dai manoscritti sotto il nome di Agatone. L’editore Wachsmuth mantiene nel testo il lemma Ἀγάθωνος, mettendo tuttavia in dubbio l’autenticità dell’attribuzione e ipotizzando che il lemma non sia originale, bensì sia sorto dal titolo di una commedia di Nicostrato (IV sec. a.C.)1 che nel codice F compare nella forma Λακώνων come lemma per Stob. I 8, 14, e nel codice P nella forma Νικοστράτου Λακώνων per Stob. I 8, 13.2 Wachsmuth mantiene come lemma di Stob. I 8, 13 Νικοστράτου Λακώνων, mentre per Stob. I 8, 14 mette a testo l’emendamento di Nauck, il quale corregge Λακώνων in Ἀγάθωνος (vd. anche ad fr. 19). Nelle edizioni di elegie, l’epigramma è assegnato ad Agatone da Bergk, mentre Diehl segnala l’attribuzione come spuria e, più recentemente, Gerber inserisce il distico tra i componimenti di elegiaci anonimi.3

Il distico si trova nella sezione περὶ χρόνου οὐσίας καὶ μερῶν καὶ πόσων εἴη αἴτιος dell’opera di Stobeo e rappresenta una massima generale sul carattere del καιρός, reso più grande dalla εὐλαβίη (= εὐλάβεια, ‘precauzione’, ‘cautela’ nonché ‘scrupolo’).4 καιρός dovrà qui essere inteso in senso temporale. Nell’accostamento dei due aggettivi antitetici ἀφανής e φανερώτατος correlati da ὡς […] οὕτω si potrebbe eventualmente riconoscere il gusto agatoneo per questo tipo di figure retoriche, ma si tratta comunque di un elemento troppo debole per attribuire i versi al poeta.

II. L’opera
II.1. Temi (test. 20)

Test. 20 (17 S.–K.)

Aristot. Poet. 18, 1456a 10–18

χρὴ δὲ ὅπερ εἴρηται πολλάκις μεμνῆσθαι καὶ μὴ ποιεῖν ἐποποιικὸν σύστημα τραγῳδίαν – ἐποποιικὸν δὲ λέγω τὸ πολύμυθον – οἷον εἴ τις τὸν τῆς Ἰλιάδος ὅλον ποιοῖ μῦθον. ἐκεῖ μὲν γὰρ διὰ τὸ μῆκος λαμβάνει τὰ μέρη τὸ πρέπον μέγεθος, ἐν δὲ τοῖς δράμασι πολὺ παρὰ τὴν ὑπόληψιν ἀποβαίνει. σημεῖον δέ, ὅσοι πέρσιν Ἰλίου ὅλην ἐποίησαν καὶ μὴ κατὰ μέρος ὥσπερ Εὐριπίδης, <ἢ> Νιόβην καὶ μὴ ὥσπερ Αἰσχύλος, ἢ ἐκπίπτουσιν ἢ κακῶς ἀγωνίζονται, ἐπεὶ καὶ Ἀγάθων ἐξέπεσεν ἐν τούτῳ μόνῳ.

Bisogna però ricordare proprio questo, per quanto spesso lo si dica, e non scrivere una tragedia come una composizione epica – e intendo con epico ciò che è composto da più storie – come se qualcuno componesse in una trama tutto l’insieme dell’Iliade. Lì infatti per via della lunghezza le parti assumono una dimensione adeguata, invece nei drammi con la trasposizione perdono molto. Una prova: quanti composero una Distruzione di Ilio per intero e non secondo le singole parti come Euripide, <o> una Niobe e non come Eschilo, o falliscono o mettono in scena una brutta rappresentazione, poiché anche Agatone in questo soltanto fallì.

