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Читать книгу: «Novelle», страница 15

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LA MARCHESINA

«E il libro de' Cavalieri serventi?» diss'io al maestro, una di queste sere che tornando d'una camminata più lunga del solito, non so se fosse stanchezza della brigata, o quiete naturale a quell'ora e a quella luce crespuscolare, tutti stavamo da alcuni minuti in gran silenzio. «E il libro de' Cavalieri serventi?» diss'io per ridestar la conversazione. «Che libro?» rispose il maestro. «Quello che ci avete promesso, se non m'inganno, narrandoci la novella di Margherita.» «Che promessa? che novelle?» riprese egli. «Io v'ho detto per celia, che sarebbe a fare su ciò un bel libro; ma chi vorrà pensar davvero, che, bello o brutto, io sia per far un libro mai? E poi, massimamente questo.» «Il maestro ha ragione,» disse uno de' giovani. «Che se il far un buon libro dipende, prima d'ogni cosa, dallo sceglier un buon soggetto, e principalmente un soggetto nuovo, certo questo de' cavalieri serventi, degli amori illegittimi, è così pesto e ripesto in tutte le lingue, e in tutti i toni, che non credo ci sia verso non che di farne un libro ma nemmeno di dir nulla di nuovo oramai.» «Oh, in ciò parmi che v'inganniate;» dicemmo quasi a un tempo il maestro ed io; ma io vedendo che il maestro aveva a cuore la risposta, e sperando poi ch'ei la facesse, come succedeva sovente, con qualche novella, che buona o grama pur ci occupasse quel rimanente di serata, lo lasciai dire; ed egli difatto incominciò così; prima predicando e poi narrando, e di nuovo ripredicando.

Oh in ciò voi v'ingannate assai, se credete che questo soggetto de' cavalieri serventi sia stato trattato e consumato, e non vi sia più nulla a dire. Il Parini nella sua famosa ironia, e, se ben mi ricordo, Alfieri in una sua commedia ne hanno parlato in ridicolo. Ma questo è un solo aspetto della quistione, ed una sol'arma usata contro; ed arma poi che, spuntata contro tante cose sante e virtuose, più non ferisce nemmeno il vizio. Gli stranieri veramente ne' loro viaggi in Italia… Ma chi legge i viaggi in Italia degli stranieri? Non noi certamente; e nemmeno quelli fra essi che hanno un po' di giudizio proprio; ma soli que' branchi di stranieri pecore chi ci vengono con in tasca lor giudizj belli e fatti; e scesi dall'Alpi col pensiero assoluto che l'Italia è decaduta tutta e in ogni cosa, le risalgono citando i segni di decadenza che hanno scoperto fin nelle opere d'Alfieri o di Canova. Ma sarebbe peccato guastar a costoro il compiacimento nella propria ignoranza. Benchè l'ignoranza a questo segno non si guasta. E del resto, le infinite calunnie accumulate su noi forse che sono una parte delle pene dovuteci pe' nostri vizj; appunto come le calunnie che cadono su una donna già perduta sono parte della infamia a cui è dannata giustamente. Ma che bella cosa sarebbe, e per me, s'io fossi giovane, mi vi vorrei dedicar tutto intiero, che bella cosa sarebbe a un Italiano far egli e poi scrivere un viaggio in Italia, in cui, dati biasimi e lodi con verità, si notassero non solo i nostri vizj pur troppo veri, ma anche le nostre sopravviventi virtù; dove le memorie de' tempi antichi fossero evocate non solamente a rimprovero, ma ancora a conforto o a speranza; dove gli esempj buoni presenti, che quantunque pochi pur ve ne debbono essere e vi sono, non fossero negletti, disprezzati, od anche menomati a volontà; dove in somma ci potessimo specchiare con vergogna pure talvolta, ma almeno senza disperazione!.. Ma che vi dicevo io? onde ho io preso le mosse?.. Dicevo de' cavalieri serventi, e volevo aggiugnere che voi, signor mio, che li mettete in un fascio con qualunque altra specie d'amori illegittimi, mi pare, con licenza parlando, che siate in un grande errore. Altro è il vizio isolato e volontario d'una donna o d'un uomo pervertiti per a tempo od a caso da' loro sensi, o lor passioni, altro quella disgrazia, somma di tutte per uomini e donne, di vivere in un luogo, in un tempo, in una società infracidita. La quale… Ma, figliuoli miei, volete voi che vi narri un caso succeduto quasi in presenza mia da venti a trenta anni fa; quando ero, come credo avervi detto, precettore in una casa signorile, epperciò potetti allora conoscere i costumi del tempo e del mondo? Del resto è successo, che se ferì me, sì poco fatto a que' costumi, forse che parrebbe comunissimo e indegno di narrazione a chi v'abbia indurito il callo. Ma e spero che niuno di voi sia tale; ed anche ho udito dire che il mondo sia in ciò migliorato. Onde che voi giovani forse non ve l'immaginate come era allora. Ad ogni modo, ecco il caso.