Interpretazione

I passi 1455b–1456a della Poetica di Aristotele trattano dei diversi tipi di tragedia; è qui sconsigliata la composizione drammi ἐποποιικοί (‘di carattere epico’) e πολύμυθοι (‘ricchi di storie’),1 troppo ricchi di materiale narrativo per potervi trarre una singola opera tragica.2

Come esempio positivo di approccio al materiale epico è indicato Euripide, autore di tragedie focalizzate su singoli aspetti presi dall’insieme delle vicende legate alla distruzione di Troia (come l’Andromaca, l’Ecuba e le Troiane). Segue come seconda citazione la trattazione da parte di Eschilo del materiale della Niobe, ma il passo crea problemi sia sul piano testuale che su quello del contenuto.3 Agatone compare come terzo esempio, e il suo fallimento vuole essere una prova (σημεῖον) di quanto l’intero materiale narrativo presente in un poema epico sia inadeguato per la composizione di una tragedia. L’interpretazione del pronome anaforico τούτῳ nell’affermazione ἐξέπεσεν ἐν τούτῳ μόνῳ ha sollevato dubbi circa l’antecedente al quale il pronome si riferisce. Nella sua traduzione con commento del 1957, Else rifiuta di leggere nel τούτῳ un riferimento generale all’uso del materiale di un intero poema epico per la composizione di tragedie, come invece avevano proposto in precedenza Gudeman e Rostagni, e interpreta il pronome come un riferimento a una specifica tragedia di Agatone dedicata al sacco di Troia (Ἰλίου πέρσις, Iliou persis).4 Poiché l’argomentazione di Aristotele si articola su due esempi di materiale ἐποποιικός/πολύμυθος (1. πέρσιν Ἰλίου ὅλην ἐποίησαν καὶ μὴ κατὰ μέρος ὥσπερ Εὐριπίδης, 2. <ἢ> Νιόβην καὶ μὴ ὥσπερ Αἰσχύλος), è tuttavia arbitrario correlare il pronome τούτῳ a uno solo di essi. Viste dunque le difficoltà poste dalla porzione di testo immediatamente precedente e data l’assenza di altri argomenti a favore dell’esistenza di una composizione agatonea su questo specifico tema, è meglio non considerare il pronome come un riferimento a un’opera precisa, bensì un’allusione generale alla composizione di drammi ἐποποιικοί/πολύμυθοι; l’Iliou persis non deve pertanto essere contemplata tra i titoli delle tragedie di Agatone.5

La testimonianza della Poetica permette di attribuire ad Agatone la stesura di almeno una tragedia che trattasse materiale epico senza la selezione di una storia particolare, e che mettesse in scena le molteplici vicende contenute in un poema come l’Iliade o l’Iliou persis. Aristotele non parla d’innovazione, e studiosi come Croiset e Lévêque suggeriscono che si tratti di una ripresa di forme arcaiche di composizione tragica.6 In mancanza di materiale che possa confermare questa indicazione, si può ad ogni modo constatare l’impegno del tragediografo in una possibilità drammatica praticata anche da altri poeti (Poet. 1456a 16). La notizia dell’insuccesso di Agatone ‘in questo soltanto’ testimonia inoltre il successo riscosso dal poeta, il cui unico fallimento drammatico sarebbe stato il solo tentativo di tragedia epica.7

II.2. Stile (testt. 21–22)

Test. 21 (16 S.–K.)

‘καλλιεπής’ dicitur Aristoph. Th. 49 (ubi verbo ‘καλλιεπής’ diaeresis deletur); 60 (v. Philostrat. VS I 23, 3 p. 13 Stefec [= I 9, 1 p. 208, 26 Kayser]); irrident vel imitantur eius καλλιέπειαν Aristoph. Th. 39–51 et 101–129, Plat. Symp. 194e–197e (cf. 198b et v. Hermog. id. 2 p. 337, 8sqq. Rabe); describitur fabrica verborum Aristoph. Th. 52–56 (de 130–133 v. ad test. 23)

‘καλλιεπούμενος’ Agathon Gorgiae imitator: Aristoph. fr. 341 K.–A. (= fr. 326 Koch) ex Th. II καὶ κατ’ Ἀγάθων ‘ἀντίθετον’ ἐξυρημένον (ἐξηυρημένον Snell), Plat. Symp. 198c (cf. Ath. V 187c [sc. Plat. Symp. 194e–197e] χλευάζει … τὰ ἰσόκωλα τὰ Ἀγάθωνος καὶ τὰ ἀντίθετα; cf. Plut. qu.conv. III 1, 645e; Philostrat. [VS I 23, 3 p. 13 Stefec = I 9, 1 p. 208, 26 Kayser] γοργιάζει; Agathon testt. 5, 7. 22); Agathon frr. 6. 8sq. 11sq. 14. 34 (?)

Interpretazione

La testimonianza raccoglie le fonti relative allo stile di Agatone. La tradizione antica ha riservato al poeta una sorte particolare: benché della sua opera si conservino solo alcuni frammenti, le imitazioni del tragico realizzate da Aristofane (Tesmoforiazuse, vv. 101–129: canto di Agatone; vv. 146–208: dialogo tra Agatone, il Parente ed Euripide) e Platone (Symp. 194e–197e: discorso di Agatone) offrono materiale su cui lavorare. Ma quanto possono essere attendibili per l’Agatone storico e per il suo stile le sue apparizioni in opere altrui, nei panni di personaggio? Snell–Kannicht hanno accolto tutti questi passi in una sola testimonianza, riconoscendone il valore ai fini di un inquadramento stilistico del poeta: una valutazione condivisibile, data la natura mimetica dei testi e la loro vicinanza cronologica all’epoca in cui visse il poeta. In questa sezione, prenderemo in considerazione le imitazioni sotto il profilo stilistico, individuando di volta in volta i tratti più evidenti, e le eventuali ricorrenze di caratteristiche comuni alle diverse testimonianze. Si parlerà di ‘parodia’ in riferimento alla presenza di Agatone nelle Tesmoforiazuse, finalizzata in primo luogo a suscitare il riso del pubblico a teatro.1 Per quanto riguarda la testimonianza di Platone, preferiamo parlare di ‘caratterizzazione’, ‘rappresentazione’: la componente ironica, pur presente, non è dominante.2

Per quanto riguarda l’affidabilità di Aristofane e Platone nei confronti di Agatone, si presuppone che il principio fondamentale di un’imitazione sia la possibilità di riconoscere l’originale da cui essa trae spunto.3 Per quanto riguarda Aristofane, contemporaneo agli anni di attività del tragediografo, se ne accetta l’attendibilità al di là della deformazione e dell’esagerazione parodica, in particolare sulla base del confronto con la rappresentazione aristofanea dei tragici Eschilo ed Euripide, di cui abbiamo tragedie complete disponibili per un controllo.4 Già lo studio pubblicato nel 1900 da Rhys Roberts a proposito di Aristofane come critico letterario evidenziava la coerenza dello stile attribuito da quest’ultimo ad Agatone con le caratteristiche dei frammenti superstiti.5 Per Platone invece si pone la questione dello scarto tra il genere letterario tragico praticato da Agatone e la ripresa in un’opera in prosa quale il Simposio. La medesima situazione si presenta per il trattamento riservato – sempre nel Simposio platonico – al poeta comico Aristofane, di cui sono disponibili opere intere per un confronto stilistico: in questo caso, sotto il profilo dello stile, la critica non riscontra particolari corrispondenze tra il discorso del commediografo nel Simposio e quanto resta della sua opera.6 La questione relativa all’attendibilità della ricostruzione platonica dello stile di Agatone dovrà dunque essere discussa sulla base del confronto con lo stile dell’Agatone di Aristofane e con i frammenti agatonei.

Per valutare in maniera complessiva le fonti di questa testimonianza bisogna dunque prima approfondire i passi aristofanei e platonici utili a una ragionevole ricostruzione dello stile di Agatone,7 e quindi le fonti più tarde. In primo luogo è necessario prendere in considerazione Aristofane, sia il passo in cui il servo di Agatone introduce il proprio padrone (ancora assente), sia le sezioni dove Agatone è presente, canta e interagisce con gli altri personaggi. In questo contesto, merita un approfondimento la definizione καλλιεπής attribuita ad Agatone da Aristofane. Segue l’esame dell’encomio di Eros fatto pronunciare ad Agatone nel Simposio platonico, unito a una valutazione dell’influenza stilistica esercitata sul poeta tragico dal retore Gorgia. Infine devono essere considerate anche altre fonti, rappresentate da testi assai ridotti o cronologicamente molto posteriori rispetto ai due ampi passaggi di epoca classica.