In una città d'Italia, che al solito non vi nomerò, erano un padre, una madre, e una figliuola, nobili, ricchi, buoni, in ogni sorta di fortune, compresavi quella che Cecilia era la più bella e graziosa fanciulla di sedici anni che là fosse. Aggiugnete (ciò che si dee dire anche più merito de' genitori che fortuna) che la giovanetta era pure la meglio educata di tutte le compagne e coetanee sue. E dico, bene educata, tanto in buoni principii di religione e virtù d'ogni sorta, e principalmente quella ch'è di quel sesso e quell'età, una dolcissima modestia, come anco poi in tutte le grazie e qualità femminili; istruzione varia e moderata, da non farne pompa ella, ma da poter intendere ed apprezzar le conversazioni anche serie, e il valore anche sodo di qualunque uomo; e poi maestria di lavori donneschi, i quali quantunque così diversi ora da quelli delle patriarchesse e delle cavalieresse antiche, pur quando vediamo attendervi destramente una donna, ella ci sembra partecipare di quelle età e virtù prische, e in ultimo la grazia del ballo, e l'incanto d'una voce divina, e pur quell'eleganza del vestire e del muovere e del parlare, che quando è sola e scompagnata è la più sciocca qualità di cui si possa gloriare od uomo o donna, ma che quando accompagna l'altre, od anzi par venire naturalmente e conformarsi da esse, è compimento ed ornamento di tutte quelle di una giovane. – Già si sa – direte voi altri, – Cecilia era una perfezione, una eroina da romanzo; e così debb'essere, che anche i novellieri n'hanno il vizio, e il maestro l'ha più di tutti, o non ci sa descrivere una donna senza farne un angiolo. – Signor sì, – rispondo io, – così è, e così debb'essere per varie ragioni. Prima, perchè sia caso o grazia del cielo, o mia virtù ammiratrice, certo è che ho conosciuti e conosco non pochi di questi angioli in terra; ondechè la descrizione di essi non che falsa mi riesce naturalissima; e se la facessi bene non sarebbe altro che come una giustizia oscura e coperta sì, ma pure resa loro ad ogni mia possa. In secondo luogo poi, vi dirò che agli storici corre l'obbligo dir il brutto come il bello degli uomini; ma chi inventa o sceglie una narrazione grande, stolto è se non sappia riposar sè e gli uditori su tali fatti e persone che abbiano pure in sè un po' di bello. In terzo luogo… Ma che serve tutto ciò? Io vorrei che aveste veduta Cecilia, come l'ho veduta io più volte alla sera nel salotto dov'eravamo varie persone ed amici di casa, uscir dalla camera di sua madre, vestita, ornata tutta dalle mani materne per portarla a qualche ballo, ed ella il viso ed ogni atto tra ritrosia verginale e gioia giovanile, or arrossire e ritrarsi e incantucciarsi, ora alzarsi come a partire ed anticipar gli innocenti piaceri; certo allora avreste detto come dicevamo tutti, che ella era per comparire la più bella agli occhi invidiosi dell'altre donne, e a quelli ammiratori di tutti gli uomini. Nè dirovvi del suo canto. Già sapete, che questa è la mia smania; e il più gran divertimento che io m'abbia mai goduto quaggiù gli è quello che ho avuto sovente in quella famiglia, e grazie alla benedetta giovane, di star le intere ore d'una sera su un buon seggiolone o all'angolo d'un sofà, non disturbato, non interrogato, non avvertito da persona, ad ascoltare qualche pezzo di buona musica eseguito da maestri, o dilettanti che vaglian maestri, senza le cerimonie, senza il freddo dell'accademie d'invito, e senza altro scopo che d'inebbriarsi di buona musica. Ed io allora m'inebbriavo con essi; massime quando usciva fuori più sovente dell'altre quella bella voce di soprano femminino, che allora sì che pareva proprio un angelo vero. E sì, che non ci era allora Rossini; ed era gran danno: perchè, dicano che vogliano coloro che non sanno intendere nè amare quanto è cresciuto da tant'anni in qua; dicano che vogliano, il maestro, benchè vecchio e ammirator di Paesiello, e Cimarosa, e Zingarelli, e poi di Guglielmi, di Paer, di Maier e massime di Mozart, è pur diventato ammirator grande di Rossini; ed anzi, se mai vive, diventerà di qualunque faccia a Rossini l'ingiuria ch'egli ha fatto agli altri, di farli passar di moda.1 Benchè, per me, niuno buono non passa di moda mai. I buoni, uditi in mia gioventù, mi fan rivivere in quella. I buoni, sorti in mia vecchiezza, me la fanno dimenticare. Peccato, solamente, sia detto con vostra pace, signore mie, peccato non sia fra voi qui una Cecilia, da farci udir Rossini in vece di novelle. Ma torniamo a lei.