1. Agatone in Aristofane

La scena in cui compare Agatone si svolge prima dell’ingresso del coro e rappresenta il prologo delle Tesmoforiazuse (vv. 1–294). Euripide, accompagnato dal suo Parente, è davanti alla dimora di Agatone e vorrebbe che quest’ultimo s’infiltrasse nelle celebrazioni delle Tesmoforie e lo difendesse di fronte alle donne dall’accusa di calunnia a lui rivolta dalle Ateniesi. Prima che i due abbiano modo di bussare, esce dalla dimora (rappresentata probabilmente dall’edificio di scena) un servo che, inconsapevole della presenza di estranei, annuncia l’inizio dell’attività compositiva di Agatone. L’intervento pomposo del servo è interrotto più volte dalle battute irriverenti del Parente, fino a che i due intrusi non vengono allo scoperto e chiedono al servo di chiamare Agatone. Annunciando che il padrone in persona presto uscirà dalla casa, il servo si ritira, lasciando spazio a uno scambio di battute tra gli altri due personaggi. Euripide rivela al Parente il pericolo per lui rappresentato dalla riunione femminile delle Tesmoforie. I due s’interrompono appena Agatone esce di casa, entra sulla scena e inizia a cantare. Il canto è seguito da un dialogo, prima a due, tra Agatone e il Parente (sconcertato dall’aspetto e dall’esibizione del nuovo arrivato), quindi a tre, tra Agatone, il Parente ed Euripide.

1.1. La presentazione di Agatone: il servo

Una scena ricorrente nelle commedie aristofanee è il momento in cui l’eroe comico (o gli eroi comici) si recano presso la dimora o la sede di un altro personaggio, che può essere un soggetto reale già noto al pubblico, per presentare una richiesta. L’eroe comico incontra dapprima una figura anonima subordinata alla personalità cercata; quindi ha luogo un dialogo tra il/i postulante/i e il personaggio–portiere, a preparazione dell’incontro con la figura più famosa.8

Lo schema s’incontra in:

 Acarnesi (395–401): Diceopoli si reca presso la dimora di Euripide per ottenere un travestimento scenico da Telefo, con tutti gli accessori; a ricevere l’eroe comico è uno schiavo che utilizza espedienti stilistici tipici del vero Euripide (v. 396) e che descrive brevemente l’attività poetica del suo padrone (vv. 397–400), prima di rientrare in casa rifiutandosi di chiamare Euripide. Il poeta tragico apparirà sulla scena comunque contro la sua volontà, ripetendo le stesse parole del suo servo ἀλλ’ ἀδύνατον (402~408);

 Nuvole (133–217): Strepsiade bussa alla porta del Pensatoio per incontrare Socrate e per farsi ammaestrare da lui; ad aprire è presumibilmente un allievo (vv. 135–137. 140. 220),9 che, lamentata l’interruzione delle proprie elucubrazioni per colpa del nuovo arrivato, introduce Strepsiade alle questioni dibattute nel Pensatoio, affrontando argomentazioni sulla natura di fenomeni risibili, per esempio questioni relative alla fisicità di pulci e moscerini (vv. 143–168). Apparso Socrate, l’allievo se ne va lasciando che sia Strepsiade a presentarsi a Socrate. Anche Socrate sottopone a Strepsiade riflessioni intellettuali – di carattere però più elevato rispetto a quelle dell’allievo – per esempio sulla natura divina delle Nuvole (vv. 314–424);

 Uccelli (60–84): Pisetero ed Evelpide, arrivati nel luogo che i loro uccelli–guida indicano come sede di Tereo–Upupa, fanno rumore per attirare l’attenzione ed essere ricevuti. A rispondere è un uccello servo, che prima di chiamare l’Upupa informa i due visitatori della propria natura di uomo–divenuto–uccello, simile alla condizione del suo padrone. In questo caso il servo non rispecchia l’Upupa nel modo di esprimersi, ma lo prefigura per quanto riguarda la sua condizione esistenziale;

 Tesmoforiazuse (39–70): vd. sotto.

Da un lato, simili scene sono giocate sulla condizione sociale di personaggi noti: Euripide e Agatone, rinomati tragediografi ateniesi, dispongono di un servo preposto al ricevimento degli ospiti, così come Tereo–Upupa, figlio di Ares (Apollod. Bibl. III 14, 8); Socrate dispone invece di allievi che svolgono per il suo Pensatoio anche funzioni non intellettuali. Dall’altro lato, l’intervento di un servo–portiere ottiene un effetto drammaturgico di dilatazione: l’azione è ferma nell’attesa di un personaggio chiave per la prosecuzione degli eventi. Il carattere tipico della scena porta il pubblico a riconoscere subito il possibile sviluppo drammatico, e crea un senso di attesa per l’ingresso del personaggio più noto: nel frattempo, lo scambio di battute tra gli eroi comici e i servi, una versione più rozza dei propri padroni, ridicolizza indirettamente la figura attesa e prepara il pubblico ad assistere a una qualche forma di parodia.

Nelle Tesmoforiazuse, ai vv. 39–70, il servo che prelude all’arrivo di Agatone entra in scena con un pezzo in dimetri anapestici (fino al v. 62),10 con intromissioni del Parente. Dal v. 63 (dialogo tra servo ed Euripide) il metro passa al trimetro giambico:11

ΘΕΡΑΠΩΝ. εὔφημος πᾶς ἔστω λαός,

στόμα συγκλῄσας· ἐπιδημεῖ γὰρ 40

θίασος Μουσῶν ἔνδον μελάθρων

τῶν δεσποσύνων μελοποιῶν.

ἐχέτω δὲ πνοὰς νήνεμος αἰθήρ,

κῦμά τε πόντου μὴ κελαδείτω

γλαυκόν – 45

ΚΗΔΕΣΤΗΣ. βομβάξ.

ΕΥΡΙΠΙΔΗΣ. σίγα. τί λέγει;

ΘΕ. πτηνῶν τε γένη κατακοιμάσθω,

θηρῶν τ’ ἀγρίων πόδες ὑλοδρόμων

μὴ λυέσθων· –

ΚΗ. βομβαλοβομβάξ.

ΘΕ. μέλλει γὰρ ὁ καλλιεπὴς Ἀγάθων

πρόμος ἡμέτερος – 50

ΚΗ. μῶν βινεῖσθαι;

ΘΕ. τίς ὁ φωνήσας;

ΚΗ. νήνεμος αἰθήρ.

ΘΕ. δρυόχους τιθέναι δράματος ἀρχάς.

κάμπτει δὲ νέας ἁψῖδας ἐπῶν,

τὰ δὲ τορνεύει, τὰ δὲ κολλομελεῖ,

καὶ γνωμοτυπεῖ κἀντονομάζει 55

καὶ κηροχυτεῖ καὶ γογγύλλει

καὶ χοανεύει –

ΚΗ. καὶ λαικάζει.

ΘΕ. τίς ἀγροιώτας πελάθει θριγκοῖς;

ΚΗ. ὃς ἕτοιμος σοῦ τοῦ τε ποιητοῦ

τοῦ καλλιεποῦς κατὰ τοῦ θριγκοῦ 60

συγγογγύλας καὶ συστρέψας

τουτὶ τὸ πέος χοανεῦσαι.

ΘΕ. ἦ που νέος γ’ ὢν ἦσθ’ ὑβριστής, ὦ γέρον.

ΕΥ. ὦ δαιμόνιε, τοῦτον μὲν ἔα χαίρειν, σὺ δὲ

Ἀγάθωνά μοι δεῦρ’ ἐκκάλεσον πάσῃ τέχνῃ. 65

ΘΕ. μηδὲν ἱκέτευ’· αὐτὸς γὰρ ἔξεισιν τάχα·

καὶ γὰρ μελοποιεῖν ἄρχεται. χειμῶνος οὖν

ὄντος κατακάμπτειν τὰς στροφὰς οὐ ῥᾴδιον,

ἢν μὴ προΐῃ θύρασι πρὸς τὸν ἥλιον.

ΕΥ. τί οὖν ἐγὼ δρῶ; 70

ΘΕ. περίμεν’, ὡς ἐξέρχεται.