Ben potete pensare che non le mancò marito. I più belli, i più ricchi, i più buoni giovani del paese volevano esser quello. Ma, o per ciò, o perchè i genitori, di cui ella era tutto l'amore e la gloria, durasser fatica a spogliarsene, certo è che non avevano fretta nè eglino nè ella, costumata e amorosa a loro, e felicissima con essi e della vita che faceva adorata da tutti. Ma era giunta ai diciott'anni; che è tardi in que' paesi. Tuttavia, non che amore, ella non aveva nemmeno una preferenza. La quale poi non so perchè sia tanto proibita alle fanciulle, e parmi anzi che potrebbe prevenire le preferenze assai peggiori che hanno molte maritate. A ogni modo deliberarono, scelsero i genitori; acconsentì, approvò essa; e si conchiuse il matrimonio con un giovane ch'era il meglio, la perla di quella città. Ma hovvi a dir io ciò che era il meglio, la perla di quella città? Era un giovane erede unico e sostenitore d'uno di que' nomi storici portati già con più o meno gloria da' famosi cittadini delle nostre repubbliche, tiranni di città e condottieri di compagnie, che non vorrei aver da scusar tutte le loro azioni e la loro vita, ma si vuol confessare che empieron le loro vite di azioni virili, ed ebber animi, cuori, corpi e mani da uomini. All'incontro, il discendente aveva un corpo gracile e delicato, e di quell'apparenza che appunto si chiama signorile; certe mani ammorbidite sotto i guanti, che sarebbero state belle anche a una donna, e che al più sapevano destramente far di scherma, giuocar al trucco,2 al volante, od anche condur bene al passeggio una carrettella o un cavallo ben maneggevole; un ingegno adorno d'un po' di latino, un po' di aritmetica, un po' più di poesia, un poco meno di storia, e poi un po' di musica e di lingua francese; ultimamente un cuor buono e ben addestrato a far quel poco di bene che si può senza sconcertarsi, ad esser utile altrui senza mai nuocere nè far correr pericolo a sè stesso, a trarsi da banda e scansare, se è possibile senza compromettersi, una viltà. E in sommo, era un uomo che apprezzato al valore degli uomini in generale, e classificato insieme con quelli di ogni età e d'ogni paese, sarebbesi certamente trovato nella classe dei mediocrissimi; ma in quel paese, in quella città, in quel tempo, in quella condizione, era senza dubbio… la perla de' mariti che si potesse dare a Cecilia.

Maritati che furono, Cecilia amò il marito. E dicendo che l'amò, certo non vo' dire che fosse nè di quell'amore furente che s'apprende in pochi quasi dal cielo a ciò devoti, che nasce in circostanze straordinarie, che non arriva a suo colmo se non per le difficoltà, e che, al solito, perde e consuma chi vi si è abbandonato; nè nemmeno quell'altro amore tutto pace e stima e crescente di dì in dì tra due felici, e degni di appartenersi e possedersi l'un l'altro. Era solamente quell'amore comunissimo, anzi quasi inevitabile, impossibile a non trovarsi tra uno ed una, giovani e nuovi, accozzati l'uno all'altra: quell'amore che delle cento volte novantanove si trova tra gli sposi durante quella che gli stranieri chiaman luna di miele; amore che è l'oggetto degli epitalamj, delle raccolte in versi, e delle celie fatte in troppo chiara prosa, al dì delle nozze, da' parenti ed amici di casa. E questo pure, perchè tutti gli amori non cattivi sono buoni, questo pure è un amore buonissimo, messoci in cuore da Domeneddio per provvidenza sua, pel caso frequentissimo d'un uomo e d'una donna che si sposino, senza aver prima spasimato l'un per l'altro. Ma questo amore, buono pe' primi giorni e per quella luna di miele, non è più buono, non serve, passata questa, nè a lungo; se non gli sottentri quello della stima, della pace e della confidenza reciproca crescente. Ora, potevano eglino, il marchesino e la marchesina (così era chiamata la bella coppia, per antonomasia, da tutta la città), potevano eglino, dico, aver l'un per l'altro questo amore, e crescerlo? Forse avrebbe potuto averlo egli per lei. Perchè, notate questo, figliuoli miei, se non v'incresca delle mie riflessioni; in un paese dove non sia molto buona l'educazione, nè molto bene occupata la vita, il vantaggio è tutto delle donne. Le quali, come sono vezzose, e sanno porgersi e parlare con grazia, e adempiono ai doveri della famiglia, elle hanno ciò che debbe avere qualunque donna in qualunque paese del mondo: e sovente anche sono più piacevoli, che non quelle che infuriano ed arrabbiano non femminilmente tra le parti e le dispute di filosofia o di politica. Ma ad un uomo, ei ci vuol altro che quelle qualità esterne o private! E dico che ci vuol più, non solo per dirsi essenzialmente uomo di merito, ma anche per la apparenza della buona grazia virile agli occhi della donna che lo ha ad amare. Perchè l'amore della donna, così portando sua natura, è quasi come un compiacimento, un riposo della propria debolezza sulla forza e robustezza altrui; una necessità di trovar un protettore, un sorreggitore, un consigliero più forte, più attivo. E tant'è vero, che ho vedute donne dappiù che i mariti, non saperselo, non volerselo confessare, per non aver quasi a rinunciar l'amore che elle loro portavano; ed altre, che non potendo chiuder esse gli occhi alla propria superiorità, si sforzavano pure di nasconderla agli occhi della gente, per non perder quella grazia e dignità della debolezza femminile. È infelice il marito, a cui la condizione propria o de' tempi o de' luoghi non concedano mostrar mai alla donna qualche pruova vera delle sue virtù, e del suo animo virile. Ben può dir egli, quantunque amato egli sia, che non è amato quanto potrebbe essere. È infelice la donna che la dappocaggine del marito o la vanità propria fanno tenersi dappiù di lui nelle qualità che dovrebbero essere di lui. E guai, cento volte guai a colei, che tenendosi e vedendosi tenuta tale, lo confessi una volta a un altro uomo.

Non fu il caso allora della Marchesina. Trasportata dallo stanzino verginale alla camera, a ricchi quartieri nuziali, e dalla vita serena ma uniforme d'una fanciulla, all'allegria, al chiasso, al turbine, agli allettamenti d'una vita di mondo e alla moda, io credo, veramente, ch'ella non pensò nè alla mia distinzione dei tre diversi amori, nè poi a far quella comparazione del merito intrinseco suo o del marito. Tra l'abbigliarsi e gli innumerevoli affari che trae seco il provvedere a una elegante vestitura femminile; tra i divertimenti e le innumerevoli seccature che trae seco il divertirsi, tutto il giorno e mezza la notte di una giovane volano, senza dar agio a riflessioni di morale. E sovente, non che i giorni e le notti, passano così intieri gli