SERVO. Stia in silenzio tutta la gente,

a bocca chiusa; il tiaso delle Muse 40

è in visita nella dimora

del mio padrone, a fare canti.

E l’etere tenga il fiato, senza vento;

non alzi strepito l’onda del mare

azzurra – 45

PARENTE. tapum!

EURIPIDE. Zitto. Che dice?

SER. – e dorma la razza degli alati,

e le fiere selvagge delle foreste

non sciolgano il piede –

PAR. taratapum!

SER. – poiché l’artefice armonioso Agatone,

capo di tutti noi, è pronto – 50

PAR. a prenderlo dentro?

SER. Chi ha parlato?

PAR. L’etere senza vento.

SER. – a porre al dramma le travi di quercia.

Piega nuove volute di versi,

e tornisce e incolla,

conia sentenze, piazza nomi, 55

e plasma e arrotonda

e versa nell’imbuto –

PAR. e lo prende in bocca.

SER. Chi è il villano che si accosta alla chiostra?

PAR. Uno che a te e al poeta armonioso

nella chiostra è pronto 60

in modo tornito e sbattuto a imbucare quest’arnese.

SER. Ai tuoi tempi dovevi essere brutale, vecchio mio.

EUR. (al Servo) Brav’uomo, lascialo perdere e chiamami qui fuori Agatone – assolutamente.

SER. Inutile pregarmi. Un attimo, e uscirà lui stesso: comincia a creare canti. Durante l’inverno non è facile piegare le strofe, se non viene fuori dalla porta, al sole.

EUR. E io che cosa faccio?12

SER. Aspetta, sta per uscire.13

Dall’inizio dell’intervento fino al v. 48 il servo utilizza un linguaggio caratterizzato da elementi tipici dello stile ieratico dell’innologia epifanica:14 il passaggio si apre con una richiesta di silenzio in imperativo (v. 39) che coinvolge il mondo degli uomini (vv. 39s.), delle forze naturali (vv. 43s.) e degli animali (vv. 46–48), secondo un espediente tipico per l’annuncio delle epifanie divine.15 Il lessico è fin qui elevato, e presenta numerosi termini poetici (p. es. λαός v. 39, μελάθρων v. 41, δεσποσύνων v. 42). Ricorrono figure di suono a inizio e fine parola, p. es. al v. 39 (στόμα συγκλῄσας), ai vv. 41s. (Μουσῶν […] μελάθρων […] / τῶν δεσποσύνων μελοποιῶν) etc. Tuttavia, alcune deviazioni rispetto alla tradizione lirico–tragica, con cadute nel prosaico (ἐπιδημεῖ al v. 40)16 e nel colloquiale (στόμα συγκλῄσας al v. 40), nonché il contesto comico reso esplicito dalle interruzioni scurrili del Parente ai vv. 45. 48 permettono di collocare la scena in un quadro di parodia tragica (paratragedia).17

1.2.1. Agatone artigiano della parola

Ai vv. 49–58 il registro connotato dalla patina ieratica lascia il posto a un passaggio dominato da un vocabolario tecnico, sia propriamente retorico–poetico che metaforico, attinto dal lessico dell’artigianato; i versi hanno funzione programmatica nel definire lo stile di Agatone.18 La metafora dell’artigiano per indicare il poeta attinge alla concezione diffusa nella cultura greca arcaica della poesia come θέσις e della composizione poetica come struttura ordinata di parole (κόσμος ἐπέων).19 Ad aprire la sezione è il v. 49, dove l’assenza di dieresi tra i due metra anapestici, usuale invece in questi contesti metrici, richiama l’attenzione sull’aggettivo καλλιεπής.20 Segue la descrizione del processo con cui Agatone dà forma alla composizione poetica; in questo modo si creano determinate aspettative sullo stile che il poeta adotterà (vv. 52–57):21

δρυόχους τιθέναι δράματος ἀρχάς.

κάμπτει δὲ νέας ἁψῖδας ἐπῶν,

τὰ δὲ τορνεύει, τὰ δὲ κολλομελεῖ,

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9783823302858
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