anni, e le gioventù, e le vite. Così passarono due o tre anni della Marchesina, che aveva nome oramai della più bella ed elegante giovane di tutta Italia. E perchè l'eleganza s'accresce, e quasi poi prende più sapore per alquanto di singolarità; piaceva forse tanto più la Marchesina, perchè ella era, fra tanto splendore e bellezza, la sola quasi di sua città, per non dire di suo paese e di suo tempo, che fosse vissuta tanto tempo senza ciò che le nonne chiamavano ancora il Cavalier servente, e le giovani, pur conservando il verbo servire, chiamavano poi l'Amico. Di questa singolarità gli uni, e massime le une, cercavano la ragione appunto nella singolarità e nella voglia di distinguersi. «La signora Marchesina» dicevano elle «non si degna fare come le altre; non si fa servire nè al teatro nè al corso nè al ritrovo. Oh già, la signora Marchesina dee distinguersi in tutto. Ma si farà poi servire in casa, forse!» «Bene! dite bene! servire in casa,» ripetevan altre ridendo. «Quanto m'è antipatica costei!» aggiugnevano altre, facendo il grugno. Qualche giovanetto più generoso ne assumeva talvolta le parti; ma gli era dato sulla voce da tutte, e temendo tanto più guastarsi con esse, che poi non aveva speranza di rifarsene con Cecilia, era ridotto a tacersi. Dicevan altre: «Il marito è una bestia di gelosia; vedete! non la lascia mai.» «Oh per questo,» interrompeva taluno, «io vi so dire che il Marchese se ne dispenserebbe volontieri. Già si sa. Anzi, scusatemi, la vostra è calunnia. Il Marchese è uomo di mondo. Prima del matrimonio ben sapete chi serviva. Contessina eh! che dite voi? Credete voi da senno che il Marchese sia innamorato di sua moglie?» «Di costei?» ripigliava tal'altra, «di cotesta bacchettona? Eh giusto! Mai più! Non può essere. Ma il Marchesino, se ho a dir vero, gli è un uomo senza sale, senza forza; che fa quello che gli si fa fare. E come prima serviva l'altre, quando volevano darsene il fastidio, così ora, perchè così vuole la signora moglie, ei serve la signora moglie.» «Ah, ah, servir la signora moglie! Servir la moglie! bello, bello! Nuovo veramente! Servir la moglie!» E s'udivano poi, per finir il discorso, due o tre esclamazioni ripetute: «Quanto m'è antipatica!»

Ora, io che l'ho conosciuta, e a cui non era certo antipatica, vi dirò quale fosse la vera cagione di non aver essa cavaliere, nè amico. Non era gelosia del marito, che non aveva ragioni d'esser geloso, nè avrebbe avuta la forza d'opporsi all'uso quasi universale; non era nemmeno amore tale di lei verso di lui che l'avesse potuta trattenere dal seguir quell'uso, a cui era invitata da' tanti esempj ed allettamenti; e, non che bacchettona, ella non era poi nemmeno così occupata ne' pensieri e nelle buone pratiche di religione, da farsene schermo contro ai vizj del mondo. Era solamente una certa nobiltà ed altezza d'animo, in lei naturale e nativa, accresciuta dall'educazione, fors'anco da quel vedersi così ammirata e lodata da tutti. Perchè, io non so se m'inganni, ma ei m'è sempre paruto che nella gran bellezza e grazia d'una donna vi sia uno di que' compensi che alla potenza de' pericoli equilibrano la potenza della resistenza. Che se la bellezza o l'ingegno espongono le posseditrici a più tentazioni, elle danno forse più forza da resistervi. E una donna, certa d'essere adorata da chichessia, va più lenta ad accettare e ricompensare le adorazioni, che non forse una brutta e mal aggraziata che voglia provare se ella pure sarà adorata. Finalmente, Cecilia avea due bimbi, due veri angioli di Paradiso; un bel ragazzo di due in tre anni che ritraeva la madre dagli occhi neri; e una fanciulla d'un anno, bionda e bianca, e tutto il padre. E la Cecilia, contro il costume d'allora, che era di lasciar i bimbi, non solo di quell'età, ma anche più adulti, in mano alle balie e alle cameriere, la Cecilia era di continuo occupata in questi fanciulli; e, se usciva a comprar qualche bel vestito o qualunque eleganza per sè stessa, pur toglieva alcun che pe' figliuoletti; e, se andava a spasso, era il più sovente con essi; e in casa li aveva quasi sempre fra' piedi. Cose tutte che, non so donde, or vengon pure facendosi alla moda; ma che, poco usate allora, facevano più che mai ridire dall'altre: «Quanto è mai antipatica!»

Una sera di luglio, i due sposi invidiati facevano una festa ad uno di que' casini o ville in città che sono una magnificenza e un lusso tutto italiano; dove tra i fiori e le frutta e i profumi meridionali, e gl'incanti della natura, e quelli di tutte l'arti, tutti i sensi insieme si trovano esaltati ed eretti; e l'animo stesso e il pensiero che voglia esser più serio, si trova inebbriato sin dalle memorie degli amori famosi succeduti in quelli quasi tempii di voluttà. La compagnia s'era ragunata per tempo alle tre o quattro dopo il mezzodì, per pranzare insieme verso le cinque, e, come si diceva, alla francese. Perchè era allora appunto il tempo che i Francesi ci portavano quest'uso nuovo; e quella sera una numerosa brigata avea voluto far la pruova in casa al Marchese, che per cuoco e confetturiere ed ogni eleganza di tavola non avea rivale in città. Difatti, il pranzo era stato splendidissimo, ed anche più delicato che splendido. I convitati Francesi ci facean l'onore di dire che parea loro per un istante trovarsi in Parigi; e infatti come se vi fossero stati, diceano al Marchese che veramente ei non pareva straniero; quasichè, tranne il senso del gusto, tutti gli altri più fini, della vista, dell'udito, ed anche dell'odorare non fossero le mille volte più soddisfatti ne' nostri paesi che non là su. Al pranzo era succeduto un passeggio ne' giardini; poi il ballo: ed essendo notte scura, uno de' Francesi propose di far venir colà la musica del suo reggimento a far una serenata nel giardino; ed, approvato il pensiero, uscì con altri giovani per veder di trovare i suonatori a' loro quartieri. Tornati poi poco stante: «Sapete voi,» disse uno de' giovani, «chi è giunto or saranno tre ore in città?» «Chi mai?» disse il Marchese. «Indovinate; un amico vostro e nostro, e un amico grandissimo delle belle signore; un elegante di Parigi, uno de' bravi ufficiali dell'esercito francese, uno degli Italiani che ci fanno onore fuori d'Italia… Arrigo.» «Arrigo!» dissero tutti. «Oh! è egli vero? Arrigo giunto? Quando, come, dov'è? perchè non si vede? chi va per esso, chi ce lo porta qui? Oh bello, bello, il buon Arrigo! andiamolo a cercare; qui siam tutti amici suoi, gli è un peccato perder la serata senza riveder Arrigo.» Tutto ciò fu detto da molti, e come in coro; mentre due o tre uscirono per effettuare la proposizione fatta d'andar per Arrigo. I rimasti disposero di riceverlo con una specie di trionfo amicale, e musicale; ed essendo giunta intanto la musica militare fecero provar marce ed arie, e pur v'arruolarono la Marchesina, benchè ella non conoscesse Arrigo non ripatriato da più anni. Poco andò, e portato quasi sulle braccia de' giovani, precipitato in quelle del Marchese e degli altri suoi amici, preso or di qua or di là per la mano con franchezza da' militari francesi, da molti di quali era pur conosciuto, incontrato dalle donne che chi gli dava a baciar la mano, chi gli apriva le braccia, giunse Arrigo tra 'l chiasso degli strumenti e quel trionfo mezzo in celia, ma festeggiato poi da senno e da tutti, salvo la Marchesina che rimaneva dietro alla calca; e di cui egli per qualche tempo non s'accorse, finchè due o tre de' giovani lo trassero dinanzi a lei dicendole: «Ecco Arrigo;» ed a lui: «Ecco la padrona di casa.» Di Cecilia v'ho già detto che bellezza fosse. Di Arrigo v'aspettate forse che pure vi faccia un ritratto da porre in simmetria con quello di lei. Ma dirò sola una cosa; che men bello di molti di que' giovani suoi paesani e coetanei, aveva o per natura o per acquisto un portamento e modi troppo diversi da essi, e quasi accostantisi agli stranieri suoi compagni di guerra; onde pur si distingueva dal profilo più accennato, dagli occhi più ampii, dalla fronte più prominente, e poi da più serietà di fisionomia e men continua vivacità nelle mosse. Nè servirebbe poi, se io vi volessi tener in dubbio di ciò che già voi indovinate oramai. Ella fece a lui un'impressione grandissima come doveva, essendo così vezzosa, avendone tanto nome, e di soprappiù quello di ritrosa e non istata mai vinta. Ed egli a lei fece pure impressione, come uomo del tutto diverso da quanti avea fin allora incontrati; più amorevole, più semplice, e poi più affacentesi ad ogni suo pensiero ed affetto che non erano gli stranieri; più vivace, più brioso, più stimabile, più uomo in somma che non i suoi compatriotti.

E qui m'è forza tornar indietro, e dirvi che non pochi di quegli stranieri, non poche volte, già avevano tentata la virtù di lei, ma sempre in vano. Che se la sua ragione e il suo buon gusto naturale le facevano, volesse o no, scorgere in costoro uomini pur troppo dappiù che non il suo marito e il più de' suoi paesani, quel medesimo buon gusto e la sua alterigia le mostravano come un soprappiù di viltà nello arrendersi a quegli insolenti usurpanti vincitori. Ma ora pur troppo riunivasi ogni cosa ad assaltar la sua virtù. Riunivasi ogni cosa, ed ella pur resisteva. Il primo combattere che incominciò pochi momenti dopo averlo veduto, le fece tremar la voce quando ebbe ella stessa, secondo il convenuto, a cantar per Arrigo. Si ritrasse quella notte più turbata che non fosse stata mai dopo niuna festa o ballo rumoroso; di mal umore contro sè, contro gli altri, e principalmente contro il marito… il marito che le avea fatta fare quella sconvenienza di cantar quasi in lode d'uno sconosciuto e nuovo… Che cattiva figura avea dovuta fare con questo sconosciuto! che idea potea prender questi di lei! quale smacco per la sua alterigia!.. e tornava alla sciocchezza fattagli far dal marito… ed indi alla sciocchezza, alla dappocaggine del marito stesso… e allora riandava tutte le qualità di lui; lo comparava a sè stessa, e per la prima volta lo trovava dammeno di lei; lo comparava ad Arrigo, e lo trovava anche più dammeno d'Arrigo. Arrigo, il marito, ella stessa, le tornavano a mente e nella fantasia, in mille strane, diverse, fantastiche combinazioni, durante l'affannata notte che passò.

Il mattino appresso si svegliò con un sentimento indefinibile di nullità, di mancanza, di mediocrità in tutto ciò che vedeva o udiva. Il giorno che al solito le era così riempito, or le pareva vuoto, o inutile a riempire di quelle nullità. Essendole portati i figliuoli, prese quasi involontariamente e guardava in volto il fanciullo, ed esaminava se pur anch'egli avessevi scolpita quella nullità, quella fiacchezza… ch'ella non avrebbe ardito per anco pronunciare, ma lo pensava pure… paterna. «Deh così potess'egli mai assomigliarsi a quella figura quanto più virile, quanto più nobile, più forte!..» e le passava come un barlume d'un pensiero nella mente, che scuotendo il capo si sforzava di cacciare. Mirava alla figliuola, e vedendola così dolcemente bella, pensava poi più chiaro: «a te stanno bene le fattezze paterne;» e l'accostava a sè, ma l'abbracciava di mal cuore. Alzatasi, attendeva mal volontieri all'usate occupazioni. Parevanle tutte dappoco. Infatti, quando il marito non prosegue, non conosce egli stesso, se non occupazioni donnesche, non ne rimane alcune affatto per la donna. Nei giorni che seguirono, o per appigliarsi ad una occupazione più forte, o per distrarsi, volle leggere; e cercò libri d'ogni donde. Ma fossero storie o romanzi o chechessia, i libri facendola riflettere, la portavano sempre più a conoscere la dappochezza del marito; ed all'incontro, quanti v'eran lodati, esaltati, tutti più o meno s'assomigliavano ad Arrigo. «Dunque,» diceva ella lasciando cadere il libro sulle ginocchia, «dunque io non conosco il vero amore; dunque è tutt'altro amare questi uomini virili, questi uomini attivi e forti, questi Dei superiori nostri, invece di quegli altri, mezzo omicciatoli, impigriti, avviliti, impauriti, troppo dammeno di noi stesse. Ma è egli vero ch'io non conosca quest'amore? E la mia ammirazione non è ella foriera, nunzia di tal… disgrazia,» diceva ella, e diceva bene; ma in fondo al cuore ella sentiva e voleva dire felicità. Riscuotevasi ella allora ed usciva. Ma, se andava al corso ella incontrava Arrigo in divisa su un furioso cavallo, che è bello d'un uomo come un vezzoso ballare d'una donna; ovvero lo vedeva alla parata, agli esercizj militari, che è forse anche più bello; e lo scorgeva rispettato, obbedito da quelli stessi stranieri così disprezzanti per gli altri Italiani. Se andava alle conversazioni, lo udiva lodare; e narrare come, trasportato da sua precoce e guerriera natura, otto o dieci anni innanzi era fuggito di casa per irsi ad arruolar da semplice soldato; come poi aveva affaticato e combattuto più anni; come acquistati varj gradi sul campo di battaglia; e come in somma si era distinto per prode in quell'esercito dei prodi, e fatto conoscere dal loro stesso capo Napoleone primo Consolo; il quale presentandolo egli stesso d'un'arma d'onore, e saputo chi era, aveva aggiunto che, se fossero pochi Italiani pari suoi, non tarderebbe a risorgere la gloria di lor patria. Cecilia, nobile, spiritosa, altiera Italiana, aveva fin sue proprie virtù cospirate contro essa, per farla vivere come inebbriata e fuor di sè tra una nuova e a lei non più conosciuta atmosfera d'amore.

E allora quando il mondo intiero e le stesse virtù paiono cospirate contro una donna, allora è che le sarebbono d'uopo sentimenti veri e profondi di religione. Cecilia non ne era senza; ma, avvolta nel turbine del mondo, li avea trascurati. Ed io che l'avevo conosciuta bambina, e l'amavo non solamente per cagione di suoi genitori, ma pur di lei stessa e di sua buona semplice natura, io me n'accorsi allora; non so se appunto pel grande amore che le portavo, o per una ispirazione del cielo che mi fece veder ciò che non veggo al solito; essendo io di quelli che vivono gli anni in mezzo a queste cose senza accorgermene guari mai. Ma ora vedevo la mia povera Cecilia perdere ogni dì la sua dolce spensieratezza e semplicità, e quell'abbandonarsi alle gioie innocenti, e massime alle materne, che sono in una donna quando non s'affettino, come una guarentigia ch'ella non conosce e non pensa agli illeciti piaceri. Ad ogni volta che la vedevo, era più mutata, più accigliata, più pensierosa. E un mattino, sendomici trovato mentre entrava Arrigo, e avendo a caso gli occhi su lei, la vidi non che arrossire, e balbettare, ma accasciarsi, avvilirsi, e cader tutta da quella sua altezza consueta, ad una espressione quasi di vinta o di vittima già devota. Allora mi diedi, quanto potevo, a venirle più sovente in casa; anche a seguirla dove coll'abito mio potevo decentemente; e quante volte mi trovavo solo con lei, a ravviare la sua mente ai pensieri ed agli affetti di religione che credevo opportuni. Una volta tornavamo appunto in carrettella da una finta guerra militare, dove Arrigo aveva comandato alcuni squadroni di cavalleria. Il marito (non so se a caso, o per indifferenza, o che anzi cominciando ad accorgersi della preoccupazione della moglie, ei volesse comparire anch'egli alla meglio dinanzi a lei), il marito lasciandola con me, era ito pur a cavallo. Ma che differenza, anche a' miei occhi, che non me n'intendo! con quel suo cavallo leggero leggero, dalle gambe sottili, dal collo lungo, ed egli in mezzo quasi in bilico colle gambe larghe e colle mani affaticate intorno alle briglie ogni volta che il cavallo moveva il capo o l'orecchio; mentre quell'altro giovane dal volto maschio, dagli occhi arditi, dalla mano pronta, con un cavallo quasi una fiera fra le gambe, lanciantesi di carriera or a un lato or all'altro della sua truppa, or traendosela tutta dietro contro l'altra che figurava il nemico, con tanta furia, che pareva ci fosse pericolo, epperciò gloria nel giuoco stesso. Che sarebbe stato davvero! Povera Cecilia! non ne sapeva tor gli occhi; e con essi seguiva Arrigo tra quel labirinto d'evoluzioni e mosse, e quella nube o que' lampi di polvere e di fuochi. Le palpitava il cuore evidentemente; ansava, anelava, arrossiva, impallidiva; chè più volte io mi lodai che non vi fosse il marito, nè niun altro meno amico di lei che non ero io. Ad una posa di alcuni istanti partendo egli a sciolta briglia, ed attraversando il campo di battaglia, e poi facendosi via tra la calca de' cocchi e di cavalli, giunse fermandosi a un tratto allo sportello del nostro legno. Tutti gli occhi eran rivolti verso di noi; tutti gli occhi, e non pochi sorrisi; ma Cecilia non vedeva quelli, nè altro, nè nulla fuori di lui; incontravansi gli occhi… e certo gli animi e i cuori in quell'istante; ed ella tracannava a gran sorsi il veleno. Tornando in città, non era già più nè trista, nè pensierosa come ultimamente. Parvemi segno cattivissimo. Tentai ritrarla a' pensieri serj. Ma già non era possibile. Tanto sarebbe stato dar un problema di algebra a un ubbriaco; o dettar filosofia a una baccante.

1.Il Maestro non conosceva allora nè il Pirata, nè la Straniera ec.
2.Bigliardo.
Возрастное ограничение:
12+
Дата выхода на Литрес:
25 июня 2017
Объем:
360 стр. 1 иллюстрация
Правообладатель:
Public Domain

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